Nel luglio di due anni or sono il Museo Ebraico di Bologna, in collaborazione con diverse istituzioni cittadine e con l’Ambasciata di Israele a Roma, dedicò alcune serate alla poesia israeliana, dalle origini del movimento sionista all’attualità. La lettura dei brani, affidata a celebri attori del nostro teatro (Arnoldo Foà, Ugo Pagliai, Ottavia Piccolo, Piera Degli Esposti), richiamò l’attenzione dei media e di numerosi spettatori: l’iniziativa (dal suggestivo titolo Tutto il latte e il miele), inserita nell’ambito del programma Bologna Estate curato dal locale Assessorato alla Cultura, costituì una sorta di porta d’ingresso su un mondo, quello della letteratura israeliana, fino al quel momento, poco conosciuto dal c.d. “grande pubblico” locale, rispetto a quello di altre città italiane; pensiamo a Roma, Milano o Torino.
Dopo l’interruzione del 2006, quest’anno è di turno la prosa.
La letteratura israeliana, da diversi anni, si è guadagnata un posto di tutto rispetto in Europa e nel mondo: se, negli anni ’70, essa era tradotta in 25 lingue, oggi lo è in ben 65 lingue. Uno sviluppo notevole, non spiegabile solo con i tradizionali motivi d’interesse per Israele (la Shoah e il conflitto col mondo arabo), visto che tanti Autori, in specie quelli dell’ultima generazione, trattano di argomenti, per così dire, universali, come la famiglia, l’individuo, la società, l’amore, la morte. Ma forse è proprio il modo in cui tali tematiche vengono svolte a suscitare tanta passione nei lettori; un modo, ad esempio, del tutto originale è quello di rapportarsi al tempo, evocandolo nel presente e riflettendolo nel passato.
Dal 25 luglio all’1 agosto la suggestiva cornice del Cortile d’Ercole, in Palazzo Poggi (sede tradizionale dell’Università), ospita quattro serate dedicate ai narratori e alla musica. Anche quest’anno accompagneranno il pubblico valenti interpreti e studiosi di profonda sensibilità.
Il titolo scelto, Lo’ ha-kol havalim -Non tutto è vanità, tratto da una poesia di Nathan Alterman- parafrasa, rovesciandolo, un versetto di Qoelet e sta ad indicare come gli scrittori israeliani, dalla prima generazione fino ai più giovani talenti, mantengano con l’identità ebraica e col proprio Paese uno stretto legame, coniugandolo con le variegate esperienze dei rispettivi contesti di provenienza, più o meno diretti e immediati; il che fa di Israele, con la sua varietà di colori ed esperienze, un unicum; l’opposto di uno “Stato confessionale ebraico”, nella realtà inesistente, di cui vagheggiano, per lo più in malafede, i suoi detrattori.
Nel primo incontro, il 25 luglio, che prende il nome di Be’eres hemdat ‘avot (Nella terra del desiderio dei Padri), sono affrontati i temi salienti del periodo del Risorgimento politico di Israele, il rapporto tra la diaspora e la Terra d’origine, il socialismo dei pionieri e l’etica del lavoro, la ricerca di un’identità propriamente israeliana nel confronto con il mondo arabo.
La letteratura degli esordi, pur nota soprattutto per il suo rappresentante più famoso, Shmuel Yosef Agnon (Premio Nobel per la Letteratura nel 1966), non è tuttavia conosciuta come meriterebbe, tenuto conto del fascino primigenio che emana, almeno secondo la sensibilità della sottoscritta.
Conosciamo bene il ruolo vitale assunto, per il movimento sionista (sorto sulla scia dei movimenti nazionali ottocenteschi), dai poeti e dagli scrittori; quale sistema capillare di scuole e di accademie linguistiche fu fondato, prima ancora della costituzione dello Stato di Israele, per far sì che la Rinascita fosse totale.
La stessa operazione di recupero della lingua ebraica, alla fine dell’800, da idioma limitato all’ambito accademico e religioso a lingua della vita quotidiana, costituì un evento culturale di eccezionale importanza. Quando l’Amministrazione del Mandato Britannico riconobbe l’ebraico come lingua ufficiale, accanto all’inglese e all’arabo, le istituzioni ebraiche e le loro reti educative ne adottarono l’uso, consentendo in questo modo la nascita di stampa e letteratura ebraiche e la fioritura di una lingua ricchissima e viva: dalle circa 8.000 parole del periodo biblico, siamo arrivati ai 120.000 vocaboli dell’ebraico attuale.
Gli Autori della prima serata, i cui brani vengono letti dall’attore ed autore Gioele Dix, personalità, a sua volta, ricca di humour e partecipazione, sono nati nella Diaspora e quindi profondamente ancorati nel mondo e nelle tradizioni dell’Europa orientale.
Yosef Hayym Brenner: nato in Ucraina nel 1881, emigrato in Palestina nel 1909, è scrittore di forte personalità e di concezioni socialiste; ha esercitato una forte influenza sulle generazioni successive ed è stato una sorta di guida in campo morale, sociale e letterario.
Ha sostenuto un’arte al servizio della vita quotidiana e una società fondata sul lavoro onesto e produttivo.
A quarant’anni, nel pieno della sua attività, è morto in un agguato arabo.
 
