REMEMBER

(Canada, Germania, 2015; Genere: Thriller)

 “Ti ricordi cosa hai detto che avresti fatto dopo la morte di Ruth?”  “No” “Vuoi continuare?”   “Devo portarlo a termine” “Non si può odiare la Musica”

 

Questo film è assolutamente da non perdere.

L’ho visto lunedì sera, in anteprima, nell’originale inglese (a parte qualche battuta in tedesco), con sottotitoli nella nostra lingua, e ne sono entusiasta.

Nelle sale da domani, 4 febbraio, vale davvero la pena.

Ecco, in breve, la trama.  

Zev Guttman, anziano ebreo di origine tedesca, affetto da una forma iniziale di demenza senile, è ospite di una casa di riposo negli U.S.A. col coetaneo Max Rosenbaum; entrambi hanno in comune la tragica esperienza di Auschwitz. Ogni mattina, inevitabilmente, Zev (in ebraico Lupo) chiama ad alta voce sua moglie. La donna è morta di cancro da circa una settimana e purtroppo tutti i giorni è necessario, con pazienza e tatto, farglielo presente. Egli non ricorda gli adempimenti più elementari, dev’essere accompagnato dovunque, rammenta a fatica i nomi e i volti dei parenti; ma se passa davanti ad un pianoforte, si siede e, a memoria, senza leggere la partitura, suona un brano che magari piaceva alla sua Ruth. Sconvolgente potere della Musica, principio e fine di tutto nelle nostre vite, si direbbe.

Max, costretto in sedia a rotelle, con l’inseparabile compagnia di una bombola di ossigeno, ma lucidissimo, chiede all’amico di eseguire una “missione impossibile”: trovare l’ufficiale nazista che sterminò le loro famiglie e ucciderlo. Costui si chiama Otto Wallish; alla fine della guerra è fuggito negli USA dove ha assunto l’identità di una delle sue vittime: si fa infatti chiamare Rudy Kurlander.

Senza particolari esitazioni Zev accetta e parte, ben focalizzato, per quanto gli è possibile, sullo scopo della ricerca.

A guidarlo è una lettera d’istruzioni scritta a mano da Max, che ha pianificato con esattezza il viaggio, suddiviso in precise tappe, dove tutto è dettagliato, a cominciare dagli alberghi -prenotati in anticipo- nei quali Zev dovrà sostare. Dunque quest’uomo anziano, che fatica a ricordare il proprio nome, fugge dalla casa di riposo per intraprendere un viaggio attraverso gli USA -con una breve digressione in Canada-, in treno, taxi, autobus; ben determinato a portare a termine un compito divenuto presto per lui imprescindibile.

Porta sempre con sé la preziosa missiva, la legge e rilegge; spesso Max lo raggiunge al telefono per verificare come procede la…caccia.

Dalle indagini meticolose effettuate nel tempo da lui insieme con Simon Wiesenthal (e il suo centro internazionale volto ad assicurare alla giustizia degli uomini i criminali nazisti), raccogliendo fotografie, documenti e quant’altro potesse essere utile,  è emerso che vi sono in America quattro Rudy Kurlander; Zev deve trovare quello giusto senza indugi.

Il primo, incontrato ben presto dal protagonista, è interpretato da Bruno Ganz, il quale rende alla perfezione il tipo che magari disapprova lo Sterminio in sé, ma a cui gli Ebrei non son proprio mai andati giù. A decenni di distanza l’uomo, che ha servito con orgoglio la Patria germanica, mai stato ad Auschwitz però, sostiene ancora con forza che “quelli” hanno procurato ai Tedeschi un sacco di problemi.

Il secondo Kurlander, ricoverato in ospedale male in arnese , è stato sì ad Auschwitz, ma come prigioniero: in quanto “triangolo rosa”, cioè omosessuale. Breve, efficacissima, apparizione di Hans Lieven (This must be the place di Paolo Sorrentino, 2011) [1].

Quanto al terzo, Zev ne incontra il figlio (Dean Norris), poiché l’interessato è morto da alcuni anni. Quest’ultimo, nonostante fosse poco più che un ragazzino allo scoppio della guerra, era un fanatico nazista, con nutrita collezione di cimeli del Terzo Reich, mostrati con orgoglio ad amici e sodali nel corso del tempo. L’uomo cui il nostro “cacciatore” fa visita, è una guardia giurata; vive da solo in una villetta lontana da centri abitati, con la sola compagnia di un ferocissimo cane lupo di sesso femminile, dal significativo nome di Eva. Condivide l’ideologia fanatica del padre, col pretesto di onorarne la memoria.

