Proposta di confronto e di dialogo costruttivo all’interno e all’esterno del mondo ebraico, per favorire la conoscenza e la coesistenza tra culture differenti.
Mai come l’argomento scelto quest’anno rende onore al significato della Giornata Europea della Cultura Ebraica, giunta alla sedicesima edizione: Ponti e AttraversaMenti.
Circa un centinaio di iniziative: “porte aperte” di sinagoghe, musei, vari siti ebraici, visite guidate, mostre, concerti, nonché degustazioni della cucina kasher.
72 città italiane in collegamento ideale tra loro (città capofila: Firenze) e con le numerose località europee che aderiscono all’appuntamento.
Il tema, scelto a Lisbona con largo consenso nel novembre 2014, nasce da una ferma convinzione: nessuno, oggi, può vivere isolato; ci si deve attivare sempre, fin dove è possibile, per creare un confronto costruttivo, un Ponte. Ponte di collegamento interno tra le diverse anime di un Popolo, il Popolo Ebraico, il quale, da sempre, ha avuto nel dibattito, nella discussione senza infingimenti, né dogmatismi, una delle caratteristiche principali del proprio modo di essere. Ma anche, e soprattutto, ponte per collegare tra loro (nel rispetto reciproco) culture e religioni, separate da una lunga storia di odio, disprezzo e guerra: una realtà, quella della dura contrapposizione -compresa la cosiddetta “guerra asimmetrica”, per dirla con analisti e politologi-, oggi quanto mai presente, della cui gravità il debole (anzitutto in senso morale e culturale) Occidente non si rende conto, se non in minima parte.
C’è una frase-chiave che dà significato pregnante all’iniziativa. Si tratta di un detto del Rabbi Nachman di Breslav (sec. XIX): Tutto il mondo è un ponte molto stretto, la cosa fondamentale è non avere paura di nulla. Un’affermazione che fa riflettere: la vita è sempre difficile, rischiosa, un ponte molto stretto; l’importante è non temere. La Paura è qualcosa di irrazionale, nasce spesso da pregiudizi, ignoranza e porta all’odio, al razzismo, alle guerre. Ben diverso è il Timore, cioè la coscienza del pericolo, che ti fa andare avanti cosciente della situazione, come il soldato degno di questo nome.
Da qualche anno è di moda, sui giornali o nei dibattiti, la contrapposizione Muri / Ponti, specie in funzione antiisraeliana, senza considerare che i due termini, in sé, sono assai generici. Non sempre i primi sono fonte di male, i secondi di bene. C’è il muro che intende escludere, impedire (il Muro di Berlino, tragicamente celebre, o, in senso figurato ma non meno pregnante, l’abbigliamento femminile nelle sue varie declinazioni, imposto dall’Islam fondamentalista, volto ad impedire alle donne una vita dignitosa; ciò nel silenzio complice delle cosiddette femministe occidentali, in passato, per altri motivazioni, così presenti, rumorose), ma c’è, viceversa, l’esecrato (dagli antisemiti) muro di separazione costruito da Israele, peraltro in una percentuale assai minoritaria dei Territori contesi, diretto a proteggere la vita dei cittadini di quello Stato dagli attentati terroristici.
Così i Ponti. Non si può andare incontro all’altro dimenticando il proprio bagaglio umano, culturale, religioso; in poche parole, annichilendosi in modo acritico per cinismo e /o vile piaggeria. Il collegamento e gli attraversaMenti -affascinante il gioco di parole- saranno positivi se volti a collegare due identità, di per sé, diverse e separate. Solo in questo modo può essere possibile un dialogo, tra persone di buona volontà.
Per quanto concerne Bologna, fittissimo è il calendario degli appuntamenti, suddivisi tra il Museo e la Comunità Ebraica. Mi limiterò a riferire su alcuni ai quali ho partecipato.
La Giornata ha avuto un anticipo, il 5 settembre sera, con JEWISH JAZZ- dagli Stati Uniti all’Italia passando per Berlino, interessante rassegna musicale che mette in luce il rapporto stretto tra Musica klezmer e Jazz attraverso tre appuntamenti: il 5, l’8 e il 10 Settembre.
Sono stata presente al primo incontro.
Ci troviamo nel suggestivo cortile del Museo Ebraico. Sul muro di fondo campeggiano i resti di una fontana in pietra: del complesso sono rimasti solo due putti, ora valorizzati da un vasto rampicante verde acceso che ridà vita palpitante a tutto il contesto.
E’ di scena il Gabriele Coen Quintet, gruppo musicale di recente costituzione.