Shmuel Yosef Agnon (1888/1970), nato in Galizia, è uno dei padri fondatori della moderna letteratura ebraica. Dopo un breve soggiorno in Palestina, è tornato in Europa, soggiornando in diversi Paesi. E’ morto in Israele nel 1970. Egli ha creato uno stile del tutto nuovo, rifiutando i modelli europei e utilizzando elementi dell’antico racconto midrashico-aggadico. La sua familiarità con la tradizione ebraica gli consente di esprimere in modo originale le tensioni spirituali dell’ebraismo moderno e l’angoscia dell’ebreo religioso di fronte alle problematiche del risorgimento nazionale e della civiltà moderna (notevoli, a tale proposito, I Racconti di Gerusalemme, edito da Mondatori, e, in particolare, la novella Il cane randagio).
 
In Binyamin Tammuz (1919/1989), nato in Ucraina, emigrato in Israele da bambino, l’immaginazione creativa ha una netta preminenza sopra il mondo razionale e il realismo quotidiano. Notevole è il romanzo dal titolo Il Minotauro, che inizia così: “Thea questa lettera non è firmata e temo che non ci incontreremo mai". Si tratta dell’inquietante corteggiamento a una giovane donna, Thea appunto, incontrata in autobus, da parte di un agente del Mossad. Chi è veramente l’agente? Come fa conoscere ogni mossa di Thea in anticipo? E’ responsabile della morte del fidanzato di Thea, chiamato G.R.? La vicenda è insieme una storia d’amore e una spy story e ci conduce nel mondo misterioso della passione e del tradimento.
Nei suoi lavori più tardi l’Autore riflette sull’identità israeliana e sui rapporti col mondo arabo: vedi, in merito, Il Frutteto: una storia feroce e morbosa in cui due fratelli si contendono tutto all’ultimo sangue: la terra ereditata dal padre e l’amore della stessa donna. Una parabola sul conflitto tra arabi e ebrei.  
 
Non manca, la sera del 30 luglio, un concerto dal titolo Jewish Experience di Gabriele Coen (Quartetto Atlante sonoro), una sorta di viaggio musicale in cui viene reinterpretato in chiave jazzistica il repertorio popolare ebraico, con attenzione a composizioni originali, brani sefarditi e klezmer.
 
Grande attesa di pubblico per la serata del 31 luglio, quando la voce suggestiva di Ugo Pagliai darà corpo a letture tratte dalle opere degli scrittori israeliani più famosi nel nostro Paese: l’ironico Abraham Benjamin Yehoshua (del quale è uscito in Israele, ad aprile, l’ultimo romanzo, Fuoco amico), l’affascinante Amos Oz, l’intenso David Grossman.
Essi non hanno bisogno di presentazione, data la loro notorietà e la frequenza con la quale vengono nel nostro Paese. Li conosciamo anche -forse qualcuno anzitutto- come personalità sinceramente impegnate in favore della pace tra israeliani e palestinesi.
Il tema è Tra Gerusalemme e Tel Aviv: una nuova identità. La formazione del "nuovo ebreo", legata alle vicende storiche del nascente Stato di Israele, dagli ultimi anni del Mandato britannico al 1948, si intreccia alle storie famigliari, alla vita nei kibbutzim, alla solitudine, all’emarginazione e al sorgere di una rinnovata identità, sempre all’ombra di Gerusalemme.
 
L’ultimo incontro porta il titolo di Tempo giovane: l’ultima generazione di scrittori ed è affidato alla voce narrante di Ivano Marescotti.
La persona, la sua fragilità e interiorità sono i motivi emergenti di questa generazione giovane, ma nuovi talenti si stanno affacciando sulla scena.
Negli scritti di Nava Semel, giornalista e critica letteraria, autrice pure di libri per bambini (come, del resto, tanti scrittori israeliani), emerge il trauma dei figli dei sopravvissuti alla Shoah, un’indagine che oscilla tra “noi e “loro”.
Etgar Keret, sceneggiatore di molte pellicole cinematografiche, col suo stile paradossale, dissacrante e ironico, narra una realtà israeliana che fluttua libera, sciolta da un centro ideologico.
Zeruya Shalev, della quale è uscito in Italia di recente l’ultima opera Dopo l’abbandono, analizza nelle poesie e nei romanzi (rammentiamo Una relazione intima e Una storia coniugale) il microcosmo personale, il mondo femminile e l’erotismo con un linguaggio poetico che richiama, rielaborandoli, i testi classici dell’ebraismo.
 
Un’occasione importante per la Bologna attenta alla cultura, quindi.
Per il futuro -così ha promesso il Direttore del Museo Ebraico, Prof. Franco Bonilauri, nel presentare l’iniziativa- il Festival conta di ospitare gli stessi Autori dei quali al momento, per motivi di budget, può solo proporre i testi; magari arricchendo il programma con gli artisti di Israele, il cui attuale padiglione alla Biennale di Venezia è, ancora una volta, tra i più interessanti colà allestiti.