22 APRILE 2010, GIOVEDI
Splendida mattinata di sole.
Prima tappa della giornata è la visita al Museo della Haganah,
il corpo (para)militare clandestino costituito dagli Ebrei nel periodo mandatario per la difesa degli insediamenti ebraici in Palestina, antecedente immediato dell’Esercito di Difesa di Israele (Tzahal).
Giovani militari ci accolgono nell’atrio del Museo, situato in Boulevard Rothschild n. 23. Il tenente Shiran, una simpatica ragazza bruna di 21 anni, che si occupa di educazione, ci farà da guida, insieme con Angela. L’edificio si sviluppa su quattro piani ed è nato come casa di abitazione di Eliyahu Golomb, il principale fondatore della Haganah. Infatti il Museo è chiamato anche Beit Eliyahu Golomb
Nato in Bielorussia nel 1883, questi aveva compiuto l’aliyah nel 1909. Impegnato dapprima nell’organizzazione di corsi di addestramento al lavoro agricolo, lavorò presso il kibbutz Degania Alef (lo visiteremo nei prossimi giorni). Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, egli si oppose all’arruolamento degli Ebrei nell’esercito turco in qualità di ufficiali e si impegnò per la costituzione di una forza di difesa ebraica indipendente, che vide la luce nel 1918.
Dopo la smobilitazione, divenne membro di spicco del comitato che diede vita alla Haganah, nel giugno 1920. La casa, ora sede del Museo, fu costruita all’inizio degli anni ‘20 e fu il quartiere generale della Haganah. Eliyahu Golomb, Dov Hoz e Moshe Sharet costituirono il trust di cervelli che dette vita alla fondamentale istituzione (i primi due erano pure imparentati tra loro, poiché entrambi avevano sposato due sorelle di Sharet). Ricordiamo Moshe Sharet (cognome originario Shertok, pure originario della Russia), importante uomo politico israeliano, il secondo -in ordine cronologico- Primo Ministro dello Stato, personaggio di spicco anche nella Tel Aviv degli albori, diplomatosi al Liceo Herzliya, il primo edificio pubblico della città[1] .
Dopo la morte di Golomb (giugno 1945), la casa fu venduta dagli eredi, ma la famiglia continuò a risiedervi per diversi anni. Ciò è visibile dal fatto che diversi ambienti hanno mantenuto un’aria, per così dire, domestica, da abitazione medio/borghese.
Affinché detta casa restasse patrimonio dell’intera nazione fu costituito, su iniziativa di Golda Meir (in quel momento Primo Ministro), un apposito comitato di raccolta fondi, che ne salvò la destinazione pubblica. Nel 1961 fu costituito il Museo. Esso dispone di un vasto archivio storico, di un auditorium da 100 posti e si avvale dei più moderni sussidi audiovisivi.
La visita consente di conoscere la drammatica storia del Paese attraverso le vicende delle sue forze militari -a cominciare dallo Hashomer, l’organismo di autodifesa costituito nel 1909 dagli immigrati della Seconda Aliyah-.
Ricordo qui in breve solo alcuni aspetti salienti, ben consapevole di omettere tante altre storie avvincenti e iniziative meritorie, tutte connesse con la nascita e la crescita di Israele, in un legame, tenuto conto del contesto in cui ora ci troviamo, particolarmente forte.
La lotta contro le rivolte arabe negli anni 1920/21 e, soprattutto, quelle del periodo 1936/1939 (e la stretta collaborazione della Haganah, nonostante essa non fosse da esse riconosciuta ufficialmente, con le autorità mandatarie nella repressione dei moti antiebraici); l’opera nella costituzione e nella difesa dei nuovi insediamenti. Molto interessante a tale proposito un filmato (inizio anni ‘30) che mostra l’edificazione di un kibbutz di tipo cosiddetto “Torre e palizzata” (Homah Umigdal). Le costruzioni così chiamate furono erette -in tutto una cinquantina, negli anni più difficili- per trarre vantaggio dalla normativa mandataria che legittimava qualunque costruzione coperta da un tetto; esse venivano innalzate in poche ore, preferibilmente di notte, al fine di sorprendere gli arabi (e pure gl’inglesi!).
