2 AGOSTO, mattina, MERCOLEDI’
Ritorniamo sulla nostra direttrice di marcia, lasciata un paio di giorni fa per recarci a Verdun.
Nostra meta di stamani è la città di Metz, dalla quale passammo nel dicembre 2014 con Mattia, diretti in Lussemburgo, limitandoci peraltro ad una rapida occhiata, a causa del freddo intenso e della pioggia battente.
Oggi splende il sole.
I cartelli ai lati della carreggiata rammentano che siamo in zone teatro di eventi bellici, Prima e Seconda Guerra Mondiale.
Un’indicazione, ad esempio: Les Éparges 1914 /1918.
Fornisco notizie, giocoforza sintetiche, ma spero esaustive.
La collina a est del villaggio chiamato Les Éparges (Dipartimento della Mosa, Regione Grand Est) è stata teatro di importanti battaglie nel 1914 e nel 1915.
Minuscolo centro –conta solo 78 abitanti !-: ecco un’immagine della sede del Municipio, che funge pure da scuola.
Le relative vicende sono narrate da Maurice Genevoix (scrittore e poeta francese, erede del Realismo, 1890/1980) in un testo dal titolo Les Éparges. Sul versante tedesco, abbiamo Ernest Junger (1895/1998), il celebre Autore de Nelle tempeste d’acciaio, il quale riportò, proprio a Les Éparges, la sua prima ferita di guerra.
La collina porta tuttora le tracce di questi combattimenti (come abbiamo visto intorno a Verdun) e possiamo scorgere le voragini conseguenza dell’esplosione delle mine per il controllo dello strategico “Punto X”.
La battaglia di Les Ésparges (o di Combres, per i tedeschi) è consistita in una serie di combattimenti (dal 13 febbraio al 15 aprile 1915) per il possesso della collina omonima: da una parte, la 12a divisione della Prima Armata francese e, dall’altra parte, la 33a divisione di fanteria tedesca. I combattimenti si svolgono in condizioni molto difficili, sotto la pioggia e la neve, nel fango.
L’esercito francese tenta, nel corso di diversi assalti, di conquistare la cresta; dopo perdite ingenti da entrambe le parti, i Francesi giungono a prender possesso della collina, ma senza allontanare definitivamente i nemici.
Questa è una delle prime battaglie tipiche della Prima Guerra Mondiale: quanto a durata -diverse settimane- e quanto a svolgimento -una serie di attacchi e contrattacchi con molte perdite e senza successi di rilievo-.
Essa preannuncia i combattimenti che si svolgeranno a Verdun e sulla Somme (1 luglio / 18 novembre 1916).
Dalla Mosa alla Mosella.
Altro luogo rilevante segnalato -passiamo ora al secondo conflitto mondiale- è il Forte di Fermont (aperto al pubblico)
consistente in una cittadella sotterranea (visitabile) costruita tra il 1930 e il 1940, parte integrante della famosa Linea Maginot.
Eccone un piccolo particolare
Ideata dall’allora Ministro della Guerra, André Maginot, combattente nella Prima Guerra Mondiale, detta Linea era un complesso integrato di fortificazioni e opere militari diverse -postazioni anticarro, caserme, depositi di munizioni, sistemi di inondazione difensivi, gallerie, ascensori, strade ferrate, alloggi, infermerie, magazzini per acqua e viveri, spesso collocati a diversi livelli sotterranei (fino a sei), centrali per l’energia elettrica e le comunicazioni telegrafiche- eretto dal governo francese a protezione dei confini con Belgio, Lussemburgo, Germania, Svizzera e Italia. Lunghezza: circa 400 chilometri per quanto concerne il confine tedesco.
Caratteristica era la non contiguità delle componenti e l’utilizzo integrato di tutte le alternative offerte dalle moderne tecnologie balistiche.
Benché il termine Linea Maginot si riferisca all’intero sistema di fortificazioni, dal Mare del Nord al Mediterraneo, le opere più complesse e moderne furono realizzate al confine nord est con Germania e Lussemburgo (detto Anciens Fronts) e quelle costruite sul confine franco-italiano (cosiddetta Linea Maginot Alpina).
Era un progetto militare ben preciso, un’opera imponente che rispondeva all’esigenza di impedire l’avanzata dei nemici sui territori che i francesi avevano in comune con gli Stati vicini sopramenzionati, impedendo così i massacri della Grande Guerra.
Peraltro detto “capolavoro” si rivelò inutile: essa fu sfondata dall’attacco del 1940 da parte delle truppe tedesche che l’aggirarono e così la colpirono.
Dopo il conflitto la Linea rientrò a far parte del demanio francese; fin dall’inizio ne fu decisa la dismissione: essa era diventata inutile, atteso il notevole cambiamento subito da dottrine, tecnologie e tattiche, di combattimento. Ciò a maggior ragione con la nascita, nel 1969, della deterrenza nucleare francese autonoma (cosiddetta Force de frappe). La struttura fu così abbandonata e intere sezioni vendute all’asta a privati.
Curiosità, all’insegna del puro velleitarismo: all’epoca della “Guerra Fredda” fu progettato un suo reimpiego per la difesa del territorio francese da un attacco convenzionale delle truppe del Patto di Varsavia, ma l’idea tramontò ben presto.
Gran parte delle strutture rimaste sono visitabili.
L’espressione “Linea Maginot” è stata presa spesso presa ad esempio come un qualcosa su cui si fa affidamento, ma che poi disattende le aspettative.
In realtà la struttura fece ciò per cui era prevista sigillando una parte dei confini della Francia; tant’è che, per sfondarla, i tedeschi, come detto, la dovettero aggirare. Nella visione originaria, la Linea era parte di un più ampio piano di difesa, ma non fu completata -nel settore che guardava verso il Belgio-; e ciò determinò la sua inefficacia.
Eccoci a Metz.
Situata nella Regione chiamata Grand Est, alla confluenza dei fiumi Mosella e Seille, è capoluogo del Dipartimento della Mosella.
Un po’ di Storia, con una premessa: in questo luogo sono state trovate tracce di presenza umana risalenti a 200.000 anni prima di Cristo. Niente male!
Tra il V e il III secolo a.C. il popolo gallico dei Mediomatrici [1] si installa nell’oppidum posto nella zona ora denominata di Les Hauts de Sainte Croix (il quartiere più antico di Metz).
Chiamata dai Romani dapprima Divodurum, indi Mettis (IV secolo) e, più tardi (VI secolo), Metz, per la vicinanza coi territori germanici, è importante centro strategico, dapprima romano, indi romano / barbarico, abbellito con anfiteatro, terme e acquedotto.
La città è incendiata da Attila a metà del V secolo; evento catastrofico che pone fine ad un periodo di prosperità.
Successivamente Metz diviene capitale del regno di Austrasia (coi Merovingi, VI secolo); indi capitale religiosa e culturale sotto i Carolingi. Col trattato di Verdun dell’843 l’impero di Carlo Magno è diviso tra i suoi nipoti: a Lotario è attribuito il territorio denominato poi Lotaringia, la futura Lorena, comprendente Metz; infine, nel X secolo, la città entra a far parte del Sacro Romano Impero. E’ governata da un principe-vescovo fino al 1179; a tale proposito, aspetto di rilievo, il vescovo Bertram concede ai borghesi di Metz una carta di privilegi di libero comune.
Divenuta…repubblica, Metz vive il suo periodo d’oro fino al 1400. Nel 1552 accetta di essere posta sotto la protezione francese. La sua annessione alla Francia è sancita dal Trattato di Westfalia (1648, quello che conclude la Guerra dei Trent’Anni [2]). Essa diviene capitale della Provincia dei Tre Vescovi, con il compito di difendere il territorio francese (dai Tedeschi, va da sé).
Durante il regno di Luigi XV il Duca di Belle-Isle ristruttura la città.
E’ annessa alla Germania nel 1871, dopo la guerra franco-prussiana: i tedeschi costruiscono una doppia cintura di fortificazioni, abbattono i bastioni divenuti inutili e danno vita ad una “Città nuova” attorno ad una nuova stazione.
Dopo il 1918 Metz ritorna alla Francia per conoscere un altro “periodo tedesco” dal 1940 al 1944.
Breve annotazione sul punto. Dopo la visita di Heinrich Himmler (Reichsführer SS), a inizio settembre 1940, Adolf Hitler si reca personalmente a Metz nel Natale dello stesso sciagurato anno.
Ma, consapevole dell’ostilità degli abitanti, decide di non rivolgere discorsi alla popolazione e si accontenta di far visita alla Ia Divisione SS, acquartierata in città da agosto.
Città molto aperta all’Europa e al futuro, alle più moderne tecnologie, coniuga la passione per l’arte contemporanea con l’amore per le proprie tradizioni.
E’ Sede Universitaria e ha dato i natali al poeta Paul Verlaine (1844/1896).
Attualmente conta circa 125.000 abitanti, chiamati, in lingua francese, Messins.
Durante la visita ti colpisce in primo luogo l’affettuoso abbraccio in cui il fiume Mosella stringe la città, articolandosi in canali e canaletti che danno vita ad alcune isole, collegate alla terraferma da ponti.
Anzi, per essere esatti, non ci sono solo i due fiumi principali, Mosella e Seille, ad attraversarla, ma pure i corsi d’acqua derivati, che formano isole naturali (orientativamente, zona nord della città), ricche di vegetazione lussureggiante.
Di queste isole, solo tre sono urbanizzate:
l’île de Chambière (quella più a nord); l’île du grand Saulcy (sede dell’Università); l’île du petit Saulcy (con monumenti di rilievo, di cui infra).
Alcuni particolari di carattere storico su questo settore della città che prende il nome di “Quartiere delle Isole”.
Anzitutto il termine Saulcy deriva dalla consistente presenza di salici, favorita dal terreno fangoso delle isole.
La piccola Saulcy, nel secolo XVIII, è scelta per la costruzione del Teatro e della Prefettura.
La grande Saulcy ospita, all’inizio, degli accampamenti militari e dei depositi di legname.
Inoltre è documentata qui la presenza di un polverificio nel 1600. Nel 1800 gli accampamenti militari si sviluppano e sono alzate mura difensive per proteggere la città da eventuali esplosioni. In seguito l’isola è stata valorizzata con parchi e giardini e, dal 1968, è divenuta, come detto sopra, sede della locale Università.
Procediamo con ordine.
Il centro storico di Metz, per lo più, pedonalizzato -e bravi!!-, ha come punto focale la vasta Place d’Armes, sistemata nella seconda metà del 1700 sul luogo dell’antico chiostro della Cattedrale. La Piazza è delimitata dal fianco destro di quest’ultima (v. più avanti) e, di fronte, dall’Hôtel de Ville (Municipio), di poco posteriore, nonché dall’ex Palazzo del Corpo di Guardia: destinato un tempo ai militari che dovevano controllare la piazza, oggi sede dell’Ufficio del Turismo.
Il tutto è dominato dalla Cattedrale, Saint Étienne, monumento gotico perfetto ed armonico (nonostante il lungo periodo di costruzione), celebre per le sue vetrate.
Fin dal V° secolo è accertata, sul sito dell’attuale cattedrale, la presenza di un luogo consacrato al culto del protomartire cristiano, il diacono Stefano, le cui spoglie mortali erano state scoperte a Gerusalemme nel 415. Come, circa un secolo prima, era avvenuto a Bologna, allorché furono ritrovati, per merito di S. Ambrogio, i resti di Vitale e Agricola, i nostri protomartiri, nella zona del cimitero ebraico, attuale Piazza S. Stefano; coincidenze.
Quando, come precisato sopra, nel 451 Attila distrugge la città, il tempio stefaniano rimane miracolosamente in piedi e ciò incrementa il legame della popolazione col Santo.
La cura dell’edificio viene successivamente finanziata dalla dinastia carolingia (Pipino il Breve); anzi Ludovico il Pio e Carlo il Calvo vengono ivi incoronati nell’835 e nell’869, rispettivamente.
Ricostruito come basilica alla fine del X° secolo, è consacrato nel 1040 e, lo sappiamo dai documenti, è di notevoli dimensioni.
Già nel 1120, per volontà dell’allora vescovo Conrad de Scharfenberg, è messa in programma la fondazione di una nuova cattedrale gotica.
Iniziata verso il 1250, viene completata nel 1522; la facciata è stata rifatta a inizio del secolo scorso (1903).
La costruzione che ammiriamo oggi è di un bellissimo color ocra, splendente nelle giornate di sole, caratteristica data dalla morfologia del calcare di Jaumont, ricco di ferro.
Si accede dal fianco destro, Portale della Vergine (1880/85).
Tra le diverse decine di statue che l’adornano c’è quella di S. Clément, S. Clemente, primo patrono della città.
Tradizione e Leggenda: per rallegrarsi e percepire attraverso l’Arte figurativa, lo Spirito che ci accomuna.
Si ritiene che S. Clemente sia stato il fondatore della Chiesa di Metz, una delle più antiche della Gallia, risalente alla fine del III secolo d.C.
Clemente allestisce il suo primo oratorio nelle caves, nelle caverne, cunicoli sotterranei dell’antico anfiteatro. Apostolo nella Regione, è stato il primo vescovo della città (come il nostro S. Zama, ad esempio, più o meno contemporaneo), l’allora Divodurum.
Egli vi giunge in un momento in cui la popolazione è terrorizzata da un enorme drago, col corpo coperto di squame, in grado pure di volare grazie ad un paio di gigantesche ali da pipistrello.
Graoully, questo è il suo nome, per soprammercato, dispone di una gola spaventosa che sputa fiamme e che gli permette di azzannare le sue prede, preferibilmente ragazze (!).
Richiesto dagli abitanti di liberarli da quell’incubo, il vescovo si reca presso l’anfiteatro, tana del mostro, e lo cattura con la sua stola usata come laccio. Così sconfitto ed ammansito, Graoully è costretto a seguire Clemente fino al fiume Seille, nelle cui acque si getta insieme ai suoi sette cuccioli di drago, non appena l’uomo di Dio si è fatto il segno della Croce.
Qui sopra un disegno che riproduce il sigillo dell’abbazia di Saint-Clément di Metz, con il vescovo davanti all’anfiteatro (secolo XIV) e il mostriciattolo a latere, il quale pare essersi trasformato da feroce drago a mite cagnolino.
Chiara la simbologia: il Cristianesimo che debella il Paganesimo.
Possiamo trovare nella cripta una raffigurazione di Graoully divenuto, nel corso dei secoli, una sorta di curiosità locale, benevolo emblema della città.
Questa immagine rende meglio l’idea del mostro. Ma forse siamo prima della…cura-vescovo!
Uno dei tesori della cattedrale di Metz, che i visitatori possono ammirare al fondo del coro, dietro l’altar maggiore, è la Cattedra attribuita a san Clemente dalla tradizione. Si tratta di un seggio di marmo cipollino, composto da due pezzi principali tagliati grossolanamente.
Tutti i vescovi che si succedono a Metz si siedono sulla cattedra di san Clemente al loro ingresso nella diocesi.
Accanto al portale, la Tour de la Mutte: Secoli XIII /XV. Se non avete particolari problemi di vertigini, ne potete salire i 450 gradini, godere il panorama dall’alto e magari udire il suono della grande campana, “Dame Mutte”, del 1605.
Sul fianco sinistro, dov’è situato un altro bel portale, duecentesco, c’è la Tour du Chapitre.
Emozionante, anche per l’imponenza, l’interno della Cattedrale.
Le misure sono, all’incirca: m. 123 di lunghezza e m. 42 di altezza -è una delle più alte cattedrali francesi, le volte sono opera dell’Architetto Pierre Perrat (1340 /1400)-; a tre navate su pilastri (notevoli i contrafforti e gli archi rampanti), con vasto transetto decorato e coro sopraelevato cinto da deambulatorio; sopra le arcate della navata corre il triforio (v. infra) sormontato da grandi finestroni.
Grazie alla grande distesa di vetrate, che da fuori non ti aspetteresti subito, l’ambiente è di una luminosità incredibile: non a caso, la Cattedrale è soprannominata La Lanterna di Dio. Con i suoi quasi 6.500 m² di superficie il complesso costituisce la più grande vetreria gotica d’Europa.
I primi finestroni risalgono al secolo XIII e sono caratterizzati da un blu intenso, chiamato bleu de Chartres (Chartres, altro luogo da sogno), con tocchi stupendi in rosso e oro.
Le altre finestre sono state realizzate tra il XIV
immagine che peraltro non rende appieno l’idea
e il XX secolo. Alcune sono opera di Marc Chagall (1887/1985), insigne pittore russo di origine ebraica -il suo nome originario era Moishe Segal [3]-, naturalizzato francese, di Jacques Villon (1875 /1963), pittore legato al movimento cubista e di Jean Cocteau (1889/1963).
Chagall nel 1959 /1960 dipinge i cartoni di due vetrate del deambulatorio nord con soggetto l’Antico Testamento (Genesi ed Esodo), eseguite dall’atelier di Simon-Marq à Reims. Compone poi, nel 1963, sopra al baldacchino dell’altare della Vergine di Lourdes: Creazione di Adamo ed Eva; Paradiso Terrestre; Peccato originale; Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso; oltre a splendide raffigurazioni di uccelli e fiori.
Ecco alcuni esempi; salvo mio errore.
Altre meraviglie si scoprono in questo luogo che senti essere parte di te, anche se è solo la seconda volta che lo visiti. Anzi, ad essere sinceri, è la prima; visto che, in quella giornata tempestosa di fine 2014, fummo in grado di apprezzarlo ben poco.
