(Racconti tratti da Sklepy Cynamonowe -Le botteghe color cannella- e Sanatorium Pod Klepsydrą -Il sanatorio all’insegna della clessidra- Trad. Anna Vivanti Salmon;

Con un saggio di David Grossman Trad. Alessandra Shomroni;
Ed. Einaudi ET Scrittori, Fine Giugno 2009, pp. 146
 
 
“Mi venne in mente che a quell’ora tarda doveva svolgersi nell’aula del professor Arendt una di quelle lezioni facoltative che si tenevano di notte….si apriva la porta della sua stanza ed egli entrava, piccolo, con una bella barba, pieno di sorrisi esoterici, di reticenze discrete e di un profumo di mistero”.
 
Rilevante evento culturale sul fare dell’estate, per merito di Einaudi: l’omaggio che l’israeliano, di origine polacca, David Grossman rende ad un altro degli autori classici del Novecento, il polacco Bruno Schulz. In un unico testo, 146 pagine appena, sono riuniti dieci racconti, scelti dallo stesso Grossman, tratti dalle due raccolte Le Botteghe color cannella e Il Sanatorio all’insegna della clessidra,nate dalla penna del grande autore polacco, ucciso a 50 anni da un funzionario della Gestapo, il 19 novembre 1942, nel ghetto della città di Drohobycz (occupata dai tedeschi), quando era riuscito a procurarsi i documenti per espatriare.
Avrebbe potuto andarsene, Bruno, ma, per svariate ragioni, non si decideva a farlo: tale ritardo gli fu fatale. Sulla sua uccisione circola una versione accreditata, congeniale alla figura dello scrittore (e che ha dolorosamente contribuito a dar corpo alla sua leggenda), ma le circostanze dell’evento non sono del tutto chiare.
Nato a Drohobycz, in Galizia, nel 1892 (allora Impero austro ungarico, oggi Ucraina) egli ha lasciato una produzione limitata: due raccolte di racconti (i già citati Le Botteghe color cannella -1933, con la data del 1934- e Il Sanatorio all’insegna della clessidra, 1937), saggi, recensioni, un racconto del 1938 (La cometa). Lavorò ad un romanzo andato perduto (il Messia), in merito al quale proprio Grossman racconta di aver incontrato una volta una persona che ne aveva letto solo l’incipit: l’alba su una città, con la luce che via via s’intensificava. 
La vita e l’opera di Schulz hanno influenzato illustri scrittori successivi; pensiamo, tra i tanti, a Philip Roth, a Tadeuz Kantor, a Cynthia Ozick, ai più giovani Nicole Krauss e Jonathan Safran Foer. E naturalmente David Grossman, una sorta di figlio letterario, forse quanto e più degli altri.
I dieci racconti trasportano il lettore in un mondo fantastico, ma non per questo irreale, in cui le coordinate spazio temporali saltano e tutte le regole del comune vivere parrebbero essere messe in angolo. La prosa è immaginifica, sognante, talora ricca di virtuosismi: assolutamente vietato aver fretta nella lettura, ingannati dall’apparente semplicità di favola nello stile. Sono coniate nuove espressioni e parole, che la traduzione in italiano di Anna Vivanti Salmon ci rende con efficacia, come: “chicchirichineggiando”; “autunneggiante” (riferito all’orizzonte); folti “macchieti”….
Le cose sono spesso personificate: “Le tende di tela bevevano l’incendio del mattino, una sorsata dopo l’altra….”  Per converso, le persone vengono reificate. In un istante “egli [il padre dell’A.] diventava un padre piatto, compenetrato nella facciata [della casa, alle cinque del mattino]”.
E’ proprio il padre, Jakob (Jakub, così lo chiama la moglie, in yiddish) la figura principale nella poetica di Schulz. Negoziante di tessuti, uomo senza età, ma che certo non ha mai conosciuto gioventù, egli udiva misteriose voci insistenti attorno a sé e, da buon ebreo, conversava, anzi litigava, con D-o; il figlio lo immagina, anzi lo vede, come una sorta di demone in grado di trasformarsi via via in uno dei suoi amati uccelli -o magari in un insetto- e di scomparire per giornate intere. Lo scrittore assiste alla progressiva follia di lui, con allontanamento dalla comunità umana; e alla sua morte dopo una lunga malattia, ma Jakob rivive continuamente "era morto molte volte, mai completamente…”.
Bruno ne traccia con la penna ritratti indelebili, come questo: “…il volto e il capo egli aveva a quel tempo coperti di una selva rigogliosa e ispida di pelo grigio, che gli spuntava irregolarmente a ciuffi…e tutto ciò conferiva alla sua fisionomia l’aspetto di una vecchia volpe irsuta…L’odorato e l’udito gli si erano straordinariamente affinati…”.
Accanto al negozio del padre vi sono le celebri Botteghe color cannella, chiamate così dal colore delle " brune boiseries che le rivestono". Questi negozi così nobili, ancora aperti a notte inoltrata "erano sempre stati per me oggetto di fervidi sogni. Fiocamente illuminati, scuri e solenni, i loro interni odoravano di… vernici, lacca, incenso… con quei vecchi, dignitosi venditori che servivano i clienti a occhi bassi, in un silenzio discreto, ed erano pieni di perspicacia……”.
Esse sono il cuore del vecchio sistema patriarcale in contrapposizione alla sciatta via dei Coccodrilli, dove "mancano le passioni eccezionali e oscure", abitate da avventurieri senza scrupoli "una generazione impoverita… vuoti dentro e splendidamente colorati fuori", un mondo inaccettabile, pieno di paccottiglia e di ciarpame.
La madre è una figura scialba, del tutto secondaria; mentre fortissimo richiamo sessuale assume la giovane cameriera Adela.
Schulz per vivere fece l’insegnante di disegno al liceo della sua cittadina natale (nel professor Arendt, che riesce ad ammaliare gli allievi con fantastiche narrazioni, rappresenta se stesso) e anzi i racconti che scrive vengono pubblicati insieme alle sue illustrazioni. Un po’ Toulouse Lautrec, un po’ Franz Kafka, allorché i tedeschi occupano Drohobycz, egli trova un provvisorio rifugio nella villa di un ufficiale delle SS, Felix Landau.
Questi -non certo un “Giusto”, ma un cinico padrone, un gatto sadico alle prese col topolino indifeso- gli ordina di affrescare la stanza dei figli con immagini tratte della fiabe. E il pittore/scrittore, nell’illusione di sopravvivere e come reazione al buio che avanza, immortala in mille fantastici colori la bella, indimenticata, Adela come principessa, e se stesso nelle vesti di cocchiere, impegnato in “quella corsa luminosa nella notte più chiara dell’inverno”.
 
