Nell’ambito delle celebrazioni del 27 Gennaio ha aperto stamani i battenti, presso il Museo Ebraico di Bologna, la Mostra contenente le immagini scattate dall’illustre fotografo americano Norman H. Gersham: BESA, UN CODICE D’ONORE. GLI ALBANESI MUSULMANI CHE SALVARONO GLI EBREI DALLA SHOAH.
Finalità dell’evento è di far conoscere una storia, in gran parte fino ad oggi sconosciuta: l’opera di salvataggio svolta da un folto numero di cittadini albanesi (oltre una sessantina, in maggioranza di religione musulmana) che, negli anni tremendi della Seconda Guerra Mondiale, con grave rischio personale, protessero in tutti i modi -nascondendoli e/o fornendo loro documenti falsi- non solo gli Ebrei albanesi (circa 200), presenti in quei luoghi dall’epoca dell’imperatore romano Tito, ma anche i tanti (circa 2000 persone) in fuga da Paesi quali la Germania (vi fu pure, tra costoro, il cittadino “albanese per un giorno” Albert Einstein, che approderà negli Stati Uniti), l’Austria, la Jugoslavia, la Bulgaria, la Polonia, la Turchia, la Grecia, l’Ungheria, la Romania.
L’Albania fu l’unico Paese europeo a dar rifugio ed aiuto agli Ebrei esuli da Stati (un tempo culla del diritto!) nei quali erano vigenti legislazioni antisemite ed attuate pulizie etniche; e va sottolineato che, dopo l’occupazione tedesca del 1943, il governo colà insediato non emanò disposizioni antiebraiche (anche per l’impossibilità di dar vita ad una legislazione su base “razziale”, attesa la varietà di etnie propria di tale Paese), non istituì campi di raccolta e di concentramento e si rifiutò di consegnare ai nazisti le liste con i nomi degli Ebrei.
L’esempio del popolo “delle aquile” trova la sua radice in un antico codice di comportamento: BESA, termine corrispondente ai nostri “Giuramento” o “Promessa”. Si tratta di una promessa morale fondata su un alto senso dell’onore e della giustizia; un concetto che si collega all’antico codice albanese della virtù, che impegna ciascuno a portare aiuto a chiunque si trovi in situazioni di difficoltà, senza tener conto della religione, dell’etnia, dello stato sociale o altro; un codice di comportamento, trasmesso oralmente, di generazione in generazione, chiamato Kanun, un insieme di norme istituzionalizzate, nel 1400, dal principe Leke Dukagjini, compagno di lotta del celebre Giorgio Kastrioti Skanderberg.
La vicenda, rimasta nascosta nel lungo periodo del totalitarismo comunista, è venuta lentamente alla luce nel corso del tempo.
Presso il Museo dell’Olocausto di Washington sono elencati i nomi dei 2264 ebrei salvati, mentre lo Yad Vashem di Gerusalemme ci fa conoscere quelli dei 63 albanesi dichiarati “Giusti tra le Nazioni”
Il grande fotografo statunitense Norman Gershman, ebreo, in un lavoro durato cinque anni, ha percorso l’Albania per immortalare intere famiglie musulmane che salvarono gli Ebrei, ritraendo per lo più i discendenti che hanno raccontato le emozionanti vicende di casa.
Sostiamo davanti ai numerosi pannelli che compongono l’esposizione. Quegli intensi ritratti in bianco e nero ci parlano di un mondo contadino e montanaro forte, fiero della propria dignità, di donne e uomini che non si sono sentiti eroi per aver compiuto rischiosi gesti di aiuto, dettati da valori improntati alla solidarietà senza barriere.
Tra le tante leggiamo la testimonianza di Hamdi Meçe sui nonni Sulejman e Zepe Meçe (Dichiarati Giusti nel 1992): “…Mio nonno era una sorta di Madre Teresa [anch’ella albanese, ricordiamo]. Siamo veri musulmani. Il Signore ha concesso alla mia famiglia il privilegio di salvare degli Ebrei. La vita in qualunque forma si presenti è un dono di D-o. I miei nonni e mio zio salvarono gli Ebrei nella piena consapevolezza del gesto e senza timori”.
 
La Mostra, approdata dapprima in Israele, successivamente negli U.S.A., indi a Bologna, qui patrocinata dalle istituzioni locali (Comune, Provincia, Regione, Comunità Ebraica) e dall’Ambasciata di Israele a Roma, è stata inaugurata alla presenza di numerose Autorità -tra cui due rappresentanti del governo albanese: complimenti per l’ottimo italiano!- e di un folto, interessatissimo pubblico.
La si può visitare fino al 28 marzo.
 
Etichetta: