“Confesso che, ancora oggi, alla televisione preferisco la radio. La radio crea un’intimità tra chi legge -o parla- e chi ascolta. Questo rapporto davvero unico mi ricorda quando, da ragazzino, tenevo un programma radiofonico di notte: mi immaginavo un unico ascoltatore, un lui -o una lei- che interloquiva con me. Noi due soli, nel buio…..un po’ come i tre protagonisti ‘del Cerbiatto’, all’inizio. Orah, Avram e Ilan, ricoverati in un ospedale di Gerusalemme durante la Guerra del 1967, sono protetti da quella bolla di isolamento e di ‘nero pece’ (in cui tutto il Paese sprofondava nelle ore notturne per timore delle incursioni degli aerei nemici) e vanno pian piano tessendo la trama dell’amicizia che li legherà tutta la vita.
Avram ha una vera e propria passione per i radiodrammi…ce ne rendiamo conto in diversi momenti. Anzi egli, da adolescente, era convinto che di lì a poco la radio avrebbe soppiantato la televisione. La sua profezia non si è avverata”.
Ha fatto un regalo bellissimo, David Grossman, ai suoi lettori. In Italia sia per la presentazione della sua ultima opera (chiamata da lui per brevità “il Cerbiatto”) che per l’uscita del film Qualcuno con cui correre, tratto dal romanzo omonimo scritto nel 2001, ha incontrato un vasto pubblico accorso al Teatro Arena del Sole di Bologna. Seduto sul palco, con ai lati due angeli custodi, nelle persone di Marina Astrologo, l’impagabile traduttrice / ricreatrice, e della giornalista Giovanna Zucconi, ci ha incantati con il racconto della sua esperienza infantile di giornalista e conduttore radiofonico.
Nato in una famiglia molto tradizionale, lo scrittore paradossalmente si trovò ben presto proiettato nell’ambiente bohémien del teatro: accompagnato dalla madre egli percorreva, in autobus, tutta Israele per intervistare campioni sportivi e personalità importanti.
Da allora la voce, la musicalità del dire la Parola, hanno assunto notevole importanza nel suo universo letterario. Tant’è che David inizia l’incontro con noi leggendoci, in ebraico, con voce e accenti carichi di profumo e storia, un breve brano, nella parte iniziale del “Cerbiatto”, e rileva che ogni paragrafo deve “avere il suo suono”.
“Quando termino un libro” confessa “lo leggo ad alta voce; ciò ti aiuta a capire come il lettore percepirà il tuo scritto”. D’altronde pare che il grande Flaubert addirittura gridasse dalla finestra intere parti dei suoi racconti! Sorride divertito e tu ringrazi il cielo che esistano persone come lui, celebri in tutto il mondo, ma che ti baciano e ti abbracciano appena ti rivedono, magari un anno o due dopo l’ultimo incontro, poiché “l’Alzheimer” tipico dei vip non sanno nemmeno dove stia di casa.
La fisicità dei personaggi è un punto di partenza essenziale per Grossman: da ultimo in questo romanzo, ma anche in altri, pensiamo, ad esempio, a Col corpo capisco.
Noi viviamo sull’onda della natura; nella natura e con la natura ci comprendiamo e ci guariamo a vicenda. Questo è un tema portante nel “Cerbiatto”. Avram è una creatura traumatizzata da una terribile esperienza di guerra: Orah, facendolo camminare a lungo e parlandogli di quel loro figlio, ragione di esistenza per entrambi, immedesimandosi in lui, lo….“massaggia” (lo scrittore usa proprio questo termine) e lo riporta in vita.
“Capire l’altro è essenziale per me. Solo quando scrivo lo riesco a comprendere. Esporsi all’altro è difficile, perfino quando si tratta di persone amate. Quando scrivo, invece, in qualche modo mi arrendo all’altro e tutte le mie difese cadono. Riesco ad espandermi, diversamente da quanto mi accade negli altri momenti della vita”.
La voce, ripete, è quanto di più intimo e personale abbiamo.
David, con la sua speciale capacità evocativa, fa ora entrare in scena Tamar, la protagonista di Qualcuno con cui correre; una ragazzina di sedici anni che fa la cantante di strada.