Poi lo sviluppo dell’organizzazione, forte della base democratica ed egualitaria (contrariamente a Hashomer -esclusivamente maschile-, accolse tra le sue fila molte donne), sempre strettamente legata alla Histadrut, la centrale sindacale, fondata da David Ben Gurion; la lotta contro la potenza mandataria, soprattutto dal 1939 quando, a seguito della pubblicazione del terzo “Libro Bianco” (cosiddetto di Mac Donald, dal nome del Segretario alle Colonie), l’immigrazione ebraica subì una drastica restrizione -ingresso consentito in Palestina solo a 75.000 persone in cinque anni, misura che condannò a morte migliaia di Ebrei europei-, così come fu fortemente limitata la vendita di terre agli Ebrei[2]. La Haganah, in risposta, coordinò l’immigrazione clandestina e diede vita a manifestazioni contro la politica antisionista inglese. Ma anche la partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale con la Jewish Brigade, inquadrata nell’VIII Armata dell’Esercito britannico. Rammentiamo in merito le celebri, pragmatiche parole di David Ben Gurion: “Aiuteremo i britannici nella guerra come se non ci fosse il Libro Bianco e lotteremo contro il Libro Bianco come se non ci fosse la guerra”.
Terminato il conflitto, i combattenti aiutarono i loro fratelli superstiti della Shoah (un milione di profughi) a raggiungere la Terra di Israele[3] .
L’immigrazione clandestina, la cosiddetta Aliyah Bet, cioè illegale, riprese; per limitarci all’Italia, dal nostro Paese partirono circa trentamila persone[4] . A tale proposito vanno ricordati sia il contributo italiano dato alle navi dell’Aliyah Bet -le prime partenze avvennero dall’Italia, vuoi per la posizione geografica, vuoi perché la principale centrale per l’immigrazione clandestina era proprio nel nostro Paese, grazie all’opera di Ada Sereni e del Capo del Mossad in Italia, Yehuda Arazi-, sia il contributo italiano alla nascita della Marina israeliana, subito dopo la proclamazione dell’Indipendenza.[5] .
Il 26 maggio 1948 il Governo provvisorio israeliano decide di trasformare la Haganah nell’esercito regolare dello Stato e di chiamarla Tzva Haganah Le Yisrael – Esercito di Difesa Israeliano-.
Non mi soffermo sul difficile rapporto con gli altri gruppi armati, come il Lehi (Lohamei Herut Israel, "Combattenti per la Libertà d'Israele), meglio noto come “Banda Stern” (responsabile di diversi attentati terroristici) e il noto Irgun, nonché sui duri provvedimenti adottati dal Governo (rammentiamo il dramma dell’Altalena), provvedimenti che portarono, nei mesi successivi, alla dissoluzione delle milizie e all’integrazione degli effettivi nell’esercito regolare.
Ciò permise allo Stato appena costituito di affrontare con successo la guerra contro i nemici vicini, intensificatasi dopo la proclamazione dell’Indipendenza.
Terminiamo la visita al Museo, autentica pietra miliare del nostro viaggio, diretti proprio di fronte, sullo stesso Boulevard Rothschild, alla Indipendence Hall: il luogo in cui fu proclamata la Dichiarazione di Indipendenza d’Israele il 14 maggio 1948, come sappiamo già residenza privata del primo Sindaco della città, Meir Diezengoff; indi, dopo la morte dell’amata moglie di lui, Zina (nel 1930), sede del Museo d’Arte di Tel Aviv, fino al 1971. Incredibili, questi luoghi istituzionali di Tel Aviv: la solennità cede il passo ad una dimensione domestica, quasi intima: la Casa di…..
E’ lontana la vivacità spumeggiante, frenetica, cara ai media, della “città che non si ferma mai”, della “Bolla”, Ha-Buah, come la chiamano qui.
Siamo nel cuore, per così dire, laico del Paese, anche se l’espressione, lì per lì, non mi entusiasma. “Laico” nel senso positivo di chi, pur portatore di una forte identità, o proprio grazie a questo, si sforza di trovare punti di incontro con l’altro. Cuore ebraico e laico di Israele, che non rinnega le proprie radici. Tanto per fare un esempio illustre: il “laicissimo” David Ben Gurion -lo citerò sovente in questo soggiorno-, oltre che conoscitore di un numero sterminato di lingue, poiché pare non si fidasse delle traduzioni, era un profondo conoscitore della Bibbia.
