In occasione di Arte Libro 2007, l’importante rassegna sul Libro d’Arte in corso in questi giorni a Bologna nei luoghi più suggestivi della città, il locale Museo Ebraico ospita una conferenza dell’artista Tobia Ravà. L’incontro ha inteso essere una sorta di momento esplicativo e colloquiale della mostra personale dell’artista (dal titolo Pagine trascendentali), che, inaugurata presso il Museo stesso il 2 settembre per l’VIII Giornata Europea della Cultura Ebraica, sarà aperta fino al 4 novembre 2007.
Tobia Ravà, nato a Padova nel 1959 da una famiglia ebraica, lavora a Venezia; ha frequentato la Scuola Internazionale di Grafica di Venezia ed Urbino. Dopo un primo periodo di studi economico/aziendali presso l’Università di Venezia, si è laureato in Semiologia delle arti all’Università di Bologna, ed è stato allievo di Umberto Eco (il quale, per primo, lo invitò a studiare la kabbalah), Renato Barilli e Omar Calabrese. Dipinge fin dal 1971 (ha iniziato il suo percorso artistico come grafico ed incisore) ed ha esposto dal 1977 in mostre personali e collettive in Italia e all’estero. È presente in collezioni sia private che pubbliche, in Europa, Stati Uniti, America Latina, e in Estremo Oriente. Nel 1983 è tra i fondatori del gruppo bolognese AlcArte, attivo all’Università di Bologna (DAMS), con l’intento di coniugare il “fare arte” all’epistemologia. Dal 1988 si occupa di iconografia ebraica e ha svolto con Gadi Luzzatto Voghera e Paolo Navarro Dina un lavoro di ricerca e schedatura nell’ambito dell’epigrafia ebraica nel Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige.
Nel 1998 è tra i soci fondatori di Concerto d’Arte Contemporanea, associazione culturale che si propone di riunire artisti con le stesse affinità per riqualificare l’uomo ponendolo in sintonia con l’ambiente e rendere l’arte contemporanea conscia dei suoi rapporti con la storia e la storia dell’arte, anche interagendo espositivamente con parchi, ville, edifici storici e piazze di città d’arte. Dal 1999 ha avviato un ciclo di conferenze, invitato da università e istituti superiori d’arte, sulla sua attività nel contesto della cultura ebraica, della logica matematica e dell’arte contemporanea.
Fondamentale, nella formazione dell’artista, è stata la presenza dei genitori. “Di mio padre, ingegnere edile, ho ripreso la vocazione” sottolinea Tobia “poiché, in qualche modo, sono anch’io ingegnere edile, perché costruisco, ‘pittoricamente’ architetture; egli , poi, era grande cultore della storia, del cinema, della geografia e di tutto ciò che aveva a che fare con il volo e l’aeronautica militare”. Dalla mamma, tedesca di nascita, egli impara l’amore per la letteratura. Genitori entrambi ebrei, come detto, di formazione laica, ma non meno di altri legati alla cultura, alla vita e alle tradizioni del loro popolo. Fieri della loro appartenenza, segnati dallo strazio della Shoah; la madre ebbe tutti e quattro i nonni morti in campo di concentramento e passò il periodo di guerra nascosta ai piedi del Monte Grappa, la famiglia del padre si è salvò nascondendosi a Fermo, nelle Marche.
