caramaschi

 

(La foto di copertina è opera dell’Autore)

Ed. Mursia, Milano, Collana Romanzi Mursia, 2017, pp. 222, €.17

 

“Comunque mi tuffavo in tutto quello che odorava di avventura. Gettavo tutto nel cassetto della mia testa, avendo fretta di capire”

“Aveva ragione Thoreau: occorre essere sempre in due per avere una verità: uno per dirla, uno per ascoltarla. E chi ascolta, avevo pensato, doveva possedere tantissima pazienza e non poca intelligenza”. 

 

Magie che fanno sognare, coincidenze che ti rendono cara l’esistenza, nonostante le incertezze, i dolori, le delusioni.

Lo scorso mese di luglio mi trovavo presso (BZ) in occasione di una settimana di studi (dal 23 al 29), organizzata dalla Nuova Associazione Culturale Accademia di Bologna nell’ambito dell’iniziativa, nata diversi anni fa, chiamata La Filosofia nei luoghi del Silenzio.

Essa ha come obiettivo la riflessione “sulle ‘cose della vita’ alla luce di quello che ci insegna la storia e che ci ha trasmesso il patrimonio della sapienza di tutti i tempi”, approfondita insieme alle Arti Figurative, al Cinema, alla Psicologia, alla Musica.

Gl’incontri, aperti a tutte le persone di buona volontà e coordinati da docenti di diverse discipline, si svolgono in luoghi “del Silenzio”, cioè siti di particolare rilevanza spirituale.

E’ il terzo anno che Mauro ed io partecipiamo con entusiasmo.

Nel 2017 abbiamo scelto il ciclo, coerente con la celebrazione del  60° anniversario dei Trattati di Roma, istitutivi della CEE: Europa: le molte nazioni di un solo Paese – Un percorso storico e musicale.

Docenti: lo Storico Prof. Giampaolo Venturi e i Musicisti M° Giacomo Tesini (violinista) e M° Massimo Guidetti (pianista) [1].

 

Fatta la necessaria premessa…

Una mattina, il 26 luglio per l’esattezza, mentre attendiamo il nostro Storico per iniziare la lezione, sbircio il Corriere dell’Alto Adige di Bolzano.

Subito una notizia attrae la mia attenzione: un paio di sere dopo, il 28, a cura della locale Accademia Gustav Mahler, si sarebbe svolto nel capoluogo un concerto diretto dal britannico Daniel Harding, una delle mie “bacchette” preferite.

Orchestra: Gustav Mahler Jugendorchester; Musiche: quanto di più evocativo al mio cuore. La Suite di Pelléas et Mélisande di Debussy e, soprattutto, la Terza Sinfonia di Robert Schumann, cosiddetta Renana, cui sono legata per diverse ragioni, ritengo note ai miei lettori. Il programma, scelto fin dalla primavera dallo stesso Harding insieme con  Philipp von Steinaecker, violoncellista e anima dell’orchestra, ha un fine ben preciso. E’ l’omaggio a chi anche qua è vivo e sempre presente.

Non ci sarà il tempo di partecipare poiché i nostri musicisti sono soliti impegnarci alla sera con splendidi concerti; ma l’idea di sapere vicini, per iniziativa dell’Accademia Gustav Mahler, Harding, Debussy  e, in specie, Schumann con quella Sinfonia, eseguita con quella Orchestra mi riempie di gioia.

Ma le sorprese non finiscono qui.

Sul medesimo quotidiano,  p. 13, all’interno della rubrica Cultura e Tempo libero, un articolo a firma Giancarlo Riccio: Caramaschi e il suo anarchico.

In esso si dà conto dell’uscita del romanzo Niente sponda di fiume (Ed. Mursia).

Autore: Renzo Caramaschi, classe 1946, bolzanino, Sindaco del capoluogo dal 2016, dopo essere stato a lungo funzionario nella stessa Amministrazione.

