23 APRILE 2010, VENERDI                   
               
Partiamo al mattino presto da Tel Aviv per ritrovarla, come sempre, alla fine del viaggio.
Mentre lasciamo il nostro Hotel Metropolitan, ci saluta anche il vicino Isrotel Tower, con le sue strutture insolite.
 

              Siamo diretti verso nord, a Zikhron Ya’akov. In pullman Angela ci fa una breve, succosa sintesi del movimento sionista, o meglio dei vari “sionismi” che hanno attraversato la storia del Popolo ebraico, l’eterna aspirazione al ritorno nella Terra dei Padri. Aspirazione non solo spirituale, ma concreta, reale, che troverà, nella seconda metà del XIX secolo in Theodor Herzl, il mentore politico[1] . E ci fa riflettere sul fatto che gli Ebrei della Diaspora, in particolare quelli che vivevano all’interno della cosiddetta “Zona di Residenza”[2] nell’Impero russo, con il trascorrere del tempo, avevano perduto il contatto con la terra, data la proibizione di avere proprietà immobiliari e fondiarie.
Fu proprio il Sionismo a ricucire il legame interrotto e a far sì che i vigneti di Sion, sognati per secoli nelle preghiere e nei canti, divenissero realtà fisica, palpabile[3] .
Il Sionismo, come concezione politica, ce lo ricorda Litvinoff all’inizio del suo saggio [4], nasce, per così dire, dalla presa della Bastiglia. Grazie a Napoleone, com’è noto, si aprono i ghetti, si vede come possibile la fine delle discriminazioni e dell’antisemitismo, l’inizio di un’era di uguaglianza tra gli uomini. E proprio dalla comune radice dell’uguaglianza nascono due alberi, assai diversi tra loro: da un lato, il movimento che aspira all’assimilazione degli Ebrei nei luoghi in cui essi vivono; dall’altro lato, il Sionismo, il movimento politico che aspira ad uno Stato nazionale territoriale, unica ed obbligata via per l’(auto)emancipazione autentica del Popolo ebraico.
Gli eventi accaduti nella prima metà del XX secolo daranno ragione a questa seconda alternativa, che sappiamo quanto essere valida, a maggior ragione, oggi, alla luce del drammatico scenario internazionale.
 
La scansione temporale delle diverse Aliyot [5]., a partire dal 1881, anno dell’assassinio dello Zar Alessandro II, ad opera dell’organizzazione terroristica Narodnaja Volja, evento che scatenò in Russia tremendi pogromi, ci dà la consapevolezza della rilevanza del fenomeno del Ritorno.
Percorriamo una bella strada, la “Via del Mare” di antica memoria e scorgiamo, accanto ai campi coltivati, prosperi centri, come, ad esempio, Herzliya.
Si tratta di una cittadina di circa ottantamila abitanti, fondata negli anni ’20 del secolo scorso da sette famiglie di pionieri ebrei, che vollero chiamarla così in onore del padre del sionismo politico.
 