A far tempo dal 1998, dopo aver sperimentato molti percorsi creativi inerenti al rapporto arte e scienza, Tobia Ravà ha avviato una ricerca legata alle correnti mistiche dell’ebraismo: dalla kabbalah al chassidismo, proponendo un nuovo approccio simbolico attraverso le infinite possibilità combinatorie dei numeri. La logica letterale e matematica, che sottende le sue opere, è intesa come codice genetico e raccoglie elementi sia filosofici sia linguistici che vanno a costituire una sorta di magma pittorico fatto di lettere e numeri, che si cristallizzano sulla superficie “grandangolata” di vedute di canali, boschi, pareti, portici, luoghi biblici (l’albero della vita), animali. Le opere più recenti riportano elementi base della cultura ebraica e si sviluppano attraverso sequenze numeriche riferite ad un linguaggio cosmologico universale, poiché attraverso i concetti base della kabbalah (“tradizione” e anche “ricezione”: indica la tradizione mistica del pensiero ebraico, ricca di cinquemila volumi, risalente all’epoca antica e a tutt’oggi oggetto di studio), si può arrivare ad un percorso etico-filosofico, legato al pensiero di Itzachq Luria, il grande filosofo ebreo medievale. Se gli artisti rinascimentali cercavano la bellezza ideale nelle geometrie attraverso i rapporti numerici per raggiungere equilibrio ed armonia, misura e ordine, Tobia Ravà sviluppa un percorso simbolico, costruito su diversi piani di lettura, attraverso la ghematrià, criterio di permutazione delle lettere in numeri in uso fin dall’antichità nell’alfabeto ebraico, secondo cui ad ogni lettera corrisponde un numero, così ogni successione alfabetica può considerarsi una somma aritmetica. L’artista ricrea i luoghi del reale servendosi di un linguaggio codificato riferito ai numeri relativi alla traslitterazione ghematrica delle 22 lettere che compongono l’alfabeto ebraico, che hanno appunto un significato etico, spirituale e numerologico, metafora di una disgregazione attraverso le scintille di un Big Bang ancestrale.
E sono proprio i tre tre momenti della kabbalah luriana che Ravà ha trasportato nelle sue opere. Vediamoli. Anzitutto il tzimtzum: è il momento in cui D-o crea l’universo e si rapprende esternamente, creando un vuoto atto ad ospitare la nuova creazione, che è parte di sé ma altro da sé.
Il secondo momento, la shevirah, è rappresentato dalla rottura dei vasi della conoscenza: la conoscenza non è più contenibile e le particelle riempiono il mondo intero (Adamo ed Eva raccolgono il rutto della conoscenza ed essa, diciamo, deflagra). Sia il tzimtzum che la shevirah si prestano ad un sviluppo ed ad una rappresentazione grafico-pittorica in quanto -come insegna anche Pitagora- ogni cosa del modo, ogni elemento è riducibile ad un numero e -secondo la ghematrià- ogni lettera ebraica ha un valore numerico ed ogni parola è la somma dei valori numerici delle lettere che la compongono. Il mondo è costruito con la parola ed interesse dell’artista è decostruirlo analizzandolo attraverso il numero corrispondente.
Il tikkun è il terzo momento della cosmogenesi luriana, un momento a venire. Rappresenta l’epoca messianica, nella quale non avremo più guerre ed il lupo e l’agnello pascoleranno assieme. Per arrivare a ciò l’uomo diventa “socio di Dio”, al fine di portare a compimento la creazione. Cercando di riqualificare se stesso, l’uomo innalza il mondo intero ad un livello superiore, atto a riacquisire la possibilità a cogliere le scintille. I boschetti, presenti nelle opere del nostro artista, sono sempre ricavati da immagini di boschi piantumati dall’uomo, in cui gli alberi sono posti ad uguale distanza l’uno dall’altro e l’atto della piantumazione è simbolico del tikkun. Si ricavano così delle lunghe fughe prospettiche, che generano dei percorsi.
In Tobia è forte il senso di recupero della storia e del passato, così come l’attenzione alla bellezza e al rispetto della natura; egli afferma che il suo rapporto con la natura è di tipo panteista in quegli stessi termini che il grande Baruch Spinoza può aver forse tratto proprio dalla kabbalah: l’equivalenza tra Dio e Natura. Concezione tutta medievale (in ambito cristiano anche la dottrina di Meister Eckart rieccheggia questi temi).