Laureato in Economia e Commercio, appassionato di montagna e di escursioni in alta quota, è giornalista pubblicista e fotografo dal 1974. In anni recenti ha scritto un paio di guide in tema: Per malghe e per rifugi in Alto Adige, 165 escursioni (2009) e Tra i monti della valle Aurina, 40 escursioni (2012), entrambe per la Casa Editrice Raetia.

Intervistato da Riccio, egli confessa come quei testi siano stati il punto di partenza per riflessioni su Cultura, Musica, Storia. Leggo dal suo sito web, a proposito delle escursioni in montagna e dell’attività fotografica: ” Nel suo vagabondare tra i monti e le piccole valli dell’Alto Adige – Südtirol l’autore [cioè Caramaschi stesso] s’ispira alla filosofia trascendentalista dell’americano Henry David Thoreau che ha condensato il proprio pensiero nel volume Walking (camminare) del 1851. L’escursione diviene modello di vita e l’anelito al movimento liberazione dall’ansia. Trasferendo i concetti a livello fotografico, elemento strutturale e complementare dell’andare per monti, secondo lo stupendo saggio di Franco Meli che ha analizzato l’opera del filosofo americano, la natura ‘non può essere visitata unicamente dall’immaginazione’. È necessario superare il contrasto tra ‘la persistente vitalità della natura e l’ottusità e la disattenzione dell’uomo nei suoi confronti’. ‘L’occhio’  dell’escursionista e quindi anche del fotografo deve possedere ‘l’abilità di lasciarsi sorprendere da cose in apparenza laterali, percepite debolmente’ “.

Un breve excursus su Thoreau, evocato a più riprese nel nostro romanzo, ma figura poco nota in Italia.

Henry David Thoreau nasce a Concord, nel Massachusetts, il 12 luglio 1817 e muore (di tetano) nella stessa città il 6 maggio 1862. Laureatosi nel 1837 all’Università di Harvard, comincia a lavorare nella scuola di Concord come insegnante, ma si dimette dopo poco tempo perché contrario alle punizioni corporali. Fonda una nuova scuola insieme a suo fratello John, sempre a Concord: i Thoreau cercano così di applicare concetti progressisti all’insegnamento e, tra l’altro, fanno compiere camminate nella natura ai loro studenti. È ricordato come uno degli esponenti piú influenti della corrente del Trascendentalismo.

Il Trascendentalismo è un movimento filosofico e poetico, sviluppatosi negli Stati Uniti d’America nei primi decenni dell’Ottocento. Parte dall’affermazione del trascendentale kantiano come unica realtà ed esprime una reazione al razionalismo e un’esaltazione dell’individuo nei rapporti con la natura e la società.

Thoreau pubblica i primi articoli sull’organo trascendentalista The Dial e, su suggerimento di Ralph Waldo Emerson, in casa del quale si è stabilito, inizia la stesura del Journal, monumentale diario la cui edizione completa, in 14 volumi, apparirà nel 1906.

Negli anni fra il 1845 e il 1847 sceglie di vivere in isolamento quasi completo nei boschi attorno a Concord. È da quell’esperienza che nasce Walden ovvero la vita nei boschi, certamente la sua opera più universalmente letta. Oltre a quella e a numerose altre -tutte rilevanti per conoscerne la personalità-, scrive La disobbedienza civile, saggio che avrebbe ispirato i primi movimenti di protesta e resistenza non violenta (pensiamo, ad es., al Rev. Martin Luther King).

Torniamo a Renzo Caramaschi. Pian piano, complice il maggior tempo libero dovuto al pensionamento, è rinata  in lui la passione per la lettura e la letteratura.

Ed ecco, dal 2014, ben quattro romanzi, uno all’anno: Il segno del ritorno, Di gelo e di sangue, Un soffio di libertà, Niente sponda di fiume. Titoli assai evocativi, che attirano il mio interesse.

