[segue 25 Aprile]
Siamo giunti a Yad Vashem.
Per quanto concerne la storia dell’istituzione e la sua configurazione attuale rimando a quanto ho scritto in occasione del Viaggio 2009.
Mi limiterò a pensieri e osservazioni [1] .
Mentre l’originario “Museo” -ma, lo sappiamo, questo termine è inappropriato-, quando fu istituito, partiva dal presupposto che la maggior parte dei sopravvissuti della Shoah era ancora in vita, dati i pochi anni trascorsi dal Genocidio, il nuovo Memoriale fa i conti col passare del tempo, guarda al futuro ed ha come motivo conduttore la sospensione, l’interruzione della vita che hanno comportato la persecuzione e lo sterminio degli Ebrei. Tale motivo è ben espresso sia dal punto di vista documentale (pannelli, filmati, ecc.) sia, anzi in primo luogo, da quello architettonico. Il percorso che noi visitatori compiamo è in discesa e lungo una strettoia, alla stregua degli Ebrei i quali, sia che vivessero nei poveri villaggi della Polonia o della Galizia, sia che abitassero nelle città dell’Europa continentale -dove si (auto)illudevano di essere considerati alla stregua degli altri cittadini e dunque ritenevano le persecuzioni, le torture, i massacri, l’odio il retaggio di un passato morto e sepolto dall’Epoca dei Lumi-; questi Ebrei, per la maggior parte, non capirono, non si resero conto di che cosa il destino con la nera croce uncinata (ben aiutata dai “volonterosi carnefici”) stesse preparando per loro. Il percorso in discesa è, di tanto in tanto, interrotto da barriere (in primo luogo in senso materiale) per indurre il visitatore a riflettere.
La prima barriera, ad esempio, è costituita da filmati sulla Bücherverbrennung -ordinata dal Ministro per la Propaganda Joseph Goebbels-, il Rogo dei libri che contrastavano con l’ideologia nazista, attuato l’11 maggio 1933. Migliaia di opere furono così distrutte, compresi grandi capolavori della letteratura, sulla Opernplatz di Berlino -attualmente Bebelplatz-, dove ora c’è un sobrio, significativo monumento (pur talora non compreso dai turisti distratti), consistente in una biblioteca vuota e la profetica frase di Heine “Chi brucia libri, finirà per bruciare persone”.
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Buecherverbrennung
 

Via Via verso l’abbruttimento (Leggi di Norimberga del 1935; antisemitismo di Stato), con una sola nostra domanda: PERCHE’?

