OM

….E infatti “Beniamino” non è solo.

Almeno per quanto riguarda il pubblico [1].

Riprendo il filo del racconto dopo il commento del 16 marzo scorso.

Un riepilogo di quanto avvenuto negli ultimi mesi è opportuno. Riepilogo sintetico, per quanto possibile.

Osservi subito: quante iniziative! Io stessa, che pure ho partecipato come spettatrice alla maggior parte di esse e ho avuto finalmente modo di conoscere i protagonisti, non mi ero davvero resa conto fino in fondo dell’impegno profuso, se non verso la fine del percorso.

Fin da prima del 13 marzo, cioè dal concerto cameristico, tenutosi presso il M.A.S.T. di Bologna, cui è seguita un’intensa tournée in Spagna, i musicisti “storici” dell’Orchestra Mozart hanno operato in modo continuo tra loro e in totale collegamento con l’Accademia Filarmonica felsinea.

Non solo quindi è proseguita, a cura di quest’ultima, la raccolta fondi con il sistema crowfunding (col patrocinio del Comune di Bologna, in collaborazione con Cineteca,  Fondazione MAST e altri), ma pure sono stati organizzati numerosi eventi. Concerti in primo luogo, ma non solo.

Aspetto non trascurabile, da ribadire. Il progetto parte da una regola condivisa: ognuno, indipendentemente dal ruolo assunto nell’Orchestra, percepisce, nella fase di raccolta fondi, un compenso uguale e, dati i tempi, assai contenuto: 200 Euro a testa, più o meno un rimborso spese.

Mentre il primo traguardo, cioè il concerto del 6 gennaio 2017, sarà un evento per il quale è previsto un regolare cachet. Tanto per evitare gli equivoci e chiarire che siamo di fronte a persone serie, a professionisti di vaglia, supportati da un’istituzione benemerita che vanta 350 anni di vita; e non ad un gruppetto di sospirosi velleitari.

  LA PREPARAZIONE

Appuntamenti, quelli di cui sopra, tutti diretti a far conoscere il progetto alla base della rinascita dell’Orchestra, per coinvolgere settori di pubblico sempre più vasti -spesso disinformati, disfattisti o comunque distratti- e, si spera, pure le (ondivaghe, ad essere generosi) istituzioni, dalle quali ci si aspetterebbe sostegno.

Il mese di giugno è stato particolarmente intenso. Un tour di quattro tappe e dodici eventi tra: Mantova -il 4, in occasione del Mantova Chamber Music Festival, presso la Biblioteca Teresiana e la Sala dei Fiumi di Palazzo Ducale-; Roma -il successivo 12, all’Auditorium Parco della Musica nella serata conclusiva della Repubblica delle Idee; è stato questo unico momento di musica classica-; Milano -il 17, presso l’ex Parco Pini per l’apertura della Festa dei 40 anni di Radio Popolare Network, l’emittente che, nel marzo 1980, ospitò Claudio Abbado e i Solisti dell’Orchestra del Teatro alla Scala (che due anni dopo sarebbero divenuti la Filarmonica) in una simpatica occasione-.

Infine Bologna, luogo di nascita di OM e suo centro propulsore.

Quasi a simboleggiare due realtà che tornano -oppure, perché no, iniziano finalmente- a camminare insieme, ecco BO-OM (Bologna-Orchestra Mozart): un vero e proprio festival, articolato, in tre pomeriggi / sera, seguiti da aperitivo, presso i suggestivi locali dell’Accademia Filarmonica, per ascoltare dal vivo i Solisti in simbiosi con vari colleghi esterni, ben lieti di dare il loro contributo artistico.

Il 6 giugno: è di scena il barocco, da Vivaldi a Telemann a Corelli, senza trascurare il repertorio bolognese di Perti e Colonna. I tre trombettisti di OM, Thomas Hammerschmidt, Jakob Golien e Alfonso Gonzalez Barquin, sono degnamente accompagnati da Francesca Neri al violoncello; Lucio Corenzi al contrabbasso; nonché Michele Vannelli, maestro di cappella della Basilica di S. Petronio, all’organo.

A impreziosire l’incontro: il Coro da Camera del Collegium Musicum dell’Alma Mater; gruppo di raffinati cantastorie.

Segue, l’11, la musica romantica: Danusha Waskiewicz, prima viola dell’Orchestra Mozart (e pure ottima compositrice) col pianista Andrea Rebaudengo: un duo collaudato.

Brahms, Schumann (il quale dà voce musicale ai versi di Albert von Chamisso, in un dialogo tra innamorati che ricorda il Cantico dei Cantici), Sibelius, Fauré e Ravel.

Infine, in chiusura, il 28: Mattia Petrilli, membro “storico” del Gruppo, col suo flauto -strumento dalla voce mutevolissima, il funambolo dell’orchestra com’egli lo definisce- ci ha accompagnati in una suggestiva passeggiata tra le stanze dell’Accademia ricche di storia e magia. Bach, Telemann, Debussy, ma pure i contemporanei, quali Piazzolla con le melodie di tango, Elliot Carter (Scrivo in vento, suggestioni di musica atonale); l’inquietante Toru Takemitzu, musicista giapponese autodidatta, qui conosciuto con Voice (1971), suonato e recitato da Mattia sullo scalone scenografico di Palazzo Carrati.

Non manca il momento cinematografico.

La sera del 5 luglio, in Piazza Maggiore, nell’ambito della rassegna estiva Sotto le stelle del Cinema, è stato proiettato il film di Francesco Merini e Helmut Failoni L’Orchestra – Claudio Abbado e i Musicisti della Mozart (uscito a giugno 2014). Occasione per festeggiare i 350 anni dalla costituzione dell’Accademia Filarmonica e comunicare a quante più persone possibili presenti in città il progetto OM Risuona.

La pellicola, della quale ho già ampiamente trattato in altro commento, consacrata da premi prestigiosi e conosciuta in diverse sedi tra cui, a marzo scorso, Berlino -per far partecipe la capitale tedesca del progetto di cui sopra-, segue, com’è noto, l’ultimo anno (2012/2013) di attività della Mozart originaria. Non solo concerti, ma pure, e soprattutto, vita quotidiana dei protagonisti: pensieri, timori, speranze, gioie, barzellette, aneddoti.

Come introduzione della serata in Piazza Maggiore: uno stupendo concerto cameristico.

Il Quintetto per Archi n. 2 in si bemolle maggiore, op. 87, di Felix Mendelssohn – Bartholdy (1845), ci viene illustrato con gioia e impegno da: Behrang Rassekhi e Gisella Curtolo (viole); Francesco Senese e Verena-Maria Fitz (violini); Gabriele Geminiani (violoncello).

Musica nella Notte d’Estate. Luci e Ombre.

5 Luglio 2016 Tutti noi

 

Chi quel personaggio che salta agile qua e là tra palco e pubblico? Lo riconosco subito dal modo di muoversi: è Marco Caselli Nirmal (peccato davvero non averti incontrato “prima”, caro amico), per oltre vent’anni anni fotografo ufficiale di Claudio Abbado; testimone competente e discreto, oltre che di rara arte. La suggestiva immagine qui riprodotta è opera di Marco, che si è messo a ridere quando, quella sera, l’ho definito “creatura notturna piena di magia”. Ma è davvero così.