Ad esempio, vi sono quattro grandi organi, in corrispondenza di: coro, transetto, cripta, triforio. Quest’ultimo è in una posizione incredibile.
Sulla navata destra, a metà altezza, a poco più di 20 metri, sopra il triforio [4], è posto un organo, “a nido di rondine”.
La didascalia ci spiega che esso “costruito dall’organaro Jehan de Trèves [Treviri] nel 1537 [la cassa è originaria, rinascimentale, opera di Jehan de Verdun, in stile Henri II, con ante in legno dipinte], fu ripristinato nel 1979 da Marc Garnier rispettando scrupolosamente il modello originario del XVI secolo [e rimesso in funzione nel 1981]. E’ uno degli strumenti più idonei all’interpretazione del patrimonio musicale dal 15° al 17° secolo. Durante le funzioni l’organo sostiene e prolunga il canto dell’assemblea. Ma prega pure da solo. E anche quando tace e tutte le sue ante sono chiuse, esso resta là per ricordare che la musica fa parte della ‘città’ di Dio”.
In sintesi: D-o e la Musica sono un tutt’uno.
Usciamo sulla piazza, diretti verso una meta profana, ma pur sempre significativa, in quanto caratteristica della città: si tratta del Mercato Coperto.
Vicino alla Cattedrale, in Place Jean Paul II / rue Paul Bezanson, è un vasto edificio a forma di U. Costruito nel 1785, poco prima della Rivoluzione, fu lasciato a lungo incompiuto; indi fu adibito a Mercato coperto nell’800. Al suo interno non c’è che da sbizzarrirsi tra i vari banchi di vendita: bancarelle di formaggi (!!!!), macellerie, angoletti dove gustare le specialità locali, ma pure quelle esotiche. Non possiamo sostare a lungo, ma s’impone una breve pausa davanti ad un fruttivendolo con un’esposizione coloratissima di ogni ben di dio. Facciamo incetta di frutta: nettarine, mele, qualche banana….Purtroppo -così mi conferma il gentile signore che mi serve- per le mirabelles occorre aspettare alcuni giorni.
Le mirabelles, tipico prodotto lorenese (la regione vanta oltre il 70% della produzione mondiale), diffuso pure in località vicine, sono piccole prugne color oro dal sapore dolcissimo.
Le scoprimmo nel 2003, l’estate del caldo pazzesco, in occasione di una vacanza trascorsa sulla Selva Nera insieme con Marco, allora studente liceale.
Sostammo, durante il nostro viaggio di avvicinamento alla Germania, a Neuf Brisach, graziosa cittadina situata nel Dipartimento dell’Alto Reno, a metà strada tra Colmar (Alsazia) e Friburgo (Foresta Nera).
Neuf Brisach (un comune di poco più di 2000 abitanti) è considerata il capolavoro di Vauban. E’ nata nel 1699 per volontà di Re Luigi XIV, il Re Sole, in funzione difensiva nei confronti della vicina Breisach (all’epoca appartenente al sacro Romano Impero), dalla quale la separa il fiume Reno. Esempio architettonico unico in Europa, con la pianta a stella simile a quella della nostra Palmanova, in provincia di Udine, è una meraviglia: con la grande piazza d’armi, i 48 quartieri disposti ad ottagono regolare e le fortificazioni bastionate.
A Neuf Brisach ci fermammo in un piccolo locale dove, per la prima volta, vedemmo -e gustammo- questi frutti davvero eccezionali; introvabili nel nostro Paese.
La marmellata di mirabelles è, da tempo, uno dei prodotti da me richiesti a Marco in occasione dei suoi periodici ritorni a casa.
Di recente ho scovato, nella nostra Via S. Stefano, un negozio caratteristico dove, insieme al vino, si vendono marmellate francesi, come la mia preferita. Dunque siamo attrezzati. Ma quelle comperate in viaggio o portate dal nostro ragazzo hanno un sapore tutto particolare.
Qui a Metz ci sono numerosi altri mercati cittadini: vi dedicheremo una prossima occasione.
Arriviamo all’isolotto di Petit Saulcy.
Place de la Comédie!
La immortalo, insieme ad una vecchia gloria (locale?) incontrata per caso lungo il cammino.
Con la vicina Place de la Préfecture costituisce un complesso scenografico settecentesco; il relativo Teatro è il più antico di Francia tuttora in attività. La Piazza viene inaugurata nel 1752 con un ballo: è luogo dapprima di spettacoli teatrali; indi, ahimè, negli anni della Rivoluzione, sede di esecuzioni con la ghigliottina (leggo che qui furono decapitate oltre sessanta persone).
Terminata quest’epoca tragica, riprendono le rappresentazioni al teatro, tra le quali, famosa, quella di Sarah Bernardt in Tosca (1905).
Il luogo è curatissimo, pieno di fiori, alberi, essenze diverse; alcune un po’ trascurate, ma si fa il possibile. Al centro, una vivace vita culturale con Musica e Balletti.
Sullo sfondo, la sagoma protettrice della Cattedrale, pur nascosta da quella, mediocre, di un condominio moderno. Combinazione da…pugno in un occhio; ma pazienza.
Una piccola Venezia, con ponti e ponticelli
Una vita trascorsa nell’acqua e nel verde: che c’è di più affascinante?
Poco lontano, per contrasto, la sagoma in pietra grigia, tipo cimitero di guerra per intenderci, del Temple Neuf, cioè il Tempio Nuovo.
Contrasta con gli edifici classici vicini questa Chiesa protestante (luterana) fatta edificare dal Kaiser Guglielmo II (solito mitomane) all’inizio del 1900, nel periodo in cui la città faceva parte dell’Impero tedesco. Il tutto è discretamente tetro; ma di notte essa è illuminata: la sagoma si specchia nella Mosella creando un effetto magico.
Anteriore di circa trent’anni, sempre di epoca guglielmina, è il Temple de la Garnison
Si tratta di uno dei monumenti più alti della città: con il campanile misura circa cento metri (un metro di più della Tour de la Mutte!).
Nel periodo dell’annessione Metz si trasforma a seguito dell’azione delle autorità tedesche le quali decidono di farne una vetrina dell’Impero, a cominciare dall’aspetto urbanistico.
Questa tendenza si realizza con l’apparizione di numerosi manufatti in stile neoromanico (come la Posta Centrale; il Tempio Nuovo di cui sopra; la Nuova Stazione Ferroviaria); neogotico (il portale della Cattedrale o questo Temple de la Garnison), o neo rinascimentale (Palazzo del Governatore).
Le Temple de la Garnison viene costruito in calcare di Jaumont, dal caratteristico color ocra, come la Cattedrale di S. Stefano. S’intende con questo rimarcare la prevalenza protestante tedesca su quella cattolica francese. Destinato soprattutto ai militari di confessione luterana, è inaugurato il 4 luglio 1881. Eccolo, in una cartolina postale dell’epoca.
Annotazione di carattere musicale. Nel 1902 vi tiene un concerto d’organo il Pastore Albert Schweitzer (alsaziano di nascita: Kaysersberg -Alsazia-, 1875 / Lambarene – Congo-, 1965), illustre medico, teologo, missionario, musicista (grande interprete bachiano), filantropo, Premio Nobel per la Pace nel 1952; uno dei pochi assegnatari degni del riconoscimento. Fece molto per la Pace, al contrario di certi suoi recenti epigoni, lupacci ipocriti travestiti da miti agnellini.
Quando la città torna alla Francia nel 1918, il monumento cade in desuetudine; è poi parzialmente distrutto dai bombardamenti alleati della Seconda Guerra Mondiale.
Dopo un incendio scoppiato nel luglio 1946, nasce un dibattito sulla sua destinazione.
Ne viene votato l’abbattimento; ma il programma è realizzato solo in parte, nel 1952.
Resta attualmente il solo campanile, da tempo parte integrante del panorama cittadino.
A poca distanza, sull’isola di Chambière, la chiesa di Saint Vincent (1248), con facciata classicheggiante. Decidiamo di non visitarla per mancanza di tempo.
Passeggiamo per strade tranquille e facciamo pure simpatici incontri.
Percorriamo i viali alberati lungo la Mosella, prendendoci una…rivincita sulla precedente visita del 2014.
L’Esplanade è una bellissima passeggiata aperta a belvedere sulla Mosella, con vista sul fiume, sulle isole e sul vicino “monte” Saint Quentin (m. 350).
Essa inizia a nord con il Giardino Boufflers, costituito nel 1768, sul quale si affaccia il Palazzo di Giustizia (fattezze neoclassiche, 1778/1791). Di fronte al Palazzo il suggestivo monumento al Poilu Libérateur [5], di Henri Bouchard. La chiudo qui, per non appesantire il racconto, ma le vicende riguardanti quest’opera sono assai più complesse e s’incrociano con la storia drammatica di Metz.
Veloce occhiata alla casa natale dell’illustre figlio di questa città, il poeta Paul Verlaine, in Rue Haute-Pierre n. 2.
“Les sanglots longs des violons de l’automne
blessent mon cœur d’une langueur monotone”.
Sono versi di Verlaine, tratti dalla Chanson d’automne: il pensiero, suddiviso in due parti, sarà utilizzato molti anni dopo da…..E per render noto che……
Storia e Poesia s’intrecciano, come la Francia (quella seria, di Liberté, Egalité, Fraternité) e il resto del mondo. Indovinate il contesto nel quale quei versi sono ripetuti! E’ facile, su: non precipitatevi a compulsare Google o altri motori di ricerca, però.
A sud dell’Esplanade si trova l’antichissima Chiesa di Saint Pierre aux Nonnains, forse la più antica in Francia (risalirebbe al 390, cioè fine IV secolo d.C.)
le cui mura facevano parte di un edificio romano del IV secolo, poi trasformato (verso il 615) in cappella di un monastero di benedettine; l’interno, leggiamo sulla Guida del Touring, è romanico, suddiviso in tre navate da grossi pilastri del secolo X; volte ogivali del 1400.
La bellissima balaustrata del coro, in pannelli scolpiti, è conservata nel Museo locale Cour d’Or.
Anche se, in seguito, fu adibita a deposito militare (!!!!), la Chiesa è rilevante testimone della storia di Metz.
Pare sia visitabile, ma abbiamo l’impressione che ci si debba impegnare alquanto per raggiungere lo scopo. Alla prossima!
Poco più a sud, in Rue de la Citadelle, ecco la Chapelle des Templiers, edificio gotico a pianta ottagonale, con affreschi moderni d’inizio secolo.
Vi dedichiamo una veloce occhiata esterna: il tempo stringe.
Rientrati in centro città, ci fermiamo, per un rapido spuntino, in un grazioso locale, posto all’inizio di una strada pedonale, in leggero declivio.
La giovane esercente, ricevuta la nostra ordinazione -due panini con prosciutto cotto e formaggio- si allontana rapida da noi, comunicandoci con un sorriso: “Je vais acheter le pain!”
Torna pochi minuti dopo con un paio di baguettes sottobraccio. Perfetta atmosfera francese.
Ci godiamo gli ultimi istanti di questa stupefacente città, ricca di tante bellezze; tra l’altro, anche di strutture d’avanguardia, come le Centre Pompidou di Metz.
Realizzato vicino alla Stazione ferroviaria, è un grande museo dedicato all’arte moderna, divenuto ben presto uno dei simboli della città
Si tratta dell’opera più importante nel piano di rinnovamento urbano progettato dall’Architetto Nicolas Michelin.
L’edificio è stato progettato, in primo luogo, dagli Architetti Shigeru Ban -giapponese, 1957, già allievo di Arata Isozaki- e Jean de Gastines -francese-.
Oltre al grande spazio espositivo, esteso su 5.000 mq., la struttura comprende luoghi per l’accoglienza del pubblico, uno studio per la presentazione degli eventi artistici, una libreria, un auditorium, un ristorante e un caffè.
I lavori sono iniziati nel 2007; l’inaugurazione ha avuto luogo il 12 maggio 2010. Tempi davvero rapidi.
Il programma delle esposizioni e la scelta dei lavori da esporre sono scelti in sinergia con il Centre Pompidou di Parigi; quest’ultimo, inaugurato nel 1977, vanta, tra i suoi progettisti, il nostro Renzo Piano.
Il Centro (ingresso gratuito per i minori di 26 anni) presenta anche mostre annuali di rilevanti artisti, quali Andy Warhol, Jackson Pollock, René Magritte, George Braque, Henri Matisse e l’immancabile Pablo Picasso.
Riferimenti: http://www.centrepompidou-metz.fr
Un ulteriore balzo ed eccoci a Lussemburgo! Per l’esattezza a Lussemburgo città, capitale dell’omonimo Granducato.
Il “navigatore” ci conduce a destinazione attraverso vie sue; dunque non arriviamo dalla grande Avenue de Metz, come in precedenza, bensì tramite un altro percorso che, ora, non sono in grado di individuare.
Poco importa: ci troviamo in un simpatico quartiere immerso nel verde, Limpertsberg, dal nome del colle su cui si affaccia il piccolo, grazioso condominio (in Rue Albert Unden n. 219, alla fine della strada, in leggera discesa) dov’è l’appartamento abitato da Marco e dalla sua bionda fidanzata polacca, Natalia.
I ragazzi giungono contemporaneamente a noi: entrambi sono giovani manager dipendenti di Ernst and Young, o meglio EY.
network mondiale di servizi professionali di consulenza direzionale, revisione contabile, fiscalità e transaction [6] .
Un rapido e silenzioso ascensore ci accompagna al terzo piano.
L’appartamento è pieno di luce, abbastanza spazioso, adatto a una giovane coppia.
Sulle mensole immagini dei ragazzi durante i loro numerosi viaggi. Accanto, un bel giovanotto in jeans ti guarda divertito da una cornice colorata; alle spalle, un lago di montagna.
“Un amico?” chiedo a Natalia. “E’ il mio papà” risponde lei con un sorriso triste; so che egli è mancato qualche tempo fa. L’abbraccio.
Ci viene ceduta la camera da letto, corredata di bagno, una comodità non da poco.
Dopo un simpatico aperitivo con grana, salsicciotti polacchi e prosecco, consumato in terrazza, proprio di fronte al colle boscoso, rientriamo per una piacevole cena a base di verdure e specialità made in Poland, tra le quali si segnala un suggestivo prosciutto.
Viene stappata una bottiglia di egregio Gewurztraminer acquistata alla cantina di Novacella.
Risate. La gioia di stare insieme. Parliamo in francese, che Natalia conosce benissimo; come la lingua madre.
Ci addormentiamo felici.
3 AGOSTO GIOVEDI’
Marco e Natalia sono al lavoro.
Forti delle loro dettagliate informazioni sui locali mezzi di trasporto, col pensiero di riservarne l’uso al ritorno, ci rechiamo a piedi nel centro città.
Percorriamo la Rue Albert Unden, in questo primo tratto lievemente in salita: giardini ben tenuti, ordine, tranquillità, alcune palazzine in stile liberty accanto a condomini più grandi. Nulla di massificato.
Un Paese sereno, Lussemburgo; dalla storia peraltro abbastanza complessa. E figuriamoci.
Ecco, in sintesi, alcune notizie.
Presentazione
Il Granducato del Lussemburgo (Grousherzogdem Lëtzebuerg; Grand-Duché de Luxembourg) è un piccolo Stato (Kmq. 2.586) dell’Europa occidentale, confinante col Belgio (a Nord e Ovest); con la Germania (a Est); con la Francia (a Sud). È suddiviso in 12 cantoni, riuniti in 3 distretti, ed ha una popolazione di circa 500.000 abitanti, concentrati soprattutto nella capitale, città del Lussemburgo (Luxembourg City).
In base alla Costituzione del 17 ottobre 1868, più volte modificata, il Lussemburgo è una monarchia costituzionale ereditaria. Capo dello Stato è il Granduca (o la Granduchessa; la legge salica non vale più) della casa di Nassau. L’attuale sovrano è il Granduca Henri (n. 1955) -eccolo in una foto recente con parte della famiglia-
salito al trono nel 2000, dopo l’abdicazione del padre, Jean (n. 1921).
Un breve pensiero a proposito di quest’ultimo. Quando ci fu l’invasione tedesca nel maggio 1940, la famiglia granducale, costretta all’esilio, riparò in Gran Bretagna. Lì l’erede Jean si arruolò volontario nell’esercito britannico, inquadrato nelle Guardie Irlandesi, e combatté in Normandia nel giugno 1944 partecipando alla battaglia per Caen nonché, successivamente, alla liberazione di Bruxelles e infine (1 settembre successivo) a quella di Lussemburgo.
Succederà alla madre Carlotta nel 1964.
Questo è il luogo di lavoro del Granduca, in pieno centro città; cioè la residenza ufficiale del sovrano.
Il Potere esecutivo è formalmente prerogativa del Granduca che nomina anche i membri del governo ma, nella pratica, è affidato a un Consiglio dei Ministri che è responsabile davanti alla Camera dei Deputati. A quest’ultima, i cui 60 membri sono eletti a suffragio universale e diretto per 5 anni, spetta il Potere legislativo.
Organo consultivo è invece il Consiglio di Stato, di nomina granducale.
Il Sistema Giudiziario prevede una Corte Suprema e una Corte Amministrativa, i cui giudici sono nominati a vita dal sovrano.
Il Sistema di Difesa del Paese fa riferimento a un esercito di volontari e a una gendarmeria.
Per quanto riguarda l’Istruzione, la scuola primaria, gratuita e obbligatoria dai 6 ai 15 anni d’età, prevede già dal secondo anno lo studio della lingua francese e della lingua tedesca.
L’istruzione secondaria si svolge nei licei, istituti che permettono l’accesso agli studi superiori, o nelle scuole professionali.
