Ed. Giuntina, 2010, pp. 70   €. 6
 
“Tre pazzi alla visita medica. Il primo: ‘Passo prima io perché sono Einstein, il fondatore della teoria della relatività’. Il secondo: ‘Eh no, passo prima io perché sono Mosè, il profeta a cui Dio ha dato le Tavole della Legge’. E il terzo: ‘Che cosa ti ho dato io?!‘ ”.
 
Confesso che appena Jenny, “l’assistente personale” elettronica di Internet Book Shop -IBS, la grande libreria on line-, mi ha “comunicato” l’uscita, presso la Casa Editrice Giuntina, di Le mie migliori barzellette ebraiche, autore Daniel Vogelmann, sono subito corsa ad acquistare questa novità.
Da alcuni anni conosco Daniel, fondatore -nel 1980- e anima, col figlio Shulim, della Casa editrice fiorentina che pubblica solo volumi di argomento ebraico; una realtà piccola in apparenza, ma di rilevante importanza culturale, della cui nascita e sviluppo non starò qui a ripercorrere le fasi salienti, perché note agli appassionati. Per quanto mi riguarda, mi limito ad osservare, senza alcuna…piaggeria, che, grazie alle diverse “Collane” che la compongono, è stato in primo luogo con Giuntina che ho costituito, in questi anni, il mio piccolo bagaglio letterario, imparando a leggere (e a commentare).
Daniel è un signore alto e barbuto, dall’aria (solo apparentemente) severa: la sua origine è galiziana, ma, complice il pittoresco accento, te lo immagini come un cavaliere medievale fiorentino. Quello stupendo cognome, poi, evocante la caccia con i rapaci!
Siamo entrambi di una “Classe di ferro”, il 1948, l’anno della (ri)nascita dello Stato di Israele; com’è evidente, Tout se tient.
Mi ha sempre commosso la tenerezza con cui Daniel scrive di Sissel, la dolce sorellina (e dalle foto è evidente una certa aria di famiglia), nata nel 1935, dall’unione tra il padre Schulim (del quale il nipote porta il nome) e la prima moglie di lui, Anna Disegni. La famiglia fu deportata ad Auschwitz, dove Mamma e Bimba furono uccise subito; il Papà riuscì a sopravvivere e, pian piano, dopo l’Inferno, si rifece una vita con Albana, a sua volta vedova e mamma di un bambino; dal matrimonio nacque Daniel. Paradossi della storia: questi non sarebbe nato, se il mondo non fosse precipitato nella follia.
Ora egli ci dona un prezioso libretto, un compendio di saggezza, ironia, spirito smitizzante, quell’Esprit globale che da sempre, mi fa amare l’Ebraicità. La capacità di esprimere, insieme ad un tagliente senso critico, un’ironia feroce, che spesso diviene sarcasmo nei confronti di tutto e tutti (compreso se stessi), che gli Ebrei si possono permettere poiché hanno attraversato, senza soccombere, tanti oceani in tempesta.
Immagino l’Autore alle prese con le sue storielle, mentre i familiari, moglie e figlio, ostentano una certa -finta, finta!- impazienza, perché, come Daniel accenna nella Presentazione, le hanno “sentite e risentite”. Accade in tutte le famiglie; con gli aneddoti e i giochi di parole. Un mio amico chirurgo, ad esempio, infischiandosene delle occhiatacce dei congiunti, sostiene che un palazzo “principe-staurato” ha un valore artistico assai superiore -in quanto ripristinato in base a  criteri innovativi- rispetto a quello banalmente…re-staurato.
Per merito del giovane Shulim, che ha indotto il padre alla pubblicazione, vengono passati in rassegna, in questo piccolo tesoro, col sorriso e la battuta, tutti gli stereotipi sugli Ebrei: l’avarizia, la furbizia, l’opportunismo, senza trascurare l’onnipresente senso pratico, talora imbarazzante perché sbuca perfino nei momenti estremi dell’esistenza, come sul letto di morte.
Mi pare non sia riportata la barzelletta sugli Ebrei-sempre-più-intelligenti-degli altri-, un’ulteriore forma, sottile ed ipocrita, di pregiudizio; pregiudizio sì, perché ciò non è affatto vero nella realtà.
Ma forse Daniel ne ha in serbo due o tre di scenette sul tema e ci riserva una seconda puntata…
Non manca l’attenzione alle usanze religiose, ai contrasti sulle diverse correnti dell’Ebraismo (e relative frecciate), al rischio rappresentato dai convertiti col loro sacro zelo. Troneggia poi la Mamma Ebrea, la Yiddishe Mame, col suo potere di ricatto morale; e vi è pure il riferimento, tutto ebraico -il solo accettabile- alla Tragedia.
Una profonda capacità di comprendere la psiche umana, come nella storiella dell’uomo che, in treno, maltratta il giovane sprovvisto di orologio e gli spiega con cura le motivazioni del proprio comportamento.
E arriva un simpatico raccontino sul correligionario Gesù….
L’opera, dedicata perspicuamente a Schulim z’l e a Shulim, è arricchita da espressivi disegni di Bjørn Okholm Skaarup.
 
E’ scritto, credo nel Talmud, che, quando l’uomo pensa, D-o ride.
E quando l’uomo ride, mi permetto di aggiungere, forse D-o ritiene di non aver poi commesso un grave errore ad aver creato l’uomo.
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