Nel film sono tutti interpreti alla pari, come nei desideri del Direttore. Questi infatti non ha un ruolo preminente, in linea di principio; pur aprendo e chiudendo il racconto.

Ma di lui sono pieni ogni fotogramma, ogni istante.

Provi un’emozione intensa nel rivedere il  suo bel volto dall’espressione tenera ed ironica -ma già molto pallido, sofferente, nonostante l’accenno di sorriso-, proiettato sul maxischermo abbracciato dal cielo ricco di stelle, e udirne la voce riempire l’intera Piazza. C’è pure uno strano sentimento in te, abituata a non condividere con altri quella visione;  è come se il  tuo privato più intimo (mi si perdoni il termine inesatto; intimo è già, in sé,  un superlativo) fosse, in qualche modo, violato; ma è inevitabile e necessario. Per ricordare, sempre.

Sono purtroppo, come sappiamo, le ultime immagini in cui egli appare. Vorresti dire agli spettatori, già pronti ad andarsene (che cosa saranno mai venuti a fare animati da quella furia “di togliere le tende”? Boh…): restate ancora un attimo, Vi prego. Non lo vedrete più. Possibile che non capiate che il suo è una sorta di addio? Come quel ringraziamento -nell’agosto 2013- ai membri dell’Orchestra, al termine dell’Eroica; un’Eroica particolarmente vissuta, in specie nel secondo movimento (Marcia funebre, Tauermarsch), che egli temeva essere l’ultima. I sorrisi ai musicisti sono sorrisi drammatici. Il pubblico di Lucerna lo aveva compreso, eccome.  O almeno una parte di esso, le persone abituate a seguirlo. Quello di Bologna…..mah.

 Mesi di sofferenza terribile attendono Claudio, fino all’epilogo sereno del 20 gennaio 2014, cullato dall’amore dei suoi quattro Figli.

Dopo l’ultimo concerto a Lucerna è uscito di scena, com’è ritratto nella foto sul CD che  contiene l’indimenticabile Nona Sinfonia Incompiuta di Anton Bruckner. Nessuno lo ha più incontrato, tranne un ristrettissimo numero di persone più vicine.

E la sottoscritta, ignara, lo ha incrociato una certa triste mattina. Quando, riservandomi “quello” sguardo, mi ha chiesto con commovente umiltà di essere ignorato.  Gli occhi…..Di lui ricorderò sempre gli occhi. Umiltà. Altro che l’arrogante lasciami in pace, ipotizzato da una persona tanto ottusa quanto acida alla quale ebbi la dabbenaggine di raccontare l’episodio. Lezione: tienti per te questi ricordi d’affetto e commozione, d’ora in poi. E’ meglio.

Torniamo al bel film di Failoni e Merini. Il termine di un cammino, il nostro, essi dicono, iniziato circa un decennio prima col viaggio compiuto insieme a Claudio Abbado in Venezuela, per conoscere El Sistema di Josè Antonio Abreu, con una puntata a L’Avana [2].

Ecco un saggio, a mo’ di esempio, del metodo Abreu,  tratto da L’altra voce della Musica degli stessi Autori (2006), di cui sopra alla nota [2] e pure cit. nel commento (Marzo 2015) al testo di Giuseppina MANIN,  Nel giardino della Musica.

Un periodo assai positivo, quello, per il Maestro -mi permetto di affermare, forse il più felice della sua vita, allorché, alcuni mesi all’anno, dirigeva in loco la venezuelana Orqesta Simon Bolivar; te ne accorgi dalle immagini che ti donano un uomo sereno, in forze, davvero rinato grazie alla Musica-, reduce dalla drammatica operazione chirurgica subita nel luglio 2000, impegnato con i due Autori (Failoni e Merini, appunto) nella scoperta di un mondo musicale “straordinario e sfolgorante e di un Paese molto diverso dal nostro. Tutto allora ci appariva nuovo e incorruttibile. Questo viaggio” essi concludono “ci ha infine portati ad accompagnare Abbado nella sua ultima tournée, a misurarci con una dimensione più intima e con il senso della fine e del limite. Questo film, nostro malgrado, è diventato una riflessione anche su questi temi”.

Con tali sentimenti nel cuore ti avvii verso casa.

Piazza Maggiore è ammantata dalla sinfonia n. 35, Haffner, di Wolfgang Amadeus Mozart, che chiude la storia, mentre scorrono i titoli di coda. Ma questa Musica, sempre così gioiosa, parrebbe assumere stasera un insolito retrogusto di malinconia. Si tratta però solo di un attimo: il ”lampo” di lui che dà di nuovo il via all’Orchestra ti trasmette subito un irresistibile desiderio di andare avanti.

Con immutato amore.  

ANCORA

In autunno e inverno BO-OM è ripreso, in primo luogo con due iniziative.

La prima, il 16 novembre, ha riportato a Bologna il prestigioso Quartetto Mirus; nato nel 2008 per merito di quattro amici: Federica Vignoni e Massimiliano Canneto (violini); Luca Bacelli (violoncello); Riccardo Savinelli (viola ed appassionato scrittore). Tutti e quattro pure membri dell’Orchestra Mozart.

Con loro Mariafrancesca Latella, clarinettista di vaglia, chiamata ben presto (2006) da Claudio Abbado a far parte di “Beniamino”.

Insieme hanno dato vita ad un insolito accostamento.

Da una parte: Karol Szymanowski, musicista polacco contemporaneo, nato a Tymoszowka (ora Ucraina) nel 1882 e morto a Losanna nel 1937. Uomo coltissimo, dai vasti e profondi interessi culturali, che spaziano dalla Musica, alla Letteratura, alle Arti Visive, egli è pure instancabile viaggiatore tra Europa, Nord Africa, Medio Oriente e U.S.A., ma soggetto a frequenti crisi depressive, che cerca di alleviare ricorrendo all’alcool e alle droghe. E’ influenzato da Richard Strauss, Alexander Scrjabin, Claude Debussy; ma pure dalla musica popolare dei montanari polacchi, tanto da scrivere, come il connazionale Chopin, numerose mazurke per pianoforte (la mazurka, com’è noto, è una danza popolare polacca, originaria della regione della Mazovia).

I ragazzi di Mirus ci presentano il Quartetto n. 2, op. 56: motivi folcloristici interpretati in un linguaggio drammatico di eccezionale suggestione, intrecciati ad altri dove la tradizionale musica tonale percorre strade inesplorate.

Dall’altra parte: Wolfgang Amadeus Mozart. Si unisce Mariafrancesca nel Quintetto in La maggiore per clarinetto e quartetto d’archi K 581, composto dall’autore salisburghese nel 1789, in un periodo di grave difficoltà economica, nonostante l’estate dell’anno prima fossero nate le meravigliose, celeberrime tre ultime sinfonie (39, 40 e 41). Il brano viene denominato dallo stesso Mozart Stadler Quintet perché composto per il grande clarinettista Antonio Stadler. Lo strumento è qui usato in piena libertà e si sposa molto bene con la dolcezza degli archi, in dialogo continuo. Un clima lieto, da gita campestre; la nostra Mariafrancesca non fa certo rimpiangere l’ “antico” collega austriaco.