Un po’ di Storia
Lo stanziamento dell’uomo nel territorio che diventerà il Lussemburgo è attestato sin dal Neolitico; in seguito il Paese viene influenzato dalla popolazione celtica dei Treveri (la città tedesca di Treviri è a poca distanza, come vedremo domani); indi entra decisamente nella storia grazie ai Romani che vi fanno passare alcune delle loro grandi arterie che dal Reno portano in Gallia; per l’esattezza, il territorio è parte della cosiddetta Gallia Belgica.
Durante la dominazione romana, presso l’incrocio di due di queste strade, viene eretto un torrione fortificato, appartenente poi nel Medioevo all’abbazia di San Massimino di Treviri.
La fortificazione (castellum) è chiamata in periodo medioevale Lucilinburhuc (piccolo castello), da cui ha origine, attraverso la forma intermedia Lützelburg, il nome di Lussemburgo, mentre lo sperone roccioso che svetta nelle immediate vicinanze (Rupe di Bock) ne accresce l’importanza militare.
Dal V secolo d.C. il territorio è oggetto della penetrazione germanica.
Compreso nel regno franco dell’Austrasia merovingica nell’alto Medioevo, è incluso nella cosiddetta Lotaringia (cioè regione assegnata a Lotario) [7] col Trattato di Verdun, cui ho fatto accenno a proposito di Metz (843, divisione dell’impero di Carlo Magno tra i suoi nipoti, figli di Ludovico il Pio).
Per i più volonterosi, ecco una cartina che descrive gli effetti del Trattato.
Nel secolo X il Lussemburgo diventa un’entità relativamente indipendente nell’ambito del Sacro Romano Impero, per merito del conte Sigefredo o Sigfrido.
Le origini dell’attuale città di Lussemburgo risalgono infatti all’anno 963, allorché questi, Conte delle Ardenne (luogo poco lontano di qua, ne riparleremo nei prossimi giorni) fa costruire un castello sullo sperone roccioso fortificato di cui sopra, cioè sul Bock.
Sigfrido, detto poi “di Lussemburgo”, è considerato il fondatore della città.
A far tempo dal 1354 la regione diventa un Ducato e pian piano si estende fino a comprendere Metz, a sud, e Limburgo a nord.
Conquistato dalla Borgogna nel 1443, il Ducato viene in seguito incorporato, come pure l’attuale territorio del Belgio, nell’Impero Asburgico.
Compiamo un balzo di alcuni secoli, con l’ardire di accennare appena al Re Sole, il quale, per un breve periodo di tempo (13 anni, a far tempo dal 1684), se ne impadronisce.
Restituito da Luigi XIV alla Spagna nel 1697 [8], continua a far parte dei cosiddetti “Paesi Bassi spagnoli” fino al 1714, allorché (Trattato di Rastadt; in Germania nel Baden Wuerttenberg, mise fine alla cosiddetta guerra di successione spagnola tra Francia e Austria) passa, insieme col Belgio, dagli Asburgo spagnoli a quelli austriaci. Perdersi in queste vicissitudini è la norma.
Le imponenti fortificazioni della città -una costante delle nostre passeggiate, ogni volta che siamo qui; ma ciò che oggi vediamo è una piccola parte del complesso originario- resistono agli attacchi dei rivoluzionari francesi, ma non riescono a scoraggiarne l’assedio che tiene in scacco la città per ben sette mesi, tra il 1792 e il 1793.
Sotto Napoleone il Paese diventa, dal punto di vista amministrativo, un dipartimento della Francia.
Nel 1815, dopo la sconfitta napoleonica a Waterloo, il Congresso di Vienna istituisce il Granducato del Lussemburgo sotto sovranità olandese (Guglielmo I, re dei Paesi Bassi). Stato indipendente, dal punto di vista giuridico, ma in unione (solo) personale col sovrano olandese.
Questo status giuridico sarà oggetto di grandi discussioni dopo l’indipendenza del Belgio (1830), finché, in seguito al Trattato di Londra del 1839, il Granducato è diviso in due parti: una (maggioritaria) assegnata al Belgio, l’altra all’Olanda.
La città di Lussemburgo, notevole centro strategico data la posizione geografica, rimane capitale della parte olandese, ma è presidiata da truppe prussiane; il che dà origine a infinite dispute tra Francia e Germania. Una guerra viene scongiurata grazie ad un secondo Trattato di Londra (1867), che sancisce la neutralità del Lussemburgo e comporta lo smantellamento di gran parte delle antiche fortificazioni. Lavori di demolizione che significano costi ingenti e oltre dieci anni di impegno; peraltro le pietre ricavate dalle mura sono impiegate per nuove costruzioni, dando così avvio ad un certo sviluppo edilizio.
Nel 1890, dopo la morte del Re dei Paesi Bassi e Granduca di Lussemburgo, Guglielmo III -cui è dedicata la Place Guillaume, dove, tra l’altro, ci sono il Municipio e l’Ufficio del Turismo-, la corona passa alla figlia Guglielmina (la famosa regina Guglielmina d’Olanda, nota in tutto il mondo, USA compresi), ma poiché il Granducato (contrariamente all’Olanda) ancora osserva la legge salica, che impedisce alle donne l’accesso alla successione, il Lussemburgo assurge al rango di vero Stato indipendente.
Granduca diviene lo zio di Guglielmina, Adolfo (fino alla sua morte, nel 1905 [9]), ricordato con uno dei ponti caratteristici della città, il Ponte Adolphe. Non lontano da questo ponte, presso il quartiere denominato Grund, lo vedremo, si uniscono i due principali -ma non unici, come ritenevo la prima volta in cui venni qui!- fiumi lussemburghesi: l’Alzette che è un affluente destro del Sauer, a sua volta affluente di sinistra della Mosella; e la Pétrusse, che scorre per 73 chilometri tra la Francia e il Lussemburgo per confluire nella più importante Alzette.
La città di Lussemburgo è occupata dai tedeschi in entrambi i conflitti mondiali e liberata a settembre 1944. È scelta come uno dei centri di comando alleato, in previsione della battaglia delle Ardenne, autunno / inverno di quell’anno. Ne parleremo a breve quando ci recheremo a Bastogne.
Dopo la liberazione, il Lussemburgo abbandona lo stato di neutralità, aderendo anzitutto al Patto Atlantico (nel 1949) e divenendo così membro fondatore della NATO.
Costituita con Belgio e Olanda l’Unione doganale del Benelux (1947), dieci anni dopo esso entra a far parte della Comunità Europea.
Demografia ed Economia
Il Paese ha una discreta densità demografica media (187 ab./km²) e un tasso di urbanizzazione che è dell’82%, con forti squilibri nella distribuzione demografica, in quanto la popolazione si concentra soprattutto nella regione centromeridionale.
La popolazione ammonta (dati 2017) a 576.000 abitanti, per il 47% stranieri, cui ogni giorno si aggiungono circa 220.000 lavoratori transfrontalieri.
Gli iscritti all’AIRE (Anagrafe Italiani residenti all’Estero) sono oltre 30.000; tra loro, nostro figlio.
Notevoli centri industriali, legati all’attività mineraria, sono: Esch sur Alzette; Differdange; Dudelange e Pétange, tutti nel Lussemburgo sudoccidentale.
Sempre all’industrializzazione è legata la nascita dei primi veri centri urbani.
Lussemburgo, la capitale, che accoglie circa un quinto della popolazione, è costruita su di una piattaforma di roccia fortificata, alla confluenza, come precisato sopra, della Pétrusse nell’Alzette. Importante città industriale, finanziaria e politica, sede di importanti organismi internazionali, una delle tre sedi del Parlamento CEEE, poi UE, insieme a Bruxelles e Strasburgo, oggi ospita importanti istituzioni europee, quali la Banca Europea degli Investimenti e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Il Paese, oltre che di Consiglio d’Europa, NATO, UE, e naturalmente, ONU, è membro di: OCDE, OSCE, e WTO.
Le dimensioni territoriali dello Stato e, soprattutto, la prospera condizione economica hanno determinato un tranquillo andamento della vita politica interna.
Il popolamento del Lussemburgo è rimasto a lungo piuttosto scarso; alla fine del XIX secolo contava meno di 300.000 abitanti, ma la nascita della grande industria siderurgica e il generale slancio dell’economia (iniziato a fine Ottocento; in precedenza era un Paese agricolo assai povero) hanno portato ad un rilevante incremento della popolazione.
Da un punto di vista demografico il Lussemburgo si caratterizza essenzialmente per l’elevata percentuale di stranieri che vi risiedono (soprattutto portoghesi, francesi, italiani e belgi).
Essi rappresentano più di un terzo del totale della popolazione, ma si prevede che nel futuro possano superare la quota del 50%.
Nonostante le modeste dimensioni, è un Paese fortemente industrializzato e il consumo pro capite di energia elettrica è tra i più elevati al mondo. A causa delle notevoli emissioni di sostanze inquinanti il problema ambientale si pone in tutta la sua gravità soprattutto per quanto riguarda la problematica delle piogge acide che minacciano le ampie aree forestali che occupano un terzo della superficie del Paese, nonché l’inquinamento atmosferico e idrico dei centri urbani. Per salvaguardare l’ambiente, il 16,6% del territorio è stato posto sotto tutela mediante l’istituzione di parchi e zone protette, tra cui il Parco Naturale dell’Our, situato nella regione delle Ardenne, e il Parco Naturale Upper-Sûre. Ricche di foreste di latifoglie, zone umide, torbiere e canneti, queste aree protette preservano un raro patrimonio sia floristico (orchidee, giunchi, larici) sia faunistico. Alcuni esempi visivi per rallegrare lo spirito.
Cicogne nere
Martin pescatori
Piccole beccacce
Lontre
Tassi
Gatti selvatici
E Pipistrelli
Senza dimenticare le lepri
Protagoniste, ahiloro, di ricette culinarie molto appetitose, come la lepre in salmì alla lussemburghese.
Un accenno alla Gastronomia.
La Cucina tradizionale lussemburghese è di origine contadina e mostra parecchie affinità con quelle tedesca sia francese. Tra i piatti tipici vi sono lo Judd Mat Gaardebou’nen (maiale affumicato condito con fave, patate e una salsa cremosa a base di panna), l’Haam am Hée (prosciutto cotto nel fieno), le Liewekniddelen mat sauerkraut (polpette di fegato con crauti) e il Trèipen (sanguinaccio con salsicce e purè di patate); il Kachkeis (formaggio cotto).
I kniddelen equivalgono, grosso modo, ai nostri canederli (o knödeln che dir si voglia).
Curioso sapere che i lussemburghesi, come i vicini belgi del resto, non hanno alcun pregiudizio a consumare carni di qualsivoglia tipo, comprese quelle che magari alcuni da noi (come la sottoscritta), non assumono per motivi diversi. Via libera quindi a cosce di rana, cavallo, foie gras (brrr per tutt’e tre, specie l’ultimo), trippa (quella invece piace molto anche a me).
Le bistecche, tanto per regolarsi, sono servite meno cotte di quanto avvenga in Italia: ad esempio, la cottura “al sangue” corrisponde a quella che da noi è “bleu”, cioè appena scottata.
La Birra è la bevanda preferita dai lussemburghesi, ma ottimi sono anche i Vini provenienti dalla valle della Mosella.
Ritorniamo agli argomenti “seri”. Perché forse la cucina non lo è? E’ risaputo che un luogo impari a conoscerlo anche mangiando; o meglio ancora, se ti va fatta davvero bene, incrociando le tue pentole con quelle di qualcuno del posto.
I vari governi succedutisi hanno ratificato accordi internazionali sull’ambiente in materia di inquinamento atmosferico, biodiversità, cambiamento climatico, desertificazione, specie in via di estinzione, rifiuti tossici e nocivi, abolizione dei test nucleari e protezione dell’ozonosfera.
Rimasto per secoli un Paese quasi esclusivamente dedito all’agricoltura, il Lussemburgo, definito dalla sua economia ad alto reddito, è ora uno degli Stati più ricchi del mondo con un tasso di produttività assai alto.
Rispetto agli altri membri dell’UE, inoltre, esso è uno dei pochi a non avere difficoltà nel rispettare i parametri economici stabiliti dal cosiddetto Trattato di Maastricht [10]; modestissimo è il disavanzo del bilancio statale.
Da settembre 2016 contende al Qatar il primo posto nella classifica OCSE [11] per PIL pro-capite a parità di potere d’acquisto; con l’indubbio vantaggio, rispetto al multimiliardario emirato, che è una democrazia e che quindi non finanzia, come il Qatar, con una mano, il terrorismo islamico nei Paesi occidentali coi quali conclude, grazie al loro cinismo, lucrosi affari, con l’altra mano. Non oso immaginare quali diavolerie strologherebbe se avesse a disposizione una…terza mano.
Il sistema economico è aperto, altamente dipendente dagli scambi con l’estero: l’80% dei beni e servizi prodotti nel Granducato è destinato all’esportazione, la spesa in consumo domestico non rappresenta che un terzo del PIL, il 71% della forza lavoro è straniera (ma occupata e integrata). La componente preponderante è rappresentata dal settore servizi, che genera l’86,8% (del PIL), con una componente industriale pari al 13,4% ed alcune attività agricole (0,3%).
Le attività finanziarie sono da trent’anni il cardine dell’economia lussemburghese, rappresentando il 38% circa del valore aggiunto prodotto. La piazza finanziaria lussemburghese è la seconda a livello globale (dopo gli Stati Uniti) per capacità di attrazione di fondi di investimento e leader nella loro distribuzione cross-border, cioè transfrontaliera. Il Granducato è inoltre il principale centro di private banking dell’euro-zona, e il primo centro di riassicurazione captive in Europa [12]. Al settore finanziario si affiancano tutti i servizi complementari di consulenza di direzione e strategia, assistenza legale e fiscale internazionale, revisione contabile.
Per assicurare una crescita sostenibile, a fronte delle caratteristiche strutturali della piazza lussemburghese e dell’alta volatilità dei flussi finanziari internazionali, il governo si sta adoperando per diversificare l’economia con la promozione di nuovi settori di attività, puntando su una crescita qualitativa, ad alto valore aggiunto, capace di cogliere specifiche opportunità aperte dallo sviluppo della ricerca e delle tecnologie applicate. Il progetto all’avanguardia “Space Resources” punta sulla capacità di attrarre capitali esteri per missioni commerciali di esplorazione di asteroidi dai quali estrarre materie prime (!!!!). Lo “Studio strategico per la Terza rivoluzione industriale”, commissionato all’economista americano Jeremy Rifkin e presentato alla fine del 2016, segnala ulteriori possibilità di espansione economica, facendo leva sull’articolazione innovativa e sulla convergenza in una “rete intelligente” delle tecnologie ICT, dell’energia e dei trasporti.
La base industriale attiva ha fatto perno finora sulla siderurgia (“Arcelor-Mittal Steel s.a.”, il più grande gruppo siderurgico mondiale, ha sede in Lussemburgo) la cui produzione di acciaio di alta qualità con minerali importati continua ad essere rilevante. A partire dagli anni ’70 è stata incentivata la creazione di altre attività industriali, finanziate con capitale estero, nei settori: chimica, plastica e materiali sintetici, ingegneria meccanica, strumenti di precisione, elettronica, vetro e legno. La società SES Global, che dispone di una flotta di oltre 50 satelliti per servizi di comunicazioni e broadcasting [13] ed è attualmente il primo operatore satellitare a livello mondiale.
Nel campo della logistica, che occupa attualmente il 5% della forza lavoro, il Granducato sta intensificando le interconnessioni con i mercati internazionali tramite un programma di potenziamento delle capacità di trasporto aereo (Cargolux, LuxairCargo e CargoCenter), di trasporto ferroviario (CFL e CFL Multimodal) e di trasporto fluviale (dal 1991 il Lussemburgo ha un proprio registro navale) per le forniture di prodotti petroliferi da Anversa e di materiali per costruzioni.
Sono in corso di ampliamento tutte e tre le piattaforme logistiche del Paese: il porto fluviale di Mertert, collegato alla piattaforma stradale e ferroviaria di Bettembourg, nonché l’aeroporto internazionale di Findel, che pur avendo una connotazione regionale per il traffico passeggeri, nelle attività cargo è il quinto scalo a livello europeo.
Per l’interscambio di beni, i flussi riguardano quasi esclusivamente la zona euro e si concentrano sui Paesi limitrofi. Solo alcune produzioni industriali hanno un mercato più esteso, in particolare quelle che sviluppano nuovi materiali (come è il caso di alcuni tipi di pneumatici Goodyear).
La produzione agricola include cereali (frumento e orzo), patate, vini della Mosella, allevamenti altamente specializzati di bovini e suini. Un terzo del territorio lussemburghese è coperto da foreste.
Cultura
Regione di passaggio e di transizione, il Lussemburgo deve gran parte della sua identità culturale ai contributi dei Paesi limitrofi e all’influenza subita in particolare dalle due grandi civiltà con cui nel corso della storia è entrato in contatto: la romana e la germanica.
Significativa la Letteratura che, caratterizzata dal multilinguismo, presenta opere scritte in lingua lussemburghese, francese e tedesca: tre letterature dunque, ognuna delle quali può vantare una tradizione plurisecolare. Tra gli Autori che hanno contribuito al successo della letteratura in lingua nazionale, i cui esordi gli storici collocano nel XIX secolo, vi sono Michel Rodange, Guy Rewenig e Roger Manderscheid; nonché Edmond de la Fontaine (1823-1891) noto con lo pseudonimo di Dicks, poeta nazionale lussemburghese, che scrisse anche la prima guida turistica della cittadina di Vianden, di cui appresso.