Le responsabilità del mondo indifferente e le dichiarazioni di Hitler sugli Armeni: egli dichiarò che, trascorsi pochi anni dalla loro eliminazione, nessuno si ricordava più di quel popolo.
Così sarebbe successo degli Ebrei.
Incontriamo le altre barriere, come le conseguenze dell’invasione nazista dell’Europa e l’istituzione dei ghetti a Est, nonché le cifre spaventose relative al loro numero.
L’Operazione Barbarossa, invasione dell’Unione Sovietica, che scatta il 22 giugno 1941.
Gli assassini di massa, come quello di Babi Yar, in Ucraina, quando tra il 29 e 30 settembre 1941, furono trucidate ben 33771 persone. Sì, avete letto bene.
La successiva Conferenza di Wannsee del gennaio 1942 che, pur nel suo linguaggio talora criptico, ufficializzò ciò che già da tempo il regime nazista stava portando a compimento, aiutato dai suoi volonterosi alleati.
La Croce Rossa che si reca presso il campo di Terezin e tace di fronte al mondo, poiché non approfondisce la vera natura della realtà visitata .
La tremenda, bieca figura del Gran Muftì di Gerusalemme, Haji Amin al Husseini, incubo dei sionisti (e non solo).
Ma anche le ribellioni al genocidio in atto: l’insurrezione del ghetto di Varsavia nella primavera del 1943, con Mordechai Anielewicz e i suoi eroici compagni.
Il coraggio dei fratelli Belski che combatterono i nazisti nelle foreste della Bielorussia.
La terribile -assurda perfino per i carnefici- deportazione degli Ebrei ungheresi nel maggio 1944, quando i sovietici stavano avanzando da est e la forza militare della Germania, pur ancora notevole, non era certo quella di pochi anni prima.
L’indifferenza (ancora!) e la politica di fatto antiebraica delle nazioni occidentali che condannò a morte migliaia di Ebrei: in primo luogo i Libri Bianchi della potenza mandataria britannica; e in particolare il terzo, quello del 1939.
La rilevante opera di salvataggio svolta da singoli, gruppi e organizzazioni cattoliche per salvare gli Ebrei e l’enigmatica figura di Papa Pio XII, il cui operato divide gli storici. Spero che siano messi a disposizione degli studiosi gli archivi vaticani nella loro interezza, a cominciare proprio dagli anni critici, in cui si operò lo sterminio del popolo ebraico.
Le marce della morte, intraprese con i prigionieri stremati, dai tedeschi in fuga nell’ottusa volontà di portare a termine il loro programma.
I Giusti tra le Nazioni, come, per limitarci a citare solo alcuni nomi italiani, Giorgio Perlasca, noto a tutti, Giovanni Palatucci, il valoroso questore di Fiume, Arturo Carlo Jemolo, l’insigne giurista, i coniugi Mario e Lidia Santerini, che protessero il piccolo David Cassuto.
Le discussioni su Oskar Schindler: attribuirgli o no il titolo di Giusto? Sappiamo che prevalse l’orientamento di premiare l’opera di salvezza da lui svolta, a prescindere dalla sua vita personale, di per sé non proprio specchiata.
La fuga dei criminali nazisti per sottrarsi alla giustizia degli uomini: circa 400 di loro riuscirono ad emigrare, per lo più in Sudamerica (come Adolf Eichmann o Erik Priebke), grazie, ahimé, anche a buone amicizie in Vaticano. Termini come Odessa o Ratlinie evocano terribili vicende, che tuttavia non oscurano l’opera meritoria di tanti religiosi/e che accolsero, nascosero, difesero, correndo spesso gravi rischi.
Coloro che solidarizzarono con gli Ebrei: il Vicepresidente del Parlamento bulgaro (poi perseguitato dal regime comunista) che indusse il sovrano Boris III a non apporre la firma sulle famigerate leggi razziali (dunque sarebbe stato possibile opporsi, magari mostrando un po’ di coraggio…dico bene, Maestà -Vittorio Emanuele III-?); il Re Cristiano X di Danimarca che compie la sua passeggiata a cavallo ostentando una stella gialla sul petto, in segno di simbolica sfida nei confronti degli occupanti tedeschi; e l’opera dei danesi in favore dei loro concittadini ebrei.
O il Paese di Chambon sur Lignon, nel Sud della Francia, i cui abitanti ospitarono nelle loro case gli Ebrei durante la fuga, salvandone oltre 3000 da morte certa. I cittadini sono stati riconosciuti “Giusti” e ricordati qui.