Poi, il 7 dicembre. Behrang Rassekhi (altra viola storica dell’Orchestra Mozart e prima viola della Filarmonica Arturo Toscanini di Parma), il fiorentino di origini iraniane tanto serio e concentrato mentre suona, quanto pieno di witz allorché chiacchiera in libertà, ci dona momenti di grande arte, insieme col pianista Davide Carmarino: i due suonano spesso insieme.

I quadri fiabeschi (Märchenbilder, op. 113, composizione datata marzo 1851) di Robert Schumann raccontano quanto l’infanzia possa talvolta essere malinconica e popolata di dolorosi fantasmi. Immagino Clara (Wieck), al pianoforte trepidante ad interpretare i misteri dell’anima del suo Robert.

E Franz Schubert, sorta di Leopardi musicale, sa passare dal registro tragico a quello esuberante, addirittura gioioso, quando meno te lo aspetti (Sonata in la minore, del 1824, D 821, Arpeggione; uno strumento amato da Schubert, ora pressoché caduto in desuetudine, con una sua particolare storia). Vorresti ascoltare e riascoltare.

L’ultima composizione di Dmitrij (Mitia) Šostakovic è un addio al mondo, con suggestivi richiami alla terra russa: Sonata per viola e pianoforte, op. 147, composta poco prima della morte, nell’estate 1975.

La conclusione, il terzo movimento (In ricordo del grande Beethoven), commuove fin dalla prima nota, perché termina nel Silenzio.

Grazie, carissimi Behrang e Davide: per la Vs. passione, la perfetta armonia interpretativa, i “pizzicati” ricchi di fascino, il gioco delle mani sulla tastiera.

 

Ci si avvicina al grande passo: il concerto -da me battezzato sin da subito “Concertone”- del 6 gennaio: Orchestra Mozart al completo, diretta da un grande della Musica, Bernard Haitink.

Una precisazione. Numerose sono le istituzioni musicali che credono alla rinascita dell’Orchestra.

Il LAC –Lugano Arte e Cultura-, ad esempio, con Lugano Musica sarà la prima tappa internazionale. Il 7 gennaio vedrà un concerto dei solisti dell’Orchestra Mozart (brani di Mozart e Cajkovskij), mentre il giorno dopo, 8 gennaio,  sarà ripetuto il concerto bolognese del 6.

Un appuntamento da non mancare. Tuttavia occorre tener presente un fatto incontrovertibile, ben evidenziato da un articolo apparso giorni fa su una rivista di settore.

Si legge: “Ma l’impresa [la raccolta fondi], qualora riuscisse, non diventi un alibi per chi potrebbe darle una prospettiva. Non illudiamoci che una formazione del genere possa fare programmi a lunga scadenza senza finanziamenti adeguati”.

La Mozart ha sempre avuto problemi finanziari, anche quando era diretta da Abbado. Anzi, paradossalmente: più riscuoteva successo di pubblico e più i problemi di finanziamento crescevano, con relativi commenti acidi in proposito, in primo luogo a livello locale. Ritengo, opinione mia, che se non ci fosse stata la Fondazione CARISBO, allora presieduta da Fabio Alberto Roversi Monaco, essa, forse, non avrebbe nemmeno visto la luce. A ciascuno il suo.

E l’articolo prosegue: “Nell’attuale vita concertistica mondiale servono certezze e le offerte di residenze all’estero non mancano. Anzi, sono molto concrete e ‘vicine’ ”.

Vogliamo lasciarci sfuggire anche questo “tesoro”, specie dopo il trasferimento a Berlino del lascito culturale e musicale del Maestro? Iniziativa, operata dai suoi figli, quanto mai saggia, volta a evitare che un simile patrimonio possa finire dimenticato in un polveroso armadio. Decisione che, all’inizio, aveva suscitato polemiche; pretestuose a dire il vero: “Abbiamo fatto le cose per bene” spiega il primogenito Daniele “abbiamo messo al sicuro le oltre mille partiture lavorate in cinquant’anni da mio padre. Lui ci teneva moltissimo e noi le abbiamo debitamente catalogate e, dov’erano un po’ rovinate [!], abbiamo fatto delle scansioni in formato elettronico. Abbiamo quindi parlato con l’Accademia di S. Cecilia, con il Comune di Milano e con altre istituzioni in Italia. Ma, alla fine, chi aveva a disposizione lo spazio, il luogo adatto, i mezzi, chi ha voluto veramente questo archivio come rapporto di amore professionale e musicale, sono stati proprio i Berliner Philarmoniker. S. Cecilia e il Comune di Milano hanno avuto l’onestà di  riconoscerlo. Chi ha avuto da ridire su questa transizione era in malafede: è stato giusto così. Siamo in Europa”.

Per tornare alla nostra Mozart at work, ecco intanto una piacevole sorpresa.

L’INCONTRO CON LA CITTA’

Il 13 dicembre -presso la Biblioteca Coperta Piazza Umberto Eco all’interno della Biblioteca Sala Borsa, luogo centrale affacciato su Piazza Re Enzo- l’Orchestra Mozart ha incontrato Bologna.

O, meglio, Bologna ha incontrato l’Orchestra. Chissà se, tra il  pubblico presente in questa serata, c’è qualcuno tra coloro che ritenevano (o magari ritengono; e dunque gufano sull’attuale ritorno) la Mozart e il suo Direttore non una risorsa forte per la città, da valorizzare, bensì un problema, un gruppo elitario autoreferenziale che “costava troppo”.

Troppo….troppo…In rapporto a che cosa, di grazia? E poi l’affermazione non corrisponde al vero: certi gioielli non hanno prezzo.

Un contesto difficile, d’accordo; ma Abbado amava affrontare le sfide, con preferenza per quelle difficili.

Anzi più difficili erano, più ci si tuffava.

Fossero esse imposte dalla vita, come la lotta contro una malattia durissima che gli consumava sì il corpo, ma non gli ha affatto impedito di vivere oltre un decennio di straordinario splendore musicale e culturale; e il suo lascito è qui a dimostrarlo.

O liberamente scelte, come -un ricordo emerge spontaneo- la costituzione della Gustav Mahler Jugendorchester (GMJO), nata ufficialmente il 7 maggio 1986 a Vienna (città di confine), come prosieguo ideale dell’Orchestra madre, per così dire, quella dalla quale sono derivate tutte le altre, la European Community Youth Orchestra (ECYO o EUYO, che dir si voglia), nata nel 1978, per dar voce ai giovani talenti; giocoforza limitata ai ragazzi dell’Europa occidentale; o meglio della Comunità europea. E ti pareva che il Nostro si fermasse lì, rinunciando a una ricchezza costituita da coloro che avevano frequentato le accademie musicali di Austria, Ungheria, Polonia, Russia, ecc. Ecco allora la GMJO, che debutta poco dopo la sua nascita, ma è preceduta da intensa preparazione, in grado di riunire giovani musicisti dell’Ovest e dell’Est in un’epoca ancora di piena “Guerra Fredda”; con rischio di controlli, divieti burocratici, assurde proibizioni, sospetti delle autorità comuniste che i puledri fuggano dal recinto.