Non appena scopre che il suo interlocutore è ebreo, ha una reazione facile da immaginare, ma Zev, nonostante la comprensibile paura, riesce a non perdere la calma.

E qui l’anziano smemorato sì, ma prontissimo di riflessi all’occorrenza, ci riserva una prima sorpresa.

Col quarto Kurlander (Jürgen Prochnow) Guttman è arrivato al rendiconto. I due si riconoscono e si parlano, all’inizio, in tedesco.

“Non avrei mai riconosciuto il tuo volto, ma non posso dimenticare la tua voce” egli dichiara, allorché il suo ricercato gli appare alle spalle mentre è intento a suonare al pianoforte, da professionista e a memoria of course, un brano di Richard Wagner.

Ancora la forza irresistibile del suono.

A questo punto la mia sintetica narrazione si ferma, per non sciupare la sorpresa nel lettore.

Il racconto del viaggio di un uomo quasi novantenne, pronto a fare giustizia foss’anche con mano tremolante, si trasforma via via in un thriller in piena regola che ti lascia col fiato sospeso fino all’ultima inquadratura.

E non mancano riflessioni su lati inquietanti della società americana (come di quelle europee del resto); antichi fantasmi già portati alla luce, ad esempio, in American Beauty (1999) o in This must be the place, di cui sopra.

Il regista Atom Egoyan, nato al Cairo nel 1960 da profughi armeni, cresciuto in Canada, ha già trattato il tema della Memoria in Ararat (2003), dedicato alla terra d’origine. E’ evidente che la tragedia del suo Popolo, il Metz Yegern (Grande Male) del quale nel 2015 è caduto il centenario, ne influenza la produzione artistica.

Ora, in Remember, film di forte impatto emotivo, accolto con grande successo all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, il tema della Memoria è sviluppato secondo una linea assai originale.

In un’intervista  Egoyan dichiara: “Questo è forse l’ultimo film che racconta di sopravvissuti, tra poco sui lager si gireranno film d’epoca. E’ una storia che andava raccontata”.

Pellicola fuori dai consueti -mi si passi il termine- schemi in materia. In primo luogo per la scelta dei due interpreti principali.

Zev è magistralmente interpretato da Christopher Plummer, eccellente attore canadese, 87 anni, Premio Oscar 2012, che qui supera se stesso.

La scelta caduta, quale “giustiziere” e simbolo della Memoria,  su una persona affetta da demenza senile, contiene forse un pizzico di ironia nei confronti del richiamo continuo, con le parole, alla memoria (quella con la M maiuscola è altra faccenda), alla retorica stucchevole e insincera del “Mai Più” (la Shoah)? Mentre, in realtà, pare che la Smemoratezza, tanto miope quanto interessata, sia la cifra del comportamento attuale di diversi popoli e governi, specie europei, di chi non intende affatto imparare quanto la Storia è pronta ad insegnarci, se solo fossimo attenti, e si accontenta di vuoti cerimoniali. E’ una mia ipotesi, un po’ maliziosa, che parrebbe smentita da quanto il regista afferma: “..in America settentrionale non è come in Europa dove avete la fortuna di ricordare le lezioni del passato”. Peccato che, piccolo particolare,  l’antisemitismo, specie dopo l’11 Settembre 2001, sia cresciuto, proprio nell’Europa liberata dal nazismo, in modo esponenziale.

E poi c’è l’altro protagonista, Max -gli dà anima e corpo Martin Landau, a sua volta premio Oscar, coetaneo di Plummer-. Egli è il tessitore dell’intera trama, messa a punto con annotazioni minuziose e perfezionata da quel compulsare insistente l’amico, passo dopo passo.

Max è, da sempre, consapevole che la Memoria non fa sconti: il Ricordo che irrompe prepotente, libero da finzioni, ti dà la consapevolezza piena di ciò che davvero sei stato e sei. Non si sfugge a questo dio implacabile.

RICORDA         ZACHOR

Ecco due trailer

 

 

 

 

 

[1]  V. mio commento su questo sito (Ottobre 2011).

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