Ma c’è altresì la forma più idiota -mi si passi il termine, forse non del tutto appropriato in tale tragico contesto- di antisemitismo, quello senza Ebrei. In alcuni Paesi, specie dell’Est, i sopravvissuti che ebbero il coraggio (o l’illusoria incoscienza) di tornare alle loro case, le videro occupate da altri e si trovarono senza un tetto, poiché nessuno era disposto a un minimo di solidarietà e giustizia. Ma vi furono anche coloro ai quali capitò ben di peggio: come ai 50 membri della comunità ebraica di Kielce, in Polonia, massacrati, al ritorno in Patria (luglio 1946), dai concittadini, anziché essere accolti in fraternità e amicizia. Storie sulle quali era stato steso un velo di omertà, complice la suddivisione del mondo “in blocchi”. Esse ora vanno conosciute in modo completo, non solo per un sentimento di giustizia nei confronti dei morti, ma perché la ributtante marea dell’antisemitismo, oggi più che mai montante, lo esige.
La grande figura di Theodor Herzl e la costituzione dello Stato di Israele, certo preparata assai prima della Shoah, ma da considerarsi una sorta di…..assicurazione sulla vita per il Popolo Ebraico.
Il processo ad Adolf Eichmann, così bene illustrato dalle pagine di Hannah Arendt [2] .
Questo simbolo della “Banalità del male” -per usare il termine coniato dalla filosofa tedesca, non capito da alcuni nel suo profondo significato- il quale, mentre si lamentava, nella prigione di Ramle, con i suoi stessi carcerieri per non aver fatto, all’interno del partito nazista, la carriera che avrebbe meritato (!!), mai si pentì delle sue gesta.
Mario La Cava, scrittore e giornalista calabrese che si recò in Israele verso la fine del processo in qualità di inviato della piccola testata Il Corriere Meridionale di Matera, a suo dire forse il più piccolo tra i giornali accreditati, ma “non il meno degno” -e che compì un avvincente “Viaggio in Israele”, incontrando persone e luoghi, conoscendo il Paese da diversi punti di vista (sociale, economico, culturale e, soprattutto, umano, regalandoci significativi episodi di vita vissuta); ne ho parlato sopra a proposito di Abu Gosh- ci ha lasciato del personaggio un vivido ritratto che dimostra quanto sia esatta la definizione della Arendt: “Cercai i suoi occhi, ma essi nemmeno per un momento si prestavano ad essere guardati…. Eichmann ignorava il pubblico. All’annunzio dell’arrivo del Tribunale, scattò in piedi con moto di militaresca eleganza e precisione….La pelle della sua faccia non sembrava viva, ma conciata e tirata sulle ossa, come se tale fosse stata resa dall’indifferenza dell’animo e dall’esercizio costante della volontà malvagia…..Aveva labbra sottili, taglienti…di chi non aveva mai sorriso ad alcuno….Le mani, tozze e robuste…..davano un certo turbamento inspiegabile: come fossero le mani di chi sa colpire crudelmente. Lo dissi alla signora Alda….” [3] .
Il nostro percorso “risale”. Poco prima della fine, a destra, La Sala dei Nomi, che rivediamo con emozione, e l’uscita all’aperto su ISRAELE, la grande risposta alla Shoah. Premesso che il Sionismo politico nacque molto tempo prima del Genocidio, la (ri)nascita di Israele è la più eloquente risposta  a coloro che programmarono ed attuarono  lo Sterminio. Per questo guardo con un certo orrore chi partecipa alla Giornata Europea della Cultura Ebraica e magari non manca una Giornata della Memoria, ma…..mescola il veleno della delegittimazione di Israele con la melassa di un ipocrita, pur solo dichiarato, “amore” per gli Ebrei (con una spiccata preferenza verso quelli morti).
Invito questa gente a leggersi le parole di Martin Luther King, che seppe smascherarli da par suo, tali sepolcri imbiancati.
Camminiamo sotto un sole caldo e benigno, come durante certe giornate in montagna. D’altronde siamo a oltre 800 metri.
Entriamo nella Tenda del Ricordo
HALL OF REMEMBRANCE
spesso oggetto della visita di Capi di Stato e importanti personalità, dove, davanti ad una fiamma che arde perenne, sono incisi i nomi di 22 Campi di Sterminio; non sono indicati tutti i Campi poiché, quando il monumento fu inaugurato, negli anni ’60 del 1900, non tutti i nomi di quei luoghi di morte erano noti.
Vediamo The Pillar of Heroism, una colonna alta 21 metri, opera di Buky Schwartz, apposta nel 1970 -data significativa, siamo poco dopo la Guerra del 1967!- per celebrare, come recita l’iscrizione sulla sua parte cava, la Resistenza ebraica contro il nazismo e coloro i quali “con la loro morte hanno santificato il nome di D-o”.
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Sostiamo, nella omonima piazza, davanti al monumento eretto in memoria di Janusz Korczak, opera, davvero parlante, di Boris Saktsier.

