(Titolo originale Mishalà ahat yemina, 2008)
Trad. Ofra Bannet e Raffaella Scardi, Neri Pozza Ed. (collana Bloom), Vicenza, 2010, pp. 376, €.18
“Ma questa è proprio la definizione dell’amicizia, no? Un’oasi che ci permette di dimenticare il deserto…o…una zattera le cui assi si tengono unite. O…un piccolo staterello circondato dai nemici. Non credi?”
Tra gli scrittori israeliani dell’ultima generazione quella di Eshkol Nevo è senz’altro una delle figure più rappresentative. Nato a Gerusalemme nel 1971, cresciuto tra Israele e gli USA, ha completato gli studi a Tel Aviv e intrapreso per qualche tempo la carriera di pubblicitario, poi abbandonata per la letteratura. Attualmente insegna “Scrittura creativa” presso alcune istituzioni.
Il pubblico italiano lo ha incontrato grazie alla sua prima opera, Nostalgia, edita da Mondadori nel 2007: un intenso, delicato romanzo apprezzato in tutto il mondo, vincitore di numerosi premi.
Egli ha inoltre pubblicato una raccolta di racconti dal titolo Bed & Breakfast (2001)e il saggio The Breaking up Manual (2002).
Ora Neri Pozza ci fa conoscere La simmetria dei desideri.
Potremmo chiamarlo il romanzo dell’amicizia tra quattro giovani “moschettieri” israeliani, autodefinitisi di provincia (sono originari di Haifa!), nata negli anni del liceo, rafforzatasi durante il servizio militare -che, per loro, ha coinciso con gli anni della prima Intifadah-, i quali, all’alba del ventunesimo secolo, si interrogano sul significato della vita, sull’avvenire, sull’amore, sull’inesorabile passare del tempo, in un contesto, Israele, nel quale parlare di futuro, di normalità assume, se ne sia consapevoli o meno, uno strano sapore di incertezza e pure di sfida.
Ma è proprio lo scorrere quotidiano dell’esistenza che Nevo vuole raccontarci, in un insopprimibile desiderio di normalità, pur nella consapevolezza, come egli confida in una recente intervista a Susanna Nirenstein (la Repubblica del 10 luglio u.s.), che “tutto [nel Paese] si svolge [come] su una sottile lastra di ghiaccio”.
Vediamo i protagonisti nei loro tratti essenziali, lasciando al lettore il piacere di conoscerne a fondo i caratteri, pagina dopo pagina.
Yuval Fried è la voce narrante. Britannico d’origine, ha ricevuto dalla famiglia, oltre che “un profondo sospetto laico verso tutto ciò che è religioso”, una severa educazione anglosassone e cioè: “una stitichezza emotiva cronica e un radicato sentimento di estraneità conseguente al fatto che i miei genitori non avevano mai smesso….di sentirsi estranei qui, nel Levante, e continuavano a parlarsi in un ebraico inglesizzato ancora trent’anni dopo…..”. Yuval va soggetto periodicamente a irrefrenabili crisi d’asma e/o depressive ed è un convinto pacifista -orientamento che gli è valsa l’espulsione dal corso allievi ufficiali-. Si guadagna da vivere con traduzioni dall’inglese all’ebraico per gli studenti di Scienze sociali e di Lettere, mentre lavora da tempo immemorabile ad una tesi di laurea in Filosofia, dal titolo Metamorfosi. Filosofi che hanno cambiato opinione, elaborato del quale nessuno più si domanda quando mai vedrà la luce.A proposito di se stesso ammette con sincerità di essere privo di iniziativa, come un “..cavallo che resta nei box [e] preferisce osservare gli altri…che competono piuttosto che partire al galoppo”.
Ben diverso da Yuval è Yoav Alimi, l’avvocato della compagnia, per tutti Churchill, così soprannominato da quando un giorno, al liceo, in vista della semifinale del torneo di calcio contro la temuta quinta C, aveva riunito i compagni per propinare loro il discorsetto di sprone: ciò che avrebbe potuto sostenerli contro gli avversari, prima delle qualità atletiche, sarebbero stati “il sangue, il sudore e le lacrime”.
Figlio di un affascinante istruttore di guida, specializzato in signore sposate della Haifa-bene, accalappiate grazie alle infallibili armi seduttrici, esplicate all’interno della propria automobile, e di una donna assai sicura di sé e ben motivata a far sì che il figlio preferito tra i sei messi al mondo (Yoav, naturalmente) si affermasse con successo, Churchill è divenuto ben presto un abile avvocato. Ma tanta apparente autostima nasconde una profonda insicurezza.
C’è poi Ofir Zlotocinsky, dai bei riccioloni, impegnato nella ricerca di dare un significato alla propria vita. Da ragazzo ha avuto un difficile rapporto con il padre, poi rimasto ucciso in Libano. Ofir spreca il suo talento in un ufficio pubblicitario, mentre sogna di girare un film con i suoi amici come protagonisti; il guaio è che, a suo parere, tale film si affermerà presso il pubblico solo se almeno uno dei personaggi principali morirà da eroe di guerra. E’ sempre accaduto così, insiste Ofir, per qualsivoglia libro o pellicola che abbia riscosso successo in Israele dall’epoca della fondazione dello Stato. Le sue tendenze misticheggianti porteranno il giovane in India, da dove ritornerà insieme alla donna della sua vita, Maria, incontrata laggiù.
In perenne polemica con Ofir è Amichai Tanuri, l’ottimista, rimasto orfano di padre da piccolo, l’unico sposato del quartetto, padre di due gemelli e marito di Ilana, soprannominata dagli altri amici la Piagnona, perché, in apparenza, sembra non sopportare i loro scherzi, le loro infinite chiacchiere, al limite del masturbatorio, in quel linguaggio criptico per iniziati da cui lei si sente irrimediabilmente esclusa. Ma anche Ilana è in grado di riservare doti e possibilità inaspettate. Amichai vende polizze mediche ai malati di cuore e spera in un domani migliore.