Da sottolineare, ai fini di una presa di coscienza culturale nazionale, anche l’apporto di autori stranieri illustri che il Lussemburgo nel corso della storia ha ospitato, quali Jean Racine, Wolfgang Goethe, Jules Michelet, André Gide, René de Chateaubriand e Paul Claudel. Ma soprattutto Victor Hugo, il quale, a più riprese (tra il 1862 e il 1871), soggiornò nella cittadina di Vianden, situata nella parte Nord-Est del Granducato, da noi visitata con Marco nell’estate 2014; celebre, tra l’altro, per un suggestivo castello (IV, prime tracce, – XVII secolo).
Lo scrittore francese contribuì a far conoscere nel mondo questo graziosissimo centro, immortalandolo in poesie, scritti diversi e disegni. La casa in cui egli soggiornò è oggi trasformata in Museo.
C’è pure un significativo busto dello scrittore,
opera di Auguste Rodin (l’autore che abbiamo già ammirato a Verdun), visto in occasione della visita nell’estate 2014 con Marco .
Il Lussemburgo è sede di importanti musei, testimonianza sia del patrimonio storico-culturale del Paese sia delle espressioni artistiche contemporanee. Il più importante è senza dubbio il Museo Nazionale di Storia e Arte, situato nel centro della capitale, il quale, oltre a fornire materiale documentario sulla storia del Lussemburgo, è spesso promotore di importanti esposizioni artistiche. Lo visiteremo, prima o poi!
Due parole sulla Lingua.
Benché da tempo usata come idioma quotidiano, il lussemburghese (letzenburgesch) è stato dichiarato lingua nazionale del Lussemburgo (solo) nel 1984.
Il fatto è all’origine di una scherzosa polemica tra Marco e suo padre: mentre infatti quest’ultimo liquida la lingua locale come un mediocre dialetto tedesco / francese, con venature fiamminghe, venuto in auge in tempi di “piccole patrie”, ma senza alcun contesto solido alle spalle, Marco, da buon neofita, ne rivendica con orgoglio l’assoluta dignità ed autonomia.
Anzi, a quanto so, l’autunno prossimo, inizierà a frequentare un corso di lussemburghese.
Tant’è vero che, aggiunge il giovanotto, il Giorno dell’Indipendenza nazionale, il 23 giugno, il Granduca pronuncia il suo discorso in lussemburghese. Inoltre nostro figlio ha, dalla sua, la figura di René Engelmann (1880/1915) linguista e autore di racconti, che fissò le regole grammaticali di base dell’idioma lussemburghese, destinato a diventare successivamente lingua nazionale.
Come che sia, quasi tutti i cittadini parlano anche francese e tedesco; senza considerare che tanti conoscono bene pure l’inglese, soprattutto per motivi di lavoro. E questo vale pure per la maggior parte degli stranieri residenti, a cominciare da Marco e Natalia.
Termini lussemburghesi molto usati sono: moien (salve); äddi (arrivederci); gudd (buono); schein (bello). Merci, con l’accento sulla prima sillaba, significa grazie.
Continuiamo la nostra escursione mattutina.
Eccoci nel cuore della città, chiamata dai suoi abitanti d’Stad.
Ci troviamo su una vasta piazza, il Piazzale di Glacis, dove ogni anno, dal 24 agosto (Giorno di S. Bartolomeo) ai primi di settembre, si tiene una grande festa popolare, la Schueberfouer -in lussemburghese “Conto alla rovescia”- che attrae oltre due milioni di spettatori da tutto il Granducato e dall’estero.
Questa festa richiama un pubblico diversificato e internazionale che si lascia tentare dall’atmosfera coinvolgente e unica della “Fouer”, come gli abitanti hanno soprannominato affettuosamente la loro festa.
La Schueberfouer è un’autentica realtà lussemburghese: istituita da Giovanni I di Boemia nel 1340 (v. più avanti) come mercato, si è trasformata nel corso dei secoli in grande fiera di attrazioni senza pertanto perdere le sue origini popolari e culturali.
In questa occasione, i lussemburghesi e i non-lussemburghesi si incontrano, si ristorano, si divertono. E non importa se questo accade sulla giostra di cavalli pluricentenaria o in occasione di memorabili autoscontri, oppure nell’andare a zonzo gustando le tipiche Gromperkichelcher (frittelle di patate a forma di focaccina), o le deliziose gaufres (cialde -dolci e non- originarie di Francia e Belgio, poi diffuse altrove, che vengono cotte in un apposito recipiente che le rende croccanti all’esterno e soffici all’interno) e altre piacevolezze; o anche, perché no, avventurandosi, gambe all’aria e testa in giù, in attrazioni da capogiro.
La Schueberfouer, oltre ad essere la più antica tradizione culturale lussemburghese ancora praticata ai nostri giorni, è pure, come si vede, un rilevante luogo di gastronomia popolare e di innovazione; anche per quanto concerne giochi e realtà varie legate al tempo libero.
Quest’anno non vi parteciperemo, ma verrà l’occasione!
Per tutte queste ragioni la città di Lussemburgo, organizzatrice, propone ogni anno ai visitatori una mescolanza suggestiva fra tradizione, gastronomia ed attrazioni diverse, una combinazione dalla forma unica in Europa.
Tra le tradizioni più diffuse e coinvolgenti in Lussemburgo ci sono il Carnevale, che debutta tradizionalmente il giorno della Candelora (il 2 febbraio), il Bürgsonndeg (il Giorno dei Falò), che si svolge la settimana seguente, e la Festa Nazionale, che viene celebrata il 23 giugno. La Domenica delle Palme, in alcuni luoghi, i contadini piantano dei rami di bosso benedetto nei campi seminati, mentre Ognissanti è un giorno di festa familiare in cui si va ad assistere alla benedizione della tomba di famiglia.
A est della capitale, la città di Echternach festeggia la Pentecoste con una singolare processione danzante in onore di San Willibrord [14], le cui spoglie sono conservate nella basilica della città. Al suono di una polka, i pellegrini, che si tengono uniti afferrando i lembi di fazzoletti bianchi, procedono per le vie della città facendo tre passi avanti e due indietro, impiegando anche parecchie ore prima di raggiungere la chiesa del Santo Patrono.
Nello stesso fine settimana la città di Wiltz, nelle Ardenne, celebra la sua annuale Festa delle Ginestre con sfilate e variopinti carri allegorici. Da segnalare anche le nella valle della Mosella, dove ogni villaggio celebra quasi tutte le fasi del processo di vinificazione durante la stagione delle feste che va da agosto fino a novembre.
Le Abitazioni tipiche del Lussemburgo, costruite in legno e pietra, sono quelle caratteristiche di tutte le regioni montuose e ricche di foreste dell’Europa centrale: spesso agli alloggi familiari si accompagnano anche granai e stalle.
Di rilievo la produzione dell’Artigianato locale che mostra chiare influenze tedesche (porcellane, articoli in legno, riproduzioni di armi e armature).
Colore, Cultura…Gioia di vivere, Occasioni di incontro e scambio: l’essenza dell’Occidente, detta in sintesi. Perché e in nome di che dovremmo, di grazia, privarcene?
Usciamo dalla piazza per entrare in un magnifico parco pubblico e riprendere fiato.
Precisazione. Come le altre del “Diario di Viaggio”, del resto, questa puntata su Lussemburgo non intende essere una Guida turistica del Granducato, sistematica e suddivisa secondo precisi criteri; bensì è esperienza vissuta, giocoforza riportata talora in modo disorganico; nonché un invito a visitare il luogo.
Posso riassumere questi giorni in una dizione, forse un po’ scontata, ma che ritengo efficace, una volta tanto: “Il mio Lussemburgo”.
Ci incamminiamo verso il centro antico della capitale.
Tappa obbligata e piacevolissima, ogni volta che veniamo da queste parti: la Pasticceria di Léa Linster, la celebre chef lussemburghese, titolare, tra l’altro, di un prestigioso ristorante a Frisange (parte sud del Paese), vincitrice di diversi riconoscimenti, tra cui, unica donna, spicca il famoso Bocuse d’Or 1989, in onore del leggendario cuoco francese Paul Bocuse -classe 1926-, il quale, per la cronaca, diffida delle colleghe. E ti pareva….
Entriamo dunque nel regno più piccolo di Léa. Qui, all’inizio della suggestiva Rue de l’Eau, è piacevole sostare: una specie di bomboniera, con le pareti a tinte color pastello, gli scaffali ricchi di leccornie, tra le quali spiccano scatole di biscotti, cioccolatini, oltre a barattoli di confetture usciti dal laboratorio dell’altrettanto celebrata Christine Ferber, la marmellataia più conosciuta al mondo, personaggio la cui esistenza avevo conosciuto grazie ad un articolo di Angela Frenda, l’esperta gastronoma del Corriere della Sera. Lo scritto illustrava con dovizia di particolari la vita di questa ancor giovane artigiana, tanto appassionata quanto rigorosa, conosciuta pure oltreoceano, tanto che perfino l’attore Brat Pitt pare le avesse fatto visita, tempo fa, allo scopo di procurarsi leccornie di provenienza sicura per i suoi figli. Incuriositi, durante una nostra visita a Marco durante l’estate 2014, scovammo, Mauro ed io, il suo negozio-fabbrica-di-meraviglie situato a Niedermorschwihr, un paesino alsaziano da favola.
Saputo che, quel giorno, Madame era presente, con notevole faccia tosta annunciai ad un suo collaboratore che desideravo conoscerla: questi, con un sorriso, dopo essersi consultato con la padrona di casa, mi fece accomodare in una vasta cucina/laboratorio dove un certo numero di pentoloni bolliva senza sosta. Inebriante odore di frutta. Christine fu molto gentile con quella sconosciuta giunta dall’Italia che interrompeva il suo lavoro: mi salutò con cordialità e mi regalò un barattolo di marmellata di lamponi, nuovo di zecca. Ricordi indimenticabili.
Ma anche Léa Linster ha le sue suggestioni di cui approfittiamo volentieri: una perfetta quiche lorraine da dividere in due e alcune madeleines, deliziosi pasticcini di proustiana memoria.
Confesso che le madeleines di Léa Linster sono inarrivabili per fragranza e sapore evocativo.
Il tutto accompagnato da due cappuccini serviti da una signora danese molto cordiale, perfettamente intonata al contesto.
Così confortati, riprendiamo la nostra passeggiata, accompagnati da un prezioso carico: tre barattoli di marmellata by Niedermorschwihr, con i caratteristici centrini in stoffa rossa a pallini bianchi che vestono i coperchi e il grazioso nastro bianco finale. Gusti: Fragola, Arancia rossa e un sapore nuovo, Mango. Per le Mirabelles, lo sappiamo dal fruttivendolo di Metz, occorre pazientare qualche tempo.
Provvederà Marco quando ci farà visita il prossimo inverno.
Eh sì…perché le marmellate di Christine sono…le marmellate di Christine!
Che cosa c’è di meglio che tornare dove se non tutto, almeno molto, è cominciato?
Il BOCK!!!! Vi ho fatto accenno nelle pagine precedenti. Dalla cima della rocca possiamo godere una vista ricca di suggestione.
A circa metà altezza si trovano le cosiddette Casematte.
Si tratta di un labirinto di gallerie, camminamenti e passaggi vari, scavati nella roccia tra il 1737 e il 1746. Questi lunghi corridoi, nel tempo, ebbero utilizzazioni diverse: mattatoi, forni, presidi militari.
Dopo il 1867, in occasione della demolizione di gran parte delle fortificazioni, essi vennero per lo più sigillati, ma ne rimasero accessibili alcuni tratti, per un totale di circa 17 chilometri (non poco!), dove trovarono rifugio 35.000 abitanti della città durante la Seconda Guerra Mondiale.
Sono visitabili da marzo ad ottobre; Mauro recalcitra (vai a vedere perché), ma essi non possono mancare nel curriculum di due “vecchi lupi di luoghi sotterranei” come noi. Alle prossime occasioni; ci appunteremo sul petto un’ulteriore medaglia.
Ben visibile dall’alto del Bock è l’imponente Muro di Venceslao (Wenzelmauer) -dal nome di Venceslao detto il Pigro (sic!), duca di Lussemburgo dal 1383 al 1388- che faceva parte della cerchia di mura. Ne costeggiammo una parte, nel 2014, durante una giornata piovosa: supera il corso dell’Alzette, per arrivare alla grande Abbazia di Neumünster (v. infra, la visiteremo l’ultimo giorno) e continuare alle sue spalle, salendo poi verso le rovine di tre torri del 1050.
Ecco alcune immagini di questa parte della città, non troppo sistematiche
Siamo sul Bock
Vista, dal Bock, sul fiume Alzette, con mappa orientativa
Ancora
La vicina bella Chiesa di S. Michele, alle nostre spalle
Voilà, in lontananza, la collina di Kirchberg, coi piccoli grattacieli sedi di alcune istituzioni europee.
Costruzioni dall’aspetto un po’ inquietante; forse perché, ogni volta che ho passeggiato alla loro ombra, in orari differenti, non ho mai incrociato anima viva. Solo auto -ipotizzo guidate da esseri umani- le quali, uscite in fretta e furia da garages sotterranei, fuggivano il più lontano possibile. Tutto ciò certo non ha a che fare col Lussemburgo in sé, ma mi richiama inevitabilmente una certa gretta astrattezza dell’Europa di oggi (all’opposto della spiritualità concreta dei Padri Fondatori), nell’affrontare i difficili problemi che essa ha di fronte, a cominciare da quelli posti da una disordinata immigrazione verso il nostro continente in atto da diversi anni. Mi riferisco ovviamente a quella proveniente da Paesi in cui l’Islam è religione maggioritaria: massiccia, non soggetta ad alcuna seria regolamentazione da parte dei governi delle nazioni ospitanti. E, per converso, bando alle ipocrisie, caratterizzata, per lo più (le singolarità esistono in tutti i contesti), da intenzioni tutt’altro che pacifiche, da parte dei nuovi arrivati. Basti esaminare -con un minimo di animo sgombro da idee preconcette e pregiudizi al contrario, sorta di “razzismo” alla rovescia, tipico dei salotti bene- la situazione attuale in materia di sicurezza paragonandola solo a quella di alcuni anni orsono per trarre le dovute conclusioni, imputabili per lo più alle catastrofiche politiche migratorie attuate dalle nostre classi dirigenti.
Italiane in primis ed europee in genere.
Disprezzo per la democrazia, bieco affarismo, che nulla ha a che spartire con la vera solidarietà e con l’autentico spirito di accoglienza, di cui tanto si blatera a vanvera in quei salotti senza conoscerlo, tanto per seguire la parolaia moda imperante.
La mappa orientativa posta sul Bock, menzionata sopra, ci aiuta a localizzare la nostra meta di qui a poco: la casa natale di un personaggio del quale abbiamo parlato a lungo durante la settimana di Novacella, Robert Schuman.
Ci dirigiamo, in discesa, verso un luogo ricco di Storia.
E intanto, naso all’insù, volgiamo lo sguardo verso gli antichi bastioni, con resti di torri medievali.
Giungiamo al quartiere denominato Clausen ed imbocchiamo una strada un po’ stretta, suggestiva, in mezzo agli alberi, dedicata ad uno storico lussemburghese, Jules Wilhelm (1866/1942)
Dapprima incontriamo un cimitero di guerra tedesco.
Vi riposano 263 militari. Dal 1815 al 1866 il Granducato ha fatto parte dell’Unione prussiana e, poco lontano, era di stanza una guarnigione di quello Stato. I morti di tale guarnigione furono sepolti in questo cimitero. Vi furono poi inumati militari di entrambe le guerre mondiali. Ad alcuni chilometri di qua (a Sandweiller) si trova un vasto cimitero di guerra germanico, con oltre 10.000 corpi.
Eccoci a Casa Schuman, con una targa in cui è raccontata, in modo esaustivo, la sua vita.
Robert Schuman nasce in questa casa il 29 giugno 1886 da padre lorenese e madre lussemburghese. E’ cittadino tedesco, come il padre, poiché Alsazia e Lorena erano state annesse, dopo la guerra franco/prussiana del 1870, al Reich guglielmino; ma in famiglia si parla lussemburghese. Robert frequenta la scuola primaria a Clausen, indi, a dieci anni, entra all’Athénée de Luxembourg, scuola secondaria, in cui tutto l’insegnamento è bilingue: francese e lussemburghese. Al termine di questo ciclo di studi egli parla correttamente tre lingue: francese, tedesco, lussemburghese.
Frequenta università tedesche e, nel 1912, si stabilisce come avvocato a Metz. Nel 1918 Alsazia e Lorena ritornano alla Francia e Schuman diviene cittadino francese. Si lancia in politica e viene eletto deputato. All’indomani della Seconda Guerra Mondiale si colloca il suo successo politico: Ministro delle Finanze nel 1946; Presidente del Consiglio, l’anno dopo; indi Ministro degli Esteri (1948/1953); Ministro della Giustizia (1955). Muore il 4 settembre 1963 a Scy-Chazeilles (Dipartimento della Mosella, Regione del Grand Est), dov’è sepolto.
Un’altra targa, con immagini dello Statista.
La casa in cui egli nacque.
Sembra che, da un momento all’altro, egli apra la porta e ti inviti ad entrare.
Dal 1990 la casa è sede del Centro Studi e Ricerche Europee Robert Schuman (CERE)
Principali obiettivi del Centro: la ricerca scientifica in materia di storia del processo d’integrazione europea, da una parte; e, dall’altra, il ruolo del Granducato del Lussemburgo in detto processo.