 
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Janusz Korczak, il cui vero nome era Henrik Goldzmit, nato a Varsavia il 22 luglio 1878 da famiglia ebraica, ucciso a Treblinka il 6 agosto 1942, è stato uno dei fondatori della moderna Pedagogia.

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Medico, scrittore, studioso e uomo di altissima spiritualità, portatore di una visione pedagogica avanzatissima, nonostante i solleciti dei suoi conoscenti ed estimatori “gentili”, non volle abbandonare i duecento bambini ebrei ospiti della Casa dell’Orfano che egli dirigeva a Varsavia da trent’anni e li seguì nel destino di morte a Treblinka.
Un breve esempio della sua visione della persona e del bambino. “Il bambino pensa con il sentimento, non con l’intelletto”. Korczak spiega che è possibile riconoscere i diritti dei bambini solo quando si è in grado di capirne il mondo, i bisogni di crescita, quando si è in grado di vedere e sentire come vedono e sentono loro, quando si riesce a considerare il loro mondo allo stesso livello di importanza del nostro. Questo aveva imparato da quei ragazzi che amò e seguì fino alla fine.
Una concezione pedagogica molto avanzata, specie se si pensa che la sua maggiore opera, “Come amare il bambino” risale agli anni tra il 1914 e il 1918 e fu pubblicata in polacco nel 1920.
E a proposito della gravidanza e del rapporto tra madre e nascituro: “Dici: ‘il mio bambino’. Quando, se non durante la gravidanza, ne hai maggior diritto ? Il battito del suo cuore, minuscolo come un nocciolo di pesca, è eco del tuo. Il tuo respiro porta ossigeno anche a lui. Un unico sangue scorre in lui e in te, e neanche una delle sue rosse gocce potrebbe dire di sapere se rimarrà tua o se diverrà sua …”.
Una visita al “Memoriale dei Bambini” si impone, anche se l’esperienza è sempre durissima. La guerra dei nazisti ai Bambini. Un milione e mezzo spazzati via, per il solo fatto di essere ebrei.
CHILDREN'S MEMORIAL
Uno dei nostri compagni, del quale ovviamente taccio il nome, questa volta non ce la fa proprio ad entrare. E -alcuni giorni dopo- così, senza che nessuno lo solleciti in tal senso, ne fornisce la spiegazione, con parole che mi toccano nel profondo.
Alle spalle del memoriale un monumento di cui non mi ero accorta in precedenza: Tre colonne spezzate, a significare la vita interrotta, sono visibili sulla foto sulla sinistra. Una targa accanto ricorda Avraham Spiegel, uomo d’affari e filantropo, nato in Ucraina e morto negli USA ultranovantenne sei anni fa. La famiglia Spiegel -marito, moglie e il piccolo Uziel di 2 anni e mezzo- fu deportata nel 1944 ad Auschwitz: i genitori riuscirono a salvarsi, mentre il piccolo fu ucciso nella camera a gas. Provo immaginare con orrore che cosa può essere successo: il piccolo strappato dalle braccia della mamma e….
Spiegel è stato tra i maggiori finanziatori del Memoriale dei Bambini a perenne ricordo di Uziel barbaramente ucciso.
Una breve passeggiata tra gli alberi del Viale dei Giusti
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e ritrovo quello (davanti alla quale ho una mia foto scattata nel 1996) dedicato a Raoul Wallenberg, il giovane diplomatico svedese, che tanto si adoperò in favore degli Ebrei ungheresi, imprigionato e ucciso dai sovietici dopo il conflitto.
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Lasciamo questo luogo dell’anima e del sangue.
Tra i visitatori abbiamo incrociato alcuni allievi di scuole religiose e diversi gruppi di militari, come già successe l’anno scorso. Osservo questi ragazzi e ragazze in divisa color verde e mi chiedo che cosa penseranno, loro, davanti a quelle immagini e a quei filmati. Li guardo ed è inevitabile riflettere, tra me e me, rivolta idealmente a loro: magari tuo nonno è una di quelle persone ridotte allo stremo che gl’increduli liberatori si trovarono di fronte; o tua zia, bambina innocente, si è salvata per caso mentre tutta la sua famiglia è scomparsa nel nulla……E quell’amico di famiglia di cui i tuoi parlano spesso con aria commossa: studiava per diventare ingegnere e poi…..più nulla si è saputo della sua sorte. Questi giovani svolgono il loro dovere di soldati con grave rischio e si prendono il biasimo del mondo, il quale giudica Israele, a cominciare proprio dal suo esercito, con un metro “a parte”, particolarmente severo, mai applicato a nessun Paese, metro che sempre prescinde dall’analisi di cause ed effetti. Mi auguro che i ragazzi sappiano trarre da queste visite una maggiore consapevolezza di quanto sia importante difendere il loro Paese e, con esso, i valori democratici. Sono anzi sicura che sia così. Pensare a loro allarga il cuore.
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Compiamo una breve sosta alla vicina Ein Karem, la Sorgente della Vigna, luogo verdissimo, anch’esso in collina, legato alle figure di Elisabetta, Zaccaria, Giovanni Battista e, soprattutto, Maria. Maria, giovanissima, è in attesa di un figlio, ma non ci pensa due volte, dato il suo carattere molto forte e generoso (“…si alzò e andò in fretta…” narra l’Evangelista Luca, par di vederla), a mettersi in cammino per raggiungere, da Nazaret in Galilea, questa “città di Giuda” -viaggetto non da poco, per quei tempi e nelle sue condizioni- e dare una mano a quella cugina, assai maggiore di lei come età, la cui gravidanza, ormai non più sperata, è stata una sorpresa per tutti, ma aveva creato una certa apprensione nella parentela.

