26 APRILE 2010, LUNEDI
Giornata “di fuoco” oggi, verrebbe da dire, dati gli appuntamenti che ci attendono, se non fosse che approfondire la conoscenza di questa città è un’esperienza magica, dolcissima; pur drammatica, è vero.
Il primo impegno è alla Spianata delle Moschee o, secondo una terminologia che tiene conto di millenni di storia, Monte del Tempio (Har Habait).
Un breve tragitto in pullman ci porta davanti alla Porta dei Maghrebini che, come sappiamo, immette sia alla Spianata che al Kotel. E di conseguenza vediamo, parallele l’una all’altra, ad una distanza pressoché impercettibile, la fila di coloro che si recano a visitare i Luoghi Santi musulmani e quella degli Ebrei diretti al Muro Occidentale. Ci sottoponiamo ai rituali controlli di sicurezza, del resto abbastanza rapidi, e attraversiamo la passerella in legno -coperta- che corre al di sopra del Kotel, lateralmente. Scorgiamo i fedeli ebrei in preghiera davanti alle pietre millenarie. Ragazzi celebrano il Bar Mitzvah.
Mai come in questi istanti mi sento vicina, per così dire, al “Cuore del Problema”. Problema arduo, quello di Gerusalemme, reso tale anche dalle infinite speculazioni che continuano da quarant’anni a sedimentarsi in ordine alla Città -e assai da prima se ci riferiamo al “problema” in generale, nel suo complesso divenire- e che vedono le due parti fronteggiarsi.
L’una -la semplificazione è indispensabile- sinceramente desiderosa di pace, che ha saputo compiere duri sacrifici -in merito alla opportunità dei quali non spetta a me, specie in questa sede, pronunciarmi-, ma che commette spesso, a mio avviso, l’imperdonabile ingenuità politica di manifestare la necessità di un accordo come una questione imprescindibile, vitale; senza rendersi conto che, proprio da questo atteggiamento, chi le sta di fronte ha avuto, ha e avrà, sempre ottimo gioco ad alzare la posta. Che cosa si raccomandava un tempo alle fanciulle, soprattutto di…buona famiglia? Mai dimostrare forte interesse per il ragazzo del cuore. Se lo si voleva conquistare, era necessario starne un po’ alla larga, anche a costo di rinunciare a qualche piacevole occasione. La strategia seguita avrebbe premiato quelle piccole rinunce. Vi assicuro che funziona, ancora oggi, per le persone, di buona o cattiva famiglia, e…per gli Stati.
Mi domando -un po’ scettica- se Bibi Netanyahu l’abbia capito meglio del suo improvvido predecessore, il quale aveva promosso due guerre, senza ottenere apprezzabili risultati concreti anche solo nel medio periodo; giudizio negativo su tutta la linea, a prescindere dal valore e dal coraggio dei ragazzi di Tzahal. E poi, amici israeliani, un maggiore impegno e investimento sul fronte della vs. immagine nel mondo non guasterebbe affatto. So bene che è un “mio chiodo fisso” e che vi ritorno sempre, ma è una questione basilare.
All’altro protagonista del conflitto non contesto di certo le gravi sofferenze patite, anzi. Tuttavia se, per un verso, questi ha sempre avuto, come persiste ad avere ancora oggi, una leadership estremista nella sostanza, la quale, lungi dal riconoscere Israele come Stato ebraico (il che comporterebbe impegnative conseguenze, a cominciare dalla cessazione della guerra e l’avvio di un’epoca di normalità….non sia mai!), non ha abbandonato il progetto di buttar gli Ebrei a mare -cambiano le tattiche, ma l’obiettivo è il medesimo-, per altro verso ha sempre goduto dell’appoggio e della simpatia del mondo, in prima linea europeo, opinione pubblica di matrice cattolica in testa.
Inoltre è doveroso precisare che assai meno si sono commossi i Paesi arabi, i cui governi hanno sempre sfruttato la situazione per propri interni bassi calcoli di potere e per mantenere immutato nelle popolazioni dominate l’odio contro Israele. Se la controparte dei palestinesi, anziché gli israeliani, cioè gli Ebrei, fossero un qualunque altro popolo, la simpatia nei confronti dei suddetti palestinesi sarebbe la stessa? Non lo so; certo che, come afferma un..diavolaccio che la sa lunghissima, a pensar male (forse) si commette peccato, ma ben di rado si sbaglia.
Pur tra queste amare analisi rifletto sulle numerose circostanze ed attività di collaborazione intrecciate tra le persone comuni, dell’una e dell’altra parte; momenti sottratti all’ideologia dell’odio e del fanatismo. Pensiamo, per far solo un esempio, alle ottime strutture ospedaliere israeliane dove operano, gomito a gomito, Ebrei e Arabi; e dove vengono curati Ebrei ed Arabi, senza pregiudizio per alcuno. A tale proposito vi prego di leggere il libro di Giulio Meotti, da me più volte citato [1] .
Siamo sulla Spianata, una piazza enorme: ho un nettissimo ricordo dalla visita di quattordici anni fa.
Era il periodo dell’illusione di Oslo, sfregiata da stragi micidiali, d’accordo, ma si sperava al di là della ragione. Allora visitammo anche i ricchi e suggestivi interni delle Moschee, opportunità oggi negata a chi non è musulmano. E Angela ci confida che un suo conoscente, un arabo palestinese che è guida turistica, si rammarica molto di tale divieto; e con lui altri colleghi, persone alla quali un clima definitivo di ordine e collaborazione non dispiacerebbe affatto.
La grande spianata porta il nome arabo di Haram ash-sherif (Nobile Recinto Sacro): è un grande rettangolo quasi trapezoidale le cui misure sono le seguenti: lato nord, m. 310; lato sud, m. 281; lato est, m. 462; lato ovest, m. 491. Questi i confini: lato nord, zona di Betesda; lato sud, collina dell’Ofel; lato est, valle del Cedron; lato ovest, valle (ora scomparsa) dei Tyropeon (o formaggiai).
Provo uno strano sentimento, per così dire, di sospensione. La vastità dello spazio, le voci che quasi si perdono…..non vi è nulla di mistico, almeno secondo la mia sensibilità, sempre attratta dai luoghi piccoli, raccolti; ma hai la sensazione che qui le coordinate spazio/temporali si perdano e che le contese, le guerre, gli odi appartengano ad un lontano pianeta.
Una brevissima storia di questo sito emblematico [2] . Nell’anno 1000 a.C. Davide decide di fare di Gerusalemme anche il centro religioso del suo regno: vi installa l’Arca dell’Alleanza, fino a quel momento a Kyriat Yarim (vicino al territorio filisteo) e la pone sull’aia acquistata da un contadino gebuseo di nome Arauna, mantenendola sotto una tenda; la tradizione identifica il sito nell’attuale roccia posta sotto la cosiddetta Moschea di Omar. Il figlio Salomone fa costruire il Primo Tempio, probabilmente in direzione più a sud, verso la Moschea al Aqsa. Questo edificio era più piccolo del Secondo (Tempio), ma splendido nella struttura e nelle decorazioni. Nella sala centrale era posto l’altare destinato al sacrificio dell’incenso, che ogni giorno per due volte (mattino e sera) veniva bruciato e innalzato a D-o. Vi erano poi due colonne ai lati del tempietto interno, dieci candelabri e la tavola con i dodici pani della Presenza, simbolo della presenza delle Dodici tribù di Israele davanti al Signore. Sul fondo sulla sala centrale c’era il “Santissimo” o ”Santo dei Santi”, cioè il tempietto dov’era posta l’Arca, nel quale il Sommo Sacerdote entrava una volta all’anno (per la festa di Yom Kippur) e pronunciava l’impronunciabile nome di D-o, espresso nel sacro Tetragramma.
Il Tempio fu distrutto dai babilonesi di Nabucodonosor nel 586 a.C. e ricostruito, a seguito dell’autorizzazione del re persiano Ciro, un cinquantennio dopo (520/515). Esso è chiamato il Secondo Tempio ed è quello che fu riconsacrato nel 164 a.C. dai Maccabei (evento ricordato con la festa di Hanukkah, cioè Inaugurazione) dopo che i seleucidi grecizzanti l’avevano profanato introducendovi una statua di Zeus e cercando, sia pure invano, di costringere la popolazione al paganesimo. Erode, nella sua smisurata passione per le grandi opere e per vincere la malcelata ostilità della popolazione verso di lui in quanto -a tacer d’altro-…straniero (era idumeo), intraprese colossali lavori, durati oltre 20 anni, notevoli soprattutto dal punto di vista della statica del terreno: innalzò enormi mura di contenimento (il Kotel altro non è, com’è noto, che il muro di sostruzione della piattaforma su cui posava il Tempio), scavò sale sotterranee a volte -le note “Scuderie di Salomone”, struttura che serviva a sostegno della piattaforma allargata a sud/est,usata secoli dopo dai Crociati come stalla, ipotizzata opera costruita da Salomone, anche se ciò non corrisponde a verità storica-, diede insomma l’assetto definitivo all’attuale Spianata. E’ il luogo dove camminò, sostò e parlò Gesù: dunque importante pure per i Cristiani, anche se talora essi sembrano proprio dimenticarsene. Al punto di non tenere in alcun cale le manovre (lavori edilizi imponenti, saccheggi di materiali archeologici e altro), attuate da lungo tempo e a più riprese dal Waqf (l’ente che gestisce il patrimonio islamico), tese a far scomparire le tracce della presenza ebraica perfino in questo luogo, che è il più sacro per gli Ebrei!