Il luogo tutto è colmo di pace e serenità.
Compiamo una lunga passeggiata costeggiando le rive del fiume Alzette, che forma pure alcune “chiuse”, di tutto rispetto; donde il termine Clausen.
Ritorniamo in città, cioè nella parte alta, tramite un ascensore panoramico nuovo di zecca (2016), posto all’imbocco del quartiere di Pfaffenthal.
Attraversiamo un giardino pubblico, il Parco Pescatore, soffermandoci davanti ad una scultura moderna: insolita, ma scenografica.
Opera dello scultore francese Jean Bernard Métais (n. 1954 a Les Mans), s’intitola Chambre sensorielle o Passe-Muraille. Commissionata dalla città di Lussemburgo, è stata inaugurata nel 2006.
Si tratta di un’installazione artistica permanente, posta giusto sopra l’antico reticolo di casematte, che si trovano parecchi metri sottoterra. L’artista, intervenendo sul percorso visibile (ma pure invisibile) e collegando l’opera all’antica fortezza lussemburghese, riattiva un focus di memoria sepolto, collegando mentalmente e fisicamente lembi di memoria locale.
L’opera, in bronzo, alta 4 metri di altezza e 7 di diametro, consta di due emisferi, attraverso i quali il visitatore penetra, come in una sorta di rifugio. Consta di 8000 fori, simili a occhi, sì da far intravvedere il paesaggio esterno. All’interno ci troviamo in un contesto sonoro che ci avvicina e ci allontana, al tempo stesso, dall’ambiente circostante. Attraversare la scultura ci dà l’impressione di essere catapultati in un cerchio magico in grado di mettere in azione meccanismi di Connessione / Disconnessione; Vicino / Lontano.
Interessante: torneremo perché merita una visita più approfondita.
D’altronde essa è dedicata a chi, in occasione di una passeggiata, non disdegna di osservare ed osservarsi con uno sguardo nuovo.
Forti delle spiegazioni forniteci stamani da Natalia, azzecchiamo, tra i tanti, l’autobus giusto, il n. 21.
Un discreto ripasso della città, comodamente seduti.
Concentrati ad osservare questo e quello, non ci accorgiamo di aver oltrepassato la fermata vicina alla nostra destinazione.
Mauro interpella l’autista: questi, onesta faccia contadina, in un francese lussemburghesizzato, ci rassicura: Arriviamo al capolinea, poi torniamo indietro e vi dico io dove scendere. Detto fatto. Giunti a fine corsa, egli si concede una breve pausa per una sigaretta (ci mancherebbe….): poi riparte con noi, unici passeggeri. Ad un suo cenno, scendiamo dopo averlo ringraziato.
Merci an Äddi cioè: Grazie e Arrivederci!
4 AGOSTO VENERDI’
Programma di oggi: gita a Treviri, distante da Lussemburgo meno di cinquanta chilometri.
Con noi solo Marco, perché Natalia è trattenuta da impegni di lavoro.
Imbocchiamo l’Avenue John Fitzgerald Kennedy che conduce alla collina di Kirchberg.
Passiamo veloci con la nostra automobile e..
Ecco le istituzioni europee, alle quali ho già fatto cenno ieri. A breve distanza, la sede di EY, che lo stesso Marco ci mostra: nuova di zecca, con pareti in vetro (non faccio in tempo a fotografarla)…e un vasto edificio che ospita il prestigioso studio legale Arendt & Medernach.
Ma il…fico più bello del bigoncio è il palazzo della Philarmonie du Luxembourg.
Una struttura luminosa, piena di colori, avveniristica; non somigliante alla consorella berlinese, almeno per quanto concerne l’esterno -tra l’altro, è nata quasi cinquant’anni dopo, in epoca e luogo assai diversi- ma che, nello spirito, la ricorda molto.
Inaugurata nel 2005 è opera dell’Architetto francese Christian de Portzamparc (Casablanca, 1944).
La Philarmonie du Luxembourg https://www.philharmonie.lu/fr/
ospita solisti e ensembles tra i più famosi del mondo e vanta un’orchestra prestigiosa.
Direttore principale è dal 2015 Gustavo Gimeno.
Nato a Valencia nel 1976, ha iniziato la sua carriera di direttore in ambito internazionale come assistente di Mariss Jansons nella Royal Concertgebouw Orchestra di Amsterdam.
Allievo pure di Bernard Haitink, è stato l’ultimo direttore assistente di Claudio Abbado con l’Orchestra Mozart, la Lucerne Festival Orchestra e la Mahler Chamber Orchestra.
Non male come credenziali. La vita è fatta d’incredibili incroci e quelle che chiamo “persone – mondo” le ritrovi ad ogni passo.
Viaggiamo in direzione est ed entriamo in una regione denominata Moselle Luxembourgeoise.
Per i lussemburghesi la Mosella -d’Musel, nella loro lingua- [15] non è un fiume come tanti che segna un confine naturale (qui tra il Paese e la Germania), bensì pure un’autentica regione; compresa tra Wasserbillig a nord e Schengen [16] a Sud.
Luogo ricco di verde, risorse naturali, piccoli paesi dove è piacevole fermarsi a gustare la varia cucina o per trascorrere alcuni giorni nelle numerose, confortevoli chambres d’hôtes e nei graziosi gîtes ruraux. Paesini poco lontani dalla nostra strada, caratterizzati da arditi campanili.
Zone vinicole di grande rinomanza, come del resto tutta la “sub regione” di Treviri.
Proseguiamo, senza cedere alla tentazione di fermarci.
Ora siamo nella Bundesrepublik Deutschland.
Raggiungiamo in breve la nostra meta.
TRIER UNIVERSITÄTSTADT, annuncia il cartello su sfondo giallo all’ingresso della città.
Parcheggiamo non lontano dalla celebre Porta Nigra, uno dei simboli di Treviri.
Alcune notizie storiche, tenetevi forte. Ma se avete doppiato il capo “Storia del Lussemburgo, non potete temere nulla.
Le prime tracce della presenza umana in questi luoghi risalgono, a parere di alcuni studiosi, a circa 55000/4500 avanti Cristo. Secondo una leggenda fu Trebata (o Trebeta), figlio del re degli Assiri, Ninus, a fondare la città circa 1300 anni prima di Roma.
Ipotesi suggestiva, ma, a quanto so, non avvalorata da solide fonti.
Si tratta comunque della più antica città della Germania; o comunque una delle più antiche.
Secondo documenti attendibili Treviri è di origine romana. Nasce infatti nel 16 a.C. -nei pressi di un insediamento militare (risalente al 30)- la città di Augusta Treverorum, cioè la Città di Augusto nel Paese dei Treveri [17](capoluogo della Gallia Belgica).
Dal 306 al 312 è sede degl’imperatori Massimiano, Costanzo Cloro e Costantino.
Sotto l’impero di Costantino il Grande (306/324) Treviri è ampliata, diviene sede della Prefettura del Pretorio delle Gallie, uno dei due enti più importanti dell’Impero Romano d’Occidente. Vengono costruite la Basilica Palatina e le Terme Imperiali; è città ricca, come attestano i monumenti visitabili ancora oggi.
Dal 328 al 340 vi risiede l’Imperatore Costantino II e dal 367 Valentiniano I. Nel 407, in concomitanza con l’invasione di Vandali, Alani e Suebi, la prefettura è trasferita ad Arles (odierna Provenza).
Il Cristianesimo è introdotto nel 70 e.v. da commercianti siriaci e nel 314 si istituisce il primo vescovato a nord delle Alpi; Eucario è il primo titolare.
Nel 339 o 340 vi nasce il grande S. Ambrogio, vescovo e patrono di Milano.
Durante il regno di Carlo Magno la città è elevata al rango di arcidiocesi e nel 772 l’arcivescovo di Treviri diventa Principe vescovo, con conseguente immunità giudiziaria per quanto concerne tutte le sue proprietà (villaggi, castelli, monasteri, chiese).
Il già citato trattato di Verdun dell’843 include Treviri e il territorio limitrofo nella cosiddetta Lotaringia e gli arcivescovi ottengono nel IX-X secolo il diritto di imporre le tasse e quello di battere moneta: essi acquistano così una notevole indipendenza.
Inoltre, fin dal XIII secolo, l’arcivescovo di Treviri ricopre il titolo -e il rilevante incarico- di Principe Elettore del Sacro Romano Impero.
Dalla fine del XVII secolo la sede principesca viene condivisa in alternanza con Coblenza, in una storia movimentata che alterna periodi splendore ad altri di decadenza; ciò fino al 1786 quando l’ultimo vescovo-elettore, Clemente Venceslao di Sassonia, risiede esclusivamente in quest’ultima città. L’arcivescovo controllava vasti territori, dal Reno ai confini con la Francia, e il suo potere durerà fino al 1795, allorché i territori della riva sinistra del Reno sono occupati dalle truppe francesi rivoluzionarie.
Nel 1815 la città entra a far parte del regno di Prussia.
La Prima Guerra Mondiale ostacola la crescita economica; fino al 1930 la città è occupata dai Francesi.
Nella Seconda Guerra Treviri subisce rilevanti bombardamenti: interi quartieri sono distrutti. Vengono rasi al suolo o gravemente lesionati notevoli monumenti.
Oggi Treviri (circa 115.000 abitanti) appartiene al Land Federale della Renania Palatinato ed è capitale di circoscrizione amministrativa.
A Treviri ha sede una rilevante Università, fondata nel 1483, chiusa nel 1796 e riaperta nel 1970.
La città è famosa per i numerosi edifici di epoca romana ancora ben conservati. Treviri era una delle quattro capitali della Tetrarchia [18], con Milano, Sirmio e Nicomedia, ed è oggi quella meglio conosciuta archeologicamente. La sua stagione architettonica si concentra durante la prima e la seconda tetrarchia, proseguita poi, sia pure in modo simbolico, da Costantino e Valentiniano fino al 395.
In città, nei numerosi monumenti superstiti, si può percepire la magnificenza dell’epoca e l’adozione di quei principi spaziali tipici del periodo cosiddetto Tardo Antico [19]. Dal un trentennio (1986) gran parte dei monumenti di origine romana e medievale della città (e delle vicinanze) fanno parte del complesso dei Beni Patrimonio dell’Umanità di Treviri , così inserito nell’Elenco dei Patrimoni dell’Umanità dall’UNESCO.
Iniziamo la nostra visita dalla Piazza del Mercato, l’Hauptmarkt, il mercato principale.
Sorge a metà strada dell’antico decumano (romano).
Al centro si ergono una croce del 958 (eretta allorché fu concesso alla città il diritto di mercato, restaurata nel XVIII secolo)[20] e una fontana (Petrusbrunnen, del 1595) dedicata a S. Pietro, Patrono della città: la statua del Santo è posta nella parte alta, mentre le Quattro Virtù (cardinali, immagino) sono sul basamento (copie).
La piazza è cinta da notevoli edifici medievali e rinascimentali. Come, ad esempio, la Rotes Haus (Casa Rossa, del 1684) e la Steipe, dove oggi si trovano un bel caffè (all’ora di pranzo ci fermiamo per una piacevole sosta a base di zander filet, cioè filetto di luccioperca, mit kartoffeln e vino bianco locale) e lo Spielzeugmuseum, il Museo del Giocattolo, con la sua ampia collezione di trenini, bambole, ecc.
La Steipe venne eretta tra il 143 e il 1483 come casa per le feste e di mescita del Consiglio comunale (!). Il termine Steipe deriva dai pilastri di sostegno delle arcate aperte ogivali, chiamati così nell’idioma locale. Qui si tiene regolarmente un piccolo mercato, eccetto la domenica.
Sia la Rotes Haus che la Steipe furono distrutte durante i bombardamenti alleati della Seconda Guerra Mondiale (1944), ma vennero successivamente ripristinate.
Sulle finestre della Rotes Haus, al primo piano, c’è scritto in lettere oro: “ANTE ROMA TREVERIS STETIT ANNIS MILLE TRECENTIS PERSTET ET AETERNA PACE FRUATUR. AMEN” Facile la traduzione: Treviri sorse milletrecentoanni prima di Roma [nientemeno!], che essa continui ad esistere e goda di eterna pace”.
Sul lato sud della piazza sorge la Sankt-Gangolf-Kirche, una chiesa gotica costruita tra il XIV e il XV secolo alla quale si accede da un portale barocco decorato con figure di angeli.
Iniziamo la nostra visita dal monumento emblema di Treviri: la Porta Nigra
A nord delle mura civiche romane, che in origine avevano una lunghezza di oltre 6 chilometri e mezzo, è eretta a fine del II secolo d. C.; prende il nome di “Porta Nera”solo nel Medioevo dopo che i grandi blocchi chiari in pietra arenaria che la costituiscono avevano assunto, col passare del tempo, un colore grigio/nero.
Si tratta della più grande porta del mondo romano a noi pervenuta: m. 30 di altezza, 36 di lunghezza, 21,5 di larghezza, formata da pietre squadrate collegate tra loro solo da graffe di ferro saldate con piombo. Non è stata usata malta. Risparmiata dalle orde barbariche, alla fine del V secolo l’opera di difesa perde la sia funzione originaria. In epoca medievale sono abbattute le mura cittadine e tutte le porte della città. Solo la Porta Nigra rimane in piedi.
Nel 1028, un monaco siriaco, Simeone, amico del vescovo di Treviri, Poppo (von Badenberg), si fa murare nella torre a est, fino alla morte (1035). Storie medievali che hanno dell’incredibile; inutile stupirsi o menar scandalo: la sensibilità e la spiritualità non sono fisse nello spazio e, soprattutto, nel tempo.
Nel 1041 il Vescovo Poppo
fa erigere in suo onore una chiesa canonica (Simeonstift) e trasforma la Porta in una chiesa doppia a locali sovrapposti. Il pianterreno è riempito di terra. Una vasta scala portava alla chiesa dedicata ai fedeli al primo piano; una scala esterna alla collegiata (la più antica della Germania).
Facciamo un salto di diversi secoli. Per ordine di Napoleone (1803) la chiesa è abbattuta, tranne l’abside e il chiostro, e il monumento restituito alle forme originarie. La trasformazione in chiesa aveva paradossalmente consentito alla Porta di conservarsi; non è certo l’unico caso.
L’abside è un capolavoro dell’arte protoromanica: corpo poligonale rafforzato da pilastri angolari. Il chiostro (al primo piano) in origine incorniciava un bel cortile interno su tutti e quattro i lati. Oggi esso è mantenuto in parte. Attualmente nel complesso si trovano: il Museo Civico dove sono conservati gli originali della Croce del mercato e delle statue che compongono la fontana, posta, come sappiamo, nella stessa piazza; unitamente alle memorie storiche della città e una maquette di Treviri nel 1800; l’Ufficio informazioni per i turisti e un ristorante.
Alcune caratteristiche case.
Il Duomo, dedicato a S. Pietro
Dal Medioevo fino alla cosiddetta secolarizzazione (inizi del 1800) gli Arcivescovi di Treviri, in quanto Principi Elettori, erano pure governatori, muniti di autorità temporale.
Fra i sette Principi Elettori del Sacro Romano Impero i tre vescovi di Treviri, Magonza e Colonia rivestivano una posizione particolare.
Il Duomo di San Pietro (in tedesco Hohe Domkirche St. Peter) è la più antica Cattedrale della Germania. Con una lunghezza di 112,5 ed una larghezza di 41 m è il maggior edificio della città di Treviri.
Dal 1986 esso, insieme ai Monumenti romani della città ed alla Chiesa di Nostra Signora, fa parte, come sappiamo, del complesso dei Beni Patrimonio dell’Umanità di Treviri per la sua storia e per le preziose reliquie che custodisce.
Sorge nel cuore della città romana dove, nel secolo IV, era stata costruita, annessa al palazzo imperiale di Costantino, una basilica cristiana di cui scavi recenti hanno portato alle luce rilevanti resti. Fin dall’ultimo quarto del III secolo infatti esisteva in loco una comunità cristiana alla guida dei primi vescovi, Eucario, Valerio e Materno. La loro chiesa-abitazione si presume all’interno delle mura cittadine.
Secondo una tradizione medievale, Elena, madre di Costantino, donò la sua dimora al vescovo di Treviri, Agrizio, per trasformarla in chiesa vescovile. Il notevole locale Museo Vescovile conserva importanti resti, tra cui un soffitto a cassettoni dipinto; sotto l’attuale pavimento del duomo poi vi sono parti conservatesi di tale abitazione.
Dai ricchi arredamenti consegue che l’ambiente può in parte essere attribuito ad un palazzo tardo-antico.
Nel corso della cosiddetta svolta costantiniana, avviata da Costantino il Grande verso il Cristianesimo, viene infatti eretta una basilica che, sotto il vescovato di S. Massimino (329-346), divenne il più grande complesso religioso edificato nell’Europa di quei tempi, con quattro basiliche, un battistero ed altri edifici annessi. Verso il 340 nasce il cosiddetto “Quadrilatero”, il nucleo del Duomo, con quattro colonne monumentali provenienti dall’Odenwald; gruppo montuoso appartenente ad un rilievo posto nella Germania centrale e situato nei Länder dell’Assia, della Baviera e del Baden Württenberg.
Le costruzioni abitative vengono distrutte e spianate a fine IV secolo. In luogo di tali edifici è eretto un doppio ambiente di culto, con due basiliche a tre navate, orientate verso est, delle quali sono prova in specie i numerosi colonnati.