“Un mestiere che richiede coraggio. L’ho accompagnata nel suo peregrinare” confessa ”e ho compreso quanto sia difficile cantare, far.. uscire la voce in mezzo alla gente, magari trovandoti alla prese con persone che ti rivolgono espressioni volgari od ostili…” Come appunto succede a lei.
La pellicola gli è piaciuta molto; è ben fatta, con una sua personalità, non la meccanica trasposizione di un racconto. Il regista, Oded Davidoff, magari ha liberamente interpretato il romanzo (che, a mio sentire, ha una cifra più gioiosa, solare, meno drammatica), ma in fondo gli è rimasto fedele.
Il film, che ho visto la sera dopo l’incontro all’Arena del Sole, in un ideale proseguimento con quest’ultimo, ha il sapore di una ballata, la “Ballata di Tamar, Assaf e Dinka”. I giovani Grossman e i loro amici la conosceranno a memoria.
Tamar, una sedicenne di Gerusalemme dal volto intenso, bellissimo, appassionata di canto e suonatrice di chitarra, parte alla ricerca del fratello Shay, a sua volta chitarrista fantastico, fuggito di casa mesi addietro perché convinto che solo drogandosi potrà suonare come il suo idolo, il grande Jimi Hendrix.
Tamar, nel suo viaggio, non è sola: fedele accompagnatrice è Dinka, un bellissimo esemplare di Golden Retriever (ricordate la cagna inselvatichita che Orah e Avram incontrano durante la loro lunga escursione, e che li segue poi fedelmente?), dallo sguardo profondo, un vero personaggio della vicenda.
Ma l’animale, ad un certo punto, viene separato dalla sua padroncina; è quindi catturato dall’accalappiacani e finisce al canile municipale. Qui lavora part time un adolescente simpatico e generoso, Assaf; a lui viene affidata Dinka, con questo compito: guidato dal cane, egli ne dovrà trovare il proprietario e notificargli la salata multa per abbandono di animali.
Allora corre Assaf, all’inizio quasi trascinato da Dinka, corre per le vie di Gerusalemme, nella sua spasmodica ricerca, in cui incontra insoliti personaggi, come una monaca, Teodora, all’apparenza un po’ svanita, ma sensibile e attenta, e un amico, di diversi anni più anziano di lui, innamorato senza speranza della sorella di Assaf, che ha lasciato il Paese, per inseguire il “sogno”, cioè un innamorato, americano.
Col viaggio di Assaf si intrecciano i flash-back della ricerca di Tamar, che a sua volta, corre all’inseguimento del fratello. La ragazza, affronta mille difficoltà e pericoli: piene di forza espressiva sono le scene in cui canta, in principio un po’ impacciata, poi con sempre maggiore convinzione, in mezzo ad una folla, a volte incuriosita, talora indifferente, spesso ostile ed irridente. E’ una Gerusalemme insolita, ma simile a tante altre grandi città, quella che si apre davanti agli occhi del lettore -e dello spettatore-, lontana dallo stereotipo del Luogo Santo Conteso per antonomasia, teatro del conflitto più celebre (ma meno conosciuto) del mondo. Una città in cui fai la conoscenza di artisti di strada, cantanti e giocolieri, piccoli e medi truffatori, spacciatori, un duro sottobosco in cui inevitabilmente cade chi, immaturo, non ha il punto di riferimento di una famiglia solida.
E Tamar saprà, per amara esperienza, che Shay è finito nella rete di un losco personaggio, uno spacciatore chiamato, per ironia della sorte, Pesach, un tipo uscito dalle pagine dei romanzi inglesi dell’800, il quale ospita in una grande casa / prigione ragazzi con ambizioni artistiche, che sfrutta mandandoli ad esibirsi per le vie del Paese, a volte scegliendo i luoghi con sadica abilità. Sembra impossibile fuggire dalla rete di Pesach e dei suoi scagnozzi, capitanati dalla madre di lui, una megera incaricata di irretire per strada i giovani ingenui, come capita a Tamar.
Piene di pathossono le scene che si svolgono nell’insolito carcere, con personaggi tragici, a tutto tondo; come, ad esempio, la giovane Shelly, sotto la cui scorza di cinica ribelle si cela un’anima sensibile e desiderosa d’affetto. Incomprensibile e fuor di luogo, per la verità, la scelta, nell’edizione italiana, di doppiare l’attrice con una voce dal tipico accento romano.