Anni fa, ad esempio, a seguito delle opere di scavo -effettuate nella zona sotterranea del Monte, per ricavare una grande Moschea (la maggiore del Medio Oriente, da 6000 posti)- più di diecimila tonnellate di materiale di interesse storico / archeologico furono rimosse e scaricate dagli operai del Waqf palestinese -responsabile dei lavori- in una discarica nella Valle di Kidron e in altri luoghi fuori dalla Città Vecchia. Scavo praticato proprio sotto le suddette “Scuderie di Salomone”, reso possibile -purtroppo- grazie all’indifferenza e al silenzio delle autorità politiche; e con grave pericolo per l’equilibrio statico della zona e, in specie, per il cosiddetto “Pinnacolo del Tempio” di evangelica memoria.
Il capo dell’Authority per le Antichità e i maggiori archeologi d’Israele definirono la rimozione e la distruzione di quei materiali “un crimine archeologico senza precedenti”, ed ebbe inizio un’aspra polemica sulle responsabilità dell’accaduto. Anche perché, ripetesi, purtroppo diversi episodi simili si sono ripetuti [3] .
Nel 70 e.v. il Tempio venne incendiato dalle armate di Tito e, in seguito, l’Imperatore Adriano ne fece un edificio dedicato al culto di Giove (!!!??).
Nel 638 il califfo Omar trasformò la roccia del Tempio in un luogo santo musulmano, mentre un suo successore, il califfo omayyade Abd-el-Malik ibn Marwan fece edificare (687/691) la celebre Moschea, il cui nome esatto è Qubbet as-Sakhrà (Cupola della Roccia; chiamata Moschea di Omar nel linguaggio popolare). Le sue motivazioni non erano solo, e non tanto, religiose, ma scaturivano da esigenze prettamente politiche: il califfo era preoccupato per il fascino che l’imponente Basilica del S. Sepolcro esercitava sugli arabi. Egli allora, per rivendicare la superiorità dell’Islam, ordinò ai suoi architetti di progettare una costruzione che ricordasse detta Basilica, ma che fosse più luminosa e scintillante. In epoca crociata la Moschea fu trasformata in chiesa e la vicina al-Aqsa divenne il palazzo di re Baldovino I. Il grande Saladino riportò entrambi gli edifici all’uso originario; successivamente Solimano il Magnifico li abbellì come ora li possiamo ammirare. “La città e il suo doppio. Ogni cosa ha il suo riflesso rovesciato: il cielo un eterno prisma in cui è intagliata la Cupola della Roccia, e la luce che la sera inonda le case ne riflette i tetti.
Le persone si avvicinano e si allontanano come negli specchi….Ancora tetti dorati…Ancora sommità di minareti” [4] .
L’edificio della Moschea è splendido, nell’eleganza della struttura e nell’armonia dei colori, tra i quali domina l’azzurro, colore di protezione contro gli spiriti maligni.
La cupola è alta 31 metri e larga 20. Fino agli anni ’70 del secolo scorso essa era ricoperta da un rivestimento di piombo, rimpiazzato quando il sovrano saudita donò le finissime lamine d’oro che ora ne illuminano la superficie.
Accanto alla Moschea c’è un portico a quattro archi che chiude la scala di accesso alla piattaforma della moschea stessa; se ne trovano altri sette sulla Spianata e sono detti in arabo silsileh, cioè “bilance”, poiché si immagina che, alla fine del mondo, si peseranno i peccati e i meriti degli uomini con bilance attaccate dagli angeli su questi portici.
A oriente della Moschea ecco un tempietto, chiamato Cupola della catena, risalente all’ottavo secolo e destinato a conservarne il tesoro.
La Moschea al Aqsa è l’edificio più sacro per i musulmani ed è una delle mete nel pellegrinaggio verso la Mecca. Non a caso la tremenda cosiddetta seconda Intifadah, che ha funestato i primi anni di questo secolo, è chiamata con orgoglio dagli “attivisti” (!) palestinesi Intifadah al Aqsa. Il suo nome significa “la lontana” sia perché un tempo era la moschea più lontana dalla Mecca, sia a ricordo del celebre brano del Corano, Sura 17: 1 “Sia lodato Allah che trasportò il suo servitore [il Profeta] di notte dalla moschea santa alla moschea lontana, della quale noi abbiamo benedetto il recinto”; anche se pare proprio che Maometto non sia mai andato di persona a Gerusalemme. Ma, al di là di speculazioni e nefaste conseguenze politiche, per il fedele musulmano Gerusalemme ha un valore simbolico ed escatologico, a prescindere dalle vicende storiche concernenti la vita e l’opera del Profeta.