La chiesa, più volte distrutta e rifatta, è sostituita dall’attuale edificio in forma romaniche a partire dall’anno Mille; nel 1196 è terminata la parte occidentale e l’1 maggio di quell’anno consacrato il nuovo altare. Da allora la festa di consacrazione del Duomo è celebrata ogni anno l’1 maggio.
Nel secolo XIII le navate sono ricoperte con volte ogivali e costruiti il chiostro e la Chiesa di Nostra Signora (v. oltre); il Duomo, barocchizzato nel 1717, è ricondotto alle forme romaniche nel 1800 e restaurato dopo l’ultima guerra. Attività, quest’ultima, che dura dal 1960 al 1974, includendo la trasformazione dell’area dell’altare secondo la Riforma liturgica del Concilio Vaticano II.
L’1 maggio 1974 è infatti consacrato il nuovo altare e il Duomo di nuovo aperto al servizio liturgico.
Per quanto riguarda l’esterno, la parte più spettacolare è il fronte occidentale: al centro, assai complesso, l’abside, coronata da archetti lombardi, con le due torri in cui si aprono i portali, due ordini di gallerie, monofore o bifore in alto (completate a inizio del XVI secolo) e due torricelle scalari a tre ordini di paraste. Questa parte è per lo più costruita con materiale romano, tratto dall’anfiteatro posto in zona. Le fiancate, a tre ordini, sono concluse dal giro dell’abside est, tardo-romanica, a contrafforti e coronata da gallerie.
Interno:
Maestoso, di forme proto gotiche. Portale romanico del 1180 circa.
Sotto il duomo ci sono tre cripte (due delle quali sono visitabili) con pavimenti che risalgono all’epoca romana. C’è anche un piccolo museo (Domschatz) con i tesori del Duomo. La chiesa ospita (in fondo alla navata sinistra) una famosa reliquia, lo “Heiliger Rock” che, seconda una leggenda, è la tunica di Cristo.
Secondo la tradizione S. Elena trasportò la veste di Cristo (un unico pezzo, senza cuciture) da Gerusalemme a Treviri. La reliquia è menzionata per la prima volta nell’undicesimo secolo. La sua storia viene documentata a partire dal secolo successivo, quando essa è trasferita dal coro occidentale nel nuovo altare del coro orientale l’1 maggio 1196.
Nel 1515 è promosso il primo pellegrinaggio alla Veste; altri ne sono seguiti.
Dal restauro del Duomo nel 1974 essa è conservata in uno scrigno di legno del 1891, chiuso in una teca di vetro con una sistema di aria condizionata. La Cappella della Sacra Veste è aperta solo in certi giorni (i cosiddetti Giorni della Sacra Veste), ma la tunica non si può vedere per varie ragioni di difficoltà nella conservazione e per intuibili ragioni di sicurezza. Come sovente accade il quesito sulla sua veridicità non ha risposta; per i credenti essa richiama l’Incarnazione.
All’interno del duomo ci sono numerose tombe ed altari di grande valore artistico, come ad es., la tomba dell’arcivescovo Baldovino del Lussemburgo (1356); o quella dell’arcivescovo Lothar von Metternich che, dal 1599 al 1623, fu anche il Principe Elettore di Treviri.
Il quartiere del Duomo ha suscitato, fin dalla metà dell’800, l’interesse della ricerca archeologica. Grandi scavi hanno avuto luogo, specialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, sotto la direzione del responsabile del Museo Diocesano, Theodor K. Kempf, e del suo seguace Winfried Weber, fino al 1981.
Il Duomo infatti è un compendio di 1700 anni di vita cristiana, di storia dell’Arte e di Architettura. E’ uno specchio, ricordiamocelo, di Storia europea, nonostante le gravi interruzioni e i drammi vissuti. Dall’epoca tardo antica fino al ‘900 si può percorrere qui tutta la storia dell’Arte e della Chiesa. Esso è stato considerato per secoli come la “Casa di Elena”.
E per questo è stato preservato da qualsivoglia trasformazione sostanziale. Ogni epoca ha potuto essere integrata nell’opera delle precedenti e continuata nella nuova.
Notevole è il Chiostro, a sua volta risalente ai primi decenni del 1200.
Il Chiostro collega il Duomo con la chiesa adiacente, la Liebfrauenkirche, Chiesa di Nostra Signora.
Si tratta della più antica chiesa gotica di Germania e uno dei capolavori del Gotico tedesco (circa 1235/1260). Si rifà alle costruzioni ecclesiastiche francesi e, in specie, alla Cattedrale di Reims. Dal 1986, ripetiamo, insieme ai monumenti romani della città ed alla cattedrale di San Pietro, fa parte dei patrimoni dell’umanità dell’UNESCO. Fra il 2008 e il 2011 vi sono stati eseguiti importanti lavori di restauro.
La pianta a croce greca, con otto cappelle quadriformi tra i bracci della croce, forma una rosa di dodici foglie, la Rosa Mystica.
Stupendo il portale principale, riccamente decorato. Foto scattata da lontano, che comunque rende una certa idea.
Tra il coro della Cattedrale e l’ala nord del Chiostro, nel Badischer Bau del 1470, è il Domschatz, ricco di tesori, come una tavola bizantina in avorio (sec. VI); il reliquario del Vescovo Egberto e l’Andreas Altar, capolavori dell’oreficeria locale del secolo X (!); smalti dei secoli X-XIII; manoscritti miniati tra cui l’Evangelario del Vescovo Kuno von Falkenstein (1380).
Prendiamo nota per la prossima visita.
Ci spostiamo di poco per visitare un edificio incredibile del quale, confesso, non conoscevo l’esistenza prima di oggi.
Siamo in Konstantin Platz; e ci mancherebbe!
La Basilica, nel senso romano del termine [21], appartiene ad uno dei più importanti monumenti della tarda antichità.
All’inizio del IV secolo (305) l’imperatore Costantino il Grande fa erigere il suo palazzo sulle rovine di un antico progetto. L’antica Aula palatina costantiniana è un’enorme sala ad una navata: lunghezza, m. 73; larghezza m. 28 e m. 33 di altezza. La Porta Nigra starebbe qua dentro comodamente due volte.
In antico l’interno era sfarzoso, con le pareti rivestite di marmo e mosaici d’oro nelle nicchie murali. Tutto il pavimento in marmo bianco e nero era riscaldato dal basso (ipocausto) e si utilizzavano come superficie riscaldante anche le pareti.
In epoca franca la Basilica è adibita a palazzo regio; mentre nel 1200 l’arcivescovo di Treviri vi pone la residenza. Allorché, nel secolo XVII, è costruito il Palazzo del Principe Elettore -un elegante edificio color rosa con un bel parco dal quale passiamo svelti, senza fermarci-, la Basilica vi viene integrata. Seguono movimentate vicende; i fabbricati annessi sono distrutti nel XIX secolo e la Basilica subisce una profonda trasformazione.
Nel 1856 è rilevata dalla Comunità evangelica come Casa di Dio (Erlöserkirche – Chiesa del Redentore).
Distrutta da un incendio durante la Seconda Guerra Mondiale, viene ricostruita e, nel 1956, è installato anche un notevole soffitto a cassettoni.
Il tempo trascorre veloce e dobbiamo limitarci ad una rapida occhiata alle Terme Imperiali (Kaiserthermen). Esse sono seconde solo a quelle di Roma: i resti ancora raggiungono i 2 metri di altezza ed occupano una vasta area: le loro dimensioni erano m. 25 X 15. Iniziate alla fine del III secolo, vengono terminate all’epoca di Costantino; successivamente l’Imperatore Graziano (seconda metà del IV) vi aggiunge il Foro. La parte meglio conservata è costituita da un’aula triabsidata e fiancheggiata da torri. Se si sale sull’unica torre rimasta si ha una notevole vista sul resto del complesso. Notevoli i sistemi di scolo, di riscaldamento sotterraneo e le enormi cisterne.
Ritornarvi è d’obbligo.
Non possiamo lasciare Treviri senza visitare, in Brückenstraße n. 10, la casa in cui nasce, il 5 maggio 1818, da una famiglia borghese di origine ebraica, Karl Marx, (morto a Londra il 14 marzo 1883). Filosofo, economista, storico, politologo, sociologo, giornalista e uomo politico.
Com’è noto, il suo pensiero, focalizzato sulla radicale critica dell’economia, della politica, della società e della cultura capitalistiche, ha dato origine alla corrente sociopolitica del marxismo, da cui è sorto il comunismo.
Teorico della concezione materialistica delle storia e del socialismo scientifico (insieme a Friedrich Engels) è considerato fondamentale nella storia del Novecento.
Poco dopo la nascita di Karl la famiglia si trasferisce in Simeonstrße.
Il padre, avvocato, è persona colta, educata nel razionalismo illuminista, ottimo conoscitore di Voltaire e Rousseau. Non legato agli ambienti ebraici tradizionali, si era fatto battezzare nel 1817 entrando nella Chiesa luterana (pur senza essere praticante) e assumendo il nome di Heirich; lo stesso farà coi figli.
Questo passaggio dall’Ebraismo al Cristianesimo era, allora, una prassi pressoché d’obbligo, per evitare le discriminazioni cui erano soggetti gli Ebrei sotto la Prussia di Federico Guglielmo III (ma non solo).
La “conversione” rendeva possibile l’esercizio della professione legale, altrimenti interdetta, secondo le disposizioni del Congresso di Vienna.
La casa, costruita in stile barocco nel 1727, dopo diverse vicissitudini, è divenuta, dopo la Seconda Guerra Mondiale, proprietà della SPD che, dal 1947, ne ha fatto un Museo, affidato alla Fondazione Friedrich Erbert.
La vita di Karl Marx (del quale, nel 2018, corre il bicentenario della nascita) e le sue opere vi sono illustrate da numerosi documenti di eccezionale interesse.
http://www.trier-info.de/italiano/casa-di-karl-marx-info
Da non perdere lo stupendo giardino, del tutto rinnovato nel 2013. Esso suggerisce in modo sapiente connessioni con la vita e le opere del protagonista. L’accordo artistico tra piante e sculture apre una stimolante prospettiva sul rapporto di Marx con la Natura e la…. Filosofia della Natura.
Un’ulteriore occasione di ritorno, per visitare anche le importanti ricchezze che giocoforza abbiamo trascurato: le Chiese di S. Mattia (paleocristiana), S. Gengolfo (la più grande chiesa della città, dopo il Duomo), il Ponte Romano (risalente al 45 d.C.), il ricco Museo diocesano, lo sfarzoso Palazzo del Principe Elettore.
Arrivederci a presto.
5 AGOSTO SABATO
Mattinata di tutto riposo e gustosa frittata alle erbe per pranzo.
Nel primo pomeriggio tutti e quattro ci dirigiamo in auto verso una meta di notevole importanza storica: Bastogne, in Belgio, distante un’ottantina di chilometri.
Inizio del nostro percorso, strada in leggera salita. Ci inoltriamo in un bosco da favola, la Foresta di Bambësch, luogo ideale per escursioni nel silenzio magico della Natura.
I cartelli segnalano i nomi di alcune località corrispondenti a piccoli centri e villaggi graziosissimi dai nomi suggestivi, come: Bereldange; Helmsange; Walferdange; quest’ultimo un vero e proprio Comune, del quale i primi due sono frazioni.
Poco dopo, una scorrevole superstrada corre tra campi coltivati, conifere e latifoglie.
Indicazioni:
-Per la Vallée des Sept Chateaux, Valle dei Sette Castelli. E’ il nome dato al percorso -altamente raccomandato agli amanti di Natura e Storia!- compiuto dal fiume Eish per una quarantina di chilometri prima di confluire nell’Alzette, vicino a Mersch. Lungo il percorso si trovano ben 7 castelli di epoca medievale, sull’una o sull’altra riva; ciascuno di grande rilievo storico e turistico.
Le località si chiamano: Koerich (castello con tanto di streghe danzanti, pare); Sepfontaines; Asembourg; Hollenfels; Schoefels; Mersch; e Goeblange, dove si trovano pure le vestigia di una villa romana.
-E per Colmar Berg, alla confluenza dei fiumi Attert e Alzette. Vi abita la famiglia granducale, in un castello, va da sé. Ma è pure sede del Goodyear Technical Center, ove si sviluppano i disegni e le specifiche di pneumatici venduti in tutto il mondo.
Siamo nel cosiddetto “Lussemburgo belga”.
Ecco Ettelbruck (Ettelbreck in lussemburghese; Ettelbrück in tedesco), vicina alla confluenza della Süre (o Sauer che dir si voglia) nell’Alzette.
Nel Comune (circa 8000 abitanti) ha sede il polo universitario e medico di riferimento per il nord del Paese.
L’origine del nome risale probabilmente all’invasione degli Unni (451): l’esercito di Attila costruì un ponte per attraversare l’Alzette. Il nome sarebbe quindi l’unione tra Ettel, cioè Attila, e Brück (ponte); dunque: Ponte di Attila.
La piazza principale è intitolata al celebre (e controverso) Generale George Smith Patton (S. Gabriel -California- 1885 / Heidelberg, 1945) comandante della Terza Armata statunitense che liberò la città dai Tedeschi il giorno di Natale 1944. Famosa una sua frase: “Nessun povero bastardo ha mai vinto una guerra morendo per il proprio Paese. L’ha vinta facendo sì che altri bastardi morissero per il loro Paese”. Parole impronunciabili oggi.
Oppure questa, all’apparenza -solo all’apparenza- più tranquilla: “Se tutti la pensano allo stesso modo, allora qualcuno non sta pensando”. Peggio ancora, per gli standard del politicamente corretto; oggi obbligatorio, o quasi.
Il Generale sopravvisse alla guerra, ma morì nel dicembre 1945 a seguito di un incidente stradale occorsogli in Germania.
Interessante è il Museo Memoriale a lui dedicato, dov’è conservato diverso materiale di rilievo, come parti di aerei abbattuti, fotografie, munizioni, caschi e la copia di una statua di Patton il cui originale è collocato sulla piazza principale della cittadina.
Declivi dolci….Segnalazioni di Esch sur Süre e Wilz, piccoli gioielli.
Entriamo ora nel Belgio vero e proprio.
Il paesaggio si fa da silvestre ad agricolo, con vasti allevamenti di bovini.
Arriviamo a Bastogne (popolazione circa 14.000 abitanti)
Durante la Battaglia delle Ardenne (v. infra), Seconda Guerra Mondiale, la cittadina venne circondata e intensamente bombardata dalle forze tedesche, ma si rifiutò di capitolare -all’inglese, gl’inglesi dell’epoca di Winston Churchill, per intenderci, che non mancavano di coraggio-.
Ancora oggi Bastogne conserva numerose testimonianze del periodo bellico; tra l’altro la piazza principale -dove campeggia un carro armato Sherman-
è intitolata al Generale Anthony Mc Auliffe (1898 / 1975); v. ancora, più avanti.
A pochi passi un bell’edificio moderno in vetro, sede dell’Ufficio del Turismo. Fiori e cura del verde.
La principale strada del passeggio e degli acquisti è Rue du Vivier / Rue du Sablon, che sbuca in Place S. Pierre, dove sorge l’omonima Chiesa in pietra, con fonte battesimale e volta policroma del XVI secolo, nonché navata in stile gotico mosano; cioè secondo l’arte caratteristica delle opere costruite durante il Medioevo nelle valli della Mosa, in Belgio (Principato vescovile di Liegi), e Paesi Bassi. Coltivata da artisti abili nella lavorazione dei metalli a partire dall’epoca dei merovingi, nell’XI secolo l’ Arte Mosana si sviluppa in maniera autonoma trovando la maggiore diffusione nei secoli XII e XIII. Sono coinvolti anche altri ambiti artistici: ad esempio l’architettura mosana è un ramo regionale dell’architettura romanica.
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Accanto alla Chiesa di S. Pierre c’è una grande Torre del XII secolo, la Porte de Trèves e un ex Seminario. In quest’ultimo stabile ha sede uno dei più suggestivi musei belgi della Seconda Guerra Mondiale.
Si chiama: J’avais vingt ans en 1945: notevole soprattutto per le preziose testimonianze video di cittadini ed ex militari che narrano i propri ricordi.
Da non perdere la visita al Bastogne War Museum (Museo di Guerra di Bastogne), situato sulla collina di Madrasson, a poco più di un chilometro di distanza.
Situato nel luogo ove si trovava il precedente Bastogne Historical Center, esso costituisce un luogo nuovo della Memoria dedicata alla Seconda Guerra Mondiale in Belgio. In modo moderno ed interattivo ci racconta gli avvenimenti e le conseguenze del conflitto attraverso il “prisma” della battaglia delle Ardenne. Vale la pena davvero di trascorrervi alcune ore.
http://www.bastognewarmuseum.be/
Una breve sintesi degli eventi interessati.
La Battaglia delle Ardenne è stato uno degli scontri terrestri più duri di tutta la Seconda Guerra Mondiale. Nel settembre 1944 sia il Belgio che il Lussemburgo erano già stati liberati dalle truppe americane; gli Alleati allora si dedicarono in prevalenza a Francia e Paesi Bassi lasciando un numero relativamente esiguo di truppe a difendere le Ardenne. I Tedeschi ne approfittarono: Hitler ordinò un contrattacco nel pieno dell’inverno. Grazie alla cosiddetta “Offensiva von Rundstedt” (dal nome dell’omonimo Feldmaresciallo), l’esercito tedesco si aprì un varco tra le colline e le vallate del Lussemburgo settentrionale e del Belgio chiudendo così in una “sacca” le forze alleate. L’operazione era un ultimo tentativo di conquistare il porto di Anversa, di grande importanza strategica per gli Alleati. I tedeschi avanzarono, ma non riuscirono a sfondare. Durante l’invasione la cittadina di Bastogne venne circondata, ma i suoi difensori, i soldati della 101a, la celebre Airborne [22]
(il caratteristico emblema, un’aquila calva)
continuarono a combattere.