Entriamo nella “Hall”, in realtà una sala non grande -era in origine il retro giardino della villa-, dove ascoltiamo, con una certa emozione, la voce solenne di David Ben Gurion.
Eccoci riportati nel pomeriggio del 14 maggio 1948.
L’ambiente è sobrio, le seggiole e i tappeti sono stati presi a prestito da amici, lì vicino.
L’invito all’importante appuntamento è stato comunicato, per timore di ritorsioni arabe, a poco più di un centinaio di persone, ma si sa che le notizie si diffondono come le onde crescenti del mare: il luogo è stracolmo di gente ben prima dell’ora stabilita, le sedici….
“In ERETZ ISRAEL è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l'eterno Libro dei Libri.
Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica.
Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. Pionieri, ma'apilim e difensori fecero fiorire i deserti, rivivere la loro lingua ebraica, costruirono villaggi e città e crearono una comunità in crescita, che controllava la propria economia e la propria cultura, amante della pace e in grado di difendersi, portando i vantaggi del progresso a tutti gli abitanti del paese e aspirando all'indipendenza nazionale.
Nell'anno 5657 (1897), alla chiamata del precursore della concezione d'uno Stato ebraico Theodor Herzl, fu indetto il primo congresso sionista che proclamò il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale del suo paese. Questo diritto fu riconosciuto nella dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della Società delle Nazioni che, in particolare, dava sanzione internazionale al legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz Israel [Terra d'Israele] e al diritto del popolo ebraico di ricostruire il suo focolare nazionale. La Shoà [Catastrofe] che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico, in cui milioni di ebrei in Europa sono stati massacrati, ha dimostrato concretamente la necessità di risolvere il problema del popolo ebraico, privo di patria e di indipendenza, con la rinascita dello Stato ebraico in Eretz Israel che spalancherà le porte della patria a ogni ebreo e conferirà al popolo ebraico la posizione di membro a diritti uguali nella famiglia delle nazioni.
I sopravvissuti all'Olocausto nazista in Europa, così come gli ebrei di altri paesi, non hanno cessato di emigrare in Eretz Israel, nonostante le difficoltà, gli impedimenti e i pericoli e non hanno smesso di rivendicare il loro diritto a una vita di dignità, libertà e onesto lavoro nella patria del loro popolo.
Durante la seconda guerra mondiale, la comunità ebraica di questo paese diede il suo pieno contributo alla lotta dei popoli amanti della libertà e della pace contro le forze della malvagità nazista e, col sangue dei suoi soldati e il suo sforzo bellico, si guadagnò il diritto di essere annoverata fra i popoli che fondarono le Nazioni Unite.
Il 29 novembre 1947, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione che esigeva la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel. L'Assemblea Generale chiedeva che gli abitanti di Eretz Israel compissero loro stessi i passi necessari da parte loro alla messa in atto della risoluzione. Questo riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. Questo diritto è il diritto naturale del popolo ebraico a essere, come tutti gli altri popoli, indipendente nel proprio Stato sovrano.
Quindi noi, membri del Consiglio del Popolo, rappresentanti della Comunità Ebraica in Eretz Israel e del Movimento Sionista, siamo qui riuniti nel giorno della fine del Mandato Britannico su Eretz Israel e, in virtù del nostro diritto naturale e storico e della risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà il nome di Stato d'Israele.
Decidiamo che, con effetto dal momento della fine del Mandato, stanotte, giorno di sabato 6 di Iyar 5708, 15 maggio 1948, fino a quando saranno regolarmente stabilite le autorità dello Stato elette secondo la Costituzione che sarà adottata dall'Assemblea costituente eletta non più tardi del 1 ottobre 1948, il Consiglio del Popolo opererà come provvisorio Consiglio di Stato, e il suo organo esecutivo, l'Amministrazione del Popolo, sarà il Governo provvisorio dello Stato ebraico che sarà chiamato Israele.
Lo Stato d'Israele sarà aperto per l'immigrazione ebraica e per la riunione degli esuli, incrementerà lo sviluppo del paese per il bene di tutti i suoi abitanti, sarà fondato sulla libertà, sulla giustizia e sulla pace come predetto dai profeti d'Israele, assicurerà completa uguaglianza di diritti sociali e politici a tutti i suoi abitanti senza distinzione di religione, razza o sesso, garantirà libertà di religione, di coscienza, di lingua, di istruzione e di cultura, preserverà i luoghi santi di tutte le religioni e sarà fedele ai principi della Carta delle Nazioni Unite. Lo Stato d'Israele sarà pronto a collaborare con le agenzie e le rappresentanze delle Nazioni Unite per l'applicazione della risoluzione dell'Assemblea Generale del 29 novembre 1947 e compirà passi per realizzare l'unità economica di tutte le parti di Eretz Israel.