 
E’ un piacevole centro turistico, dotato di un porticciolo e di un mini aeroporto; importante centro dell’high tech e dell’industria cinematografica (non a caso è gemellata con Hollywood).
Ecco la fiorente Netanya, altro notevole centro turistico, capoluogo della regione della pianura di Sharon, sviluppatasi grandemente nel corso degli anni fino a raggiungere una popolazione di circa duecentomila abitanti. Deve il suo nome al filantropo statunitense Nathan Strauss, in onore del quale fu fondata nel 1926, ad opera dell’Associazione Bnei Binyamin, organizzazione con sede nella vicina Zikhron Ya’akov.
Fin dall’inizio Netanya ebbe una vocazione turistica e commerciale e fu il punto di partenza per lo sviluppo dell’adiacente litorale. Nel 1934, sulle sue spiagge approdò la prima nave dell’immigrazione clandestina con a bordo ben 350 persone. Negli anni seguenti numerose furono le imbarcazioni “della salvezza” che giunsero da queste parti.
Altra caratteristica è la presenza di una fiorente attività di taglio dei diamanti (le prime taglierie risalgono al 1939), grazie soprattutto ad immigrati dal Nord Africa.
.Una curiosità: il 3 dicembre 1948 Netanya riceve lo status di “città”, la prima dopo la costituzione dello Stato.
Non si può lasciarla, Netanya, senza aver rivolto un affettuoso pensiero alle persone uccise e ferite nel tremendo attentato terroristico suicida perpetrato, il 27 marzo 2002, da un membro delle Brigate Iz a Din al-Kassam (il famigerato gruppo di fuoco di Hamas), proveniente dalla vicina (circa dieci chilometri) Tulkarem, contro un gruppo di fedeli riuniti presso il locale Park Hotel per celebrare il Seder di Pesach. Le vittime erano studenti, pensionati (alcuni sopravvissuti alla Shoah), lavoratori, madri e padri. Intere famiglie spazzate via dall’odio islamista, che, in quell’occasione, ha freddamente inteso colpire proprio in un momento rispettato da chiunque aspiri a chiamarsi essere umano: l’intimità familiare e religiosa.
Angela attira la nostra attenzione sul fatto che, fino a Cesarea -dove a fine mattinata ci fermeremo per il pranzo- vi siano soltanto 11 chilometri di larghezza tra la costa e la cosiddetta Green Line, spesso evocata come un “mantra”, la celebre Linea Verde di demarcazione, risalente agli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949, pura e semplice linea armistiziale, non certo un confine. Tale stato di precarietà favorì, col trascorrere del tempo, la situazione che condusse alla Guerra dei Sei Giorni del Giugno 1967, dove il piccolo Israele, concretamente minacciato ancora una volta di distruzione e a serio rischio di essere spazzato via, seppe aver ragione dei suoi nemici.
 
 
Davanti a noi ora la grande “zampa” del Monte Carmelo, alla base del quale c’è l’importante acquedotto romano di Cesarea, costruito, com’è noto, dalla X Legione Fretense all’epoca di Erode il Grande.
Poco prima di addentrarci un poco nell’interno passiamo a breve distanza dal kibbutz Ma’agan Mikha’el -vicino al villaggio arabo di Jisr-e-Zerka-, in splendida posizione sul Mediterraneo (Ma’agan significa “Ancoraggio”), uno dei più floridi del Paese, dove viene praticata in grandi vasche costituite ad hoc la piscicoltura -con notevole vantaggio degli uccelli che qui nidificano, al punto che diversi bacini dispongono di reti protettive!- l’agricoltura, la coltivazione di molti tipi di piante, nonché una fiorente industria plastica.
Fondato nel 1949 da un gruppo di 150 persone
 
oggi conta oltre 1400 abitanti (è forse il più grande di Israele), di cui circa 800 sono membri del kibbutz (o futuri membri), circa 400 i bambini, oltre residenti non membri, militari e persone che frequentano corsi di ulpan (studio intensivo della lingua ebraica).
 
 
Da notare come molti membri ed abitanti provengano da Paesi arabi, quali il Marocco, l’Iraq, la Tunisia.
              Siamo arrivati a Zikhron Ya’akov, alle pendici, come detto, del Monte Carmelo, una delle mete più rilevanti del nostro viaggio.
 
 
Scendiamo dal pullman proprio davanti alla Sinagoga Ohel Ya’acov.
              Zikhron fu fondata nel 1882 da un gruppo di pionieri rumeni aderenti al movimento sionista degli Hovevei Zion -Amanti di Sion- e finanziata dal barone Edmond de Rothschild (ramo francese dell’importante famiglia originaria di Francoforte), il quale vi aveva fatto impiantare alcune attività economiche tra cui, in primo luogo, la viticultura. I vigneti divennero ben presto rinomati in tutta la Terra di Israele, come oggi del resto.
Il luogo fu così chiamato dal barone in ricordo (Zikhron) del proprio padre,Ya’acov.
Ecco due significative immagini dei primi decenni di vita del paese, scattate dal celebre fotografo Luciano Morpurgo (Spalato 1886 – Roma 1971) negli anni ’20 del Novecento [6] .
 