Vicende (tranne Di gelo e di sangue, se non erro) che hanno come sfondo la Valle Aurina e luoghi limitrofi; tutti romanzi a carattere storico -coi limiti che può avere una simile definizione- i cui protagonisti lottano per gli alti ideali di libertà e giustizia. Anticipa poi che è sul punto di terminare il prossimo romanzo.

E’ la storia di un giovane ebreo: splendido! Si parte da Siviglia per arrivare in Tirolo dove il protagonista servirà il signore di Salamanca. “Poi” prosegue “racconterò del suo esilio, durante il quale sarà costretto ad occuparsi del commercio dell’ambra. Il sigillo dell’ambra dovrebbe uscire nel maggio del prossimo anno”.

Prendo nota. E’ in corso di pubblicazione (aprile 2018), sempre con Mursia, La memoria dei silenzi; altra vicenda inserita in un preciso contesto storico. Il “genere” che confesso di preferire.

Nel dialogo col giornalista il Sindaco-Scrittore, senza svelarne la trama, confida che personaggio principale dell’opera appena uscita è un misterioso autore anarchico, Ben Traven.

Intrigante vicenda. E’ prevista pure, in autunno, una presentazione a Bologna presso la Libreria Zanichelli: guai mancare.

 

Il pomeriggio del 21 ottobre, giungo puntuale alla saletta del primo piano soppalcato, in Piazza Galvani, col libro sottobraccio.

Pubblico numeroso e attentissimo.

Il nostro ospite è un signore alto, dall’aria sportiva, un po’ somigliante a Bill Clinton; assai più simpatico, però. Origine lettone, dichiara. La famiglia lasciò quel Paese all’arrivo dei nazisti, nel luglio 1941.

L’accento montanaro con inflessione veneta ti dà subito la conferma che si tratta di un…Wanderer; quelle persone -da me predilette- che riflettono, non si accontentano, sempre pronte a mettersi in discussione. Che, appena le conosci, ti catturano per farti camminare con loro, volente o nolente.

Dunque, il personaggio “richiamo” della storia è Ben (o Bruno) Traven, il nome -o lo pseudonimo- di uno scrittore anarchico, ribelle, vagabondo, che non si è mai riusciti davvero ad acchiappare.

Perfino la sua identità è incerta, tanto che, afferma Caramaschi, avrebbe cambiato, nel corso della sua vita, non meno di 32 nomi!

Si tratterebbe, condizionale obbligatorio, di un autore di madrelingua tedesca, attivo nella prima parte del ‘900, del quale sono sconosciuti il luogo e la data di nascita. Di lui: diversi racconti, una dozzina di romanzi (Niente sponda di fiume è un’espressione tratta dall’opera di Traven, La nave morta, 1926); trenta milioni di libri venduti, tradotti in più di quaranta lingue, un film tratto nel 1948 da un romanzo, vincitore di tre Premi Oscar. Regista, John Houston; interprete principale, Humphrey Bogart. Si tratta de Il tesoro della Sierra Madre, amara parabola dell’avidità umana, composto nel 1927, ambientato in Messico, tra i cercatori d’oro e apparso con il titolo originale tedesco: Der Schatz der Sierra Madre. Vi si legge: “ Potete accumulare tanto oro da non sapere come trasportarlo; ma scommetteteci il paradiso, più ne avrete, più ne vorrete. È come alla roulette: un giro ancora; un giro ancora. E avanti così. Non si distingue più l’onestà dalla disonestà, il buono dal cattivo: ogni discernimento è perduto. È così.”.

Ogni dettaglio, ogni aspetto della vita di Traven è stato oggetto, in passato, di ipotesi, congetture varie; comprese le più fantasiose. Poi, piano piano, il tempo sembrava aver sepolto tutto.

Oggi se torniamo ad occuparci di lui, “cancellato nella sua grandezza”, “precipitato nell’oblio” è per merito di Caramaschi; il quale cerca di sciogliere il mistero accostando un ipotetico ritratto di Traven alla propria esperienza di vita; dapprima durante gli anni giovanili, indi nei decenni successivi.