Facciamo appello alle Nazioni Unite affinché assistano il popolo ebraico nella costruzione del suo Stato e accolgano lo Stato ebraico nella famiglia delle nazioni. Facciamo appello – nel mezzo dell'attacco che ci viene sferrato contro da mesi – ai cittadini arabi dello Stato di Israele affinché mantengano la pace e partecipino alla costruzione dello Stato sulla base della piena e uguale cittadinanza e della rappresentanza appropriata in tutte le sue istituzioni provvisorie e permanenti. Tendiamo una mano di pace e di buon vicinato a tutti gli Stati vicini e ai loro popoli, e facciamo loro appello affinché stabiliscano legami di collaborazione e di aiuto reciproco col sovrano popolo ebraico stabilito nella sua terra. Lo Stato d'Israele è pronto a compiere la sua parte in uno sforzo comune per il progresso del Medio Oriente intero.
Facciamo appello al popolo ebraico dovunque nella Diaspora affinché si raccolga intorno alla comunità ebraica di Eretz Israel e la sostenga nello sforzo dell'immigrazione e della costruzione e la assista nella grande impresa per la realizzazione dell'antica aspirazione: la redenzione di Israele.
Confidando nell'Onnipotente, noi firmiamo questa Dichiarazione in questa sessione del Consiglio di Stato provvisorio, sul suolo della patria, nella città di Tel Aviv, oggi, vigilia di sabato 5 Iyar 5708, 14 maggio 1948”.
Erano trascorsi poco più di quarant’anni da quando, nel 1906, Akivah Arieh Weiss, intraprendente personaggio con la passione dell'architettura, aveva convocato, presso il circolo Yeshurun di Jaffa, i capifamiglia del Comitato Provvisorio per la formazione di una nuova città, una città provvista di fognature, lontana dai quartieri poco confortevoli dove gli Ebrei erano costretti a vivere. Una nuova città, ebraica finalmente. I soci del circolo erano professionisti, commercianti, intellettuali; buona borghesia, diciamo.
Tre anni dopo, l’11 aprile 1909, ancora su impulso di Weiss, gli stessi capifamiglia, sulla spiaggia -proprio dove oggi c’è il monumento a ricordo- scrissero su 66 conchiglie bianche i loro cognomi e su 66 conchiglie nere i numeri dei lotti di terra da assegnare; quella terra, posta a nord di Jaffa, acquistata a caro prezzo da proprietari beduini tramite un prestanome (date le regole vigenti all’epoca, imposte dall’Impero turco). La lotteria delle conchiglie fece da levatrice alla nuova creatura, la città ebraica, chiamata all’inizio Akhuzat Bayt (come l’associazione degli Ebrei residenti in Giaffa; un termine che si potrebbe tradurre come “Tenuta residenziale” [6]); poi, su proposta di Menahem Sheinkin, un altro dei fondatori, Tel Aviv.
Usciti da quel luogo solenne e familiare al tempo stesso, facciamo quattro passi su Sderot Rothschild dove, accanto ad alcuni edifici di inizio Novecento, in stile, per così dire, eclettico-internazionale, ritroviamo il celebre Bauhaus, che ha reso la città famosa dovunque nel mondo, dandole un’impronta caratteristica. Angela ci rammenta la figura del celebre architetto del Novecento Eric Mendelsohn (1887/1953), nato in Germania da famiglia ebraica -attivo per qualche anno anche in Terra di Israele, prima di emigrare negli USA- il quale, in alcune sue lettere, descrive la vitalità di Tel Aviv, la sua energia e capacità di accoglienza.
Accanto all’opera dell’uomo c’è la natura rigogliosa di questa città costruita sulla sabbia: mi fermo ad ammirare alcuni esemplari di ficus benjamina, rigogliosi e imponenti alberi, ben diversi dai teneri arbusti di casa nostra; e poi ci sono le maestose bouganvillee accanto ai sicomori di evangelica memoria e tante tante altre essenze ancora: con l’aiuto del clima caldo umido e, soprattutto, della buona volontà, si possono compiere miracoli.