Compiamo un viaggio molto suggestivo attraverso la musica di Kurt Weill. Il grande compositore tedesco, figlio del primo cantore della sinagoga di Dessau (vicino a Berlino), nato nel 1900, è stato colui che ha rivoluzionato il teatro musicale del Novecento, grazie alla sua collaborazione con Bertolt Brecht. Essa era iniziata in Germania nel 1927, ma si concluse dopo circa quattro anni per le forti divergenze di carattere tra i due, entrambi forti personalità. Cabaret, jazz, musica ebraica, già questa sera avremo una panoramica a tutto tondo di questo versatile compositore. Oltre a brani più famosi tratti dall’Opera da tre soldi, alcuni pezzi tratti da altre opere musicali teatrali, come Ascesa e caduta della città di Mahagonny e Happy End, sempre frutto della collaborazione con Brecht. Happy End, al di là del titolo, non ebbe particolare successo, ma alcune esecuzioni sono davvero di altissima qualità: ritmo serrato, vivacità contagiosa, dove gl’incredibili virtuosismi del violoncello di Benny Penazzi sembrano farla da padroni; ma ecco che il clarinetto di Gabriele Coen e il contrabbasso di Danilo Gallo reclamano i loro diritti….
Il quintetto si sofferma poi sul periodo francese (1933/1935) e su quello americano (dal 1935 fino alla morte di Weill, avvenuta nel 1950). A quest’ultimo proposito coinvolgenti sono le musiche tratte da The Eternal Road (1937), opera oratorio di ambientazione ebraica, che prefigura nei toni tragici ciò che sarebbe accaduto di lì a poco in Europa. Sono proposti tre brani finora inediti in Italia: il Canto di Ruth, il Canto di Myriam e la Danza attorno al vitello d’oro. La dimensione quasi mistica si alterna a quella jazzistica: dopo un luogo assolo durante il quale è proprio difficile restare fermi, la batteria di Zeno De Rossi cede il posto agli altri strumenti. Impagabile Luca Venitucci, in grado di alternarsi con grande maestria tra fisarmonica e pianoforte.
Nutrito e vario pubblico, di tutte le età. Applausi a scena aperta dopo la conclusione con la celeberrima Alabama Song (1927). Gioia sotto le stelle.
Domenica 6 Settembre.
Presso la Biblioteca della Sala Borsa apre l’esposizione TZACHOR – RICORDA.
Essa è dedicata alla presentazione dei progetti del concorso internazionale (promosso lo scorso gennaio dalla Comunità Ebraica di Bologna con il sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, il supporto del Comune, del locale Ordine degli Architetti, delle Ferrovie dello Stato) per la realizzazione di un Memoriale, come luogo che possa mantenere viva la memoria della Shoah, il quale troverà sede nella nuova piazza realizzata tra la Via Carracci e il ponte di Via Matteotti (in posizione sopraelevata rispetto alla Stazione); punto di transito che connette la città storica alla vasta zona espansione urbana costruita a inizio 1900. La piazza, tra l’altro, è il principale varco d’accesso per la nuova stazione Alta Velocità. Giunto nei tempi stabiliti al suo completamento, il concorso ha ricevuto ben 284 progetti in prima fase (dei quali 70% italiani e 30% stranieri); la Giuria (presieduta dall’Architetto Peter Eisenman, autore del Memoriale della Shoah di Berlino) ha selezionato 4 progetti, dando così il via alla seconda fase del concorso. Di essi, 3 hanno completato l’iter presentando la proposta finale. Alla fine dello scorso giugno la commissione ha scelto, come vincitore, il progetto presentato da un gruppo di trentenni architetti romani: Onorato di Manno, Andrea Tanci, Gianluca Sist, Lorenzo Catena, Chiara Cucina (Studio SET ARCHITETS).
L’opera sarà realizzata entro il prossimo 27 Gennaio, ad un anno esatto dall’indizione del concorso, ed avrà un costo di 120.000 Euro. Al gruppo vincitore è affidata la responsabilità della progettazione definitiva ed esecutiva, nonché la direzione lavori.
Come Onorato di Manno ha spiegato ai presenti, punto chiave del concorso è stato quello di immaginare un luogo da vivere, non di mero attraversamento, che inviti i cittadini alla Riflessione e al Ricordo. L’elaborato vincitore -a metà strada tra scultura ed architettura- prevede due blocchi monolitici in ferro grezzo e ruvido di m. 10 X 10, uno di fianco all’altro, posti lungo l’asse di congiungimento dei due muri in pietra preesistenti (alti 5 metri e mezzo). Il cammino (interno) tra i due blocchi ne mette in evidenza la struttura costituita da elementi orizzontali e verticali, ripetizione “da incubo” delle cuccette/loculi dei campi di concentramento nazisti. Il percorso va via via restringendosi -da 150 a 50 cm- per creare nel visitatore disagio ed indurlo a riflettere; così come il rumore prodotto dal calpestio della pavimentazione. Quest’ultima è prevista come un’alternanza tra lastre di pietra e giunti metallici, a ricordare la tragicamente famosa Judenrampe, cioè la diramazione ferroviaria che conduceva direttamente le vittime ai campi.
Il Memoriale non deve avere un aspetto museale, ma essere spazio di vita, d’incontro tra le persone (è prevista l’illuminazione notturna), momento di interazione tra Comunità e Storia. Esso sarà, affermano con soddisfazione i progettisti, un nuovo landmark (cioè punto di riferimento, pietra miliare) per la città di Bologna.