Nel 1966 il ventenne Renzo, l’Io narrante, si reca negli USA, a Cape Cod, ospite di un’amica e compagna di studi, figlia del console di Germania a Milano, trasferito momentaneamente a Boston per lavoro. “…un sogno inatteso, lontano dalle possibilità finanziarie della mia famiglia. Mi mantenevo agli studi grazie al presalario…” Qui viene in contatto con l’alta società locale, un ambiente ovattato, raffinatissimo, dai colori tenui; ma mantiene la propria genuinità. In una parola: la polpa dal sapore dolciastro delle aragoste sparisce di fronte al ricordo delle polpose sarde ai ferri cucinate dalla zia in occasione di una vacanza al Lido di Venezia. “Quello sì che era pesce!”

Tuttavia è proprio quel luogo di mare (Cape Cod quale “metafora dell’immensità della non conoscenza”) che lo incoraggia nella ricerca, sia pure confusa, data la giovanissima età, sul significato della vita; che gli apre nuovi orizzonti culturali, anche nel campo della Musica. Emozionanti le parole: “La Terza Sinfonia di Beethoven era divenuta il termine di paragone per il mio universo musicale. Tutto avrebbe dovuto misurarsi con quella, prima e dopo, perché quelle note si erano fissate nel mio cervello come un valore assoluto, il massimo dei valori. Era stato il permearsi di spruzzi sonori come quelli dell’oceano che mi avvolgevano”.

Un trentennio dopo il ventenne, divenuto uomo maturo, appassionato di escursioni alpine e autore di guide in tema di malghe e rifugi, giunge in Val Racines dove gli viene narrata la storia (forse autentica, forse leggendaria) di Pfeifer Huisele, il mitico stregone, figura famosa in quei luoghi, tra Val di Racines, Val di Vizze -a Tulves il fattucchiere viveva in una casetta molto in alto sulla montagna- e altri anfratti sulle cime. Huisele (il cui vero nome era, pare,  Hans, detto Pfeifer, il Pifferaio, cioè) campava benone perché pare avesse stipulato un patto nientemeno che col diavolo: conosceva ogni sorta di arti magiche ed era in grado di trasformarsi in ogni cosa desiderasse. E’ il personaggio, a mio gusto,  più suggestivo del romanzo. Da leggerne la storia, a cominciare dal secondo capitolo.

“Un fenomenale impostore…. viveva sulle credulità degli zotici, privo di pudore, leggeva le stelle…portava il fascino del peccato, quello che piaceva tanto alle giovani donne, tenute severamente ma invano rinchiuse quando Pfeifer era nei paraggi. Non era noioso….”.

Contrariamente a padri e mariti.

sentiero-pfeifer-huisele-percorsi-avventura-racines-alta-valle-isarco-wipptal-alto-adige 

 

Purtroppo però, anche per lui arriverà, un giorno, la tragica resa dei conti.

Il nostro camminatore conosce la storia di Pfeifer da un anziano personaggio (un suo discendente forse?) che abita nell’ultimo maso della valle. Durante i colloqui l’evocativo malgaro gli mostra il primo registro degli ospiti della locanda. Una data: 1922; un nome: R. Marut. Provenienza: Baviera.

Secondo un’accreditata ipotesi R., Ret magari, Marut altri non è che Ben Traven.

Giornalista di fede anarchica, attore di teatro, tra i leaders della Rivoluzione Spartachista del 1919, a Monaco di Baviera, repressa nel sangue. Ucciso, forse. O magari scappato all’estero per rifarsi una vita in Messico (1924), col nome di Ben Traven, e dedicarsi alla scrittura. In quel Paese avrà come solo indirizzo una casella postale, emblema di…delocalizzazione. “B. Traven – Tampico – Casella postale 1208″.