Quando fu offerta loro la possibilità di arrendersi, il comandante Mc Auliffe (il personaggio cui è intitolata la piazza principale di Bastogne) rispose seccamente con un’espressione passata alla storia: Nuts (Balle).
Le truppe resistettero fino a inizio gennaio 1945, allorché i rinforzi riuscirono a respingere le forze tedesche fino alla Germania. Quando la battaglia terminò, circa 80.000 americani, 100.000 tedeschi e numerosi civili belgi e lussemburghesi erano rimasti uccisi.
Numerosi villaggi belgi e lussemburghesi erano stati ridotti in macerie dai bombardamenti -come: La Roche en Ardenne, Houffalize, Saint Vith-.
Tutta la regione è costellata di ricordi legati a quel Natale tragico. Cimiteri militari, monumenti….Visioni impresse per sempre nelle menti e nei cuori.
Di fronte al Museo è il grande Monumento in Memoria dei soldati americani a forma di cerchio all’interno di una stella a cinque punte.
Ricorda, in formato minore, l’imponente memoriale, con annesso cimitero (v. il classico di Steven Spielberg con Tom Hanks e Matt Damon, Save private Ryan, del 1998), che Mauro ed io visitammo nel 1994, in occasione del cinquantennale dello sbarco alleato, sulla collina prospiciente Omaha Beach, in Normandia. Ricordo struggente.
Sui suoi pilastri grigio scuro sono incisi i nomi degli stati americani, i nomi delle diverse divisioni che parteciparono alla battaglia e il racconto degli eventi. La cripta ha mosaici dai soggetti religiosi: cattolici, protestanti, ebraici.
Saliamo sulla costruzione. Il panorama è assai suggestivo: cielo un po’ nuvoloso e leggero vento.
I ragazzi si fanno ritrarre davanti ad una grande statua,
riproduzione della celebre fotografia del Marinaio che bacia l’Infermiera (lei è morta poco tempo fa).
Ma i genitori non sono da meno.
Le vicende di Bastogne hanno ispirato, tra l’altro, un celebre film (titolo originale: Battleground), datato 1949; da noi uscito l’anno dopo.
Agli Oscar vinse il premio come Migliori Soggetto e Sceneggiatura (Robert Pirosh) e Migliore Fotografia in Bianco e Nero (Paul C. Vogel). Era candidato anche come Miglior Film, Miglior Regia (William A. Wellman), Miglior Attore non protagonista (James Whitmore) e Miglior montaggio (John Dunning).
Questo film è ricordato soprattutto per essere stato il primo prodotto dopo la Seconda Guerra Mondiale che rappresentava i soldati americani come individui vulnerabili ed umani.
Benché coraggiosi, essi sono preda di dubbi, incertezze, risentono della guerra, delle pessime condizioni in cui sono costretti a combattere e desiderano tornare a casa il più presto possibile, anche ricorrendo a mezzi non ortodossi.
Ecco un breve saggio
(TRAILER)
Dopo la visita s’impone una passeggiata lungo Rue de Vivier.
Anche perché abbiamo tutti un certo.. languorino e cerchiamo un luogo in cui fermarci per cenare.
Dopo alcune veloci consultazioni scegliamo un locale su cui Marco aveva posto la sua attenzione sin da prima della visita; quando siamo passati di qua, diretti al Museo di Guerra.
Si tratta dell’elegante Wagon Léo, nato nel lontano 1946, il quale, in parte, occupa la carrozza di un tram degli anni ’40; intarsi di legno alle pareti, personale molto cortese. Ci godiamo una piacevolissima cena, a base di moules (Natalia) e filetto al sangue per noi; ottimo vino. Prezzi contenuti, il che non guasta.
La nostra soddisfazione è visibile da questa immagine.
Siamo di nuovo a casa in un lampo.
6 AGOSTO DOMENICA
Il tempo vola: oggi è l’ultimo giorno tutto intero qui.
E’ domenica e ci rechiamo tutti insieme in Cattedrale (Notre Dame) per partecipare alla Messa.
Costruita in stile gotico nel 1600 dai Gesuiti, Notre Dame è posta di fronte ad una delle terrazze d’osservazione della città, Place de la Constitution, sul promontorio che separa la città alta dal nucleo moderno.
Le sue guglie slanciate, che svettano nel centro storico della capitale, ne sono uno dei simboli.
La storia della Cattedrale è legata a quella della Compagnia di Gesù. Nel 1594 i Gesuiti si stabiliscono nella città di Lussemburgo, che allora faceva parte dei Paesi Bassi appartenenti alla Spagna; fondano pure un’Università nel 1603. Il rapido sviluppo delle attività pastorali e spirituali porta alla decisione di costruire una grande chiesa.
Il 17 ottobre 1621, essa viene solennemente consacrata dal vescovo di Treviri, Georg von Heiffenstein, e dedicata all’Immacolata Concezione.
Sul portone principale di stile barocco primitivo si trova la statua della Vergine Maria circondata dagli Apostoli Pietro e Paolo, e da Ignazio di Loyola e Francesco Saverio, fondatori della Compagnia di Gesù. In seguito, una statua di San Nicola ha completato l’insieme di statue.
L’interno è a tre navate con decorazioni rinascimentali e barocche, mentre il coro, di recente costruzione come del resto le guglie, è caratterizzato da ampie, luminose vetrate.
Notevole la statua della Vergine Consolatrice degli Afflitti, Patrona nazionale.
Era il 16 ottobre 1666 quando la “Consolatrice degli Afflitti” fu proclamata Patrona del Lussemburgo e le furono consegnate, simbolicamente, le chiavi della città. In quel contesto nacque la tradizione dell’Ottava, ovvero del pellegrinaggio annuale che porta i fedeli a venerare la Madonna in Cattedrale, dove si conserva una statua della Vergine: si tratta di una scultura in legno di tiglio policromo, alta 73 centimetri e risalente alla fine del XVI secolo.
E’ poi possibile scendere nella Cripta, dedicata a S. Pietro, che ospita le tombe dei Granduchi di Lussemburgo.
Stamani la chiesa è piena di fedeli attenti e devoti. Anche Natalia segue con profonda partecipazione e questo, lo confesso, ci rende felici perché non può che avere una positiva ricaduta su nostro figlio.
Al termine, si rechiamo in Place de la Constitution, al centro della quale c’è un monumento noto a tutti come Gëlle Fra (Signora in Oro, in lussemburghese), inaugurato nel 1923 per commemorare le migliaia di cittadini lussemburghesi che si arruolarono nelle forze armate dei Paesi Alleati e furono uccisi durante la Grande Guerra.
La parte centrale del memoriale è costituita da un obelisco in granito dell’altezza di 21 metri, appoggiante su di una base cubica e alla cui sommità si trova una statua in bronzo dorato raffigurante una figura femminile, ripresa nell’atto di sollevare una corona d’alloro con entrambe le mani mentre tiene lo sguardo rivolto verso il basso. Ai piedi dell’obelisco vi sono altre due statue in bronzo non dorato raffiguranti due soldati in abiti di guerrieri greci classici: uno è disteso sulla schiena e deposto su un altare alla base dell’obelisco, l’altro gli è seduto accanto come nell’atto di vegliarlo. Sui lati del basamento dell’obelisco e davanti al gruppo scultoreo sono delle placche contenenti le dediche del monumento. A scolpire le tre statue fu l’artista lussemburghese Claus Cito (1882/1965); l’identità della modella ritratta nella figura femminile non è mai stata rivelata.
Il Lussemburgo fu invaso dall’esercito tedesco nell’agosto 1914. Il Governo non si oppose e i tedeschi instaurarono un regime di occupazione, lasciando una certa autonomia nelle questioni di politica interna. Tuttavia migliaia di cittadini lussemburghesi residenti all’estero decisero di arruolarsi nelle forze armate dei Paesi Alleati per combattere contro la potenza occupante. Almeno 3200 di loro ingrossarono le file dell’esercito francese -con circa 2800 caduti-.
Il Lussemburgo rimase occupato fino al termine del conflitto, novembre 2018, allorché fu liberato dalle armate francesi e statunitensi.
Con la successiva, assai più dura, occupazione tedesca del 1940 il monumento fu demolito (tale gesto vile ricorda quello di certa gente che imperversa oggi), nonostante le proteste della popolazione e i tentativi degli studenti di difenderlo. Dopo la Liberazione esso fu ricostruito e vi furono aggiunte iscrizioni commemorative dei caduti lussemburghesi durante la Seconda Guerra Mondiale.
Nel febbraio 2010 la statua fu temporaneamente rimossa ed esposta nel padiglione del Lussemburgo in occasione dell’EXPO di Shangai di quell’anno.
Da qualche tempo una piattaforma panoramica girevole (City Skyliner), posta su un lato della piazza e alta 81 metri (è la più elevata torre mobile d’osservazione del mondo), offre una splendida vista sul sottostante Grund e sul ponte Adolphe.
Invitati da Natalia, saliamo con un comodo ascensore a vista e ci godiamo un panorama davvero mozzafiato.
Ecco la collina di Kirchberg
Il complesso della Cassa di Risparmio del Lussemburgo (Spuerkees, mannaggia il lussemburghese…), Castello della Finanza. Ha sede in Place de Metz, nel quartiere denominato Bourbon Plateau.
La fantasmagorica sede della Cassa (1910/13) ospita l’interessante Museo della Banca (Musée de la Banque) che ripercorre gli oltre 140 anni di storia delle istituzioni bancarie, tra innovazione e tradizione, spaziando dagli sportelli bancomat ai…..rapinatori di banche.
La Cassa di Risparmio è stata fondata nel 1856 e la sua storia è un tutt’uno con quella recente del Granducato.
Essa gestisce pure un’insolita galleria d’arte sotterranea, Am Tunnel, 350 metri di tunnel scavati sotto l’altopiano di Bourbon e progettati in origine per collegare gli uffici della Banca.
La galleria ospita mostre temporanee e un’esposizione permanente dedicata ad Edward Steichen (lussemburghese di nascita, 1879 / 1973, morto negli USA), il famoso fotografo che curò, tra l’altro, la collettiva Family of Man [23], ora esposta nel vicino, incantevole paese di Clervaux (nome che è tutto un programma…), al quale è stata donata nel 1964 dalla città di New York.
Il Duomo, visto dall’alto
I Giardini pubblici ben curati, posti lungo i bastioni a strapiombo sulla Pétrusse
Discendiamo per scattare alcune foto di famiglia
Poiché siamo alla fine del nostro soggiorno, ci concediamo una lunga passeggiata pedonale nella parte bassa della città, per imprimercela meglio nella memoria.
Arriviamo alla base del Ponte Adolphe (1900 / 1903): ecco un particolare
Percorriamo la Vallée de la Pétrusse: notiamo un’attenzione all’ambiente che, da noi, vedi pressoché solo in Provincia di Bolzano. La Natura è libera, oggetto di cura, mai di sfruttamento; in poche parole, una concezione di vita del tutto diversa dalla nostra.
(da notare, sullo sfondo, la statua della Gëlle Fra)
Uno Skate Park per Skate board e bici da corsa: immagini un po’ sfocate, ma ci divertiamo ad osservare questi ragazzi instancabili
Oltre che i piccoli sul trenino, in un vasto prato
Giungiamo al Grund (in idioma locale Gron) dove l’Alzette riceve le acque della Pétrusse.
Si tratta di un quartiere assai suggestivo, posto proprio sotto il centro cittadino; vi accedi o a piedi o tramite un ascensore posto all’interno della roccia.
Ecco la Chiesa di S. Giovanni Battista -Eglise Saint Jean à Luxembourg – Grund
Non vasta, ma assai rilevante; in primo luogo dal punto di vista storico. Un’autentica scoperta per noi.
Fu fatta erigere nel 1308 da Enrico VII, Conte di Lussemburgo; divenuto Imperatore nel 1312 sia pure per un solo anno, poiché morirà -forse avvelenato- nel 1313.
Questi è l’ “alto Arrigo” di cui parla il nostro Dante, sia nel Purgatorio (come figura di pace), che nel Paradiso.
Al canto XXX di quest’ultimo infatti scrive:
“E ‘n quel gran seggio a che tu li occhi tieni
per la corona che già v’è sù posta,
prima che tu a queste nozze ceni,
sederà l’alma, che fia giù agosta,
de l’alto Arrigo, ch’a drizzare Italia
verrà in prima ch’ella sia disposta.”.
La chiesa fu dedicata alla Vergine e a S. Giovanni Battista nel 1311 e dieci anni dopo divenne chiesa parrocchiale.
Nel 1542, durante la guerra tra l’Imperatore Carlo V e il Re di Francia Francesco I, l’Abbazia benedettina di Altmünster, situata sulla collina di Clausen (di Clausen abbiamo parlato il 3 scorso a proposito della casa di Robert Schuman), al di fuori delle mura cittadine, fu danneggiata e distrutta. I monaci si ritirarono dapprima nel loro “rifugio” sulla città alta, portando con loro i resti mortali di Giovanni il Cieco (1296 / 1346) [24].
In seguito si stabilirono nel Grund, dove il loro monastero prese il nome di Neumünster.
Nel 1606 la Chiesa abbaziale venne ricostruita e messa a disposizione della parrocchia di S. Giovanni; i benedettini si occuparono della parrocchia fino all’avvento, in Lussemburgo, della Rivoluzione Francese, allorché furono cacciati.
Durante l’assedio delle truppe di Luigi XIV la chiesa andò incendiata, ma fu ricostruita e consacrata di nuovo nel 1731.
L’interno, molto sobrio, custodisce un ricco mobilio barocco: la cattedra, l’organo, l’altare maggiore in oro; nonché il santuario (a sinistra) dedicato alla Vergine Nera.
La relativa staua della Madonna fu realizzata nel 1400; è oggetto di un pellegrinaggio molto sentito, poiché è una delle più belle sculture (tardo) medievali del Lussemburgo. Secondo una leggenda Maria ha protetto la popolazione contro il “male nero”, cioè la peste.
Accanto alla Chiesa è l’Abbazia di Neumünster.
I monaci vennnero cacciati, come detto, nel periodo della Rivoluzione Francese e l’edificio adibito a diversi usi durante il XIX secolo.
E’ stato, tra l’altro, prigione, orfanotrofio, ospedale militare; di nuovo prigione, dal 1867 fino al 1985, inclusa l’epoca dell’occupazione nazista.
A tale proposito giova ricordare che vi fu rinchiuso, nel 1944, l’esponente antifascista francese Marcel Jullian (1922/2004): giornalista, scrittore, figura attiva nell’ambito televisivo -è tra i fondatori della rete Antenne 2-.
Dal 1977 nei locali comincia a prender corpo la costituzione dell’Istituto Europeo degli Itinerari Culturali che partecipa alla Politica Europea per la Cultura.
Vi si svolgono mostre, concerti, congressi, iniziative diverse.
Il 25 aprile 2005 qui fu firmato il Trattato di adesione all’Unione Europea di Bulgaria e Romania.
Interessante il “Chiostro Lucien Wercollier“, sede di una mostra permanente, ricca di numerose opere provenienti dalla collezione privata dell’illustre scultore lussemburghese (1908 / 2002).
IPERTESTO http://www.neimenster.lu/Culture
Consumiamo un veloce spuntino nella caffetteria situata sul piazzale interno dell’Istituto, mentre vediamo numerosi gruppi di giovani in visita.
Risaliamo a piedi sul Bock
ed arriviamo alla Cité Judiciaire de Luxembourg
Su una piazza moderna e ben ordinata, a cospetto di uno splendido panorama, hanno sede tutti gli Uffici Giudiziari, dal Giudice di Pace alle Supreme Magistrature del Granducato, come Corte Costituzionale e Procura- Parquet- Generale.
Clima sereno, agli antipodi delle nostre caotiche e tristi aule di giustizia.
Ritornati a casa, iniziamo a preparare le valigie: domani ci attende il…tappone che ci porterà a Lucerna.
Siamo felici per queste giornate trascorse insieme e cerchiamo di allontanare l’inevitabile malinconia del distacco con quattro risate e una deliziosa cenetta con karkowka (collo di manzo cucinato alla polacca, davvero appetitoso) e insalate diverse.
I ragazzi ci parlano con entusiasmo del prossimo viaggio in Cina, che intraprenderanno a fine settimana. Prima meta: Shangai.
A condurre le danze sono di nuovo evocate le cantine di Novacella, con un eccellente St. Magdalener!
[1] Il primo a nominare questa popolazione è un grande scrittore di guerra, Giulio Cesare, maestro imprescindibile di intere generazioni di inviati speciali, oltre che di sceneggiatori hollywoodiani. Chi, se non Cesare, ha coniato l’espressione Arrivano i nostri ? “Quanto al Reno, esso sorge presso i Leponti, abitanti delle Alpi, e attraversa rapidamente, in un lungo spazio, le terre dei Nantuati, degli Elvezi, dei Sequani, dei Mediomatrici, dei Triboci, dei Treveri” (C. Giulio Cesare, De bello gallico, IV, 1, 3).
