(Titolo originale La nuit en wagon)

Trad. Antonio Castronuovo, Ed. Via del Vento, Collana Ocra gialla, Pistoia, Settembre 2008, pp. 35
“…in ogni piccola stazione, nella pallida luce azzurra, si scorgeva un soldato che abbracciava una donna, prima di montare in carrozza”. “Ventiquattro ore, bisbigliò Marta”.
All’inizio di gennaio ho ricevuto un graditissimo dono: Antonio Castronuovo -saggista, critico letterario e curatore delle opere edite dalla piccola, ma prestigiosa, Casa Editrice Via del Vento, il quale aveva apprezzato il commento da me scritto a Jour d’été di Irène Némirovsky, uscito in luglio con la stessa-, mi ha inviato due preziose “gemme”: la prima è la storia, scritta dallo stesso Castronuovo, di Angelo Fortunato Formiggini; la seconda un altro breve racconto di Irène Némirovsky, pubblicato, sempre da Via del Vento, nel settembre 2008: Notte in treno. Mi soffermo su quest’ultima, mentre prometto di riservare l’attenzione per la tragica vicenda dell’editore modenese ad un futuro prossimo.
Come spiega lo stesso Castronuovo nella postfazione, sempre chiara e puntuale, Nuit en wagon, da lui tradotta, apparve il 5 ottobre 1939 sul settimanale parigino Gringoire, prima opera scritta da Irène allo scoppio delle ostilità: i drammatici fatti accaduti nel settembre di quell’anno le avevano infatti fornito l’ispirazione per questo racconto, nel quale ella stessa è uno dei personaggi.
La collaborazione con Gringoire, periodico politico-letterario di destra che non nascondeva le proprie antipatie per “ebrei e comunisti” (ma contributi della nostra scrittrice sono apparsi pure sul socialista Le Matin e sul comunista Le Peuple) è stata all’origine di violenti attacchi nei suoi confronti, anche in epoca recente, parzialmente sventati dalla figlia, Dénise Epstein (ritratta alla fine del libretto, sorridente a due anni, tra le braccia della mamma ). Non mi intratterrò su tale aspetto dell’esperienza della Némirovsky, la cui vita peraltro si è snodata in un contesto tanto difficile da far apparire ogni giudizio a priori superficiale ed inadeguato, ma mi limito ad alcuni pensieri sulle tante sensazioni e i tanti temi ispirati da una narrazione anche solo di poche pagine.
Nel presente testo ci troviamo su un treno, partito dalle località balneari del Golfo di Biscaglia e diretto a Parigi. E’ una notte di settembre del 1939, la “prima notte di guerra”.
L’universo è un mondo piccolo ed infinito, con il suo carico di sentimenti, gioie, speranze e dolori…
Gli animi di tutti sono divisi tra la calma apparente e una profonda, comprensibile, preoccupazione.
Si cerca la compagnia e la confidenza del vicino, come non si sarebbe fatto mai in una situazione ordinaria; la solidarietà, la condivisione di pensieri e cibarie nasce spontanea. C’è chi parla delle proprie occupazioni quotidiane e racconta di questo e quel progetto, salvo interrompersi di colpo, memore che nulla sarà più come prima. Nessuno pensa di mettere in guardia -tra sé e sé- l’altro con il messaggio, implicito nei toni, ma chiaro negli sguardi: “Inutile tentare di fare la mia conoscenza”.
Ognuno pare essere colto dall’obiettivo del destino e bloccato in quel preciso istante.
Che cosa stavi facendo nel momento in cui…..?
La descrizione d’ambiente è data da pennellate brevi, sicure, efficaci; anche i viaggiatori, dopo qualche ora, sembrano essere divenuti, per così dire, essenziali “…nessuno aveva più voglia di giudicare il vicino…Sembravano davvero comprensivi di tutto”. Ad ogni stazione salgono nuove persone: un’umanità che si arricchisce e si rinnova. “Avevano perso il gusto di tormentarsi, di schernirsi…Le loro stesse figure parevano cambiate…”
La narrazione sembra, all’inizio, in terza persona; ma ecco che, di colpo, la scrittrice entra in scena: “Uscii nel corridoio….” La presenza di Irène ci avvicina ancor di più ai nostri compagni di viaggio.
I piccoli squarci di luce lasciano intravvedere tenere scenette. “Che dignità in quegli addii..!”
Il centro della storia è una ragazza, Marta; dalla bellezza non ricercata, conosciuta, in una località marina, dall’Autrice, alla quale è altresì nota la famiglia di provenienza: genitori ben in carne e ingombranti, non solo fisicamente, specie la madre (c’è un evidente riferimento autobiografico). La giovane non porta bagaglio con sé, solo una piccola sacca da spiaggia, bianca con figure rosse. Confida a Irène le proprie vicende d’amore e il difficile rapporto con il padre e la madre; la loro perenne ansietà nei suoi confronti, anzitutto. Essi, se, da una parte, dichiarano di amarla, dall’altra, frenano qualsiasi iniziativa di lei; a cominciare dalla possibilità di un eventuale matrimonio; un giovanotto della quale ella si era innamorata qualche tempo addietro, lo avevano letteralmente fatto fuggire.
Ma, trascorsi diversi mesi, le perviene da lui una lettera. Marta d’impeto scappa di casa, verso il suo amore, per accaparrarsi la tanto bramata “piccola parte di” gioia, proprio in un frangente storico caratterizzato dall’incertezza, dall’imprevedibilità, dalla paura di una guerra incombente.
Solo ventiquattro ore, tutte per loro, senza pensare alle conseguenze, al domani; ventiquattro ore che potrebbero essere quelle decisive in tutta la vita che ci resta. Bellissimo e struggente.
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