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Ed. La Nave di Teseo, Collana Oceani, Milano, Novembre 2017, pp. 214, €.16

“Ecco, tu hai fatto risuonare il mondo semplicemente guardando una mappa. Ci sei riuscita perché sai ascoltare. Hai sentito anche i silenzi di una mappa che non ha voce e questo perché….il senso della musica non sta nelle note, ma tra le note, nelle pause che le separano”
Ammerberk (Maestro di Musica in terra di Livacchia) a Mila (Violinista).

Lo scrittore Paolo Rumiz, triestino, ha sempre suscitato la mia ammirazione; a cominciare dal fatto che si autodefinisce “ebreo per fascinazione”. Anch’io, fatte le dovute proporzioni, mi vedo così.
Ne ho letteralmente divorato i reportages per la Repubblica (nonché libri) sulla guerra nei Balcani e i Diari di viaggio verso l’Europa orientale e il Medio Oriente.
Memorabile poi una serata estiva in cui, alcuni anni or sono, sul prato del chiostro racchiuso dal convento di S. Domenico a Bologna, ci narrò con amorosa ironia i segreti di Istanbul.
A proteggerci un cielo nero setoso, ricco di stelle che riuscivi a toccare.
Tempo fa ho visto con passione il film, apparso in formato DVD, La strada di Rommel – La disfatta di Caporetto vista dal nemico. Una narrazione in cui Rumiz segue passo passo il percorso da Tolmino fino alla vetta del Monte Matajur (Prealpi Giulie, m. 1641) compiuto da un personaggio mitico, Erwin Rommel, allora giovane Primo Tenente, che fu tra i protagonisti dello sfondamento austro tedesco sul fronte di Caporetto il 24 ottobre 1917. Personaggio da ammirare, pur del campo avverso, che pagò con la vita l’adesione alla cosiddetta Operazione Valchiria, cioè il complotto, ahimé fallito, ma di poco, per uccidere Adolf Hitler il 20 luglio 1944.
Un’impresa epica, quella del giovane Rommel, le cui tracce ancora si leggono nel paesaggio, insieme a quelle della più rilevante disfatta italiana.
Poi, a novembre 2017, l’uscita di questo libro, La Regina del Silenzio, con La Nave di Teseo, casa editrice dal nome suggestivo, nata giusto due anni prima, per iniziativa -in primo luogo- di Elisabetta Sgarbi e Umberto Eco .
Un romanzo, anzi una fiaba, per incantare i bambini e far riflettere (e commuovere) i “grandi”.
Come nasce e perché?
Il primo filo d’oro che lega il racconto. Nasce, come confessa lo stesso Autore a fine testo nella lettera indirizzata al “Bambino che è in me”, dalla voglia di “invenzione di un uomo che invecchia e che è stufo del mondo degli adulti”.
Quando poi ti nascono dei nipoti, prosegue, la prospettiva cambia; forse, da un certo punto di vista, ancora di più di quando diventi padre (o madre, non fa differenza). Questo me lo hanno confessato amici che vivono tale esperienza, contrariamente, per ora, alla sottoscritta, la quale tuttavia spera di colmare presto il vuoto.
Se ti lanci in un racconto, la fantasia prende il sopravvento, ma questo non ti porta ad evadere dalla realtà, anzi. Bensì a vederla e viverla con occhio un po’ canzonatorio e disincantato.
Grazie quindi, scrive Paolo, ai piccoli Federico (nato nel 2013) ed Elia (2016), dai quali guai farsi cogliere impreparati!
Il secondo filo d’oro.
La fiaba è stata scritta in due settimane, ma ha avuto una lunga gestazione.
“Quanto tempo ci hai messo a dipingere questo quadro?” domandò qualcuno ad un celebre pittore.
La risposta: “Un’ora e…tutta la vita”.
Il libro comincia a prendere forma, sia pure embrionale, circa otto anni fa allorché la Musica entra decisa nella vita dell’Autore.
O perbacco! Drizzo le orecchie: anche nella vita della sottoscritta la Musica è (ri)entrata, circa tre anni orsono. Nel mio caso attraverso strade di dolce prepotenza: penso all’indimenticata figura del Mentore Responsabile, il quale, nel suo sguardo e cuore di bambino, sarebbe rimasto incantato dalla fiaba, ne sono certa.
Imprescindibili l’amicizia di Paolo con Alfredo Lacosegliaz -cui il volume è dedicato, insieme allo strumento da lui amato, la tambùriza- ,