Gli affreschi, complici i tragici eventi bellici, parevano destinati per sempre al nulla; ma, nei decenni successivi, tornarono, in modo fortuito, alla luce. Nei mesi scorsi, poi, dopo essere stati restaurati e rimossi, sono stati esposti allo Yad Vashem di Gerusalemme e rimarranno in Israele, secondo accordi con il Governo di Kiev, per vent’anni, appartenendo però allo Stato ucraino.
Degno coronamento del libro è: Tutto il possibile infinito, un profondo, commovente saggio con cui David Grossman ci consegna il “suo” Bruno Schulz. Questo scritto è stato pubblicato, in anteprima, dal New Yorker dell’8 giugno e da l’Espresso dell’11 giugno.
L’importanza che l’Autore polacco riveste per lo Scrittore israeliano va ben oltre l’influenza puramente letteraria. David confessa qual è stata l’occasione del suo incontro con l’opera e con l’uomo Bruno, la molla tragica, legata in primo luogo all’uccisione di questi, che lo indusse a scrivere di Shoah: solo immedesimandosi in quell’esperienza non vissuta direttamente -“come mi sarei comportato in quel terribile contesto di persone spogliate di tutto?”- avrebbe potuto comprendere il significato della sua vita, di uomo, di padre, di scrittore, di israeliano, di ebreo…. “Che cosa si sarebbe potuto salvare in me di umano in un mondo finalizzato ad eliminare la vita?” egli si domanda.
Ritorna il tema sviluppato in occasione del conferimento della laurea ad honorem conferitagli dall’Università di Firenze il 27 gennaio 2008.
Secondo quale registro poetico scrivere di Shoah? Glielo suggeriscono i racconti di Bruno, con la loro forza per così dire, mistica: raccontare non la morte e lo sterminio, bensì la vita -che i nazisti avevano distrutto su larga scala, in modo scientifico- per poter far rivivere quella dimensione, chiamata da Schulz L’epoca geniale (donde il titolo al libro), sempre ricordata con nostalgia, una “sorta di fanciullezza perfetta, limpida, soffusa di luce dorata”.

Invito a leggere e meditare questa altissima testimonianza di arte e di vita, la cui trama, intessuta di riflessioni intime e di un incontro personale, davvero unico, avvenuto in Israele circa un anno fa, rappresenta, essa stessa, “un modo di rinforzare gli anticorpi contro la tentazione di cadere nell’apatia e nella grettezza”.

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