Intanto Assaf prosegue la sua ricerca, per nulla distratto da coloro che cercano, per il suo bene, di scoraggiarlo: comprendono che egli rischia grosso se si lascia invischiare in un ambiente malavitoso; ma il ragazzo non ha timori.
Viene messo in guardia anche da una Fata Buona, apparsa con le sembianze di Leah, la proprietaria di un omonimo ristorante, amica di Tamar, una donna matura, dallo sguardo intenso, che intuisci subito coraggiosa: ella darà un aiuto essenziale ai giovani al momento in cui tutti riconquisteranno la libertà.
Novello Jaufré Rudel, Assaf si è innamorato, senza averla (ancora) vista, della sua contessa Melisenda: nulla e nessuno potranno fermarlo. “La debbo trovare” è il suo imperativo categorico. Ella prende corpo nella mente e nel cuore di lui prima ancora del loro reale incontro e prima ancora che i misteri su di lei si siano chiariti. Sapore medievale e modernissimo al tempo stesso, come in una ballata.
Di grande suggestione sono i motivi intonati da Tamar e da Shay, dopo che si sono ritrovati,’ entrambi prigionieri del diabolico Pesach, sia pure ancora per poco. Nelle voci dei due fratelli risuona la ricerca continua d’amore e speranza: non a caso c’è pure un’interpretazione di Hatikvah, giovane e ricca di forza.
Il film è ricco di colpi di scena, con un ritmo sempre incalzante. Non mancano momenti molto duri e di grande impatto emotivo; il filo conduttore e messaggio di fondo, al di là dell’happy end -peraltro non certo subito prevedibile-, è la capacità di prevalere da parte di chi combatte con coraggio e generosità per qualcosa in cui crede. I portatori della Speranza, appunto.
TO DAVID
From a meeting with David Grossman – Bologna, 21th and 22th November 2008
“I confess that, today as well, I prefer the radio to the television. The radio creates a certain intimacy between the reader – or the talker- and the listener. This unique relationship remembers to me when I was a little boy and I gave a night radio programme: I dreamed of my listener -a “he” or a “she”- who was talking with me. We ourselves, in the dark…….as three Fawn’s protagonists at the novel’s beginning. Orah, Avram and Ilan, patients into a Jerusalem’s hospital during the Six Days War (1967), are protected by that black dark isolation bubble (who wrapped Israel during the night for fear of enemies war planes) and are gradually weaving the friendship’s for life plot.
Avram has a true passion for radio play…we often understand it. As a teenager he believed that in a short space of time radio would supplant television. His prophecy has not come true.
David Grossman has made us, his readers who love him, of a precious present. He is in Italy both for the presentation of his new book and for the film’s appearance Someone to run with, taken from his homonymous novel; yesterday in the evening he has met a large public, flocked to the theatre Arena del Sole. David has charmed us with his story of journalist and newscaster infantile experience. Although born in a very traditional family, all the same our writer was shortly thrown into the theatre’s bohémien atmosphere: with his mother, our boy has been by bus all over Israel and interview sport champions and celebrities.
Since then, the voice and musicality of “Telling the Word”, are very important for his literary world. Therefore David begins our meeting by reading, in Hebrew, a Fawn’s short passage and points out each paragraph must have its “music“.
“When I end a novel” He admits “I read it in a loud; that help you to understand as the reader will perceive your writing”. Besides also Gustave Flaubert shouted at the window his tale’s long passages! He smiles with an air of amusement and you thank heavens that exist people as David, famous over all the world, but who kiss and hugged you, although one or two years after the last meeting, because he doesn’t know the “Vip ’s forgetfulness”!
The physicality of the characters is an important starting point for his poetics: in this novel, but also in others; for example Col corpo capisco.
We are living wavelength with Nature; in Nature and by Nature we appreciate and cure one another: that is the Fawn’s chief subject. Avram is a man traumatized by a terrible war’s experience: Orah, while they are walking for a long time, talks with him of their loved son, das Sorgen Kind!, and she identifies with Avram, she kneads him (the writer uses just this term).