Presso il Museo Ebraico è aperta, dal 6 Settembre all’1 novembre 2015, la mostra personale di Elisabetta Necchio, TERRE E PROMESSE.
Nata a Como nel 1972, Elisabetta Necchio ha dapprima frequentato il locale Liceo Artistico, indi si è diplomata in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Brera (Milano). Dal 1994 al 1996 ha lavorato nel campo della moda e dell’arredamento come progettista di disegni per tessuti; indi ha insegnato Educazione Artistica e Discipline Pittoriche nelle Scuole Secondarie e presso lo stesso Liceo Artistico nel quale si era diplomata. Dal 2000 al 2005 è stata docente di Pittura e Teoria della Percezione Visiva all’Accademia Aldo Galli di Como e attualmente insegna Arti Visive presso il Collegio Papio di Ascona. Da alcuni anni la sua ricerca artistica, rivolta in un primo tempo allo studio di materiali utilizzati all’interno della pittura tradizionale, si è approfondita grazie ad un nuovo percorso nato dall’impiego e dallo studio delle tecniche di fabbricazione della carta a mano.
Nella Mostra bolognese sono esposti quindici opere di varie dimensioni, espressione di un lavoro pluriennale su tema di grande attualità e pregnanza, legato non soltanto all’aspetto religioso, ma anche a quello geopolitico ed economico: le tre culture monoteiste, Ebraismo, Cristianesimo, Islam. Il percorso si lega molto bene al tema della Giornata di quest’anno. I “ponti” con culture diverse ci cambiano, ma le identità di chi sta da una parte e di chi sta dall’altra, mantengono coscienza di sé. Ed è bene che sia così, aggiungo. In questo contesto di stabilità, secondo l’Artista, il ponte può trasformarsi nella ricerca di un passaggio che consenta agli altri di avvicinarsi a te, e viceversa, senza perdere se stessi, nella scoperta di altri “universi”. Dai vari temi riguardanti la cultura e la vita dei popoli, Elisabetta ha tratto spunto per la sua riflessione personale.
Nove sono le parole chiave attraverso le quali si snoda il percorso della mostra, declinato secondo la prospettiva delle tre religioni monoteiste: RAGIONE, PADRE, MALE, TEMPIO, ALBERO DELLA VITA, LIBRO, PROMESSA, UOMO, TERRA. Di ciascun tema sono stati trattati la storia, l’origine, il significato attraverso composizioni articolate e complesse, con la tipica attenzione al particolare e all’effetto tridimensionale dei diversi elementi. Il materiale usato è quello preferito, cioè la carta.
Per limitarci al contesto ebraico, l’Autrice ha lavorato sul tema del nodo di Salomone, segno dell’unione tra l’Umano e il Divino, espressione della Sapienza che continua l’opera creatrice del Signore.
Ricco di suggestione l’evento proposto, al tramonto, ancora nel cortile del Museo Ebraico.
Reading musicale tratto dal bellissimo romanzo di Avraham B. Yehoshua VIAGGIO ALLA FINE DEL MILLENNIO (uscito in Israele nel 1997, pubblicato da Einaudi l’anno successivo, con traduzione di Alessandra Shomroni).
In sintesi la storia. Alla vigilia dell’Anno 1000, nel 999, il ricco mercante ebreo Ben Atar, accompagnato dalle due mogli -chiamate dall’A. la Prima Moglie e la Seconda Moglie, senza loro attribuire un nome-, salpa dalla sua Tangeri verso Parigi, sperduto borgo nel cuore dell’Europa. Lo aspettano il nipote Abulafia, suo socio in affari (rimasto vedovo alcuni anni addietro), nonché la nuova moglie di questi, chiamata Ester-Mina, vedova a sua volta, più anziana di lui, ma ancora affascinante, askenazita, che disapprova la bigamia di Ben-Atar. Per stabilire se sia lecito avere due mogli, affinché sia possibile proseguire la collaborazione commerciale tra zio e nipote, è necessario un giudizio imparziale, pronunciato al termine di un processo presso una corte rabbinica.
Il conflitto tra Nord e Sud, tra Oriente e Occidente, troverà tuttavia una soluzione inaspettata fuori dalle mura della Sinagoga.
“Nel secondo quarto della notte Ben-Atar, svegliato da una carezza, immagina in cuor suo che anche nel sonno la Prima Moglie non dimentichi di ringraziarlo del piacere donatole”. Questo l’intrigante inizio del racconto.
Gabriele Coen, sax soprano e clarinetto, e Stefano Saletti, oud (strumento cordofono della famiglia dei liuti a manico corto) e chitarra elettrica, hanno accompagnato la lettura di alcuni brani dell’opera da parte di Lisa Ferlazzi Natoli, pure autrice dell’adattamento, la quale, con intensa partecipazione, ci ha guidati in un ambiente ricco di fascino. Sfumature evocative di mondi lontani, eppure ricchi di umanità, com’è caratteristica dello scrittore israeliano. Degna conclusione di una Giornata indimenticabile.