Ho deciso di aggiungere una nuova “Rubrica” a quelle già presenti sul sito: si chiama “Ritratti” ed è dedicata ad incontri con persone per me particolarmente significative.
La prima è MAGDI ALLAM, giornalista, scrittore e, da qualche tempo, politico. Una figura assai lontana dal cliché dell’intellettuale occidentale impegnato; di lui avevo ho già commentato, all’uscita, nella primavera 2007, il bellissimo Viva Israele, opera indicativa del personaggio fin dal titolo.
Un anno e mezzo fa egli si è convertito dall’islam al cattolicesimo divenendo Magdi Cristiano (ci racconta questo suo importante -e rischioso- percorso spirituale in Grazie Gesù. La mia conversione dall’islam al cattolicesimo, 2008) e ha dato vita ad un soggetto politico/culturale, Io amo l’Italia, volto alla tutela e all’affermazione in politica delle radici ebraico/cristiane dell’Europa.
Alle elezioni di quest’anno si è presentato come candidato indipendente nelle liste dell’UDC ed è divenuto Parlamentare europeo.
La testimonianza che segue parla non solo di altre occasioni di incontro con Magdi, ma riporta pure l’attesa per la presentazione di un suo volume, svoltasi a metà luglio 2006, nella cornice di uno dei luoghi più pittoreschi di Bologna, i "Giardini Margherita", il nostro piccolo Central Park.
MAGDI ALLAM
“Incontrai per la prima volta Magdi Allam nel 2003, in occasione del ricevimento, organizzato dall’Ambasciata israeliana a Roma per l’anniversario della Dichiarazione di Indipendenza, Yom Hatzmaut.
Gli tesi la mano: Sono lieta di conoscerLa, finalmente; leggo sempre i Suoi articoli, Lei è un’importante voce del mondo arabo!
Mi colpì di lui -oltre al linguaggio rigoroso, espressione di un modo di ragionare forte e chiaro- lo sguardo diretto, con una punta di ironia, la capacità naturale di smontarti in un attimo qualunque balla propinata dalla melassa del politicamente corretto.
Sorrise quando gli confessai che, grazie ai suoi articoli su la Repubblica , avevo imparato a conoscere, nei diversi aspetti, una realtà per me abbastanza lontana ed estranea; estraneità acuita, lo affermo senza alcun problema, dal grande amore che nutro, da sempre, per lo Stato di Israele. Aver incontrato il giornalista in quella circostanza mi parve, perciò, di buon auspicio.
Alcuni mesi dopo fu nominato vicedirettore ad personam del Corriere della Sera.
Nello stesso periodo venni a sapere che era stato condannato a morte dai Fratelli Musulmani perché aveva denunciato con forza il terrorismo suicida, compreso quello che ha come bersaglio i cittadini israeliani. Quel terrorismo “buono” per il quale tanti, che si stracciano le vesti di fronte ai tremila uccisi dell’11 settembre 2001, trovano giustificazioni e scusanti, anche a costo di essere grotteschi in modo macabro.
Era stato quindi costretto a vivere sottoscorta ventiquattrore su ventiquattro, qui nella nostra apparentemente pacifica Italia, della quale, da tempo, è cittadino.
Lessi i suoi réportages con ancor maggiore attenzione. Mi parve che, via via, essi si concentrassero sempre più sulla salvaguardia dei diritti umani, sulla difesa della cultura della vita contro la visione mortifera che il fondamentalismo islamico vorrebbe imporre prima ai musulmani, poi a tutto il mondo. Mi stavo accorgendo, con lui, che, col pretesto del multiculturalismo e di un ipocrita (quanto pretenzioso) pacifismo, in Occidente e, per quanto interessa, nel mio Paese, veniva affermandosi una sorta di disprezzo nei confronti dei valori democratici, dell’uguaglianza e delle libertà di coscienza.
Circa un anno dopo, nell’estate 2004, fu invitato nella mia città, Bologna, dalla locale Associazione Commercianti per presentare il suo Kamikaze made in Europe. Come una sorta di cavallo di Troia, ancor più inquietante dell’originale mitologico, il terrorismo islamista è ormai penetrato nella fortezza occidentale e ne sfrutta la tutela giuridica e le libertà garantite dalla democrazia per attuare il proprio disegno di morte.
Una denuncia, quella dell’Autore, puntuale, circostanziata. La divorai tutta d’un fiato L’Occidente e il mondo libero non hanno alternative: o accettare la sfida lanciata dal terrorismo o finire per capitolare.