Bellissimo il quadretto dell’incontro tra le due donne, diverse come età, sensibilità, tipo di vita -una, Maria, è pur sempre solo la sposa di un artigiano, Giuseppe, per quanto stimato potesse essere all’epoca un falegname; mentre l’altra, Elisabetta, è moglie nientemeno che di un sacerdote del Tempio, Zaccaria-, ma accomunate dalla grande gioia della Maternità. Ed è sull’onda di tale gioia che Maria, accolta da Elisabetta con affetto e trepidazione, intona quel canto così intenso, così ebraico: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in D-o…perché ha guardato l’umiltà della sua serva [nel senso alto di “ministro”, persona di fiducia]…..Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il Suo Nome….” poi la dialettica biblica innalza i poveri ed umilia i potenti “..ha colmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote…Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri….”
Un incanto.
 
Poco dopo il nostro ritorno in albergo, Mauro ed io compiamo la nostra consueta passeggiata a piedi. Subito ci inoltriamo nei giardini Yemin Moshe una vera calamita per noi
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e….”Una città simile a nessun’altra: chi vi vive è come una chiave per accedere a un luogo antico e ferroso, un volto fatto di grate, un petto fatto da mura…e porte, aperture senza fine. Vestigia misteriose, impronte di cui non trovi spiegazione…sentore di infinito mistero. Una vibrazione viva che s’irradia di strada in strada, di casa in casa; ogni bambina dal volto grave in un cortile è l’essenza di tutte le bambine….ogni persona è il lievito della vita. I muscoli della città ti si distendono sotto i piedi, poni la mano sotto un muro e senti il pulsare della pietra…ogni cosa è viva, assolutamente viva” [4] .
Arriviamo in breve alla Porta di Jaffa.
S’impone, c’è poco da fare, un…ripasso delle porte sulle Mura di Gerusalemme/Città Vecchia