Dopo la conquista musulmana in questo sito vi era all’inizio una modesta moschea, sostituita da quella attuale, fatta edificare dal suddetto (v. supra, alla pagina precedente) al Malik (o da suo figlio, al Walid), spesso rimaneggiata anche a causa di terremoti (essa poggia su un terreno meno solido dell’altro edificio sacro, ben saldo sulla roccia). Può contenere fino a 5000 persone ed è a sette navate.
Gli elementi decorativi più antichi giungono al massimo all’XI secolo, all’epoca della ricostruzione dopo il sisma del 1033.
Qui fu assassinato nel 1951 il nonno di Re Hussein di Giordania, Abdallah, ritenuto colpevole di voler cercare la pace con Israele, dopo la sanguinosa guerra di alcuni anni prima; qui sostò, in occasione del suo viaggio a Gerusalemme del 1977, Anwar Sadat, il mai dimenticato Presidente egiziano che parlò alla Knesset, poi ucciso (ottobre 1981) per aver siglato gli accordi di Camp David nel 1979.
In epoca crociata al Aqsa fu trasformata in residenza dei Re latini, col nome di Templum Salomonis, poiché qui si riteneva fosse propriamente il Tempio, successivamente (1118) donata dai sovrani all’Ordine cavalleresco dei Templari, che ne fecero una chiesa.
La moschea attuale è frutto di una serie di restauri: ci sono colonne donate da Benito Mussolini e soffitti decorati finanziati dal re d’Egitto Faruk. Rammento, dal 1996, il bellissimo, sobrio interno, dove purtroppo, nel 1969, un estremista protestante di nazionalità australiana, nel tentativo di incendiare l’edificio, distrusse uno splendido pulpito in legno scolpito risalente all’epoca di Saladino.
Una breve digressione, per così dire, aristocratica, sui paradossi e sulle rivincite della Storia.
Dalla Spianata c’è una bella vista sul Monte degli Ulivi. Spicca, nel verde, la Chiesa russo ortodossa di Santa Maria Maddalena, con le sue cupole dorate, posta vicino all’Orto di Getsemani.
Non abbiamo il tempo di visitarla, ma ne fornisco alcune notizie. Fatta costruire nel 1886 dal penultimo Zar di Russia, Alessandro III, in memoria di sua madre, Maria Alexandrovna, all’interno custodisce le tombe di tre nobildonne illustri: Tatiana Kostantinovna, già Principessa Bagration (quali ricordi tolstojani!), Badessa del monastero fino all’anno della morte, 1979; Alice di Battenberg, dichiarata Giusta tra le Nazioni per l’aiuto dato agli ebrei durante la II Guerra Mondiale, madre del Principe Filippo, consorte di Elisabetta II d’Inghilterra (la quale ha viaggiato in tutto il mondo, ma a tutt’oggi non si è mai recata in Israele, chissà mai perché….); e infine, accanto ad una fedele dama di compagnia, che la seguì nel suo tragico destino, Elisabetta d’Assia Darmstadt. Quest’ultima era sorella dell’ultima Zarina e zia amatissima dai giovani nipoti Romanov; in gioventù aveva sposato un figlio dello Zar Alessandro II, il Granduca Sergio. Costui era un formidabile reazionario e fanatico antisemita: quando divenne governatore di Mosca, cacciò dalla città i 120.000 ebrei che vi risiedevano, operazione oltremodo stupida, prima che criminale. Egli morì ucciso dalla bomba di un socialista rivoluzionario nel febbraio 1905; la moglie assistette quasi direttamente alla scena: scese subito in strada e, con grande pietà, raccolse i resti del Granduca sparsi qua e là sulla neve. Elisabetta, rimasta vedova, abbracciò la vita monastica e si dedicò con molto merito alle opere di carità. Vittima della Rivoluzione bolscevica, fu barbaramente trucidata insieme ad alcuni congiunti innocenti nell’estate 1918.
Le sue spoglie, dapprima tumulate in Cina, presso la Legazione russa di Pechino, furono in seguito traslate a Gerusalemme, proprio nella terra in cui è sorto lo Stato costruito da quegli Ebrei così detestati dal marito.
[1] G. MEOTTI, Non smetteremo di danzare, cit., passim.
[2] Per una sintetica, ma esaustiva, trattazione dell’argomento v. G. RAVASI, op. cit. (Nona puntata, alla nota 7), pp. 120 e ss.
[3] Evidentemente chi ha commesso tali vergognose azioni ignora quanto ci dice Isaia (capitolo 11, versetto 9): “….Non agiranno più iniquamente, né saccheggeranno più in tutto il mio Santo Monte…”.
[4] Così S. HAREVEN, op. cit., p. 118.