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e con Riccardo Muti, col quale aveva compiuto un viaggio a Sarajevo qualche tempo prima.
Poi l’incontro artistico (e non solo) della vita, possiamo dire.
Quello con la European Spirit of Youth Orchestra (ESYO), compagine fantastica composta da 90 (novanta) giovanissimi musicisti di diversi Paesi europei, la quale ogni anno si scioglie per rinascere quello successivo con altri giovani musicisti; o, immagino, anche con amici già collaudati, decisi ancora a “Fare Musica Insieme” .
Una succosa presentazione, tratta dal sito web dell’Orchestra (che ha sede a Trieste, crocevia di colori, storie, culture)

http://www.esyo.eu/

ci racconta che: “In più di vent’anni di attività ininterrotta, questa orchestra sinfonica giovanile, creata dal Maestro Igor Coretti-Kuret, [triestino, 1958, nato come violinista, eccezionale talento nel saper lavorare coi giovani; il che non è da tutti, lo so bene], ha dimostrato la propria validità sia come ente di istruzione sia come strumento di diffusione degli ideali europei di cooperazione, contribuendo a costruire un futuro migliore sostenendo i talenti europei.
I migliori giovani musicisti provenienti da Albania, Austria, Bielorussia, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Croazia, Estonia, Italia, Macedonia, Moldova, Montenegro, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Serbia, Slovacchia, Slovenia, Svezia, Ucraina e Ungheria vengono riuniti e fatti esercitare insieme dai migliori docenti, in un ambiente intellettualmente stimolante, che promuove sia la loro crescita artistica che la loro identità europea.
Quando si esibiscono, esibiscono in realtà, davanti al grande pubblico, lo spirito di cooperazione europeo nella sua espressione più alta, grazie alla loro doti di eccellenza, creatività, ottimismo, orientamento al futuro e alla totale valorizzazione dell’eredità musicale comune”.
Ai membri di ESYO è inoltre data la possibilità di suonare in concerti prestigiosi insieme ai più grandi artisti, fra i quali Uto Ughi (il mitico, che ama tanto lavorare con loro) ed Erno Kallai (violini), Irena Josifovska (violoncello), Bogdan Sydorenko (clarinetto), Stanko Arnold (tromba). Senza contare Riccardo Muti, che ne è stato Direttore ospite.
Attraverso la scelta del nome -European Spirit of Youth Orchestra-, è evidenziato lo scopo stesso del progetto, così come il proposito di sviluppare e allargare la sua influenza, la cui importanza è pure testimoniata dal supporto economico della Commissione per la Cultura e l’Istruzione dell’Unione Europea”. Speriamo si continui, per il bene dell’Europa, anzitutto.
Alcune sere fa ho avuto la gioia di veder suonare questi ragazzi, anche se solo per un quarto d’ora.  Passavamo per caso dalla nostra bella Piazza Verdi su cui prospetta il Teatro Comunale.
Al centro della stessa, il palco dove il Maestro Igor Coretti Kuret dirigeva, in quel momento, i giovani nell’Inno alla Gioia della Nona Sinfonia di Ludwig van Beethoven. Confuso tra loro Paolo Rumiz, il quale aveva letto, per la circostanza, alcuni brani dei suoi libri più significativi: notevole iniziativa di Bologna Estate denominata Note per il Futuro.