PORTE JER_ Mappa 
Dunque, ricapitoliamo.
A Ovest: Porta di Jaffa (Sha’ar Jafo o Bab al Khalil): attraverso di essa, lasciata a destra la cosiddetta Torre di David,entriamo nella zona più pittoresca della Città vecchia, con i suoi mercati o suq.
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-A Sud/Ovest: Porta di Sion (Sha’ar Tzion o, in arabo, Bab Haret al- Yahud, Porta del Quartiere Ebraico): conduce direttamente al Quartiere armeno e a quello ebraico. Durante la guerra del 1948 le forze israeliane, che occupavano il monte Sion, situato appena fuori porta, tentarono di forzarla per soccorrere il quartiere ebraico assediato; invano, poiché, nonostante i duri combattimenti, non vi riuscirono. Una targa ricorda i caduti; mentre la facciata reca ancora i segni dei proiettili.
TZION GATE 
- A Sud Est: Porta del Letame (Sha’ar HaAshpot -delle Immondizie- o Bab al Maghariba): secondo una voce popolare qui era la discarica cittadina. Il nome di “Porta dei Magrebini” deriva dal fatto che nelle vicinanze vivevano, nel secolo XVI, degl’immigrati dal nord Africa. Da questa Porta si va direttamente alla Spianata delle Moschee (o Monte del Tempio) e al Kotel. E’ la porta più piccola.
DUNG GATE
- A Est: Porta d’Oro, murata (Sha’ar Ha-Rahamim, cioèdella Misericordia, poiché da qui entrerà il Messia, o Bab al -Dahriyya, Porta Eterna ). Secondo una tradizione essa fu murata nel secolo VII per impedire ai non musulmani l’accesso al Monte del Tempio (Haram ash Sharif).
GOLDEN GATE

-
Sempre a Est: Porta di Santo Stefano o Porta dei Leoni (Sha’ar Ha-arayot), in riferimento a due coppie di leoni scolpiti ai due lati del passaggio ad arco. Da questa porta si va al Monte degli Ulivi e al Getsemani. Da qui entrarono i paracadutisti israeliani il 7 giugno 1967 (vi sosteremo domani). Solimano la chiamò Bab al Ghor (Porta del Giordano), ma si diffuse il nome di Porta di S. Stefano o Bab Sitti Maryam (Porta della Signora Maria), sia perché questo è il luogo presso il quale, secondo la tradizione, fu ucciso il protomartire Stefano, sia perché a poca distanza abbiamo la Basilica dell’Assunzione e la Chiesa di S. Anna, madre di Maria.
LIONS GATE

