Sellerio Editore Palermo (Prima edizione, 1990; Quarta edizione accresciuta, 2007), pp. 133
 
 
La casa dove Giuliano abitava, al secondo piano, in Via Garibaldi n. 7, di fronte all’attuale sede del Tribunale bolognese, porta il nome di “Casa S. Angelo”. È un palazzo neogotico ben ristrutturato, pur con note di pretenziosità date dalle vistose targhe in ottone di alcuni dei numerosi professionisti (per lo più avvocati) che lì hanno posto il loro studio, abbinate ad angoli di massificata trascuratezza dovuta ai “motorini” -presenza deturpante, invasiva (e pare inevitabile) nella nostra Bologna, che poco si ama- parcheggiati come capita nei diversi lati del cortile interno pavimentato in cotto, che stonano con le leggiadre volte a crociera dipinte a motivi di fiori e frutta e il suggestivo bassorilievo, posto su un’arcata cieca al piano nobile, raffigurante l’Arcangelo Michele (con Castel S. Angelo sullo sfondo) e la targa che informa: “Mario Santangelo restaurò nell’anno 1932. Arch. Ing. Luigi Veronesi”.
Nella tranquillità di queste giornate di agosto, mi sono recata più volte a Casa S. Angelo e ho immaginato insieme Giuliano e Francesco ragazzi che ascoltano la Quinta diretta da Toscanini, con un sentimento misto di gusto del proibito e della gioia dello stare insieme nella crescente consapevolezza che è giunto il momento di prendere le gravi decisioni che il tempo duro comporta. Non fu facile il travaglio spirituale e politico dei due amici, uniti da quel legame irripetibile che si crea tra le persone negli anni dell’adolescenza; non era facile, nel conformismo generale, trovare la via giusta da seguire. Ragionavano di apparenti contraddizioni, illuminati dalle poche preziose stelle che rischiaravano il cammino verso la formazione di un’identità civile: il Professor Evangelista Valli, che narrava di Socrate e delle leggi della città da rispettare, e il giovane docente di greco, che aveva rivelato la bellezza del gesto di Antigone, la quale, per serbarsi fedele alle leggi non scritte degli dei, si era ribellata alle norme ingiuste di Creonte, il tiranno. Fu Giuliano, fin dal 1942, e, a maggior ragione, dopo l’8 settembre 1943, a far da battistrada. Ho pure immaginato Francesco, alcuni anni dopo, in quella tarda mattinata di luglio, sulle scale della casa di Via Garibaldi, mentre Alfredo, il fratello di Giuliano, porta la notizia terribile: Giuliano è stato fucilato.
“Amico della mia giovinezza, ritorno a te con grande riconoscenza più di una sera”. Questa è la traduzione, più o meno esatta, della parole di Hermann Hesse che Francesco pone all’inizio del suo libro/testimonianza. Un libro breve, ma prezioso, intensissimo, da riporre, una volta terminato, senza allontanarlo troppo, però!, per consentirgli poi di parlarti senza che tu te ne accorga, per dargli modo di cercarti discreto e interrogarti. Francesco è Francesco Berti Arnoaldi, illustre avvocato e uomo di cultura bolognese; un bel signore, di alto sentire, la parlata fluente, evocativa. Giuliano è Giuliano Benassi, nato a Carpi (MO) nel 1924 -maggiore di due anni di Francesco-, compagno di scuola (il Ginnasio Liceo Luigi Galvani, a due passi da casa mia, frequentato da tante persone a me care), amico inseparabile, fervente cattolico, partigiano della prima ora nelle formazioni di “Giustizia e Libertà”, arrestato, torturato, deportato in Germania e, infine, ucciso a seguito di un tentativo di fuga non riuscito il 27 aprile 1945 (assurdità della storia). La morte dell’amico è, per Francesco, realtà impossibile da accettare; Giuliano gli ritorna alla mente spesso, appagando solo per poco, e in modo fallace, il vuoto della sua assenza. Dopo 44 anni, in un atto della memoria che vuol tener testa ai due nemici di cui ci parlava Primo Levi nell’ultimo periodo della sua vita -l’imprecisione e la vergogna del ricordare e quella zona grigia in cui il tempo comincia a diradare i ricordi diretti-, alla luce della testimonianza rilasciata nel 1947 da Ugo Bigardi, che aveva condiviso con Giuliano tutto il periodo di detenzione, fino all’ultimo istante, Francesco intraprende da solo il viaggio della deportazione dell’amico: da Bolzano a Flossenburg, poi a Porschdorf, dove questi lavorò in una cava di pietra, infine a Oelsen, in Sassonia a sud di Pirna, dove sarà assassinato. Luoghi suggestivi, che non penseresti teatro di tragedie…D’altronde, Wannsee, sulle rive dell’Havel con i suoi boschi e le imbarcazioni da diporto, non è forse un piccolo paradiso?
“Tu immagina quanto gli sia costato quel viaggio….” osserva Giliana Brugni Binni, col franco accento romagnolo, che è stata, in anni lontani, giovane collega di studio di Francesco, da lei considerato un maestro professionale e di vita.“Anche mettere per iscritto la sua esperienza non è stato indolore, sai”. Lo immagino, certo, Giliana, ma ci ha fatto un regalo impagabile, impreziosito dalle riflessioni finali di Alessandro Galante Garrone e da una serie di componimenti poetici di Francesco, risalenti ad anni diversi, Le nove cantatine partigiane, tra le quali, di straziante bellezza, è Il Repubblichino, in dialetto. L’Autore aveva compreso e fatta sua la grandezza morale dell’amico, la fede religiosa vissuta come “raccoglimento interiore che si conclude nell’azione”, l’ottimismo e lo spirito ironico, anche nei momenti più bui, che traspare dalla lettere scritte al fratello. La fede cristiana, nutrita da prove difficili, conservata fino all’ultimo. Proprio per rispetto a questa fede, il laico rispettoso Francesco desidera che il giorno del suo arrivo nel luogo che ha visto il sacrificio di Giuliano, sia officiata una Messa nella Basilica di S. Domenico, proprio di fronte alla casa di Via Garibaldi. Incarica della celebrazione un altro amico, Padre Michele Casali -scomparso alcuni anni fa, che ho conosciuto molto bene: personaggio di notevole importanza nella vita culturale di Bologna, città per tanti aspetti “modaiola”, che da troppo tempo vive di rendita, ripiegata su se stessa-. Padre Michele è in partenza per un pellegrinaggio nella natìa Spagna: dirà la Messa per Giuliano, del quale ha letto con emozione i versi dal carcere, nella cattedrale di Burgos. Arcana comunicazione, scrive Francesco, tra Bologna, la luttuosa Sassonia e Burgos.
“Vedi” conclude Giliana” il sottotitolo non è ‘Vita e Morte di Giuliano Benassi’, ma ‘Morte e Vita’. Francesco ha percorso le tracce di Giuliano, è riuscito a trovare perfino i resti della baracca in cui egli ha vissuto negli ultimi giorni…..lo ha ritrovato per restituirlo non solo a sé, ma a tutti noi. Capisci?”
Nell’autunno del 2005 il Comune di Bologna ha intitolato a Giuliano Benassi lo spazio antistante l’ex Chiesa di S. Lucia (utilizzata, tra l’altro, come Aula Magna dall’Università), la celebre “Piazzetta”, ove hanno giocato a pallone generazioni di ragazzi, proprio a fianco del Liceo-Ginnasio
Luigi Galvani