Sceglie di nascondersi, sottolinea l’Autore, perché non vuol concedersi alle futili stupidità dei suoi simili.

“Aveva scelto di essere ‘in nessun luogo’, così da poter avere ‘un non nome’. Stava nell’ovunque, la costanza della sua follia visionaria (che) gli opprimeva il cuore. Quello era. Inutile trovare in lui altri pensieri. Solo e sempre ossessivamente quello”.

Fuggito….. Domanda: fuggito grazie alla propria abilità o lasciato scappare? In quest’ultimo caso: perché mai? Chi si nasconde dietro il misterioso personaggio?

Come che sia, egli avrebbe soggiornato per due volte  in quelle remote valli alpine -oltre una settimana a metà luglio; una dozzina di giorni a novembre, sempre nel 1922-, incuriosito dalle vicissitudini del Pfeifer Huisele, e lasciato una traccia della propria presenza, come tutte le creature in perenne fuga. Circondato dal sospetto della gretta comunità locale, capeggiata dal parroco. Come mai quel visitatore straniero non partecipava alle funzioni liturgiche? Risposta limpida: ” ‘Ha ragione! Io non le frequento ‘. Il parroco era rimasto esterrefatto, di più, inorridito”.

ret-marut

 

L’Autore è assai efficace nel tessere una trama, all’apparenza intricata, ma molto coinvolgente perché le identità dei personaggi non sono mai certe; così come i contesti in cui esse agiscono. Altrettanto le figure femminili: la ricca ereditiera Edith, incontrata a Cape Cod (la stessa località in cui troveremo in seguito il giovane Caramaschi); Irene (Mermet?), la compagna di mille avventure, un po’..inacidita dalle delusioni affettive; la fresca, imprevedibile, Pearl. Chi sono, in realtà, queste donne? E c’è un diario drammatico a tramandarci i palpiti di un amore non realizzabile.

Incontriamo un poliziotto col quale il protagonista stabilisce un rapporto di reciproca stima.

Una prosa essenziale, ma densa, capace di esprimere in pieno i sentimenti di chi scrive e di suscitarli in chi legge.

Vi sono altre piste di ricerca: secondo alcuni il protagonista potrebbe essere il sindacalista Otto Feige, nato a Schwiebus nel Brandeburgo (ora Swiebodzin, Polonia).

Le tracce in Messico di Ben Traven si collegano pure a quelle di Hal Croves, suo agente letterario, della sua traduttrice Esperanza López Mateos; teorie, poi smentite; o quasi.

Non manca, va da sé, il filone dell’ascendenza nobiliare.

Cioè: “….il bisbiglio di una discendenza ‘imperiale’, frutto peccaminoso di una passionale relazione di Federico Leopoldo, nipote del Kaiser Guglielmo, con una cantante finlandese, di origine polacca, bella…peccatrice come sanno esserlo le donne dello spettacolo”.

Anche su questa fantasiosa ipotesi Caramaschi s’intrattiene da par suo con intrecci suggestivi che invito il lettore ad approfondire. D’altronde, se osservate l’immagine di Ret Marut riprodotta sopra e fate astrazione dall’abbigliamento modesto, una certa quale aria Hohenzollern  non può sfuggirvi.

Nell’ultima parte del romanzo l’Autore dà conto di tutto questo.

Secondo un’altra congettura lo scrittore può essere identificato con l’attivista politico comunista Linn Gale e con il fotografo Berick Traven Torsvan; quest’ultimo ha una certa parte della narrazione.

Alcune notizie attinte nel corso della lettura. Nel 1930 Torsvan ricevette una carta d’identità per stranieri, intestata all’ingegnere nordamericano Traven Torsvan (in molte fonti appare anche un secondo nome di battesimo: Berick oppure Berwick).