 
L’uomo sull’uscio di casa nella seconda immagine è probabilmente un membro della famiglia Graf, allora unici albergatori del villaggio. L’insegna (HOTEL GRAF) è, sia pur con un certo sforzo, visibile sulla sinistra della prima immagine.
 
Oggi Zikhron è una florida cittadina di poco più di 18.000 abitanti, assai frequentata, soprattutto dagli appassionati del vino, che possono sostare nei piacevoli locali di mescita e vendita di marche pregiate.

Passeggiamo lungo le strade pavimentate con cura: sembra di essere un po’ a Erice e un po’ sull’Appennino tosco-emiliano, ma, a tratti, percepisci la fragranza del mare.
 

 
Si può entrare nei cortili interni per ammirare angoletti profumati e conoscere pure alcuni abitanti, non umani, del posto.
 
 
               Se ci si affaccia ad uno dei tanti “belvedere”, lo sguardo si perde lontano.
 
Ecco la storica fontana del paese, fatta costruire nel 1891 dal Barone per gli abitanti: Benyamin’s Pool [7].
 
 
Egli fece costruire anche la bella, sobria sinagoga (1886) che abbiamo ammirato all’inizio.
Edmond de Rothschild morì nel 1934, ma vent’anni dopo le spoglie sue e di sua moglie furono trasportate in Israele via mare, per essere inumate, con la doverosa solennità, proprio qui, in un luogo chiamato Ramat Hanadiv.
Ai fondatori, costituenti la c.d. “Prima Aliyah” (1881-’82 /1904) [8], è dedicato un interessante Museo (non lo visitiamo per mancanza di tempo), che spiega l‘audace viaggio dei pionieri e la loro vita dura in Terra di Israele: ci sono Zaccaria, il venditore di semi di girasole, Izer il calzolaio e altre figure emblematiche, illustrate dalle sculture di Ora Rozenzweig.
 



[1] Per comprendere la visione politica ed esistenziale di questo complesso personaggio fondamentale è la lettura di Theodor HERZL, Lo Stato ebraico (Der Judenstaat), il Nuovo Melangolo, Genova, 2003, pp. 105, con illuminante prefazione di Gad Lerner. Precursore italiano di Herzl fu Benedetto MUSOLINO (1809/1885). Patriota calabrese (era nato a Pizzo Calabro), partecipò ai moti del 1848 e si batté per la propria Patria italiana, che sognava libera ed unita. Ma pensò anche la necessità della costituzione di uno Stato per gli Ebrei, quale unica strada per la loro emancipazione. Egli era profeticamente convinto che la fondazione di uno Stato per gli Ebrei avrebbe avuto effetti benefici verso l’intera area mediorientale in termini di crescita e economica e sociale. Ammiratore della Gran Bretagna, durante l’esilio impostogli da Re Ferdinando II scrisse La Gerusalemme e il popolo ebreo. L’opera, che anticipa sia la visione di Herzl, sia le parole pronunciate da David Ben Gurion in occasione della Dichiarazione di Indipendenza di Israele, fu ultimata a Genova il 10 maggio 1851 col titolo completo di La Gerusalemme e il popolo ebreo, ossia la Palestina nei suoi rapporti commerciali e politici coll’Asia e con l’Europa e più di tutto con la Gran Bretagna. Progetto da rassegnarsi la Governo di Sua Maestà Britannica. Il saggio fu ristampato cento anni dopo a cura della Rassegna Mensile d’Israel con prefazione di Gino Luzzatto e una breve biografia dell’A. scritta da Francesco Musolino. Sono davvero grata all’amico Tonino NOCERA di Reggio Calabria, il quale mi ha fornito queste interessanti notizie su un personaggio che non conoscevo; personaggio la cui visione testimonia ancora una volta l’inscindibile legame tra Sionismo e Movimenti nazionali ottocenteschi.
 

