[Segue 23 aprile]
I sionisti che dettero vita alla Prima Aliyah, i cosiddetti BILU -dalle iniziali ebraiche di un versetto biblico, Isaia: 2,5: Beith Ya’acov Lekhu Venelkha, Casa di Giacobbe vieni, camminiamo [alla luce del Signore]- erano studenti ebrei nati, dal punto di vista politico, nella regione di Karkov nel 1881. Essi avevano costituito una struttura fortemente elitaria che chiedeva ai propri aderenti la massima dedizione, poiché accettava solo giovani di età inferiore ai 25 anni, celibi, disposti a rinunciare alla famiglia e a qualsiasi proprietà privata per un periodo di almeno tre anni, durante i quali avrebbero lavorato in Palestina in una fattoria di proprietà del movimento. Essi si ritenevano l’avanguardia del nazionalismo ebraico e si proponevano di dar vita, nella Terra dei Padri, ad un insediamento agricolo modello su basi socialiste.
Zikhron riveste notevole importanza nella storia dello Stato di Israele.
Qui è vissuta una famiglia le cui vicende sono “Storia Patria”, patrimonio comune, pur se gli eventi che videro protagonisti i suoi membri furono anche occasione, all’epoca in cui si svolsero, di contrasti e forti lacerazioni all’interno del movimento che portò alla (ri)costituzione dello Stato ebraico. Una famiglia per la quale, una volta tanto, l’aggettivo “straordinaria” non è sprecato, né fuor di luogo. Confesso che avevo notizie un po’ sommarie circa la famiglia Aaronsohn e il gruppo politico cui essa diede vita negli anni della Prima Guerra Mondiale, finché, nell’estate 2002, non lessi il romanzo NILI, che ne racconta le vicende in un’opera affascinante, che sa sposare il rigore storico alla suggestione dell’opera letteraria tradizionale, una vera pietra miliare nella mia formazione. L’Autore è Massimo Lomonaco, citato alcune pagine addietro per il suo ultimo romanzo, La caccia di Salomon Klein -giornalista, o meglio: nato giornalista, divenuto scrittore-, un caro amico con il quale ho il piacere di essere in corrispondenza[1].
Ma andiamo con ordine.
Originari della Romania, gli Aaronsohn, agiati commercianti di granaglie, erano stati tra i fondatori di Zikhron ai tempi della Prima Aliyah. Quando giunsero al porto di Haifa -dunque Impero ottomano- non poterono neppure scendere dalla nave: un editto (firman) del Sultano vietava loro, quali Ebrei, di stabilirsi in Palestina. Essi navigarono, per oltre un mese, di porto in porto finché approdarono in un villaggio abitato da contadini arabi con i quali stabilirono rapporti di collaborazione e dettero vita ad una comunità mista arabo/ebraica.
Il nucleo familiare era composto, oltre che dal padre, Ephraim, e dalla madre, Malka, da sei figli, nati via via: Aaron; Alexander; Sarah; Rivkà; Zvi e Shmuel.
Figure lontane dagli stereotipi tradizionali, questi giovani, a cominciare da Sarah (nata a Zikhron nel 1890). Abile cavallerizza e nuotatrice, non aveva seguito un corso di studi regolare, ma, anche incoraggiata da Aaron, aveva studiato e parlava diverse lingue (oltre all’ebraico: lo yiddish, il francese, il turco e se la cavava con l’arabo e l’inglese); inoltre aveva acquisito solide nozioni di agronomia, mineralogia e botanica, utili nella sua collaborazione col fratello, di cui dirò appresso.