Con un atto di smisurata vanità, mi faccio ritrarre accanto alla statua a cavallo di Meir Diezengoff
Uno sguardo veloce al Teatro Habima, riportato di recente alle forme originarie degli anni ‘30, tempio del teatro classico e moderno, luogo di rappresentazione dei celebri testi in yiddish importati dall’Est Europa. Fondato a Vilna nel 1913 da Nahum David Zemach, fu trasferito a Mosca nel 1917; indi, alla fine degli anni ’20, a seguito del clima illiberale affermatosi in Russia, approdò in Israele, dove è stato scelto, nel 1958, come Teatro Nazionale del Paese.
Ecco una foto scattata nel 1936, una sorta di…posa della prima pietra
“Capì subito che il luogo….non solo era bello, ma anche speciale: il posto dove ci si sentiva vicini all’Europa. A quella che per gli ebrei -giunti nel Paese per scelta o per costrizione- era pur sempre la madrepatria…”[7]
“Habima non è solo un istituto artistico, ma una pietra miliare nella lingua e cultura ebraica e nel design della cultura e vita di Israele" (così hanno scritto alcuni anni or sono Avraham B. Yehoshua, Amoz Oz e David Grossman).
Poco più avanti l’Auditorium Mann, sede della Filarmonica di Israele, diretta da importanti nomi, a cominciare dal nostro Toscanini, fino al grande amico di Israele, Zubin Mehta, a me particolarmente caro.
Il modello di città-giardino all’inglese, come avrebbe dovuto essere Tel Aviv secondo il progetto originario, sbuca qua e là, ma le diverse linee urbanistiche affermatesi lungo gli anni hanno avuto la prevalenza. Il risultato: una realtà variegata e sorprendente.
[1] Un vivido ritratto di Sharet è tracciato da Vittorio Dan SEGRE nell’opera, anche autobiografica, Il bottone di Molotov, Storia di un diplomatico mancato, Corbaccio, Milano, 2004, pp. 299.
[2] Sui “giri di valzer” della politica britannica in M.O. vedi Benny MORRIS, La prima guerra di Israele, Rizzoli Storica, Milano, 2007, pp. 650
[3] Emblematica la storia narrata da Howard BLUM in La Brigata – una storia di guerra, di vendetta e di redenzione, il Saggiatore, Milano, 2002, pp. 318, sulle vicende che vede come protagonisti tre membri della Jewish Brigade, tra i quali il Col. Johanan Peltz, che ebbi il piacere di conoscere alcuni anni fa.
[4] Doveroso qui ricordare Ada SERENI ASCARELLI (1905/1997), romana di origine, immigrata nel 1927 col marito Enzo Sereni in Palestina, dove fondarono il kibbutz di Ghivat Brenner. Venivano entrambi dalla media borghesia ebraica capitolina; i Sereni erano medici e, come tali, all’epoca del ghetto, avevano il diritto di risiederne al di fuori. Ada ed Enzo lasciarono una comoda vita di agi nel Paese di origine per intraprendere l’avventura sionista nell’amata, ma dura, Terra dei Padri. Dopo la cattura (primavera 1944) e uccisione (nell’autunno di quell’anno) a Dachau di Enzo -questi era stato paracadutato in Nord Italia, dalla Haganah e dalle autorità militari inglesi, oltre le linee nemiche, allo scopo di prendere contatto con le forze antifasciste-, Ada, dall’aprile 1947 al maggio 1948, fu a capo del settore italiano dell’Aliyah Bet. Ha narrato la sua rilevante esperienza in I clandestini del mare, Mursia, Collana GUM Testimonianze, Milano, 1994, pp. 237.
[5] Su questi interessanti argomenti consulta il sito web www.aidmen.org e ivi il contributo di Achille RASTELLI pubblicato il 22 gennaio 2008 e presentato al Convegno AIDMEN, svoltosi a Roma il 17 novembre 2007 presso la Confraternita di S. Giovanni Battista de’ Genovesi.
[6] LOEWENTHAL, op. cit., p. 36.
[7] Queste le riflessioni di Salomon Klein, protagonista del romanzo di Massimo LO MONACO, La caccia di Salomon Klein, Mursia, Milano, aprile 2010, pp. 474 (la citazione è p. 13).