È noto che B. Traven si è sempre dichiarato statunitense; nel 1933, quando spedì i manoscritti in inglese dei suoi tre romanzi -La nave morta, Il tesoro della Sierra Madre e Il ponte nella giungla- all’editore di New York Alfred K. Knopf sostenne che essi erano le versioni originali dei lavori e che quelle in tedesco, precedentemente pubblicate, erano solo traduzioni.

La nave morta fu pubblicato da Knopf nel 1934; presto seguito dai successivi libri di Traven stampati per il mercato statunitense e britannico. In ogni caso, se si confrontano le versioni in inglese con quelle in tedesco di questi libri, così ho letto, si apprezzano notevoli differenze: i testi in inglese sono più lunghi ed entrambe le versioni presentano alcuni passaggi che invece mancano nella corrispettiva traduzione. L’attribuire un’esatta nazionalità alla figura di Traven è complicato dal fatto che i libri in inglese sono pieni di germanismi mentre quelli pubblicati in tedesco sono pieni di anglicismi. Un rebus in piena regola.

Il significato profondo, il filo rosso, mi si perdoni l’immagine scontata, che unisce tutta la vicenda -e figure assai differenti tra loro, lontane nel tempo e nello spazio- è, lo spiega l’Autore col suo linguaggio vivido, che “tutti loro, Pfeifer Huisele compreso, erano stati sognatori dell’utopia della ragione, chi in un modo, chi in un altro, inseguita per scovarla e per possederla, senza mai raggiungerla….. Fantastici!….. Uomini che avevano lottato… per uscire dall’esangue disperazione di tranquillità imposte”.

Assai suggestive sono le parole che l’Autore riserva a Pfeifer Huisele. Non era solo uno…. stregone, ma un uomo ansioso di libertà, che si era ribellato alle misere condizioni in cui viveva, un ambiente di miseria morale e materiale, mescolato a fanatismo religioso, come per lo più accade.  “Non la fame, non la fatica, non il freddo lo avevano allontanato dal maso natale, ma l’ansia di voler vedere, di muoversi, di capire”.

Una lezione sempre attuale, specie in un’epoca, come la nostra, affamata di conformismo e di  uniformità codarda. Non amante del pensiero libero, del dissenso, dello sberleffo, priva di spirito, saccente e bigotta oltre il limite sopportabile. Musona, per dirla in breve; caratterizzata da ditini alzati per lo più a sproposito, silenziosa quando si dovrebbe urlare la verità pura e semplice; in grado di respingere (ma fino ad un certo punto) certe ipocrisie del passato per inventarsene di nuove. Ridicole, se le conseguenze non fossero tragiche.

 

Alla fine dell’incontro in libreria mi avvicino a Renzo Caramaschi.

Mi presento e gli racconto in quale modo ho avuto notizia di lui. Misteriose assonanze.

Entrano quindi in scena il soggiorno a Novacella, il concerto di Harding con la Gustav Mahler Jugendorchester, la mia rinata passione per la Musica. Grazie a Claudio Abbado, preciso.

Mai incontrato di persona, solo sfiorato per strada poche settimane prima che lasciasse questo mondo, ma così importante. Confidenza, quest’ultima, che  esce così, d’istinto; contrariamente a quanto mi succede di solito, visto che ho imparato a tenere per me certi segreti. Gli parlo della Terza Sinfonia di Schumann.

Sorride e dichiara: “Sono stato suo buon amico per molti anni… Mi sono dato da fare per lo sviluppo dell’Accademia Gustav Mahler e per l’Orchestra Giovanile Europea, da lui fondate. Cittadino onorario di Bolzano nel 2003. Non riesco a capacitarmi che non ci sia più. Ho perso un grande amico. Lui non si arrabbiava mai, non ha mai alzato la voce. Alle prove con le sue orchestre, bastava un’occhiata…..”.

