Ed. Giuffrè Collana Diritto e Rovescio, Nuova Serie, 2009, pp. 148
 
“Viene così l’occasione per dire che le leggi della Rivoluzione erano, di norma, molto ben scritte, soprattutto perché chiare ed esaustive, e pertanto di facilissimo uso. Era…la consapevolezza del legislatore di star innovando radicalmente un intero sistema giuridico…”
 
Nella presentazione di questo sito web scrivo: “Troverete pure, a sorpresa, commenti su tematiche lontane, magari solo in apparenza, da quelle abitualmente trattate: per vivacizzare il percorso e stimolare la riflessione”.
Il presente volume giunge a proposito. L’Autore, Pier Furio Zelaschi, è un avvocato civilista bolognese, che si occupa anche di diritto di famiglia, un ambito nel quale le trasformazioni sociali e culturali sono particolarmente evidenti. Egli è pure un appassionato di storia, in particolare dell’età napoleonica; anzi definisce le proprie letture in materia una sorta di “secondo lavoro” -e nessuno più della sottoscritta comprende che solo la passione può darti la forza di metterti a tavolino, magari dopo una giornata di intenso impegno professionale, per corteggiare, leggere, studiare ciò che ti sta tanto a cuore; indi scriverne, il momento più rilevante-. Il cognome Zelaschi, poi, direi che tradisce ascendenze polacche; inoltre la predilezione, da parte del titolare, per il collezionismo di oggetti storici e sembianze vagamente ottocentesche (beninteso nel significato più simpatico del termine), rendono il personaggio quanto mai interessante.
Questa sua opera, dall’evocativo titolo, tratta di un aspetto della Rivoluzione Francese -e della successiva epoca napoleonica- non conosciuto come merita, ma tra i più innovativi e carico di conseguenze per il nostro mondo occidentale: il rinnovamento radicale del diritto privato operato con la creazione dello Stato civile -tramite la Legge 20 settembre 1792, lo stesso giorno della leggendaria vittoria a Valmy delle armate rivoluzionarie sugli eserciti delle potenze europee e dei monarchici francesi- e l’affermazione della natura contrattuale del matrimonio.
Con la nuova legislazione, espressa in un linguaggio chiaro ed esaustivo -all’insegna del principio di Uguaglianza, fondante il nuovo “Ordine”, mentre, come Zelaschi afferma in modo perspicuo, nell’Ancien Régime l’Ordine era costituito dalla Disugliaglianza-, si perfeziona quella “laicizzazione della società” iniziata diverso tempo prima (pensiamo, tra l’altro, alle celebri polemiche gianseniste o alla questione delle sepolture effettuate in cimiteri recintati, anziché all’interno delle chiese): con la costituzione dello “Stato civile” -i cui atti, d’ora in poi, sono ricevuti e conservati dai Comuni- un’importante materia viene sottratta alla Chiesa; fino ad allora, infatti, erano le parrocchie a tenere i registri dei nuovi nati, anzi dei battezzati.
Alla sez. V del titolo IV della Legge viene introdotto, in un separato decreto, il divorzio. Si afferma una (ri) definizione laica del concetto di matrimonio, una concezione di tipo contrattuale, come di unione fondata sul reciproco consenso. Quando quest’ultimo viene a mancare, sia pure da una parte sola, il vincolo non ha più ragion d’essere, in nome del prioritario diritto alla libertà del singolo.
Il nostro è un saggio non solo di diritto, ma anche, e soprattutto di storia, dunque apprezzabile in pieno anche da chi, come la sottoscritta, ha una formazione politico-sociale prima che giuridica; esso contiene infatti un’acuta analisi dei rapporti tra società e diritto vigente tramite il racconto degli aspetti quotidiani di un’epoca e dei suoi protagonisti.
Attraverso la nascita dell’istituto del divorzio, è ripercorsa la “grande storia” di importanti riforme, poi mantenute dal Code Napoléon del 1804 (che pure restaurò in senso conservatore), utilizzando la tecnica della c.d. “microstoria”, cioè il racconto degli aspetti quotidiani della vita, alcuni non conosciuti dal grande pubblico come meriterebbero.
Vi si leggono le vicende di personaggi pittoreschi e rilevanti, come, ad esempio, il Gen. Fournier, con le sue funamboliche avventure, legate alle vicissitudini della Francia rivoluzionaria, o il barone Dominique Larrey, chirurgo capo della Guardia Imperiale napoleonica, inventore delle “ambulanze volanti”, la cui importanza, pur nel mutare dei contesti, è ben evidente ancora oggi, nei teatri di guerra e non solo.
L’Autore dà conto di quanto i pensatori della Rivoluzione Francese facessero riferimento ai principi della Polis greca e di Roma repubblicana, con tutte le inevitabili problematiche annesse: come giustificare, ad esempio, la schiavitù, istituto praticato nell’antichità, ma anche, in quel momento, nelle colonie francesi, alla luce dell’Égalité? Il periodo fu, con le sue contraddizioni e i suoi travagli, un importante laboratorio, dal quale nacquero i principi liberali alla base dei movimenti nazionali ottocenteschi (incluso, non dimentichiamo, il movimento nazionalista ebraico fondato da Theodor Herzl) e del moderno mondo occidentale.