Proprio da Amichai parte, un giorno in cui tutti insieme stanno guardando in TV la finale dei Mondiali di calcio del 1998 (Francia/Brasile, conclusasi con la vittoria della prima), l’idea che è il filo che idealmente lega tutta la vicenda: perché non scrivere ciascuno, su un foglietto, i propri desideri per gli anni a venire e attendere la prossima finale di Coppa del Mondo per verificare se si sono realizzati?
Si dipana così una storia, la cui origine e, per così dire, ragion d’essere sta in uno stratagemma usato dall’Autore, magari -per certi aspetti- non nuovo, ma di sicuro effetto, proprio in un ambito dove la regola è la sorpresa, il tuffarsi, da parte dei protagonisti, nell’ignoto mare dell’esistenza, com’è ben evidenziato dall’immagine di copertina dell’edizione italiana.
L’intrigante suggestione del romanzo sta nell’intrecciarsi delle fantasie di ciascuno per cui il sogno espresso dal primo è realizzato, secondo un originale percorso, dal secondo, l’aspirazione del quale trova compimento nel terzo e così via fino a creare una magica “Simmetria dei desideri”, degna dell’armonico giardino Bahà’í di Haifa.
Una storia al maschile poiché “le ragazze passano, gli amici restano”. Com’è altrettanto vero che “le ragazze restano, gli amici passano”, sempre in omaggio alla suddetta “simmetria”.
Una storia sì al maschile, ma nella quale sono le figure femminili a tirar le fila: Ilana, Maria e, soprattutto, Yaara, il grande amore impossibile (e carico di significati simbolici) di Yuval.
Vi è poi un quinto amico, presente/assente, Shachar Cohen, il quale preferisce lasciare Israele sia perché desidera star lontano dalla famiglia che non accetta la sua omosessualità, sia soprattutto perché ritiene che “il nostro Paese è malato e ogni persona ragionevole deve organizzarsi una vita di fuga..”, posizione non condivisa dall’Autore, come questi precisa nell’intervista di cui sopra.
Eshkol Nevo gioca da par suo tutti gli strumenti espressivi: dal drammatico, all’ironico -come le considerazioni sulla capacità di ridere di sé: “se una persona è in grado di ridere di se stessa, allora ha ancora qualche speranza”, al sarcastico -gli scherzi atroci che i giovani giocano l’un l‘altro-, con riflessioni sui diversi caratteri e la delusione, o meglio il sentimento di odio/amore, che loro ispira, dopo la “provinciale” Haifa, la grande città tanto vagheggiata, Tel Aviv: “Peccato che tutta la spiaggia sia occupata dal cemento e dagli esercizi commerciali….questa città così priva di profondità, qui è tutto manifesto, tutto cellularizzato, privo di intimità…”.
Come sempre di notevole valore la traduzione del duo Madre/Figlia Ofra Bannet e Raffaella Scardi, specie in quel loro rendere nella nostra lingua espressioni quali il verbo “incarinire”, cioè rendere più gradevole: nel caso in questione riferito, per contrasto, al carattere del tuo amico che si rivela invece qual è, senza sconti, in occasione di un viaggio compiuto insieme.
O il termine “fantadialoghi” per “dialoghi fantastici”; o “mano paterno-maneggiona”, riferita a un genitore, espressione che non abbisogna di spiegazioni.
Vi trovi scene d’ambiente cariche di poesia e stimolanti riflessioni proprio su quei filosofi “che hanno cambiato opinione”. Ma anche l’immancabile concessione al consueto, comodo cliché dell’ufficiale israeliano inevitabilmente prepotente ed ottuso, quasi che non ne esistano di dotati, se non di eroismo, almeno di umanità ed intelligenza. E conseguente rappresentazione della società israeliana come malata di violenza. Detto tra parentesi: si è mai chiesto Nevo come reagirebbero le nostre società euro-viziatelle se si trovassero, come quella israeliana, sotto perenne attacco fin dal giorno della nascita; anzi, ancor prima?
Battutacce sul rapporto tra il Sesso e l’essere Ebrei, o meglio la raffigurazione del sesso dal punto di vista ebraico “…il sesso, quando è descritto in ebraico causa sempre ai protagonisti amare delusioni. Come se il fatto di essere ebrei impedisse di godercela fino in fondo, o forse lo scrittore teme che la descrizione diventi pornografica, quindi la porta all’estremo opposto, l’estraniamento, l’occasione perduta…”
O il rimpianto per certi istanti di gioia infantile, come l’essere accolti, al ritorno da scuola bagnati di pioggia -quelle piogge di Haifa, “più fitte di quelle di Tel Aviv”- da un padre armato di affetto e di uno “spesso asciugamano verde preso in bagno”, con il quale egli provvede ad asciugarti, dopo averti tolto un vestito dopo l’altro “delicatamente”, con i “suoi movimenti…misurati e lenti, e le sue grandi mani [che] erano le sue grandi mani”.
La tensione e la ricchezza interiore che ti dà il grande potere catartico dello scrivere.
Il romanzo acquista forza, spessore lirico ,“cresce”, per così dire, nella seconda parte, specie nel tratto finale, ma -è solo l’opinione personale di chi scrive -, proprio per questa ragione, un minor numero di pagine gli avrebbe conferito maggiore asciuttezza ed efficacia espressiva nel far risaltare il messaggio che è alla base della vicenda: Tutto è Possibile.
O, come dicono in India, secondo quanto riportato da Ofir: “Sab kuch milega”.