Ma l’uomo è deciso e tira dritto, com’è suo costume. Un messaggio musicale, culturale, umano, politico, potentissimo. E non a caso, per identificare la nuova compagine,  vien scelta la figura emblematica di Gustav Mahler (tanto amato da Abbado, fin dagli anni giovanili), centrale nella nostra cultura europea perché attivo a Vienna, Budapest, Praga, Lubiana; oltre che di origine ebraica. Quale impronta musicale (il prezioso “Far musica insieme”) e umana (“…era sempre insieme a noi, si è accomodato con noi stringendosi in piccoli aerei, ha mangiato con noi, comportandosi sempre in modo molto naturale e amichevole”, parole del violinista ceco Milan Setena) abbia lasciato in loro, giovani -e la considerazione vale ovviamente per la Mozart-,  lo si può comprendere, in primo luogo, dalle esecuzioni, ma pure dalle testimonianze raccolte nel volume curato per il Saggiatore da Gaston Fournier Facio, Claudio Abbado. Ascoltare il Silenzio, 2015 (che parte da una precedente opera del 2003, a cura di Ulrich Eckhardt, Claudio Abbado, sempre edita dal Saggiatore), pp. 334: capitolo dedicato alla GMJO da Hans Landesmann (2003).

Altra sfida in anni più vicini: la coltivazione della nuova “Pianta”, Beniamino, all’interno di un ambiente (quello petroniano) assai ingrato e chiuso, attraversato da timori più o meno inconfessabili.

 E di quanto egli sia oggi ben presente te ne accorgi colloquiando con coloro, specie giovani, che hanno suonato con lui; vivendo in un rapporto di reciproco scambio d’esperienze, con “Claudio”, con la Musica e il Pubblico.

 L’appuntamento del 13 dicembre costituisce una sorta di termine della gestazione iniziata, guarda caso, esattamente nove mesi prima col concerto cameristico presso il MAST, la sera del 13 marzo. Nell’introduzione all’incontro il Presidente dell’Accademia Filarmonica, Loris Azzaroni, ha illustrato al pubblico il progetto OM Risuona, che ha coinvolto oltre 1000 sostenitori, ma che abbisogna di un aiuto decisivo per guardare con certo relativo ottimismo al futuro.

Poi l’attenzione è andata al prossimo, rilevantissimo evento del 6 gennaio.

Ecco quindi due violinisti di vaglia, Francesco Senese e Giacomo Tesini, accompagnati da un’altra coppia di componenti del “Gruppo magico”, come il violoncellista Gabriele Geminiani e la violista Sara Marzadori. Invitata di prestigio una cara collega e amica, la pianista Ingrid Fliter, nome nordico, ma provenienza argentina.

Insomma, una giovane Martha; Argerich e chi altro?

Francesco è, senza togliere nulla agli altri, una sorta di portavoce: per la capacità di esprimere con parole semplici, senza enfasi alcuna, ma colme di calore e saggezza, quanto hanno pesato nella loro vita “quei” dieci anni dell’Orchestra Mozart.

Ma, aggiunge, questa lunga fase di silenzio non è passata invano.

Nessuno di loro si è mai rassegnato a ritenere conclusa quell’esperienza così formativa sotto ogni aspetto; nessuno ha pensato di limitarsi a metterla nel proprio curriculum,  archiviandola per sempre, pronto ad intraprendere altre strade.

“La lunga pausa è stata un momento di seria riflessione, perché ciò che abbiamo vissuto aveva necessità, in qualche modo, di sedimentarsi e maturare dentro di noi e fra di noi. Infatti, in tutto questo tempo, siamo sempre rimasti in contatto ed ora siamo pronti a ricominciare, pieni dell’entusiasmo che Claudio Abbado ci ha trasmesso col suo esempio ed insegnamento. Insieme a lui abbiamo compreso quanto la Musica possa fare per l’animo umano. Essa è un atto d’amore”.

E aggiunge, in modo significativo: “Non vediamo l’ora di ricominciare; con nuovo slancio, in una ricerca continua. Questo inizio è un omaggio a Bologna, alla quale ci sentiamo molto legati”.

Ti colpisce questo intervento, pronunciato da un musicista il quale, pur non bolognese, si sente tanto legato alla nostra città.

Capito? Chi ha orecchie per intendere….Di certo Bologna non ha il calore avvolgente, la partecipazione e, men che mai, la gratitudine di altri centri, quali -per restare anche solo nella Regione-, Reggio Emilia e, prima ancora, Ferrara; tutti luoghi che hanno davvero amato Abbado e coloro che suonavano con lui.

Dispiace, a dirla tutta, che stasera non vi sia alcun rappresentante dell’Amministrazione comunale. Se c’è -ma non l’ho visto- è qua a titolo privato, non istituzionale: in quest’ultimo caso prenderebbe la parola, se non altro per un saluto, come è d’uso fare in tali circostanze. Non il Sindaco, non l’Assessore competente. Tutti impegnati altrove? Strano per una città che si fregia di essere di essere “Città creativa della Musica”, titolo attribuitole dall’UNESCO in forza della sua consolidata tradizione musicale, con un Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, ben conosciuto e visitato. Criticità, chiamiamole così, imperdonabili. Chi ha la pazienza di leggermi può sbizzarrirsi a dare la propria interpretazione.

Al di là di ciò, uno sforzo va fatto da parte delle “persone di buona volontà:  i ragazzi sono coraggiosi, ricchi di talento. E debbono essere sostenuti con decisione.

“Vogliamo riportare una voce che manca: il suono di Claudio”.

Questo è il loro manifesto programmatico.

Giacomo si sofferma sulla Musica di Schumann, incontrata anche negli altri appuntamenti. L’autore tedesco sarà protagonista sia del presente concerto cameristico, sia, insieme a Beethoven, del grande evento del 6 gennaio.

Le due opere.

Il 13 dicembre, stasera: il Quintetto in mi bemolle maggiore per pianoforte e archi, op. 44.

Il 6 gennaio: Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore per orchestra “Renana”, op. 97.

Tesini spiega che entrambe, pur così diverse tra loro, furono scritte “per noi, musicisti, e per il pubblico”; concetto peraltro nient’affatto scontato, come sembrerebbe a prima vista.

La moglie di Schumann, Clara Wieck, valente pianista, all’epoca più celebre di lui, consigliò Robert di staccarsi dal tipo di composizioni che allora (anni Trenta dell’800) egli prediligeva: una musica, detta in sintesi, per iniziati -pur bellissima, come, ad es., i brani per pianoforte detti Papillons (1839/41)-, che pochi riuscivano a comprendere. Egli seguì il consiglio e nacquero allora, preceduti da attento studio dei Grandi che lo avevano preceduto, Beethoven in testa, i quartetti e i quintetti (composizioni che in precedenza egli aveva appena abbozzato), quali il presente, che verrà suonato stasera; composto a Lipsia tra il settembre e l’ottobre 1842. L’opera ebbe la sua prima esecuzione privata nel dicembre dello stesso anno e quella pubblica poco dopo, nella Gewandhaus Saal della città tedesca.

Il pianoforte gioca un ruolo di protagonista poiché costituisce il punto di incontro e di raccordo tra le diverse parti in un raffinato gioco dialogante, in linea con lo stile della musica da camera romantica.

