“Cominceremo a ricostruire quella vita che avete perduto…”
Non conoscevo la vicenda dei fratelli Bielski finché l’estate scorsa non lessi su il Foglio un articolo di Giulio Meotti Fango sui fratelli Bielski, eroi della Gerusalemme bielorussa in cui veniva dato conto della campagna diffamatoria operata, da parte di una prestigiosa testata polacca (la Gazeta Wyborcza), ai danni di tre fratelli ebrei bielorussi di origine polacca, Tuvia, Zus e Asael Bielski, i quali, nei terribili anni della Seconda Guerra Mondiale, dopo che i tedeschi avevano sterminato la loro famiglia, presero le armi e a cavallo si rifugiarono nelle foreste all’intorno. Da quei luoghi remoti dettero vita ad un progetto ambizioso: salvare dalla furia omicida e genocidaria degli invasori, oltre che dalla complice polizia locale, quante più persone possibile del loro popolo. A prezzo di inenarrabili sacrifici e di lancinanti dilemmi morali, pian piano costruirono nei boschi un piccolo ospedale, una scuola ed una sinagoga e dettero vita a una banda musicale.
Alla fine della guerra oltre 1200 ebrei furono salvati da questi Mosè del XX secolo. Il periodico polacco spiega che i fratelli furono sì coraggiosi, ma presero insieme con i sovietici anche parte a stragi di civili collaborazionisti polacchi. La storica Nechama Tec dell’Università di Stanford (Connecticut), autrice di un documentato saggio -Defiance, 1993, uscito in Italia presso Sperling & Kupfer col titolo Gli ebrei che sfidarono Hitler- parla di “menzogne che sottintendono tendenze antisemite”. Come che sia e considerando il contesto tragico in cui si svolsero gli eventi, è certo che la piccola compagine familiare, divenuta col tempo un vero e proprio gruppo partigiano ben organizzato (l’otriad Bielski), compì un’impresa eroica: salvare dalla furia sterminatrice nazista quante più persone possibili, donne, bambini, vecchi, malati, che erano state ammassate dai nazisti nei ghetti per essere umiliate oltre l’indicibile e poi massacrate. La storia dei Bielski manda in frantumi il mito, caro ancora oggi a tanti, dell’ebreo inerme che si fa portare al macello senza reagire, il personaggio pittoresco, l’equilibrista sul filo, buono magari per una rappresentazione teatrale, ma privo di dignità. Notissima è la vicenda dell’insurrezione del ghetto di Varsavia nella primavera del 1943, ma ben poco sono conosciute le storie di coloro che, privati di tutto e cacciati, si ribellarono con forza; storie che furono più numerose di quanto si possa pensare. Il noto regista e produttore statunitense, Edward Zwick (del quale ricordiamo, per tutti, L’ultimo samurai con Tom Cruise e Blood Diamond interpretato da Leonardo Di Caprio) ha ricostruito la drammatica vicenda in un avvincente film, da alcuni giorni nelle nostre sale, che porta il titolo originale del libro Defiance – I giorni del coraggio e che si avvale come protagonista, garanzia di successo al botteghino, di Daniel Craig, l’ultimo attore, in ordine di tempo, a vestire i panni di James Bond. Questo film però non ha nulla di romanzesco, anzi è assai realistico nel rappresentare la vita difficile di questa comunità, varia e sempre più grande, nel cuore delle foreste bielorusse, dove “nemmeno i feroci cani dei nazisti” osarono inseguire i fuggiaschi; la vita che muore, ma anche la vita che nasce -da una ragazza che, pur violentata da un soldato tedesco e resa incinta, non vuole, per nessuna ragione al mondo, rinunciare al suo piccolo-.
Le inevitabili rivalità tra i fratelli, le paure, le angosce, l’amore e la speranza.
I contrasti con i loro “salvati”, persone appartenenti alla buona borghesia ebraica, dedite allo studio, soprannominate con sarcasmo dai membri armati della brigata Malbushim (letteralmente: Vestiti). L’antisemitismo incorreggibile delle brigate partigiane sovietiche; antisemitismo che, ad un certo punto, induce Zus a rientrare tra i suoi. La sete di vendetta nei confronti degli assassini non viene sottaciuta, anzi è raccontata in un paio di episodi a forti tinte; ma, sono le parole di Tuvia Belski: “Saremo braccati come animali, ma non diventeremo come animali” e “La nostra vendetta: vivere”. Dopo il conflitto Tuvia e Zus (il secondogenito Asael morirà in Germania, combattendo con l’Armata Rossa) si stabilirono negli USA; ma prima elemento significativo!- avevano servito nell’esercito israeliano e combattuto nella guerra Indipendenza del 1948. Tuvia è morto nel 1987; ma, un anno dopo, è stato riseppellito a Gerusalemme, nel cimitero Har Hanenuchot.
Con la moglie Lilka, la compagna dei boschi, ha dato vita alla Tuvia and Lilka Belski Family Foundation dedicata “to the preservation, documentation, and history of the Bielski resistance and rescue movement and Jewish Heritage. 1941 – 1944.

27 Gennaio 2009, Giornata della Memoria
BIELSKI BROTHERS

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