Riflettiamo su ciò: la parola “Natura” -ha tevah- ha lo stesso valore ghematrico , 86, di Eloim, uno dei nomi di D-o, quindi Spinoza non era certo un eretico per aver “inventato” il panteismo, ma era all’interno di una tradizione ebraica mistica e da questa probabilmente aveva tratto il suo pensiero. Inoltre per Newton la matematica regola ogni cosa della natura. Per quanto riguarda la musica per esempio Luigi Nono diceva di aver capito Schömberg dopo aver letto lo Sèfer Yatzirà, Libro della creazione, uno dei testi base della kabbalah; e la deduzione logica ghematrica è evidente nel rapporto tra valore numerico e quello delle note.
Ancora prima di Newton, all’inizio del XIII secolo, Leonardo Fibonacci scoprì che vi è una progressione numerica nei fenomeni naturali: nella disposizione e crescita delle foglie sugli alberi, nella distribuzione a spirale dei “flosculi” delle margherite e dei semi di girasole, nelle pigne e negli ananassi e in molte piante le cui foglie crescono a spirale. Il rapporto tra una spira del nautilus e quella successiva è uguale al rapporto tra due numeri successivi di Fibonacci, che è 1,618, il famoso “Phi” (pi greco, di buona memoria). Non solo le piante, ma anche gli animali e gli uomini hanno misure che rispettano esattamente questo rapporto, come i segmenti di alcuni insetti. In un alveare il rapporto tra femmine e maschi è uguale a “Phi”, così tra i conigli, ma anche nel corpo umano. Leonardo da Vinci fu il primo a scoprire che le ossa del corpo umano hanno tra loro il medesimo rapporto che corrisponde alla proporzione aurea, come mostrò nell’Uomo vitruviano.
Il rapporto tra due numeri di Fibonacci successivi tende al rapporto aureo o sezione aurea ed è stato assunto fin dall’antichità come canone di perfezione classica: il rettangolo i cui lati stanno nel rapporto aureo (1,16 ca) inquadra perfettamente il Partenone, ma queste proporzioni si ritrovano anche nelle piramidi egizie e nei contemporanei di Leonardo, come Michelangelo, Dürer, così come in Mondrian, e in architetture recenti, quale il palazzo delle Nazioni Unite a New York.
La sequenza di Fibonacci è abbondantemente rappresentata anche in musica, ad esempio nelle “fughe” di Johann Sebastian Bach, o nelle sonate di Mozart; ma l’esempio più elevato di applicazione su vasta scala degli stilemi improntati alla proporzione aurea è dato dalla Sagra della Primavera di Strawinski.
La ricerca di Tobia Ravà si attua in alcuni lavori ricostruendo le immagini con uno specifico percorso ghematrico di volta in volta diverso. In ogni numero della serie, in ogni oggetto egli cerca di ricostruire una parola od un concetto presente nel testo biblico o comunque nella mistica ebraica. Pensiamo, ad esempio, all’analogia tra Shaddài, che vuol dire “onnipotente” e p “Pi greco”: “schin” vale 300, dàlet 4, jòd 10, la somma ci dà 314, lo Shaddài, nella tradizione ebraica è un oggetto apotropaico, che viene messo in cima alle culle dei neonati, al fine di portare protezione in una zona circolare sottostante. Questo numero coincide con il valore del “Pi greco”, attraverso cui si calcola la circonferenza (314). Un altro esempio molto noto è dato dalla somma dei valori ghematrici di padre e madre: padre si dice Av ed ha valore 3, madre si dice Am ed ha valor 41 e la loro somma dà 44, che è il valore di Yeled, che significa bambino.
Alla domanda: che cosa siano, in definitiva, le sue opere, l’artista risponde: “Forse sono delle macchine; cerco di individuare delle formule che ci mettano a contatto con un livello più alto, forse con un’entità superiore. Con i miei putzle cerco di togliere le ‘qelipòt’, le scorze delle scintille, che ci danno solo la realtà apparente”.