(Titolo originale: The Street; Mordecai Richler Prod. Inc., 1969)
Trad. Franco Salvatorelli, Ed. Adelphi S.p.A., Milano, Settembre 2008, pp. 154
“Ma nella stessa edicola comprammo una pagina con su stampati quattro maiali. Piegando il foglio secondo le istruzioni, i deretani dei quattro maiali formavano la faccia odiosa di Hitler”.
Dopo il clamoroso successo de La versione di Barney (2000) la Casa editrice Adelphi sta pubblicando l’opera omnia di Mordecai Richler, il grande scrittore ebreo canadese, morto settantenne, nel 2001, all’apice della fama: uno scherzo del destino che sembra scappato dalle sue pagine. Alla “Versione” sono seguiti: nel 2002 Il mio biliardo e Quest’anno a Gerusalemme (datato 1994, una sorta di “Versione” made in Israel, in cui vengono messi alla berlina, senza tanti complimenti, i vari riflessi condizionati della società israeliana, così come, negli altri scritti, le vittime designate sono gli Ebrei della diaspora); nel 2003 Solomon Gursky è stato qui e Jacob Due-Due contro Zanna Incappucciata; nel 2004 Jacob Due-Due e il dinosauro; nel 2005 Jacob Due-Due agente segreto; nel 2006 L’apprendistato di Duddy Kravitz; nel 2007 Un mondo di cospiratori.
Nei mesi scorsi è uscito questo agile libretto, nato nel 1969 col titolo sintetico di “The Street”, per antonomasia. L’A. vi raccoglie, narrandole in forma confidenziale e con linguaggio immediato, le storie del quartiere di Montreal -in cui trascorse l’infanzia e la prima giovinezza- che, fino agli anni ’60 del Novecento, ospitava una vivacissima comunità ebraica.
Quel luogo in cui “partire in vantaggio era tutto”, i rivali erano i franco-canadesi, ma i più temuti ed odiati erano i WASP.
Ora purtroppo, avverte Richler nel Proemio, gustosissimo, se pur velato di malinconia, “The Street” non esiste più: quando egli vi ritornò, nel 1968, in compagnia della moglie, come “canadese a riposo” essa era divenuta una…riserva greca.
Ma, negli anni gloriosi, Saint Urbain era la “nostra strada”. Sant’Urbano. “C’erano stati otto papi di nome Urbano, ma il nostro era il primo, Urbano I. L’unico canonizzato”. Una delle cinque strade di un ghetto d’impronta proletaria tra la Main e Park Avenue. Cinque strade in apparenza intercambiabili, ma tra l’una e l’altra, a ben vedere, erano visibili le differenze di reddito.
St. Urbain era la migliore; magari simile alle strade / ghetto di Chicago o New York, con la differenza, proclama Richler con orgoglio canadese, che noi avevamo un re!
Le vicende raccontate si intrecciano l’un l’altra nella massima libertà; cosicché, come è scritto anche nella quarta di copertina, si può aprire il libro a caso, senza pericolo di falsarne l’anima.
Con l’irresistibile spirito Yiddish è ritratta una variegata umanità come vista da un ragazzino dotato, fin dai primi anni, di un forte spirito polemico e di osservazione, alle cui battutacce nulla e nessuno sfuggono. I Nonni materni: lui studioso del Talmud, uomo giusto e pio (uno Zadik); lei, molto bella da giovane, che muore dopo lunga malattia, assistita dalla madre di Mordecai, con grave pregiudizio per la sua salute psico-fisica e nell’interzia degli altri parenti.
Le diverse figure di commercianti, tra le quali spicca Tansky (titolare di un esercizio di bar tabacchi): idee progressiste, un comunista idealista, insomma, la cui clientela era costituita soprattutto da ambulanti ebrei. Di sua proprietà era la scassata cabina telefonica color marrone, una vera istituzione per il vicinato; infatti se ne servivano i numerosi che, allora, non avevano il telefono in casa. Detta cabina era istoriata da scarabocchi che “tendevano all’esuberanza pornografica e alla vanteria”.
A Tansky si contrapponeva certo Myerson, suo diretto concorrente: nel locale di costui tuttavia non andava mai nessuno perché egli era scorbutico, viperino. Di conseguenza sempre più invidioso, man mano che il tempo passava.
Figura carismatica per eccellenza, in quegli anni d’anteguerra, era il dottore, professione considerata, erroneamente (chiarisce ridacchiando lo scrittore), l’apogeo della cultura e della raffinatezza.
E poi gli amici, con i quali vengono compiute fantastiche scorribande, come quella di trasformare una spiaggia, già “riservata ai gentili”, come recita il cartello all’ingresso, a “spiaggia riservata ai lituani”, come avverte il medesimo cartello, corretto alla bisogna.
Nell’allegra compagnia spicca un personaggio che ritroviamo nell’universo di Richler: Duddy Kravitz, il lazzaroncello ebreo, famoso per lo spiccato senso degli affari.
Lo si può definire un autentico “tuttologo” nell’arte di arrangiarsi; a cominciare dalla sua esperienza nella cosiddetta arte del bacio, sulla quale scrive trattati (che poi vende agli amici per un dollaro), millantati come di sicura efficacia. Questi…consigli, pur lasciando il tempo che trovano, tuttavia non sono privi di un certo acume psicologico; ad esempio, va tenuta ben ferma la seguente regola d’oro: se ci si reca ad una festa, non si invita a ballare la ragazza più carina, da buon….salame. Si punta sulla “numero tre”, poiché le prime due creano affollamento e ciò non lascia possibilità ai diversi concorrenti.
Non manca l’incontro, tra una bravata e l’altra, con i profughi tedeschi ed austriaci, provenienti dalle principali città austriache o tedesche, prigioniere dell’orrore nazista.
Il giovanissimo protagonista ha modo di accorgersi che questi ospiti, contrariamente “ai nostri nonni originari dagli shtetlekh della Galizia”, erano persone assai raffinate, che conoscevano alla perfezione l’inglese, ma che tra loro conversavano in tedesco (!!!), disprezzavano il Canada, considerato nient’altro che una terra di passaggio¸ in attesa del visto per gli States.
Il periodo della guerra in Europa porta in sé alcune curiose contraddizioni: esso infatti coincide con un momento di relativa prosperità per gli abitanti della “Street”; i quali, tra l’altro, assistono alla trasformazione delle miserelle “shul”, dove per tanto tempo si erano recati a pregare, nella grande sinagoga con vetrate colorate. La guerra stessa è, per così dire, vista in seconda battuta attraverso i racconti di chi ritorna, come l’amico Benny; le narrazioni sono per lo più sintetiche, a volte quasi un botta/e risposta: “Com’è stato, laggiù?” “ Educativo”.
Con il raffinato -unico- umorismo tipico degli ebrei che sanno ridere di se stessi senza cedere a soggezioni di sorta, sono descritti i personaggi che entrano in casa dell’Autore, a seguito del fatto che i genitori, come altre famiglie del quartiere, per arrotondare le finanze, decidono di affittare una stanza (e la madre coltiva il segreto sogno di trovare un marito per la “cugina Bessie, poverina”).
Il primo pigionante è certo Herr Babinger. Ometto esile, curvo, con cranio lucente di calvizie, di poche parole, con un caratteristico intercalare teutonico (“Ach so”), pare vivere nell’ansia per la sorte di moglie e figlio, lasciati in Europa, dei quali nulla più sa. Ansia che tuttavia non gl’impedisce di prendere di mira il povero Mordecai, stigmatizzandone ogni comportamento perché inadatto ad un ragazzino della sua età, al punto di esasperarlo e suscitarne giustificate reazioni. Quest’uomo, ritenuto dai genitori la quintessenza del povero perseguitato, in realtà si dimostra d’animo perfido e gretto, oltre che di freddi sentimenti.
Altra figura colorita di ospite pagante è un giovane goy, originario di Toronto, di nome Mervyn Kaplansky, aspirante scrittore. Questi, 23 anni, piccolo, grasso, dai capelli neri ricciuti, conquista subito, grazie al pathos che emana la sua figura, il favore del protagonista e della madre di lui. Essi sono suggestionati da quel battere a macchina di Mervyn per tutto il pomeriggio, continuando fino a notte fonda, dopo essersi concesso solo una breve pausa. Il romanzo con cui egli vorrebbe passare alla storia si chiama Gli sporchi ebrei; tutto un programma!
Ma si tratta di un titolo ironico, fa osservare la madre al padre stupefatto. Non è ben chiaro se ci troviamo di fronte ad un artista o a qualcuno ricco di aspirazioni, ma povero di talento; Richler riporta con il consueto humour le opinioni del vicinato su questo futuro collega di Maxim Gor’kij “….quello sì, era uno scrittore. Questo ragazzo….” osserva Tansky dubbioso. Ad un certo punto Mervyn, anziché un editore, incontra una ragazza di famiglia ebrea ortodossa, i Rosen, disposti ad accoglierlo nel loro grembo; ma sarà costretto a fuggire in fretta e furia a causa di una frottola, inventata per coprire il proprio fallimento.
E poi l’attività nel gruppo aderente a Habonim (“I costruttori”), l’organizzazione mondiale della gioventù socialista sionista, gli entusiasmi, per Eretz Israel, anzi Erets Yisroel (nonché per le graziose fanciulle che frequentano l’ambiente), visto come la “soluzione” contro l’antisemitismo; la raccolta dei fondi destinati a rinverdire il deserto o a comprare armi per la Haganah-ricavandovi, ove possibile, una…cresta di pochi centesimi bastevoli per la “matinée al Rialto”- . La grande emozione vissuta la sera del 29 novembre 1947 e i contrasti con coloro che, pur ebrei e al di là di ciò che era successo in Europa (“in Germania”), restavano contrari allo costituzione di uno Stato ebraico….
Lo sciogliersi di tante amicizie, complici i fatti della vita, a cominciare dalla fine delle scuole superiori, la conclusione amara di sentirsi estranei l’un l’altro, come nel quadretto finale del libro.
Da consultare, leggendo le voci una ad una per la suggestione che emanano, l’immancabile (nelle opere di Richler edite in Italia) breve glossario dei principali termini yiddish ed ebraici, dove puoi immaginare che un “Boyele” (Ragazzino), che si è fatto una scorpacciata di “Latkes” (Frittelle di patate tipiche della festa di Hanukkah), sarà oggetto dei rimproveri di una “Yente” (Donna bisbetica e brontolona).