La Sinfonia n. 3 in mi bemolle maggiore per orchestra, op. 97 (in 5 movimenti) fu composta tra novembre e dicembre 1850 a Düsseldorf, sulle rive del Reno, il fiume per antonomasia dell’anima tedesca.

Schumann, giunto con la carica di Direttore dei concerti, fu accolto con cordialità e calore dalla élite culturale cittadina. In clima favorevole e fiducioso, ancora -all’apparenza- lontano dal prossimo tempo difficile che ne vedrà il definitivo crollo mentale, nacque questa sinfonia, nota subito come la Renana. La prima esecuzione, con l’opera ancora manoscritta, avvenne nel concerto del 6 febbraio 1851 ed ebbe un’accoglienza trionfale, come pure a Colonia e a Rotterdam durante la tournée olandese, intrapresa con Clara nel 1853.

Schumann

La Renana ha un particolare significato per i nostri musicisti. E per chi li sostiene.

Essa infatti, come sappiamo, avrebbe dovuto essere eseguita dall’Orchestra al completo sotto la bacchetta di Claudio Abbado, nel concerto del 2 dicembre 2013.

Tutto era pronto, nonostante si fosse ben consapevoli del suo gravissimo stato di salute.

Claudio ci teneva moltissimo, aveva sempre la partitura vicino a sé per studiarla. E l’avrà accanto fino agli ultimi giorni di vita. Perché? Perché sperava di poterla registrare con l’amata Orchestra.

Non fatico ad immaginare il dramma che si sarà svolto tra le pareti di casa; lassù, nell’appartamento posto in cima alla scenografica scala a chiocciola, in Piazza S. Stefano.

Egli che, pur allo stremo, insisteva disperatamente per non mancare al concerto; e i medici, addolorati e impotenti perché non c’era al mondo alcuna medicina miracolosa in grado di riportarlo sul podio, nemmeno per una sola sera.

Ho conosciuto i medici, nel prosieguo del tempo: due persone sensibili, amanti della Musica, sinceri amici del loro paziente che hanno assistito fino alla fine. Non siamo in particolare confidenza, per così dire, ma li sento vicini, al di là dell’effettiva frequentazione.

Ovviamente mai oserei porre loro domande su un tema tanto delicato, come gli ultimi tempi nella vita di Claudio. Le sue sofferenze, il suo coraggio.

E la rinuncia forzata, quel 2 dicembre: un dolore immenso. Ne ho già scritto con affetto e rimpianto. Come pure sappiamo che fu proprio Haitink (il quale conosceva bene l’Orchestra per averla diretta in precedenza) a correre in soccorso del collega e prenderne il  posto.

Dunque l’evento del 6 gennaio racchiuderà i dieci anni di vita della Mozart.

E inizierà, ce lo auguriamo con tutto il cuore, un capitolo nuovo.

Come nel debutto trionfale del 4 novembre 2004, il 6 gennaio esordio con l’Overture da Egmont op. 84 di Ludwig van Beethoven. Il programma del concerto dell’Epifania è stato scelto dai musicisti insieme col Maestro Haitink.

Egmont fu il primo brano nella nostra prima prova, come Orchestra Mozart con Abbado, nell’ottobre di quell’anno. Il primo ‘fa’ rimarrà per sempre dentro di noi” ricorda Giacomo con immutata emozione. Periodo “incantato”, come sappiamo. Il Maestro si trovava in quell’età della vita che oggi è detta “tarda maturità”, settant’anni, ma lo spirito era quello di un ragazzo. E tale spirito, insieme alla serissima preparazione, l’ha trasmesso ai suoi musicisti; uno spirito che è già parte di te, spettatore attento, anche prima che essi inizino a suonare.

A Egmont seguirà il Concerto per violino in Re maggiore op. 61, pure di Beethoven, protagonista Isabelle Faust. E quindi la Renana.

Dopo la presentazione, per il quintetto di Francesco, Giacomo & Friends, è stato il turno della Musica, suonata e vissuta. Tutti sono meravigliosi e ben coordinati, un gruppo da camera come piaceva al Direttore, perché la musica da camera è il luogo di elezione per il reciproco ascolto.

Claudio Abbado insisteva molto affinché ciascun musicista in primo luogo ascoltasse l’altro, il vicino: questo per lui era essenziale.

Ciò perché spesso in Orchestra accade che sia proprio l’altro ad indicarti la strada, a proporti come dev’essere suonata la tua parte. Ne ho avuto esperienza diretta nel maggio scorso, a Ferrara, quando Daniele Gatti ha diretto la Mahler Chamber Orchestra nell’Ottava e nella Nona di Beethoven: ho più volte notato gli sguardi d’intesa tra due contrabbassisti. Un esempio a caso; ma non è certo l’unico. Esatti nell’interpretazione e pieni di pathos, i giovani di stasera, mentre suonano guardandosi negli occhi e spesso sorridendosi, in prefetto stile “Orchestra Mozart”.

Abbracci alla fine, come tra veri amici e arrivederci a tra meno di un mese.  

CI SIAMO

E’ il 4 gennaio. Mauro ed io ci troviamo a Gerusalemme per un viaggio in Israele con un simpatico gruppo di amici. Mentre questi ultimi ritorneranno in Italia domenica 8 gennaio, per noi due è il penultimo giorno qui: domani pomeriggio, alle 17:00, l’aereo che ci riporterà in Patria. Il “Concertone” di venerdì 6 è alle porte e guai perderlo: l’occasione merita anche il sacrificio di tre giorni in questo Paese tanto amato.

Squilla il cellulare mentre consumiamo un veloce spuntino in un caffè del centro città. Mai telefonata è stata più gradita.

Marco Caselli Nirmal, l’amico fotografo che segue con grande competenza e discrezione la rinascita di “Beniamino” -le foto della Mozart qui riprodotte sono sue- mi segnala che la mattina del 6, alle 11:00, presso il Teatro Manzoni di Bologna, si terrà la prova generale del Concerto, aperta al pubblico. T’interessa?

Ma che domande…..

“Venite alle prove, guardate, ascoltate”. L’invito di Claudio Abbado che, “allora”, non colsi, oggi non me lo faccio mancare.

6 gennaio, ore 11:15; sono un po’ in ritardo.

Spendo il nome di Marco all’ingresso e le ragazze dell’Accademia Filarmonica -le quali ormai mi conoscono- mi fanno passare senza problemi.

Entro in sala con profonda emozione. Sono  lì sul palco, in abbigliamento sportivo, da lavoro, per così dire. Il Direttore è di spalle.

Mi siedo e comincio a fare una sorta di appello. Li conto: “ci sono tutti”, o quasi; non è facile far quadrare i diversi impegni di ciascuno, in Italia e all’estero. Ma, ne sono sicura, hanno fatto il possibile e l’impossibile per esserci. Vedo pure diverse facce nuove.

Bernard Haitink, in maglione scuro, dice poche parole, ma i gesti sono ben chiari.

Egmont e, poco dopo, giunge Isabelle (Faust), con il suo violino “Bella Addormentata”, accolta da un caloroso applauso. Lieve, delicata, concentratissima.

Le prove hanno un fascino tutto loro: vedere la Musica che viene plasmata, come una sorta di work in progress fa l’effetto a te, semplice appassionato spettatore, non dotato di particolari competenze tecniche, di partecipare, mi si passi l’azzardo, alla sua creazione.