Aaron, il primogenito, nato a Bakau nel 1876, era stato portato dai genitori in Terra di Israele all’età di sei anni. Ragazzo dall’intelligenza vivace, aveva compiuto i suoi studi in Francia, grazie anche all’appoggio del Barone Rothschild. Ritornato a casa, con cura meticolosa, aveva tracciato una mappa botanica della Palestina e dintorni: si era radicata in lui la convinzione che non erano “le mutazioni del clima o la qualità della terra ad aver condannato la Palestina alla povertà, bensì le condizioni economiche e politiche. E i primi responsabili erano i governanti, i rapaci rappresentanti dell’Impero ottomano che dominava la sua terra da secoli” [2] . Aaron si era fatto conoscere ed apprezzare grazie ad un’importante scoperta. Nell’estate 1906, lungo le pendici del Monte Hermon, nel nord del Paese, aveva trovato una pianticella di grano selvatico (Triticum dicoccoides). Coltivato per millenni, il cereale era diventato una pianta fragile, destinata a soccombere in condizioni climatiche avverse. L’originale, il prototipo ritrovato avrebbe consentito di ripristinare l’antico vigore.
Quella scoperta dette al giovane agronomo una notevole fama internazionale. Egli fu invitato negli USA, dove restò due anni poiché gli Americani erano interessati al grano selvatico, dal momento che intendevano trapiantarlo nelle desertiche terre dell’Ovest. Aaron aveva portato con sé le prove dell’esistenza di circa tremila varietà di piante della Palestina, allora considerata uno dei luoghi più aridi del mondo [3] .
Durante il soggiorno oltreoceano l’agronomo conobbe rilevanti esponenti sionisti, a cominciare da Henrietta Szold. Nel 1910, grazie ai cospicui finanziamenti della comunità ebraica statunitense, Aaronsohn poté costituire poco lontano da casa, ad Atlit, sulla costa, la prima Stazione Agricola Sperimentale del Medio Oriente, con l’intento di sviluppare sistemi di coltivazione all’avanguardia. Ma le scienze agrarie non erano l’unico interesse di Aaron; o meglio, esse erano funzionali ad una chiara visione politica.
                 Forte sostenitore della necessità per gli Ebrei di dar vita ad uno Stato indipendente -a quanto mi risulta simpatizzava per il sionismo cosiddetto revisionista di Ze’ev Jabotinsky-, insieme con i fratelli (e, in particolare, con Sarah) e con alcuni amici era andato elaborando la convinzione, divenuta certezza a seguito di fatti incontrovertibili, che soltanto appoggiando la Gran Bretagna (che dal 1882, in buona sostanza, governava l’Egitto) questo sogno si sarebbe realizzato.
Gli Ebrei non avrebbero certo conquistato la libertà confidando nell’Impero ottomano, decadente ed ostile. Dal canto suo, poi, Sarah, in concomitanza con una breve parentesi matrimoniale, aveva vissuto qualche tempo a Istanbul dove era stata testimone, nel giugno del 1915, in piena Prima Guerra Mondiale, del massacro degli Armeni ad opera dei Turchi -con la complicità dei tedeschi, loro alleati-. Proprio quella tremenda esperienza l’aveva indotta a ritornare a casa, anche perché ella temeva, fatto che purtroppo in parte si realizzò con gli abitanti di Tel Aviv, che i Turchi deportassero anche gli Ebrei, dopo gli Armeni: “Sarebbe tornata a casa…avrebbe raccontato quello che aveva visto. Avrebbe urlato che con i Turchi non esisteva né speranza né futuro: gli Ebrei, sotto il loro dominio, non avrebbero mai avuto una patria…Il suo posto non era a Costantinopoli, ma accanto a Aaron e Absalom”[4] .
                  Riunitasi la famiglia, Aaron dà vita, con Sarah e altre persone vicine (come, fin dall’inizio, l’affascinante Absalom Feinberg e, di poi, l’impulsivo Yoseph Lishansky) ad un gruppo clandestino impegnato a fornire alla Gran Bretagna informazioni di carattere militare e strategico, utili a sconfiggere il nemico, i Turchi. Il nome del gruppo è NILI, dalle prime lettere della frase biblica (I Sam: 15, 29) : “Netzach Israel Lo Ishakare”, “L’Eterno di Israele non ti deluderà [mai]”.