“To identify with ‘the Other’ is the fundamental point of my thought. I can identify with him only when I write. Its very difficult to expose oneself, even when it’s loved people.
But when I write, I give up the Other. I spread myself, differently from all different my life’s circumstances”.
In my heart of hearts there is my Voice. David, by his unique evocative ability, calls on the scene Tamar, heroine of Someone to run with; a 16 years old girl, a pop singer on the road. A job who requires a lot of courage. I walked with her, he says “and I realized how much difficult is to make one’s voice heard, in the crowd, perhaps grappling to wrestle with hostile and vulgar people. As happens to her”. He enjoyed very much the movie; a movie with a peculiar personality. The director, Oded Davidoff, liberally draws his inspiration from my novel (who is more sunny and joyful), says David, but after all he was faithful.
Film, watched the evening after, in an ideal link with meeting at Arena del Sole, tastes like a ballade, “The Tamar, Assaf and Dinka’s Ballade”; well known by young Grossman and their friends.
Tamar, a 16 years old girl from Jerusalem, with an expressive and charming face, singing lover and guitar player, is hunting for her brother, Shay, a fabulous guitarist, run away from home some months before, who believed that only by drug will can play like her heart-throb, Jimi Hendrix.
Tamar isn’t alone: her…companion is Dinka, a wonderful specimen of Golden Retriever (do you remember bitch reverted to a wild state, met by Orah and Avram across their journey, who then faithfully follows them?), a novel’s true character.
But suddenly the dog is moved away its owner, then it’s caught by dogcatcher and leaded to pound. Here works part-time a nice and generous teenager, Assaf; Dinka is soon under Assaf’s charge, and the boy has the job of find dog’s owner, leaded by the same dog, and notify her an animal’s abandonment fine.
So Assaf is running, at the beginning dragged by Dinka, is running through the Jerusalem’s streets.
He happens to meet some eccentric people, as a nun, Theodora, seemingly rather dotty, but really very sensitive and careful, and a friend, older than him, hopeless enamoured of Assaf’s sister (who left Israel in search of “American dream”; an American boyfriend!).
Assaf’s journey and Tamar’s in pursuit of her brother flash back become entwined. Tamar faces a lot of difficulties and dangers: very fascinating are the scenes describing this girl playing and singing in front of a crowd sometimes indifferent, sometimes curious, often unfriendly and mocking. That’s a unusual and intriguing Jerusalem with its pop singers, its buskers, little tricksters, pushers; a hard underworld where fall young immature and wide-eyed people.
Tamar’s brother, Shay, is fallen into a shady character’s trap, a pusher called, with subtle irony, Pesach, who seems come out on a Dickens novel. Pesach lodge in a great house/prison some adolescents aspiring musicians, exploiting and sending them to perform on the roads of Israel; sometimes choosing places with devilish cunning.
It seems impossible to escape from Pesach and his henchmen, leaded by his mother, an old trout, trapping young people, as Tamar, on the road.
There are many scenes full of pathos setting into that strange prison, with tragic and evocative characters; as, for example, young Shelly, a apparently cynical and rebel girl, but really a very sensitive person.
In the meantime Assaf continues its search, nothing preoccupied by those who are trying discourage him, for his sake; the boy isn’t afraid. He is alerted too by a good fairy, a Tamar friend called Leah, the owner of a restaurant, a middle-age but charming and brave woman: Leah will help essentially Assaf, Tamar and Shay when all they will regain freedom.
As a new Jaufré Rudel, Assaf is fallen in love for his Countess Melisenda: nobody and nothing can stop him “I must find her!” is his categorical imperative.
She appears in his mind and in his heart before their real sight and before all her mysteries become clear. Very evocative are the songs stricken up by Tamar and Shay, after they met again, both Pesach’s prisoners, even if a short time. In the voice of two brothers a continuous love and hope’s pursuit is playing again and again: there is also a Hatikvah strong and gleaming performance.
The movie goes with a swing, with many coup de theatre, with very hard and thrilling scenes. The main theme, besides the “happy end” (not predictable at the beginning), is the ruling power of they who are fighting with courage for something in which they trust. Just the Hope’s Carriers.