Non mi stupisce questo rapporto: li accomunano un alto Sentire, l’amore per la Montagna, il Silenzio, l’Ascolto. La Ricerca costante di ciò che conta davvero nella Vita. E la Musica, va da sé. Tutti temi che tornano nel romanzo. Il testo sarebbe piaciuto a lui, instancabile lettore, soprattutto notturno.

La vera ragione per cui Claudio Abbado, in Italia, non andava giù a certuni -e meno male che il suo lascito artistico ha preso la via di Berlino!- l’ho letta nelle righe finali della presente opera.

A lui si attagliano le considerazioni dello scrittore a proposito dei suoi personaggi.

Eccole: “..irrequieti di vita, entusiasti, impudenti, azzardati di pensiero”. Mai catalogabili: peccato gravissimo. Specie oggi.

I romanzi sono usciti dopo che il Maestro ci aveva lasciato. Chissà se Caramaschi gli aveva mai parlato delle sue opere in fieri. Nulla nasce dal niente, ma è frutto di anni di gestazione.

Così mi piace immaginare Claudio e Renzo -omonimo dell’altro Renzo, Architetto- che conversano tra i boschi su storie che stanno prendendo corpo. La trascinante voglia di raccontare del secondo e la sorpresa fanciullesca del primo ad ascoltare vicende cui, ne sono certa, si divertiva ad associare  brani musicali.

“Quando lo ha visto per l’ultima volta?” mi azzardo a chiedere. Temo di essere un’intrusa, la sconosciuta che strappa confidenze senza averne il diritto; ma come resistere? Vorrei che comprendesse che il mio è rispetto e affetto sinceri verso entrambi, non curiosità morbosa.

“E’ stato a Lucerna, in agosto. Quasi non riusciva a reggersi in piedi, eppure voleva dirigere il concerto….” Gli racconto, a mia volta, di Lucerna quest’estate, dell’emozione che la grande sala del KKL evoca. Non oso domandargli se, dopo Lucerna, hanno ancora comunicato tra loro.

Una pausa e aggiunge, il sorriso triste: “Pensi ho ancora qui, registrato nella rubrica del mio, il suo numero di cellulare…” [2]

“Non lo cancelli, La prego!” Mi guarda commosso, come la moglie che lo accompagna; una signora dal sorriso dolce che ti sembra di aver sempre conosciuto. Come, del resto, tutto ciò che ha attinenza con Claudio Abbado: persone, a cominciare proprio dall’interessato -mani, sorriso, voce e tutto il resto- circostanze, luoghi, cose….

Anche la Signora parla di Claudio con tenerezza e rimpianto. Non si meraviglia, né, grazie al  cielo, s’indispettisce per la mia vicinanza a qualcuno mai frequentato da vivo.

Non vorrei lasciarli andare. Mi piacerebbe conoscere vicende, approfondire episodi, ma è ormai tardi.

Nel darmi la mano, con aria affettuosa e un po’ complice, Renzo Caramaschi mi intona l’attacco della Renana. L’avrei abbracciato.

Arrivederci, nuovi cari amici, incontrati grazie ai legami misteriosi tra le anime.

[1] Per chi fosse interessato a leggere il Diario di viaggio che ne è scaturito, può consultare questo sito, alla voce Diari di Viaggio. E’ on line l’ultima puntata dedicata a “Lucerna”; seguiranno, nell’arco di qualche tempo, le altre in senso inverso; fino alla prima, Novacella.

[2] “L’Accademia Gustav Mahler ricopre un ruolo di grande importanza nella vita culturale italiana ed europea e si inquadra come proseguimento di quanto negli anni precedenti è stato fatto con la European Union Youth Orchestra e con la Gustav Mahler Jugendorchester. Tutto questo è stato possibile grazie al Comune di Bolzano e in particolare a Renzo Caramaschi che hanno creduto e sostenuto questo progetto, dando in questo modo a tanti musicisti un’opportunità di grande rilevanza artistica” (così Claudio Abbado in occasione del X anniversario della fondazione dell’Accademia Gustav Mahler) .