Lessi e rilessi le ultime righe con un misto di rabbia reattiva e di terrore..
Mi rendevo conto della posta in gioco. Ne ho sempre compreso l’importanza. Quand’ero molto giovane, ad esempio, e difendevo le ragioni di Israele con i miei amici che giustificavano la pirateria aerea e non fecero una piega quando Olimpia fu brutalizzata dal massacro di 11 -il numero emblematico!- atleti appartenenti al nemico sionista. La loro unica preoccupazione era che al grande (e certo simpatico) nuotatore americano Mark Spitz, la stella di Monaco, non succedesse nulla di male, in quanto ebreo.
Lo compresi ancor meglio allorché, sette anni dopo, un anziano uomo barbuto col turbante, lo sguardo severo, scese la scaletta dell’aereo che lo riportava a Teheran, dopo il dorato esilio parigino, accolto da folle in delirio.
Ero inorridita, lo confesso, soprattutto dall’entusiasmo che Khomeini e la sua “rivoluzione” suscitavano nell’intellighentia “progressista” europea, a cominciare dalle sedicenti femministe nostrane, pronte a scendere in piazza per difendere un preteso diritto di aborto qua da noi, ma che non facevano una piega e non dicevano una parola in difesa delle loro sorelle iraniane, mummificate nei neri chador subito imposti dal profeta venuto direttamente da un fosco medioevo.
Estate 2004, ai Giardini Margherita in mezzo ad un prato adibito a sala per convegni. Un contesto suggestivo, ma anche inquietante. Una certa vigilanza era percepibile; tuttavia, durante il dibattito -condotto in modo magistrale dal direttore del locale quotidiano, Giancarlo Mazzuca, che sapeva porgere con eleganza al relatore proprio le domande che sarebbero salite alla mente e al cuore del cittadino medio- mi chiedevo con apprensione che cosa sarebbe successo se qualcuno, inviato dai nemici della vita, complice il buio, fosse sbucato da un cespuglio, armato di pistola.
Fu proprio la voce sicura di Magdi Allam a darmi fiducia; il tono vibrante con cui spiegava come l’Europa, a causa del suo scarso attaccamento ai propri valori di libertà e democrazia, fosse diventata terreno di reclutamento di terroristi islamici da inviarsi poi in Medio Oriente. Confessò come Bologna avesse per lui un profondo valore affettivo. Un accenno delicato ad un rapporto d’amore che, te ne rendevi subito conto, era una fontana zampillante vita e pace, in un’esistenza contrassegnata dalle asperità dei gravi rischi che correva con la sua testimonianza.
“Cari Mara e Mauro con amicizia” dedicò sulla prima pagina del volume.
Lo salutai e me ne andai con l’animo leggero.
“Il nostro Salman Rushdie” osservò Mauro con ammirazione.
“Sì, ma Magdi Allam è più…più…vicino; più nostro, diciamo; non è l’intellettuale impegnato che non riusciresti mai ad incontrare di persona, a meno di un miracolo!”
Sono passati due anni, da allora. E’ cresciuta la mia ammirazione per questo nostro concittadino, che venuto da un Paese lontano e vicino al tempo stesso, cresciuto in una cultura diversa dalla nostra (sia pure per alcuni aspetti) ha saputo, e sa, interpretare i nostri valori più autentici, la nostra identità nazionale. Ti fa pensare a certi eroi del nostro Risorgimento, armati solo di quelle idee forti (che sembrano oggi in alcuni lentamente svaporarsi) grazie alle quali l’Italia può essere fiera di se stessa. Le idee forti che ti fanno Vincere la paura -altro libro testimonianza!- perché hai saputo buttare dalla finestra la matita che disegnava scenari tranquillizzanti solo in apparenza e profili amici di persone che, in realtà, desiderano solo la tua resa ai loro progetti distruttivi.
Ora ha dedicato all’Italia una lunga e drammatica lettera d’amore (Io amo l’Italia. Ma gli italiani la amano?), mentre si pone la difficile domanda se chi è nato in questo Paese lo ami davvero.
Ho in mano il libro che racchiude la dichiarazione amorosa; non l’ho ancora letto perché aspetto la sua presentazione stasera.
Ai Giardini, come due anni fa, con apprensione, ma anche con tanto affetto e gratitudine.
Bologna, 11 luglio 2006”