Orchestra Mozart Bernard Haitink, direttore Isabelle Faust, violino

 

OM  Al lavoro1

Breve intervallo.

Senza indugi salgo sul palco e li abbraccio uno ad uno, questi ragazzi, che hanno per lo più l’età dei miei figli. Anzi ce n’è uno, il più giovane della compagnia, il violinista Anselmo Simini, addirittura poco più che ventenne. Per temperamento, non amo affatto slanciarmi in baci ed effusioni varie, come sembra essere diventata oggi un’abitudine tra le persone, perfino estranee; ma con loro è tutto diverso. Sembra che ci si conosca da sempre: ti vengono incontro e vai verso di loro.

Nicola, Federica, Lucas, Danusha, Raphael, Verena, Riccardo, Mariafrancesca, Behrang, Giacomo, Gisella, Gabriele, Luca, Manuel, Josè, Mattia, Francesco -il quale scherza appena mi vede e ricorda “L’abbiamo fatta tornare dal viaggio prima del tempo, eh?” “Ma porca miseria: non ti riesce proprio di darmi del tu?”. Battute che sciolgono la tensione residua e rinfrancano-. Tutti gli altri.

Stringo la mano a qualcuno che da tempo desidero conoscere: si tratta del contrabbassista Edicson Ruiz. Venezuelano, classe 1985, proprio come il mio Marco, Edicson è l’esempio più rilevante di El Sistema (Orchestrale Giovanile e Infantile Venezuelano), creato nel 1975 da José Antonio Abreu, importante educatore e direttore d’orchestra, che ha insegnato la musica a 300.000 -e passa- ragazzi cresciuti nei quartieri poveri e malfamati delle città del Paese, sottraendoli alla criminalità, alla droga, alla prostituzione.

In un luogo dove la delinquenza raggiunge livelli elevatissimi, sono sorte negli anni, grazie all’impegno di Abreu: 135 orchestre giovanili, 156 orchestre infantili, 11 orchestre giovanili / infantili, 83 orchestre prescolari e 30 orchestre professionali. Il metodo Abreu è stato esportato dal Venezuela in diverse aree del mondo e, nel 2010, anche in Italia, proprio grazie, com’è noto, a Claudio Abbado.

Edicson è cresciuto nel barrio La Candelaria della sua città natale, Caracas. Come tanti coetanei ha trascorso gran parte della vita da ragazzino per strada, ma alla fine ce l’ha fatta: salvato dalla Musica.

A soli 18 anni è entrato nelle file dei Berliner Philarmoniker. Il musicista più giovane ammesso a far parte della prestigiosa compagine dalla sua formazione (1882).

Per questo ragazzo, volto pulito e aria determinata, per il suo eccezionale talento è stata fatta un’eccezione alle rigide regole vigenti: infatti l’età prescritta per l’ingresso è compresa tra i trenta e i sessant’anni.

Poi c’è Isabelle, la grande solista del violino: una giovane donna semplice di modi, con un dolce sorriso. Ricorda bene il nostro incontro bolognese di un anno fa allorché, cercando con fatica di tenere a freno la commozione, la ringraziai, non solo per il bellissimo concerto che ci aveva appena regalato nella Biblioteca della Basilica di S. Domenico, ma anche per le affettuose parole pronunciate, durante un’intervista, all’indirizzo di Claudio Abbado, al momento della morte di lui.

Ecco Haitink. E’ seduto in platea e sta parlando con un giornalista. Mi avvicino e, al momento opportuno, faccio per salutarlo; visto che, nelle vicinanze, non incrocia nessuno di quei tremendi assistenti personali, il cui unico scopo nella vita sembra essere di allontanare il pubblico, specialmente quello davvero interessato e disciplinato di modi, dall’artista.

Gli rivolgo brevi frasi nel mio inglese elementare. Sorride con lo sguardo azzurro cielo e non dice nulla. E’ coinvolto in modo totale nelle musiche che stanno interpretando: il Direttore porta una grave responsabilità, è il trait d’union tra il Compositore e il Pubblico attraverso l’Orchestra. Non occorre sciupare parole. Basta la sua consapevolezza della tua gratitudine.

“…Riprendo da dove ho lasciato” dichiara in un’intervista.  

La prova continua, con la Terza Sinfonia di Schumann. Difficile ed appassionante. Stretta al cuore, quando ripenso al rapporto tra l’Orchestra e questa composizione.

Il saluto e l’arrivederci a poche ore dopo.

Nel pomeriggio, una visita alla Basilica di S. Stefano, Chiesa dei Santi Vitale e Agricola; la più antica del complesso, poiché risale al V secolo.

Un appuntamento costante per me.

L’intero spazio, scandito da colonne diverse delle quali d’epoca romana, è valorizzato in questi giorni da un grande Presepe in terracotta, opera di Lina Osti, sensibile scultrice locale.

La composizione è collocata su più piani e contiene alcuni cari monumenti bolognesi, come il Santuario di S. Luca e relativo portico, la Cattedrale di S. Pietro, la Basilica di S. Petronio, quella di S. Domenico, il complesso stefaniano delle Sette Chiese, le due Torri.

Al centro, la Sacra Famiglia, i Pastori, gli animali e i Magi.

Oggi è il giorno dell’Epifania e viene spontaneo associare ai saggi venuti dall’Oriente con i loro regali per il Bambino, l’Orchestra Mozart ricostituita, vero dono per la città e non solo.

Faccio, a mia volta, un’altra riflessione, in questo sito così emblematico, perché carico di Spiritualità, Affetto, Dolore.

I Magi erano uomini sempre in ricerca, umili e grandi, i quali non si accontentavano di piccole scoperte, che approfondivano, si mettevano in discussione, ascoltavano e non erano spaventati dal Silenzio. Anzi, meditavano nel silenzio delle notti fatate d’Oriente.

Facile immaginare a CHI li sto accostando…. incoraggiata dall’incanto del tempo e del luogo. Il luogo nel quale, quando non c’era nessuno, l’Amico veniva a meditare  nel Silenzio tanto amato e che ha accolto, come  seno materno, il suo “Passaggio” verso  l’Infinito cui tutti aneliamo.

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Il concerto inizia con un lieve ritardo sull’orario previsto: ciò per consentire al folto pubblico intervenuto di entrare e accomodarsi. Il giorno dopo leggerò che eravamo in 1200 persone. Si rivelano quindi infondati i miei timori che il teatro non si riempisse: vuoi a causa di un certo accidioso disfattismo in merito alla rinascita di questa preziosa realtà; vuoi per la data del concerto: il 6 gennaio tanti sono ancora in ferie!

Chi ama la Musica è accorso. E, piacevole sorpresa, manca -o è fortemente limitato- il tradizionale clima locale salottiero ed irritante (almeno secondo la mia sensibilità) che caratterizza gli avvenimenti di rilievo.

Ahimé, gl’immarcescibili wip -abilissimi ad impadronirsi di queste occasioni- non mancano; ma pare si siano dati tutti una calmata, stasera: niente gridolini, sbaciucchiamenti di qua e di là, abbracci ostentati e simili facezie di circostanza.