L’ardimentosa squadra dovette affrontare e superare gravi ostacoli, oltre al rischio di essere scoperta dagli Ottomani. Anzitutto la diffidenza sia dello Yishuv (la Comunità ebraica in Palestina), che dello Hashomer, l’organizzazione di Autodifesa ebraica costituita nel 1909 per la sorveglianza degli insediamenti dello Yishuv. Entrambi costoro vedevano nel Nili un gruppo spionistico spericolato e velleitario, capace solo di mettere in grave pericolo la vita di tutti; insomma un rischio per la sicurezza generale. Inoltre, per diverso tempo, essi non furono presi sul serio dall’intelligence britannica. Solo dopo circa un anno Aaron, grazie alle sue conoscenze, riuscì a portare dalla sua parte il diplomatico Sir Mark Sykes.
Le notizie venivano fornite attraverso un complesso sistema che operava -di notte, per eludere la sorveglianza turca- nel tratto di mare di fronte alla spiaggia di Atlit, grazie ad alcuni coraggiosi volontari, abili barcaioli e nuotatori: da una piccola nave, il Monegam, veniva scaricato un sacco in robusto tessuto con posta, giornali, istruzioni e danaro (per il Nili e per lo Yishuv); in cambio la nave riceveva una borsa contenente informazioni e rapporti, raccolti dal gruppo, utili per gli Inglesi.
Sarah, da Zikhron, poco lontano, coordinava le operazioni, mentre il fratello si muoveva per il Paese (e riusciva ad assumere notizie militari utili) poiché, tra l’altro, era stato chiamato dalle autorità turche per domare un’invasione di locuste.
Ad un certo punto però, dato che in zona incrociavano sottomarini tedeschi, la modalità di incontro sulla spiaggia fu abbandonata in favore dell’uso di piccioni viaggiatori.
Nel settembre del 1917, ahimé, un piccione cadde nelle mani dei Turchi. Fu facile risalire al gruppo.
Sarah venne subito arrestata e barbaramente torturata, insieme all’anziano padre. La ragazza, per non cedere di fronte ai tormenti, decise di suicidarsi con una pistola piuttosto che rivelare nomi e informazioni. Aveva 27 anni. Gli altri membri del Nili furono per lo più arrestati e condannati a morte. Ma, grazie al loro sacrificio, le notizie fornite all’esercito inglese consentirono al Generale Edmund Allenby di colpire di sorpresa a Be’er Sheva il nemico -con un’entrata da est e non da sud, come questi aveva previsto- lasciando da parte le temibili difese turche di Gaza.
Si dice che l’opera del Nili abbia salvato la vita a circa 35.000 militari di Sua Maestà britannica.
Aaron era assente quando la tragedia dei familiari ed amici si consumò.
Subito dopo il conflitto fu invitato da Haim Weizmann a partecipare ai lavori della Conferenza di pace di Versailles, ma, nel viaggio aereo da Londra a Parigi, morì, il 16 maggio 1919, in un misterioso (?) incidente [5] .
Ho l’impressione che il contributo dei fratelli Aaronsohn alla (ri)nascita dello Stato di Israele non goda, in generale, della considerazione che merita.
Tuttavia so che, in Israele, diverse donne portano -quale affettuoso e doveroso omaggio- il nome di Nili (o Nilli), come, ad esempio, la moglie di Amos Oz, sua prima lettrice e critica.
In ogni caso, il merito di Massimo Lomonaco è grande: aver portato una vicenda poco conosciuta a conoscenza del pubblico italiano, il quale ha saputo apprezzare: il libro infatti ha riscosso notevole successo. Soprattutto dalla lettura emerge un principio chiaro, come sottolinea anche l’A. nella post fazione: la storia del Nili rappresenta una svolta, sia in ordine agli eventi concretamente accaduti in seguito, sia per quanto concerne le prospettive e le potenzialità nel prosieguo, quest’ultime non attuatesi per un variegato complesso di circostanze; a cominciare dal difficile problema dei rapporti col mondo arabo, in ordine al quale pare che le idee di Aaron, in vista della Conferenza di pace, fossero “assai lungimiranti” [6] . A tale proposito ricordiamo ancora che Zikhron, dove gli Aaronsohn erano cresciuti, si trovava, e si trova, accanto ad alcuni villaggi arabi e dunque non è difficile immaginare quanto la loro visione di convivenza fosse appunto aperta e perspicace.