Il Code, successivamente adottato da Napoleone dopo alcuni anni di intensa elaborazione cui parteciparono i più illustri giuristi dell’epoca, dette forma sistematica alle innovazioni rivoluzionarie, abolendo qualunque residuato di diritto consuetudinario, sgomberando il campo dal diritto canonico (che regolava il diritto matrimoniale) e affermando la piena laicità dello Stato e della cosa pubblica, operando un più diretto riferimento al diritto romano. Attraverso una disamina interessantissima di rilevanti eventi, pensiamo al Concordato sottoscritto tra Francia e S. Sede nel luglio 1801, dei singoli istituti giuridici nella loro evoluzione -in primo luogo del divorzio, che sopravvive pure in un contesto di restaurazione, o rivincita che dir si voglia, della famiglia patriarcale tradizionale, espressione di quella classe di “notabili” emersa nell’epoca postrivoluzionaria, arricchitasi grazie alla nascente industrializzazione e…alla confisca dei beni ecclesiatici- e del Codice nel suo complesso, Zelaschi ci accompagna attraverso i mutamenti avvenuti, a seguito della proclamazione dell’Impero, rispetto alla, per così dire, “purezza rivoluzionaria”.
Napoleone fu il Salvatore o…. il Becchino della Rivoluzione? Domanda cui non è facile fornire una risposta. Tuttavia va rilevato che fu proprio il profondissimo mutamento culturale operato dopo il 1789 a far sì che, nonostante l’affermarsi una realtà orientata in senso conservatore, come detto con la proclamazione dell’Impero e la promulgazione del Code, i principi affermatisi con la Rivoluzione restassero ugualmente saldi.
Il linguaggio è sempre spiritoso e vivace, in primo luogo quando l’argomento sono Napoleone Bonaparte e magari le sue celebri vicissitudini matrimoniali: lo sapevate che i militari adoravano Joséphine e furono assai contrariati dal divorzio (un autentico ripudio!) perché convinti che ella avesse portato fortuna non solo al marito, ma anche a loro?
Contrariamente a quanto accade per lo più, sono godibilissime le parti del testo scritte a caratteri più piccoli. Impagabile, tra gli altri, il ritratto di certa Olympe de Gouges, vissuta in epoca rivoluzionaria: la sua parabola da femme galante a femme de lettres, una sorta diproto-femminista, si concluse purtroppo sulla ghigliottina. Rivoluzionari sì, ma nell’animo conservatori. Le donne dovevano compiere ancora molta strada; d’altronde, la Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino le ignora.
Notevoli le annotazioni sociologiche su matrimonio, separazione (ha ragion d’essere, sempre e comunque, questo passaggio obbligato, si chiede giustamente l’A.?) divorzio, famiglia, città e campagna, condizioni economiche e sociali.
Senza trascurare, in chiusura, importanti riflessioni sul rapporto di contrapposizione tra Islam e Occidente e l’esigenza (sentita soprattutto da parte occidentale, ma anche dalle personalità più sensibili del mondo musulmano) che tale confronto non si radicalizzi. La risposta, certo, non può essere, da parte dello Stato, che la più assoluta e totale laicità; termine che mi permetto di preferire a “laicismo”, di sapore vagamente…fondamentalista. Laicità che significa difesa di quel sistema di valori, fatti propri dall’Illuminismo, ma che hanno origine assai più lontana e variegata nel tempo, dei quali spesso, in nome del politicamente -o magari islamicamente- corretto, vasta parte della cultura europea sembra, ormai da troppi anni e assai prima del “terrificante biglietto da visita delle Twin Towers”, vergognarsi, preferendo nascondersi dietro il comodo e redditizio paravento del multiculturalismo, bon à tout faire.
Valori da mantenere alti l’Uguaglianza tra le persone; lo Stato di diritto; la Libertà di coscienza; la Parità sessuale.
A quest’ultimo proposito è peraltro fuorviante, a mio avviso, mettere sullo stesso piano, come prevede l’odierna legislazione francese, veri simboli religiosi, quali ad es. il crocifisso o il copricapo ebraico (kippah), con il velo islamico (nelle diverse versioni), che nulla ha di religioso, -come sostengono pure autorevoli voci del mondo musulmano; tra l’altro, esso non è previsto dal Corano-, ma è espressione, per così dire politico/antropologica, della condizione di sudditanza della donna rispetto all’uomo.
Difendere i Lumi -oltre che “Leggere Lolita”- a Teheran, come suggerisce da ultimo Bernard-Henry Lévy è una battaglia oggi, più che buona, indispensabile.
 
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