[2] Per Guerra dei Trent’Anni si intende una serie di conflitti armati che interessarono l’Europa centrale tra il 1618 e il 1648. Fu una delle guerre più lunghe e distruttive della storia europea. Detta guerra può essere suddivisa in quattro fasi: boemo-palatina (1618–1625), danese (1625–1629), svedese (1630–1635) e francese (1635–1648). Molti storici riconoscono l’esistenza di un quinto periodo, oltre ai quattro canonici: il periodo italiano (1628-1630), corrispondente alla Guerra di successione di Mantova e del Monferrato. Insomma, un incubo degli anni liceali! Iniziata come una guerra tra gli Stati protestanti e quelli cattolici nel frammentato Sacro Romano Impero, progressivamente si sviluppò in un conflitto più generale che coinvolse la maggior parte delle grandi potenze europee, perdendo sempre di più la connotazione religiosa e inquadrandosi meglio nella continuazione della rivalità asburgo-francese per l’egemonia sulla scena europea.
[3] Segal è un cognome levita (i Leviti, cioè i membri della tribù di Levi nell’Antico Israele, erano gli addetti alla sorveglianza del Tabernacolo e del Tempio), acronimo di סגן לוי Segan Levi, “assistente levita”.
[4] In architettura il triforio (da trifora: finestra caratteristica dell’architettura medievale, in cui il vano è suddiviso in tre luci minori, riunite peraltro in un unico motivo architettonico) è una galleria ricavata nello spessore murario, posta sotto le finestre del cleristorio e situata sopra le navate laterali di una chiesa. Il cleristorio (o claristorio) è il livello più alto della navata in una basilica romana o in una chiesa romanica o gotica. Il suo nome si deve al fatto che la sua traforazione di finestre permette al chiarore della luce di illuminare l’interno dell’edificio. Era già stato usato dai Romani, in ciò probabilmente influenzati dall’architettura ellenistica, nelle basiliche, nelle terme o nei palazzi.
[5] Poilu, lett. Peloso: era l’appellativo affettuosamente ironico con il quale venivano designati i militari francesi della Grande Guerra, i quali, non avendo modo, né tempo di radersi, portavano barbe lunghe ed incolte.
[6] Ernst and Young, dal 2013 EY, conta 250.000 dipendenti in tutto il mondo. Il network è presente con più di 700 uffici in 150 Paesi. Fa parte delle cosiddette “Big Four”, ovvero le quattro società di consulenza e revisione contabile che a livello mondiale si spartiscono la gran parte del mercato; le altre tre “big” sono: Pricewaterhouse Coopers, Deloitte & Touche, KPMG. Il fatturato di EY è in continua crescita anno su anno, dal 2009 al 2017 vi è stato un aumento del fatturato del 46%, passando da 21,5 miliardi di $ a 31,4 miliardi di $.
[7] Il Trattato di Verdun, dell’agosto 843, segna la spartizione definitiva dell’impero carolingio tra i tre nipoti di Carlo Magno: Carlo il Calvo, Ludovico il Germanico e Lotario. Al primo vanno le attuali regioni centro-occidentali della Francia; al secondo, un territorio corrispondente più o meno alla vecchia Germania dell’Ovest, meno la riva sinistra del Reno, più la Svizzera germanofona, l’Austria e la Carniola (Slovenia interna).
A Lotario è assegnata la fascia mediana che da lui prese il nome, la Lotaringia, comprendente, da nord a sud, gli attuali Paesi Bassi, il Belgio, il Lussemburgo, la Lorena (Lothringen in tedesco), l’Alsazia, la Renania occidentale (Aquisgrana, Colonia, Treviri, la Saar), la Borgogna, la Provenza e la valle del Rodano, la Svizzera francofona e l’Italia settentrionale fino alla Toscana.
Citazione (libera, uso il presente storico per rendere più vivace la narrazione) dall’articolo di Manlio Graziano Come riunire i franchi dell’est e dell’ovest, contenuto in Limes 4/2011 La Germania tedesca nella crisi dell’euro. Il testo di Graziano è preceduto dalle seguenti considerazioni. “ ‘Se si vuole davvero stabilire in Europa la tranquillità e il benessere, lo si può fare solo attraverso una revisione del trattato di Verdun e la riunificazione dei franchi dell’Ovest e dell’Est’. Due aspetti colpiscono in questa affermazione di Charles de Gaulle del 1943, scrive Graziano: l’anno, certamente, ma anche la visione strategica e geopolitica. Strategica: per assicurare la pace all’Europa occorre riconciliare la Francia e la Germania. Geopolitica: per riconciliare la Francia e la Germania, occorre ricomporre la frattura carolingia”. Suggestivo, ma come realizzarlo, qualora lo si ritenesse possibile?
[8] A seguito della spartizione della Borgogna, nel 1506, il Lussemburgo subisce dal 1555 la dominazione spagnola.
[9] Alla morte di Adolfo, diviene Granduca il figlio, Guglielmo IV, cui succedono (1912), dapprima la figlia di lui, Maria Adelaide, la quale, favorevole agli Imperi centrali, in occasione della Prima Guerra Mondiale, non si oppone alla violazione della neutralità del Lussemburgo da parte delle armate germaniche. Terminato il conflitto, ella è costretta ad abdicare (1919) in favore della sorella minore Carlotta, la quale modifica la Costituzione secondo principi più democratici. Carlotta, morta nel 1985, aveva rinunciato al trono nel 1964 in favore del figlio Jean, padre del Granduca in carica. Sovrana molto amata; tra l’altro a lei è dedicato il ponte, di colore rosso, che porta al quartiere Kirchberg.
[10] Il Trattato di Maastricht, o Trattato dell’Unione europea (TUE), è stato firmato il 7 febbraio 1992 a Maastricht , dai dodici Paesi membri dell’allora Comunità Europea, l’odierna Unione europea. Esso fissa le regole politiche e i parametri economici (prevede l’introduzione dell’Euro, moneta unica circolante dal 2002) e sociali necessari per l’ingresso dei vari Stati aderenti nella suddetta Unione. È entrato in vigore il 1º novembre 1993.
[11] L’OCSE, Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nasce ufficialmente il 30 settembre 1961 per volontà di venti paesi fondatori (di cui diciotto europei, tra cui Italia e Lussemburgo, oltre Stati Uniti e Canada). In quella data entra in vigore la Convenzione con cui l’OCSE era stata istituita un anno prima per sostituire l’OECE, Organizzazione Europea per la Cooperazione Economica, creata nel 1948 volto a gestire il “Piano Marshall” per la ricostruzione post-bellica dell’economia europea. L’intento era di assicurare una pace durevole, promuovendo la cooperazione e le politiche per il miglioramento del benessere economico e sociale delle persone in tutto il mondo.
Attualmente l’OCSE, con sede a Parigi, può contare sul contributo di 35 Stati membri che lavorano insieme in una sorta di grande forum per condividere esperienze e trovare soluzioni a problemi comuni.
[12] La Captive è una società di assicurazione o di riassicurazione creata dalla società capogruppo per assicurare i propri rischi. I gruppi industriali e finanziari che si sono dotati di una Captive possono beneficiare di costi assicurativi ridotti, accesso alla riassicurazione, possibilità di garantire rischi normalmente non assicurabili e, in genere, costi più bassi e una migliore gestione dei rischi.
Le Captive sono uno strumento per la gestione di rischi di ampia dimensione, ma che si sta estendendo anche alle organizzazioni meno complesse in virtù di soluzioni specialistiche, come le PCC (Protected Cell Companies) o le Rent-a Captive, che hanno costi fissi meno elevati.
[13] In telecomunicazioni per broadcasting (corrispondenti alle espressioni italiane: radioaudizione circolare oppure radiodiffusione circolare) si intende la trasmissione di informazioni da un sistema trasmittente ad un insieme di sistemi riceventi non definito a priori. Nel mondo della radio e nella televisione, il termine broadcasting indica anche il livello di qualità richiesto per trasmissioni commerciali a grande diffusione, e gli strumenti professionali utilizzati per ottenerlo.
[14] Villibrordo, Willibrord o Willibrordus (latino Willibrordus Trajectensis) (Northumbria 658 – Echternach, 7 novembre 739), è stato un vescovo irlandese di origine britanna vissuto fra il VII e l’VIII secolo, che è considerato l’apostolo della Frisia (e più estensivamente di tutti i Paesi Bassi, delle Fiandre e del Lussemburgo); è venerato come santo da numerose Chiese cristiane.
[15] La Mosella (francese Moselle, tedesco Mosel, lussemburghese Musel) è un fiume che attraversa Francia, Lussemburgo e Germania, per una lunghezza totale del suo corso pari a 561 km. Il fiume è stato celebrato dal poemetto omonimo di Decimo Magno Ausonio, scritto attorno al 370 d.C. e costituito da 483 esametri. L’opera, che è la più lunga del retore gallico, è apprezzata soprattutto per la serie di delicati quadri descrittivi propri dell’idillio. L’antico nome di Mosela o Mosella proverrebbe dal preceltico Mosa (termine che ricorda: pantano, palude. Anche in Alto Adige c’è una località turistica notevole chiamata Moso) più il diminutivo latino -ella, con il significato di “piccola Mosa”. Nasce dal massiccio dei Vosgi e si snoda nel territorio francese nordorientale attraversando Épinal, Charmes, lambendo Nancy, Metz, Guénange, Thionville, per un totale di 314 km. Dopo di che, per un tratto di 39 km, segna il confine tra Germania e Lussemburgo, divenendo poi fiume esclusivamente tedesco nei pressi di Treviri. Infine, a Coblenza, confluisce (donde il nome di Coblenza, confluenza) nel Reno. La Mosella è in gran parte canalizzata e navigabile fino alla zona di Nancy, ove svolge il ruolo di importante via di trasporto anche per le industrie estrattive della zona.
La valle della Mosella è famosa inoltre per i suoi vini, con la regione Mosel-Saar-Ruwer
[16] Schengen, cittadina posta in Lussemburgo, al confine con Francia e Germania, è nota soprattutto per il cosiddetto Acquis (lett.: Acquisizione) di Schengen: un insieme di norme e disposizioni e disposizioni, integrate nel diritto dell’Unione Europea, volte a favorire la libera circolazione dei cittadini all’interno del cosiddetto Spazio Schengen, regolando i rapporti tra gli Stati che hanno siglato la Convenzione di Schengen.
L’acquis di Schengen comprende:
- l’Accordo di Schengen, firmato il 14 giugno 1985 dagli Stati del Benelux, dalla Germania e dalla Francia;
- la Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen, firmata il 19 giugno 1990;
- gli accordi di adesione alla Convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen da parte di Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia;
- le decisioni del Comitato esecutivo e del Gruppo centrale.
Obiettivo degli accordi è favorire la libera circolazione dei cittadini coordinando, in contemporanea, la lotta alla criminalità organizzata all’interno dello Spazio Schengen, mediante l’abolizione dei controlli alle persone alle frontiere interne tra gli Stati partecipanti e la costituzione di un sistema comune di controllo alle frontiere esterne. Ottima idea, ma difficile realizzazione.
Gli accordi prevedono inoltre -questo è rilevante- una cooperazione giudiziaria e di polizia rafforzata per la lotta alla criminalità, la possibilità per le forze di polizia di intervenire in alcuni casi anche oltre i propri confini (per esempio durante gli inseguimenti di malavitosi) e l’integrazione delle banche dati delle forze di polizia in un database unico, il Sistema di informazione Schengen (SIS).
Al 2015, lo Spazio Schengen comprende 26 paesi che applicano integralmente l’acquis di Schengen (22 Stati membri dell’Unione europea e quattro Stati associati). La frontiera esterna dello Spazio Schengen (per l’80% marittima e per il 20% terrestre) è lunga più di 50 000 km e comprende centinaia di valichi di frontiera aeroportuali, marittimi e terrestri.
[17] I Treveri erano una potente tribù della Gallia Belgica, stanziata al nord est della Gallia, lungo le due sponde della Mosella, nel territorio ove sorgerà la città di Treviri, confinante col territorio dei Belgi Atuatuci a nord; con il territorio dei Vangioni, dei Nemeti e dei Germani Ubi ad est; con il territorio dei Mediomatrici a sud; con il territorio dei Belgi Remi ad ovest.
Sebbene il popolo fosse originariamente germanico, in seguito al lungo insediamento in Gallia accolse elementi celtici, che si fusero al ceppo primario. Di loro parla Giulio Cesare nel già citato De bello Gallico (1.37.1).
[18] Tetrarchia, derivato dal greco τετράρχης (tetràrches), composto da tétra, connesso con tettares (quattro) e árchein (governare), è una forma di governo risalente all’Antica Grecia che consiste nella divisione del territorio in quattro parti, ognuna retta da un’amministrazione distinta. L’esempio storicamente più famoso fu la tetrarchia voluta dall’imperatore romano Diocleziano (284/305). Questi, nel novembre 285, nominò come suo vice, in qualità di “cesare” un ufficiale di sua fiducia, Marco Aurelio Valerio Massimiano, che , poco dopo, elevò al rango di “augusto”, dando così vita ad una diarchia in cui i due imperatori si dividevano il governo dell’Impero e la responsabilità delle frontiere -sempre a rischio d’invasione dei barbari- e la lotta contro gli usurpatori. Verso la fine del secolo si procedette ad un’ulteriore divisione territoriale e funzionale. Massimiano scelse a Mediolanum (attuale Milano) come suo successore per l’Occidente Costanzo Cloro; mentre Diocleziano fece lo stesso per l’Oriente a Nicomedia (Anatolia) con Galerio. Quindi abbiamo quattro imperatori.
Il sistema si rivelò efficace per la stabilità dell’impero e rese possibile agli augusti di celebrare i vicennalia, ossia i vent’anni di regno, come non era più successo dai tempi di Antonino il Pio. Tutto il territorio venne ridisegnato dal punto di vista amministrativo, abolendo le regioni augustee con la relativa divisione in “imperiali” e “senatoriali”. Vennero create dodici circoscrizioni amministrative (le cosiddette “diocesi”; in latino dioecesis, dal greco διοίκησις, cioè “amministrazione, tre per ognuno dei tetrarchi), rette da vicarii e, a loro volta, suddivise in 101 province. Restava da mettere alla prova il meccanismo della successione. Al termine di un lungo periodo di guerra civile romana, Costantino I sconfisse Licinio nel 324 e rimase, in sostanza, unico signore di tutto l’Impero. La tetrarchia era finita.
[19] La cosiddetta tarda antichità è una periodizzazione usata dagli storici moderni per descrivere l’epoca di transizione dal mondo antico a quello medievale. Confini precisi del periodo sono tuttora oggetto di dibattito, anche se, tendenzialmente, sono compresi fra il III e il VI secolo, e cioè dall’estinzione della dinastia dei Severi (o, secondo altri, dall’ascesa al potere di Diocleziano), fino all’età di Giustiniano, in cui si realizzò l’ultimo serio tentativo di Restauratio Imperii, ovvero di ripristinare in Europa occidentale l’Impero romano.
[20] La Marktkreuz fu fatta erigere dall’Arcivescovo Enrico I. Sulla piazza c’è una copia; mentre l’originale si trova al Museo civico. La colonna di sostegno in granito ha origine romana.
[21] Nella Roma antica la basilica era un edificio pubblico utilizzato come luogo di riunioni pubbliche e di amministrazione della giustizia. Il termine indicava una costruzione con navata centrale rialzata, sulla cui parte superiore potevano essere ricavate finestre, permettendo di risolvere i problemi di illuminazione tipici dei grandi edifici.
Il significato della parola si è esteso, fin dal IV secolo, ai luoghi di culto cristiano, divenendo un particolare e definito tipo architettonico, costituito da uno spazio suddiviso in tre o cinque navate, generalmente con un’abside finale.
[22] La 101st Airborne Division (101ª Divisione aviotrasportata), nota anche come Screaming Eagle (Aquila urlante) è un’unità di fanteria elitrasportata dell’esercito USA. Attualmente detiene il suo quartier generale a Fort Campbell nel Kentucky. È una delle più prestigiose e decorate unità dell’esercito americano e l’unica divisione con due brigate di aviazione. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu impiegata come unità di paracadutisti in Europa partecipando alla battaglia di Normandia, all’operazione Market Garden (in Olanda) e all’assedio di Bastogne.
Durante la guerra del Vietnam la 101ª fu trasformata in divisione aeromobile e quindi in divisione d’assalto aereo ma per ragioni storiche mantiene ancora oggi l’appellativo di aviotrasportata. Ha poi partecipato ad entrambe le Guerre del Golfo ed è stata impegnata in vari teatri bellici, quali l’Iraq e l’Afganistan.
[23] Famosa mostra del 1955, ideata da Edward Steichen, che racconta la vita quotidiana delle persone attraverso 503 fotografie tratte da 68 Paesi.
[24] Re di Boemia (dal 1310 al 1346) e Conte di Lussemburgo (dal 1313 al 1346). E’ chiamato il primo Cavaliere d’Europa. Malgrado la cecità parziale, Giovanni di Boemia, detto il Cieco, è un personaggio emblematico del suo tempo, fedele al Papa e all’Imperatore. E’, in qualche modo, una sorta di figura protoeuropea e partecipa a tutte le importanti guerre dell’epoca. Figlio dell’Imperatore Enrico VII, il Conte Giovanni del Lussemburgo, Re di Boemia, impersona in modo particolare gl’ideali cavallereschi. Percorre a cavallo l’Europa, da Parigi a Praga, dalla Lituania all’Italia, per realizzare la sua concezione dell’ordine politico in Europa. Dal matrimonio con la sorella dell’ultimo re di Boemia, Elisabetta, nasce il futuro Imperatore Carlo IV. Muore nel 1346 in occasione della battaglia di Crécy contro gl’Inglesi. E’ sepolto nella Cattedrale di Lussemburgo. A lui si deve l’istituzione (nel 1340) della festa, tipicamente lussemburghese, dello Schueberfouer (v., supra, 3 agosto).