Per altro verso, a questa parte tanto importante del tessuto, dell’anima di Israele non ha giovato che i suoi protagonisti siano stati a lungo considerati dal comune sentire -si fosse più o meno consapevoli di ciò- delle spie, prima che dei combattenti per la libertà del Popolo ebraico.
A ciò si aggiunsero i contrasti (in seguito in gran parte ricomposti) con la dirigenza dello Yishuv, timorosa delle prevedibili reazioni da parte turca [7] .
La nostra piccola compagnia di viaggio -che tanto piccola non è, visto che siamo oltre trenta- entra in quello che si può definire il “mondo Aaronsohn”, un paio di ville di campagna, sobrie ed eleganti, immerse nel verde, insieme ad altri fabbricati di servizio.
“Il sole dardeggiante di metà mattino riscaldava l’aria tersa e fredda dell’inverno….le case degli Aaronsohn svettavano dal punto più alto del paese. Da una parte, la discesa digradava verso la pianura e, in fondo, verso l’azzurro Mediterraneo. Dall’altra [parte], quella che stava percorrendo Absalom, il pendio portava alla piazza principale del paese…” [8] .
Il Museo, se così si può chiamare, ivi posto, è gestito dalla Fondazione, costituita nel 1956 per raccogliere le memorie di famiglia, da Rivkà, la sorella più piccola coccolata dai fratelli, morta quasi novantenne nel 1981.
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Il luogo non ha nulla di morto, di…museale.
Sembra che siano gli stessi Aaronsohn ad invitarti da loro.
 
La significativa fotografia all’ingresso ci mostra una bella e composita famiglia borghese, seduta in un angolo del giardino: le due sorelle, Sarah a destra e Rivkà a sinistra; il padre Ephraim, dal cui sguardo traspare una soddisfazione quasi pudica; i figli Alexander e Shmuel; il marito -per un breve periodo, a Istanbul- di Sarah, Haim Abraham (con la barba nera) e, in piedi, quasi a suggellare e a proteggere i suoi cari, Aaron. Mancano la madre, Malka, e un altro fratello, Zvi.
L’esposizione è collocata nelle due ville -di un colore rosa carico che ricorda certe omologhe costruzioni bolognesi e che ben si accompagna alla vegetazione circostante- conservate nelle forme originali, compresi i mobili e gli oggetti di famiglia.
La prima casa, quella dei genitori, risale al 1884, mentre la seconda, quella dei figli (dove peraltro Aaron in sostanza non abitò, sempre chiamato altrove dai numerosi impegni), è del 1886.
Parliamo sottovoce mentre passiamo tra la biblioteca, le scrivanie in legno con “ribaltina”, i mobili e le testate dei letti decorati da motivi riproducenti spighe di grano, tante fotografie, mappe, documenti diversi (come l’erbario di Aaron, o una sua parte, salvato dalla furia dei nemici grazie a Papà Ephraim e a Sarah), lettere, francobolli commemorativi del movimento, una macchina da cucire….
Caro Papà Ephraim: “…per quanto debole e ferito, di notte….riusciva a sfuggire ai soldati turchi che sorvegliavano l’abitazione e scendeva di soppiatto in cantina per difendere l’amata collezione dai topi e dagli insetti…Tornò poi a lavorare nei vigneti, custodendo i segreti dei figli fino alla morte, sopravvenuta all’età di novant’anni” [9] .
Ecco il bagno. Il luogo in cui l’eroina, con fredda determinazione, per non cedere alle torture subìte, davvero indicibili, e tradire i compagni, decise di porre fine alla propria vita. Era venerdì 5 ottobre 1917.
                Rileggiamo le pagine drammatiche di Anita Engle.