Pubblico tutto in piedi che trattiene il respiro per l’emozione, mentre interpreti di età compresa tra gli 11 e i 18 anni -ma c’è pure un piccolo grande uomo di soli otto, abbracciato al suo violino-, insieme da soli dodici giorni, ti portano nella nuova Europa, quella giovane dell’Armonia, del sapersi Ascoltare l’un l’altro, dell’Impegno civile vissuto davvero, senza esibire vuoti slogan.
E’ l’Inno europeo, il Nostro.
Di fronte, la terrazza del Comunale, accessibile al pubblico in certe sere d’estate: anche lì, in alto, luci ben appostate, tanta gente attenta.
Silenzi carichi di significato. Applausi non subito al termine, bensì dopo alcuni secondi: a significare che la Musica è stata interiorizzata dai presenti.
Mi avvicino e saluto il Maestro, complimentandomi: “Sono un’appassionata di Musica ed è sempre commovente per me vedere giovani e giovanissimi suonare. Hanno coraggio, si fidano e si…buttano per volare tutti insieme”.
Sorride Igor, pronipote di Ivan, volontario nella Prima Guerra Mondiale. “Ci segua” mi invita col suggestivo accento danubiano.
Ma certo! Intanto, per cominciare, acquisto in una bancarella a lato un CD, inciso da ESYO circa dieci anni fa nella Sinagoga di Novi Sad (Serbia).
Si tratta della beethoveniana Sesta Sinfonia, op. 68, in fa maggiore, meglio nota come Pastorale. Me lo porge una graziosa ragazza con i capelli raccolti a coda di cavallo e lo sguardo pulito: si tratta di Alekandra Latinovic, serba, primo violino di ESYO, ora “in panchina” a causa di una tendinite. “Piacere di conoscerTi, carissima Mila” le faccio. Lei, dopo un attimo di smarrimento, comprende e sorride.
Aleksandra ha un forte temperamento: dovreste sentirla -e vederla- nel Concerto n. 1 in re maggiore per violino e orchestra (nella circostanza sostituita da un’eccellente giovane pianista) di Niccolò Paganini.
Ci incamminiamo, Mauro ed io, lungo Via del Guasto, che costeggia il Teatro Comunale, ora trasformata in una sorta di  piccolo villaggio, Guasto Village, con tanti piccoli stand presso cui sedersi per bere o mangiare qualcosa e, soprattutto, chiacchierare. Tantissimi giovani, ma non solo.
Aleksandra / Mila. Paolo Rumiz si è ispirato alla giovane violinista per dar vita all’interprete principale del nostro romanzo. Anche Aleksandra, come Mila (lo vedremo), non ha parlato fino a cinque anni, ma era già, fin da allora, in grado di suonare il suo strumento.
Aveva visto, poco prima, suo fratello alle prese con quello strano oggetto e, all’improvviso, parlando a fatica: “Voglio provare anch’io!”. Sboccia così una nuova esistenza.
Procediamo con ordine.
Il libro è intimamente legato alla collaborazione triennale dell’Autore con l’Orchestra, nasce per sostenerla; ciascuno dei venti capitoli che lo compongono è accompagnato dal suggerimento (proposta di ESYO) di brani da ascoltare durante la lettura. Si va da Holst -britannico, 1874 / 1934; e chi lo conosceva, prima?-, a Grieg (La morte di Ase, dal Peer Gynt), da Sibelius (in diversi momenti), a Wagner (Sigfrido!!!), a Mendelssohn, sempre raffinatissimo, a Beethoven col delizioso Concerto per violino in re maggiore, op. 61: ricordo incantato del concerto di Isabelle Faust con l’Orchestra Mozart, a Bologna il 6 gennaio 2017.
A Dvořák, guai se non ci fosse: accenti che spaziano dalla musica popolare boema a brani con un certo gusto spiritual / country / pellerossa (la Nona Sinfonia, op. 95 in mi minore, cioè quella detta Dal Nuovo Mondo), traccia forte dell’esperienza americana; scelta coerente il Secondo Movimento, intitolato Tornando a casa. A Mussorgsky: -nei “Quadri” sono i nostri sentimenti, la nostra vita, le nostre debolezze, afferma Riccardo Chailly, che ha diretto poco più di un mese fa l’opera con la Filarmonica della Scala in Piazza Duomo-. Al “tutore musicale” di Mussorgsky, Rimskij Korsakov, a Mahler, carissimo al Mentore, cui accennavo sopra, in particolare proprio nell’Adagietto della Sinfonia n. 5 in fa maggiore. Eccetera, eccetera. Va da sé che il  libro, a parte l’innegabile valore intrinseco, è occasione imperdibile  per un’immersione nella Musica.  Ascolti, ad esempio (capitolo n. 2), il secondo movimento della citata Nona di Dvořák, quel “Largo” da sogno ed è ovvio che poi la Sinfonia te la vivi tutta e magari vai a cercare la storia di questo brano.