[2] In russo Cherta osedlosti, istituita da Caterina II nel 1791. Era la regione, nella Russia imperiale, in cui gli Ebrei avevano il permesso di risiedere in permanenza, oltre la quale la residenza era a loro proibita, tranne limitatissime eccezioni, riservate a personaggi significativi. La Zona confinava con la Germania e l’Austria-Ungheria e andava dalle odierne Repubbliche baltiche al Mar Nero. Fu abolita con la Rivoluzione russa di febbraio 1917.

 
[3] Sterminata la bibliografia sul Sionismo, nei suoi diversi aspetti. Mi limiterò sia a tale proposito, sia per altre tematiche trattate in questo Diario, a citare, salvo alcune eccezioni, i testi che ho letto, ben consapevole peraltro del limite di detta scelta. Anzitutto Georges BENSOUSSAN, Il sionismo. Una storia politica e intellettuale (1860/19409), in due volumi, Einaudi, Torino, 2007, pp. 1369. Tra gli italiani un Autore che può essere definito un classico è Fausto COEN, Israele: 50 anni di speranza, Marietti, Genova, IV ed. 1998, pp. 279. Morto nel 2006 a 91 anni, egli si dimise dalla direzione di Paese Sera all’epoca della Guerra dei Sei Giorni del 1967 in polemica con la posizione filoaraba del PCI. Il saggio ha avuto diverse edizioni.
Da non perdere è Claudio VERCELLI, Israele Storia dello Stato Dal sogno alla realtà (1881-2007), Giuntina, Firenze, 2007, pp. 481, rilevante, oltre che per la trattazione, completa nei contenuti e scorrevole nello stile, per la ricca ed ordinata bibliografia, in appendice, suddivisa per argomenti, alla quale volentieri rimando. Di Vercelli inoltre è appena uscito il saggio Storia del conflitto israelo-palestinese, Laterza, Bari, collana “Quadrante Laterza”, pp. 230.
Utilissimo Barnet LITVINOFF (biografo ufficiale di Haim Weizmann), La lunga strada per Gerusalemme 1789-1948, il Saggiatore, Milano, 1968, Ia edizione Nuove edizioni tascabili (NET) 2002, pp. 331.
Per una trattazione più sintetica, ma ugualmente seria ed esaustiva, Michael BRENNER, Breve storia del sionismo, Editori Laterza, Bari, 2003, pp. 162; David J. GOLDBERG, Verso la Terra promessa Storia del pensiero sionista, Il Mulino, Biblioteca Storica, Bologna, 1999, pp. 331.

[4] B. LITVINOFF, op. cit., p. 13.

[5] Aliyot è il plurale di Aliyah, lett. Salita, a Gerusalemme, ma non solo: il termine sta a significare l’emigrazione degli Ebrei verso la Terra dei Padri. Solitamente si parla di 5 Aliyot (dalla prima, nel 1881, alla quinta, nel periodo 1932/1939), ma ne vengono considerate, in ordine di tempo, pure altre (alcune avvenute anche dopo la costituzione dello Stato), fino all’ultima, dal 1989 al 1992, dai territori dell’URSS. Così C. VERCELLI, op. cit., pp. 85 e ss.

[6] Tratte dal libro di Gabriele BORGHINI, Simonetta DELLA SETA, Daniela DI CASTRO (Curatori), Palestina 1927 nelle fotografie di Luciano Morpurgo, Ugo Bozzi Editore S.r.l., Roma, 2001, pp. 293. Si ringraziano per la concessa riproduzione sia l’Editore, sia ICCD –Roma.

[7] “ A metà discesa…spuntava la Torre dell’Acqua, una grande cisterna costruita in pietra dura. Gli alti archi della facciata ricordavano una sinagoga” Massimo LOMONACO, NILI, Mursia, Milano, 2002, a p. 93; v. infra.
 

[8] V. supra, n. 5, p. 2.