Il pensiero non è, una volta tanto, rivolto all’abituale mettersi in mostra, bensì al rilevante evento che si svolgerà tra poco. Anche l’eleganza nell’abbigliamento è sobria, forse perché non ci troviamo nel primo teatro della città e quindi la tenuta da esibizione, in stile “Prima-al-Comunale” è rimasta, grazie al cielo, nell’armadio.

Forse Bologna, perfino quella che conta -udite udite-, ha compiuto uno sforzo e si è finalmente accorta del tesoro che ha in mano? Me lo auguro.

Diversi giovani in maglione, sorridenti, che credono nella Mozart e l’hanno sostenuta fin dall’inizio.

Incrocio alcune persone vicine contente di esserci. Brevi commenti: la grande soddisfazione per la ripresa e la felicità di essere qui non sono offuscate dai pensieri -soprattutto d’ordine finanziario- per il futuro.

Ci sediamo. Alcuni minuti di suspence.

Entrano. L’Orchestra Mozart, di nuovo costituita, di nuovo qui -58 componenti 58, età media 36 anni- è avvolta in un applauso corale che, non mi vergogno a dirlo, mi commuove nel profondo.

Non sembrano essere trascorsi tre anni. Appena ieri.

Vengono accordati gli strumenti e…..dopo un altro studiato indugio di diversi secondi…

Bernard Haitink, sorridente.

Un Grazie infinito, caro Maestro, per la Sua generosità -e non è la prima volta!-, per aver capito quanto l’impegno, il coraggio e l’amore di questi artisti debbano essere incoraggiati e sostenuti.

“Una musicalità, una gentilezza, un’umiltà…di altri tempi” afferma convinto al suo indirizzo uno di loro, Gabriele Geminiani, primo violoncello.  

OM Grazie Maestro

 

E, aggiungo, un autentico rispetto per questa compagine che torna a vivere davanti al suo pubblico. Lei è la figura ideale per traghettare l’Orchestra Mozart verso nuovi orizzonti perché non corre  rischio di  paragone con Colui che L’ha preceduta; diversamente da ciò che si sarebbe inevitabilmente verificato qualora sul podio ci fosse stato un giovane. Ora, a tre anni di distanza. Stroncature di maniera, chiacchiere sterili, retro pensieri vari, confronti ingenerosi e interminabili rimpianti fini a se stessi.

Il giovane arriverà col tempo, quando, speriamo con tutto il cuore, la nave sarà in mare aperto.

L’attacco dato da Haitink all’Overture in Fa minore da Egmont, op. 84 di Ludwig van Beethoven (Sostenuto, ma non troppo- Allegro), è pura emozione.

Il violino di spalla, Konzertmeister, Raphael Christ, trascina subito tutti come una forza della natura. Ancora più prorompente, se possibile, di quella prima volta: oggi la voce della Mozart dev’essere più vigorosa che mai.

L’opera, tratta da una tragedia di Goethe del 1787 e composta tra il 1809 e il 1810 da Beethoven (suo grande ammiratore), è un inno alla libertà.

E’ costituita da una Overture e da nove pezzi indipendenti per soprano e orchestra.

Protagonista è il conte Lamoral di Egmont, che sacrificò la propria vita per manifestare il suo amore alla Patria olandese in occasione della repressione spagnola attuata dal Duca d’Alba nel 1568. L’eroismo ed il sacrificio del conte sono messi bene in rilievo dalla musica: Egmont è l’eroe che rifiuta di fuggire davanti alla minaccia, che non rinuncia agl’ideali; che interpreta la propria morte come una vittoria sull’oppressione, lanciando un ultimo appello alla lotta per l’indipendenza (fiamminga contro il governo spagnolo): “Proteggete i vostri beni! E, per salvare quello che vi è più caro, cadete con gioia, come ve ne do l’esempio!”

Un brano dal potente valore civile; non a caso molto amato da Claudio Abbado, che lo ha diretto tante volte, a parte il debutto del 4 novembre 2004. Una per tutte, allorché, con i suoi Berliner, si recò, prima orchestra a varcare l’oceano, a New York, poche settimane dopo l’11 settembre 2001, per dirigere un concerto (di cui era parte un altro faro libertario beethoveniano, cioè l’Eroica) in memoria dei pompieri caduti negli attentati.

Solenne, in crescendo, con archi e fiati che rispondono l’uno all’altro; isole serene di clarinetto, flauto e oboe…..

Fortissimo di quattro corni e archi in contemplazione.

Poi, di colpo, un pianissimo che, ogni volta, ti spiazza.

Un attimo di quasi silenzio prima dell’accelerazione e del trionfo finale. Inno all’eroe.

Ovazione.

Al centro del nostro concerto è un evento in stretta coerenza con l’insegnamento di Abbado: espressione di un’Orchestra che, pure nel repertorio sinfonico, segue, per così dire, un percorso cameristico.

Concerto per violino in Re maggiore op. 61, pure di Beethoven, in tre movimenti (Allegro ma non troppo; Larghetto; Rondò-Allegro), solista Isabelle Faust.

Fu composto nel 1806, ma inizialmente, per una serie di circostanze, che non esito a definire paradossali, non ebbe la fortuna sperata. Fu meritoriamente scoperto nel 1844, dopo la morte dell’Autore (avvenuta nel 1827), da Felix Mendelssohn e, da allora, esso figura nel repertorio di tutti i maggiori violinisti del mondo.

Isabelle è totalmente compresa nella Musica, respira con lei, la vivifica, con sicura naturalezza, sia nei momenti più fluidi, sia in certi passaggi “virtuosistici”.

Il tema principale del primo movimento, articolato in tutte le sfumature, dal tenero al drammatico, all’enfatico/combattivo, ti entra nel cuore e non ti lascia. Prima lei, poi l’Orchestra, poi ancora lei, in un rincorrersi da batticuore. Il suo suono è forte, deciso, ma elegante e si sposa alla perfezione con l’Orchestra.

Sfumature dal tenero al drammatico, al pugnace, al giocoso che sembra richiamare danze popolari. Senti la grande anima di Beethoven, ariosa pure nei passaggi più difficili, aleggiare su tutto.

Nel Larghetto il tono è più solenne, nell’apertura; il violino risponde meditativo……Sottolineature di “pizzicati”.

Lentamente si scivola, attraverso un breve piano, verso l’ultimo movimento (Rondò Allegro), che è una sorta di balletto; ti è difficile star ferma al tuo posto. Coinvolgimento generale e gioia di tutti. Non capita spesso di assistere ad un concerto così bello.

E’ un momento luminoso: Isabelle è al centro. Abbraccia il Maestro, alcuni musicisti più vicini, a cominciare da Raphael; poi, idealmente, gli altri e il pubblico.

OM Isabelle ringrazia

 

La grande solista ci dedica il bis: Amusement pour le violon seul di Louis Gabriel Guillemain (1705/1770): una delizia, autentico divertimento.

Breve intervallo e volti soddisfatti. Incontriamo, Mauro ed io, un noto avvocato bolognese, appassionato di Musica da sempre. E’ con un amico;  insieme osservano: “La sua presenza è quanto mai palpabile”. Inutile precisare a chi questi signori si riferiscano.