Peccato non vi abbia trovato posto un brano meraviglioso, ricco di cromatismi, in grado di comunicarti la drammaticità della vita: tensioni, angosce, ma pure dolci raggi di speranza. L’avrei collocato in apertura. Si tratta della Ouverture Tragica, in re minore per orchestra, op. 81, composta da Johannes Brahms nel 1880. Ci sono diverse versioni: numerose  dirette lungo il corso dei decenni da Claudio Abbado -ultima quella al Festival di Lucerna 2013, penultimo, toccante, concerto del Maestro-; di forte impatto poi  l’interpretazione della EUYO con Sir Colin Davis (1927 / 2013), ai Proms di Londra, nell’estate 2007.
La storia  va letta ad alta voce; l’ho fatto, se non da cima a fondo, nei capitoli più interessanti. ”Io ascolto sempre il suono di ciò che scrivo ”afferma l’Autore e prosegue: “La letteratura può sopravvivere solo se immette più oralità nella scrittura”.
Verissimo. La musicalità di un testo devi scoprirla e seguirla; non sempre ci riesci, ad un primo colpo. Prova e riprova.
Ecco la trama. In sintesi, però; perché sarei lieta che chi mi legge scoprisse da sé l’avventura pagina dopo pagina.
Dunque.
Il crudele -ma non troppo intelligente, via….- Re Urdal scende dalle fredde regioni del Nord e invade col suo esercito la pianura dove vive il pacifico popolo dei Burjaki.
La forza di Urdal è esaltata da tre mostri, che nessuno aveva mai avuto il coraggio di affrontare. Orrendi esseri che egli aveva catturato nelle “nebbiose scogliere del suo mare”.
Eccoli qua. Il primo si chiama Antrax, uno scheletro di bisonte (“partorito dai monti tonanti di Donnerheimen”) con addosso la sola pelliccia floscia, orrendamente svolazzante, corna avvelenate come arma principale.
Il secondo è Uter il Viscido, nato dalle acque del Nord negli anni della peste nera -e quando, sennò?- serpentaccio dalla lingua biforcuta, con un fiato velenoso, che ama acquattarsi nelle paludi e colpire a tradimento.
Chiude la triade il peggiore, Saraton, gigantesco scorpione di ferro, padrone di sette tane nelle desolate lagune nordiche.
I mostri sono sottomessi al volere del re grazie agli artifizi della madre di lui, la tremenda regina Ubidaga, dal naso adunco, come qualunque strega che si rispetti. E’ lei la Regina del Silenzio, anima e padrona dell’orrendo gruppo; una sorta di versione all’ennesima potenza di Baba Jaga, la maga delle fiabe russe, come ci racconta in musica Mussorgsky in “Quadri di un’esposizione”.
Il valoroso cavaliere buriako Vadim muore avvelenato dal corno di Antrax dopo una disperata lotta.
Per di più Eco, il mago dai lunghi capelli bianchi in grado di suscitare i suoni della terra, viene fatto prigioniero dai nemici.
Cala quindi il silenzio sulla terra dei Burjaki, chiamata Terra di Passo perché, data la sua piattezza, è un gioco da ragazzi attraversarla.
Ubidaga, come ogni persona mediocre e crudele, detesta la Musica e impone ai vinti il silenzio degli strumenti e la cancellazione delle vocali: tutto questo  per schiavizzare il popolo togliendogli gioia e armonia.
Tematiche quanto mai attuali, se abbiamo l’onestà culturale di prenderne atto.
Però…però….La figlia minore di Vadim, Mila, nata dopo la morte di lui, quando era nel ventre di mamma Nastassia, detta Tassia, dalla lunga chioma nera -è la  fata della tastiera, Martha Argerich giovane, non si scappa-, aveva potuto ascoltare la musica suonata per sua madre dal bardo Tahir prima che fosse proibita e ha quindi imparato la melodia della tamburitza di lui, uomo proveniente da un paese lontano (Dobrahoy) che aveva accompagnato col suo strumento gli ultimi istanti di Vadim; e, poco dopo, era diventato amico dei suoi familiari.
La ragazzina cresce nella proibizione della musica, ma, nel suo intimo, percepisce la nostalgia di “qualcosa” che ha ben conosciuto; non sa bene come, ma che sa essere parte di sé.
Un giorno Lev, il nonno paterno, le parla di Tahir che ha suonato per Tassia e, in seguito, era ritornato nel suo Paese lontano;  quel suono però non aveva mai abbandonato la casa.
Mila allora decide di partire alla ricerca di quel poeta suonatore col quale ha tanto in comune e lascia la famiglia, accompagnata da uno strambo amico, Yankele, orfano in cerca di affetto.
Insieme, Mila e il ritrovato Tahir, libereranno Eco, annichiliranno Re Urdal e la sua banda, riportando al Paese Musica, Libertà e dunque un’autentica Pace.
Particolare di rilievo. Nel corso del viaggio, Mila conosce Ammerbek, maestro di Musica e violinista. La ragazza non ha mai suonato prima di allora, ma, al fine di dar concretezza a quel qualcosa che percepisce costante nel suo intimo, da diversi anni si è abituata all’ascolto di ogni suono, anche il più elementare, che sente attorno a sé. Grazie questo esercizio, incontrato Ammerbek, riesce subito a far vibrare le corde con l’archetto e a dare corpo a pensieri e sentimenti.
Ritroverà Tahir e, insieme. combatteranno e vinceranno la loro battaglia, assicurando al mondo un’era di Armonia.