-A Nord Est
: Porta di Erode (Sha’ar Ha-Perahim o Bab as Zahra, cioè Porta dei Fiori).Fu a poca distanza da essa che i Crociati aprirono una breccia nelle mura il 15 luglio 1099. Il nome deriva da una convinzione erronea dei pellegrini del XVI e XVII secolo che ritenevano che un edificio nei pressi fosse stato per qualche tempo un palazzo di Erode Antipa.
PORTA DI ERODE
-A Nord: Porta di Damasco (Sha’ar Schecun, Porta della Colonna, o Bab al Amud; così chiamata da una colonna fatta erigere sulla piazza antistante dall’Imperatore Adriano). Conduce, come la precedente, al Quartiere Musulmano; nella sua forma attuale risale all’epoca di Solimano, anche se pare che una porta esistesse anche prima dell’arrivo dei Turchi.
PORTA di DAMASCO
-A Nord Ovest: Porta Nuova (Sha’ar Ha-Hadash o Bab al-Jadid). E’ la Porta più moderna poiché fu aperta nel 1887 dal Sultano Abdul Hamid per consentire l’accesso diretto dei pellegrini dagli ospizi in cui alloggiavano verso i luoghi santi cristiani. Nel 1948 i giordani chiusero la Porta, riaperta nel 1967 dagli israeliani per il traffico pedonale.
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                Beh, più o meno, ci siamo; difficile sarà ricordarle tutte, queste benedette Porte.
Interessante la Passeggiata sulle Mura: in albergo ho dato una sbirciata alla miniguida di Gerusalemme a disposizione degli ospiti e ho letto di orari e luoghi di partenza: sarà per la prossima volta.
Intanto facciamo una puntatina al Quartiere Armeno; indi, usciti dalla Porta di Sion, contempliamo l’imponente mole della Basilica della Dormizione. Vorremmo entrare, ma pare tutto chiuso, data l’ora, ormai vicina al tramonto: il luogo è silenzioso, di notevole suggestione. Neanche parlarne di cercare la tomba di Schindler.
Rientriamo in città e arriviamo presto al Cardo. Convergiamo sulla piazza dove troneggiano le ricostruite sinagoghe Hurva e Ramban, alla quale fa compagnia un drappello di giovani militari.
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Spontaneo ripensare alle vicende drammatiche del Quartiere ebraico, all’indomani della partenza degl’Inglesi. La Legione Araba -tra l’altro peraltro addestrata e comandata da un britannico, il celebre John Glubb, meglio conosciuto come Glubb Pascià, che svolse il suo compito dal 1939 al 1956…- insieme a numerose truppe provenienti da cinque Paesi arabi vicini, assalì il Quartiere. Ne seguirono aspri combattimenti: gli israeliani, male armati e in numero assai minore (erano circa 200!), combatterono eroicamente per circa due settimane, casa per casa, ma alla fine dovettero arrendersi. Notevole fu il numero degli uccisi; oltre 300 tra abitanti del luogo e difensori furono fatti prigionieri e 1400 persone vennero espulse dalle loro case. Il Quartiere fu distrutto e con esso le sinagoghe, tra le quali le cosiddette Quattro sinagoghe sefardite (oggi ritornate in funzione) e la Sinagoga Tifferet (Splendore) Yisra’el.

Tifferet Israel

Quest’ultima era un edificio alto 20 metri, edificato negli anni ’80 del secolo XIX. Di essa, non ricostruita, sono visibili i resti che danno una, sia pur pallida, idea delle sue dimensioni.

Le parlanti immagini della distruzione del Quartiere Ebraico sono visibili in un’esposizione permanente dal titolo Alone on the walls a cura della Società per la Ricostruzione e lo Sviluppo del Quartiere ebraico nella Città Vecchia di Gerusalemme, benemerita istituzione nata nel 1969.
Questo argomento, data la sua “scomodità”, è tabù, all’infuori del Paese. E, in buona sostanza, non si è perdonato mai allo Stato di Israele di aver ristabilito la giustizia in città 19 anni dopo.
Ritorniamo in albergo attraversando il bazar i cui numerosi esercizi stanno ormai chiudendo i battenti: gli ultimi affari e le ultime chiacchiere della giornata.
Un bel ragazzino arabo ci domanda sorridente: “Italiani?” Chissà come l’avrà capito, non ci ha nemmeno uditi parlare.
Le prime ombre si allungano sulla Città.


[1] Per consultazioni è utile il sito: www.yadvashem.org In particolare, per orientarsi, v. il menu, in alto a destra: Visiting, dove, tra l’altro, c’è un’ottima mappa interattiva.
[2] Hanna ARENDT, La banalità del male, Feltrinelli, Collana Campi del Sapere, Milano, 1999, pp. 320, passim.
[3] Mario LA CAVA, Viaggio in Israele, M.P. Fazzi Editore, Lucca, 1967, pp. 123. Dedicate al criminale nazista sono le pagine da 77 a 88.
[4] S. HAREVEN, Una città dai molti giorni, op. cit. (V. Ottava Puntata), p. 72.