“…Chiese di poter andare a casa per cambiarsi i vestiti pieni di sangue prima di essere trasferita a Nazareth [dove, con gli altri, sarebbe stata interrogata sotto la supervisione del temibile direttore medico della Quarta Armata ottomana]. Incatenata, percorse le vie di Zikhron per l’ultima volta. Gli scuri delle finestre erano chiusi, ma sapeva che tutti la spiavano dalle fessure. Aveva un’andatura eretta e dignitosa nonostante il dolore. Voleva dare conforto agli amici, confondere i nemici dimostrando che il suo morale era ancora intatto…..Il suo carceriere rimase fuori mentre lei andò in bagno. Là scrisse una lettera in cui [oltre che a spiegare le ragioni del suo gesto] dava istruzioni per aiutare le famiglie che sarebbero rimaste prive dei loro cari a causa del NILI. Non dimenticò nessuna persona e nessun particolare….Prese la pistola che aveva nascosto dietro un pannello segreto, quella stessa pistola che si era fatta mandare da Aaron quando era in Egitto e si sparò in bocca. Ma le forze l’avevano abbandonata, riuscì solo a procurarsi un’orrenda ferita” [10] .
Sopravvisse pochi giorni, in stato di semincoscienza, completamente paralizzata: la pallottola le aveva trapassato la lingua e si era conficcata nella spina dorsale.
Cedo la parola a Massimo Lomonaco: “Pensò a se stessa, alle interminabili attese sulle spiaggia….Allo scialle della madre Malka. Sorrise Sarah. Molte volte…La pendola suonò le 8 del mattino….Gli occhi guardavano quieti la vita che fuggiva. Forse un sorriso le distese le labbra. Reclinò la testa verso il muro e morì” [11] .
Ecco il pannello dietro al quale era nascosta la pistola; vi passo rapida la mano, quasi a ritrovare la presenza di Sarah…un saluto silenzioso.


[1] Massimo LOMONACO, NILI, Mursia, Milano, 2002, op. cit., pp. 610.
[2] M. LOMONACO, op. cit., p. 23.
[3] Tale era considerata anche dagli Arabi, i quali avevano affibbiato a quella che essi oggi chiamano con arrogante enfasi, mista a vittimismo revanscista, “la nostra terra”, il poco lusinghiero appellativo di “Terra maledetta”. V., a tale proposito, Francesca CERNIA SLOVIN, In principio, Dove affondano le radici d’Israele, Marsilio, Venezia, Collana Gli specchi, 2003, pp. 258 (la citazione è alla p. 86). Questo romanzo racconta la storia affascinante di un gruppo di giovani ebrei, nati nell’Impero russo, che partecipano alla Seconda Aliyah. Amore, dolore, gioia, speranza a testimoniare che lo Stato di Israele è nato dalla caparbia volontà quotidiana di queste persone, non certo come presunto risarcimento dell’Europa per la Shoah perpetrata contro il Popolo Ebraico.
[4] M. LOMONACO, op. cit., p. 35.
[5] M. LOMONACO, op. cit., pp. 591 e ss.
[6] M. LOMONACO, op. cit., p. 607.
[7] Un’opera fondamentale sull’epopea dell’eroica famiglia, cui anche M. Lomonaco si dichiara debitore, è Anita ENGLE, The Nili Spies, Hogarth Press, London, 1959, pp. 244. La studiosa inglese, col suo saggio scritto nel 1959, ha riportato alla luce , per prima, quell’importante tappa storico-politica nella storia di Israele che fu Nili. Il libro è stato pubblicato in italiano nel 2009, col titolo di Spie all’ombra della mezzaluna, (traduzione di Luciana Pugliese), Baldini, Castoldi, Dalai S.p.A., Milano, pp. 343.
Da citare pure (ne ho avuto notizia compulsando numerose biblio-biografie anche on line ) Shmuel KATZ (uomo politico israeliano, nato nel 1914, morto nel 2008), Ha-reshet: ha-hagadah le-beit aaronson (2000); in inglese The Aaronsohn saga, Gefen Publishing House, Jerusalem-New York,2007, pp. 370.
Quanto infine alla cattiva fama di “spie”, che perseguitò a lungo i membri del Nili, questa è pure l’amara considerazione che Lomonaco mette in bocca a Noah, protagonista femminile del suo La caccia di Salomon Klein, cit., p. 93.
[8] M. LOMONACO, op. cit., p. 93.
[9] A. ENGLE, op. cit., p. 311.
[10] A. ENGLE, op. cit., pp. 285.
[11] M. LOMONACO, op. cit., p. 477.