E com’è possibile questo? Facile facile: “…insegnare la Musica ai bambini fin da piccoli”. Da noi, in Italia, si fanno orecchie da mercante, se non da…elefante (senza offesa per loro); ma non disperiamo.

Una fiaba bellissima: del Silenzio -quello contemplativo, mi viene in mente Mario Brunello che suona il suo Maggini, violoncello del 1600, alle quote più alte, seguito da frotte di persone affascinate, sempre più numerose di anno in anno- e dell’Ascolto, della Musica e del suo grande potere di rendere tutti migliori.  Non solo gli esseri umani, ma pure la Natura, a cominciar dagli Animali. Un creato in piena condivisione e sintonia. Quando Tahir, ricevute la ultime volontà di Vadim, canta la sua storia sotto la luna, accompagnato dalla tambùriza, si accorge che il bosco lo sta ascoltando “dal profondo. Due, quattro, otto occhi nella notte -occhi selvaggi, gialli, dilatati- s’erano accesi nel bosco vicino. E quando lo strumento precipitò verso bassi di tenebra, dal bosco venne un coro di ululati, di gioia senza freni e rapimento.  Erano i lupi, lì, sotto la luna, sedotti dall’arcana melodia, pelo dritto e orecchie tese….”
Chi si aspetterebbe lupi musicofili se non addirittura musicologi? Solo i bambini, al cui giudizio serio Paolo ha affidato il suo testo; o….Hélène Grimaud, la celebre pianista francese, che li ama molto; al punto di dedicare loro un paio di libri scritti con artistica passione.

Alcune annotazioni sulla struttura del nostro volume.
Esso è frutto della collaborazione tra “persone di confine”, tiene a precisare Rumiz; aggiungo: c’è qualcosa di più entusiasmante?
Il calligrafo Piero Porro ha ideato le “cornici” dei capitoli in un alfabeto runico, un po’ latineggiante per essere più facilmente compreso.
Copertina e illustrazioni sono merito di Cosimo Miorelli, italiano che vive e lavora a Berlino (ottimo crocevia), il quale, per formazione, ha avuto -e ha- contatti con artisti di tutta Europa. I disegni sono frutto dei dialoghi tra scrittore ed illustratore.
Compresa la splendida copertina: i musicisti, di ritorno dal luogo in cui vive Tahir, entrano nel regno muto, illuminati da fiaccole; lasciano sbalorditi i soldati di Urdal i quali, dopo tanti anni di silenzio -e quindi di mancanza di libertà- non sono più in grado di combattere.
Nulla di cui stupirsi. Le dittature potranno vincere importanti battaglie, non ci piove, partono sempre in vantaggio; ma, prima o poi, perderanno la guerra.
Miorelli ha pure disegnato con grande abilità la mappa del Paese di fantasia (di fantasia?…) in cui è ambientata la fiaba. La terra dei Burjaki è la grande pianura dopo i Carpazi, ove si trovano Ucraina, Bielorussia, Polonia. E dove, aggiunge Rumiz con un sorriso, in assenza della cassa di risonanza naturale delle montagne, i popoli sono costretti a cantare per non…deprimersi.  A volte, anzi spesso, la scarsità di risorse aguzza l’ingegno.
Il Mare del Nord è il…Baltico; Negroponto, facile, il Mar Nero; Ramadania, come suggerisce il nome, un Paese arabo del Medio Oriente.

Buona Lettura /Ascolto.