Marina Orlandi Biagi mi sorride con lo sguardo dolce e rassicurante, vero balsamo per l’anima. ” Sei contenta?” mi chiede. Sì, cara Marina; e sono felice pure che Tu sia qui, oggi. Forse ricorderai che, in occasione dell’esibizione del coro Papageno, nel giugno scorso al Carcere della Dozza, vera perla dell’ Associazione Mozart 14, Ti dissi chiaro e tondo che ero disposta a rinunciare al viaggio in Israele di dicembre 2016 /gennaio 2017 pur di non mancare all’appuntamento dell’Epifania.  Tu mi guardasti stupita e se il concerto, per un qualche motivo, viene rimandato? E io:  corro il rischio! La faccenda si risolse col nostro anticipato ritorno, premiato dall’evento che sta realizzandosi.

Lietissima di incrociare Lucas (Macìas Navarro), caro amico oboista, uno dei migliori al mondo; scambiamo due chiacchiere.

Mi complimento vivamente e gli sussurro: Siamo tutti con Voi!

Si riprende.

La seconda parte del concerto è dedicata alla Terza Sinfonia di Schumann, la Renana, in Mi bemolle maggiore, op. 97, che ho introdotto in precedenza.

Legata a un ricordo doloroso; ma risorta stasera. E’ un omaggio particolarmente toccante a Claudio Abbado il quale, come detto, avrebbe voluto registrare con la Mozart, per Deutsche Grammophon, tutte le sinfonie del grande Autore tedesco ma la morte glielo impedì. Abbiamo solo il primo CD, rimasto purtroppo unico, che contiene la Sinfonia n. 2, C magg. op. 61 (molto amata dal Nostro), e due Overtures, Manfred op. 115 e Genoveva op. 81 [3].

Riassumo in breve la struttura della Sinfonia n. 3, consapevole di essere sacrilega nella mia sinteticità ed incompetenza; ma i sentimenti vanno oltre le banali parole.

Percepisci all’inizio (Lebhaft, Vivace del primo movimento) il grande slancio quasi un omaggio a Beethoven, ma il tono è solo all’apparenza trionfante; in realtà molto drammatico e tormentato.

Lo Scherzo con istanti di serenità; e i momenti intimi del terzo movimento (Nicht schnell).

Il quarto (Feierlich, solenne) possiede un’austerità da cattedrale gotica; è infatti ispirato dalla consacrazione dell’arcivescovo von Geissel a cardinale, avvenuta nella cattedrale di Colonia il 30 settembre 1850.

Alla fine, una scintillante improvvisata.

Da spettatrice resto ammaliata per la capacità dell’Orchestra di coniugare grande precisione esecutiva e intensa passionalità.

Al di là delle qualità artistiche che chiunque abbia un minimo di sensibilità sa cogliere, ciò che ti colpisce in tutti loro è, non mi stanco di rilevarlo, l’amicizia, la solidarietà che li lega.

Rifletto tra me e me. Amore per lo studio rigoroso, coraggio, passione, amicizia, senso della comunità, capacità di ascolto, imparare a dialogare con gli altri: tutto ciò che è alla base di una società libera e aperta è stato trasmesso, lungo l’arco di circa dieci anni, a loro -ben ricettivi – da un certo Signore il quale sapeva sempre cogliere il lato giocoso dell’esistenza, ma di poche parole, riservatissimo, quasi timido: te ne accorgi dal suo modo di sorridere. Lathe biosas. Cioè, alla lettera, Vivi nascosto; ma, nel senso di riflettere, di essere te stesso per apprezzare i valori autentici per cui valga la pena di vivere.

Fosse stato il direttore d’orchestra come uno (sbagliando) immagina, cioè vulcanico, spesso collerico, con smanie protagonistiche, sempre sul proscenio, avrebbe sortito, ne sono sicura, l’effetto opposto.

L’insegnamento sarebbe rimasto in superficie. Ora, quel certo Signore, può essere orgoglioso dei suoi “figli”  che hanno saputo serbare, ciascuno dentro di sé ed insieme, ciò che egli aveva donato loro e che lo hanno -di nuovo- trasmesso forte, intatto al pubblico.

Dopo tre anni e passa. Credo sia un caso unico al mondo.

Un modo degno per onorare la sua memoria, a tre anni dal quel 20 gennaio 2014.

L’incontro, sia pure, diciamo così, ex post, con l’Orchestra Mozart mi ha chiarito in pieno il significato di termini, all’apparenza astratti, quali “Maestro” e “Scuola”. Termine “Maestro” che, in tale accezione, sarebbe piaciuto, ne son certa, pure a lui che di solito non amava tale appellativo.

E l’appuntamento svizzero, lo anticipo, sarà anch’esso un trionfo: “Abbiamo le prime parti delle migliori orchestre del mondo….La dolcezza del suono, la ricchezza dell’articolazione…Sono molto impressionato”. Così il Direttore Artistico di Lugano Musica, Etienne Reymond.

Il movimento finale della Renana è Vivace, come il primo, intenso. Una nuvola d’oro. Oboi, ottoni e tutti gli strumenti in una luminosa festa. Gioia e  Serenità. Come la Pace che, alla fine, dopo tanto tormento, Claudio ha ritrovato.

La Renana sarà sempre, per me, la colonna sonora dei suoi ultimi giorni.

Eccone una versione diretta, nel 1960 a New York, da Leonard Bernstein di cui Claudio Abbado giovanissimo fu assistente  e che intuì la vocazione di quel ragazzetto milanese a casa del quale, come sappiamo, fu ospite un giorno lontano.

 

 

 

Di nuovo al Manzoni.

Il pubblico è un tutt’uno con questo Gruppo davvero meraviglioso.

Applausi finali ritmati e omaggio al grande Maestro olandese, il quale, prima di congedarsi, allarga lievemente le braccia, quasi a dire con tenerezza: Basta così!

Sul palco tutti si abbracciano con slancio [4].

OM Abbracci

 

OM Abbracci 1

 

E’ il loro arrivederci in questa indimenticabile notte di inizio Anno.  

ALLELUIA!!!!    

P.S. Assolutamente da non perdere il servizio di Cinzia Fiorato. C’è tutta la concezione artistica musicale e di vita dell’Orchestra Mozart. Verso la conclusione, tenerissime, nella loro familiarità, le immagini di Claudio Abbado con i suoi giovani musicisti.

 

[1] Per quanto riguarda l’Orchestra Mozart e la sua storia, nonché il progetto / programma Orchestra Mozart Risuona, v. il mio commento su questo sito, marzo 2016.

[2] Da questa fantastica esperienza gli Autori hanno tratto il film L’altra voce della Musica – In viaggio con Claudio Abbado tra Caracas e l’Avana (2006) e il libretto omonimo edito da il Saggiatore -Collana Terre. Idee-

 

[3] Insieme con la Mozart Claudio Abbado avrebbe dovuto cercarsi, il 9 giugno 2014, a Dresda per il Dresdner Musikfestspiele e dirigere, tra l’altro, la Terza Sinfonia di Schumann. In quello stesso giorno e luogo: concerto commemorativo diretto da Daniele Gatti, con la Mahler Chamber Orchestra, dove la Renana ha avuto il posto d’onore.

[4] Per vedere le bellissime foto dei concerti a Bologna e Lugano si può consultare il sito di OM Risuona

http://www.orchestramozart.com/it/news/i-concerti-di-bologna-e-lugano-le-immagini.html