27 APRILE, MARTEDI
Salutiamo Gerusalemme, diretti verso la Valle del Giordano: questa zona, davvero vitale per la sicurezza di Israele, si estende a partire dal confine nord della cosiddetta Rift Valley dell’Africa orientale, passando dagli 800 metri sul livello del mare (Gerusalemme) ai 400 sotto il medesimo (Mar Morto). Percorreremo con calma queste…montagne russe.
Attraversiamo i sobborghi nord est della capitale, conquistati da Israele alla Giordania con la Guerra del 1967 ed inglobati nella città con la Legge del 1980 -ritenuti, dalla solita perspicace Unione Europea, territorio illegale (sic!) occupato (ancora sic!)-; in primo luogo French Hill (in ebraico: Ha giv’a Ha tzarfait), la cosiddetta Collina Francese. L’origine della denominazione non è chiara: essa potrebbe derivare, tra l’altro, dal cognome del generale britannico John French -combattente nella Prima Guerra Mondiale, nominato Primo Conte di Ypres- che qui pare avesse il suo quartier generale. Siamo non lontani da Monte Scopus; in zona infatti risiedono diverse persone legate all’Università. French Hill mi ricorda il dolce sorriso di Gal Eisenman, di cinque anni, massacrata dall’immancabile terrorista suicida palestinese insieme alla nonna Noa, insegnante, e ad altri comuni cittadini nel pomeriggio del 19 giugno 2002.
Di ritorno da una festicciola per bambini, Nonna e Nipotina attendevano il bus per ritornare alla loro casa di Ma’ale Adumin. Profondamente colpita dall’ennesimo orrore di quel giugno maledetto, riuscii a trovare l’indirizzo e mail dei familiari della piccola Onda -tale è il significato del nome Gal-, alla quale non fu concesso dall’odio genocidario (sì, abbiamo la sincerità di usare i termini esatti, senza infingimenti, né ipocrisie!) di giocare col sole: inviai loro un messaggio di condoglianze in inglese, cui risposero con parole toccanti.
Ecco un’altra zona dal nome evocativo: il quartiere di Ramat Shlomo, dove la decisione di costruire 1600 appartamenti, adottata di recente dalla municipalità di Gerusalemme, ha reso agitati i sonni dell’inquilino della Casa Bianca; chissà mai per quale motivo, visto che: fin dai tempi di Oslo, le trattative tra israeliani e palestinesi avrebbero dovuto riguardare la questione territoriale nel suo complesso e non gli immobili posti, per così dire, all’interno delle zone oggetto dei negoziati (o futuri tali); inoltre il recente “congelamento” delle costruzioni nei territori contesi, attuato dal Governo israeliano in segno di…buona volontà (i gesti conciliativi provengono sempre da una sola parte, sia chiaro), non ha mai riguardato Gerusalemme. Infine, last but not least, la suddetta collina (Ramat), fino al 1967 e oltre, era un’autentica pietraia di nessun interesse per alcuno. L’interesse sorse nei palestinesi allorquando gl’israeliani, trascorsi diversi anni dalla Guerra del Giugno 1967, si dichiararono stanchi di veder pietraie in luoghi -specie se vicini alla capitale- conquistati a seguito di una guerra di difesa non voluta. Apriti cielo!
Per sciogliere questi Misteri della psiche umana e della politica, non resta altro interpretarli alla luce della cosiddetta la “Dottrina Cassapanca” per conoscere la quale invito, a leggere, chi ne avesse tempo e voglia, una novelletta che scrissi, tempo fa, mescolando lontane storie familiari -dove attribuisco ai protagonisti nomi per lo più inventati; va da sé, per non urtare l’altrui, acutissima, suscettibilità- con le vicende mediorientali. Una novelletta senza pretese, nient’altro, non un saggio di politica, ci mancherebbe; ma certi meccanismi psicologici non vanno sottovalutati, inoltre essi non conoscono coordinate spazio/temporali [1] .
Alla nostra destra ecco Betania -ora al Azariyeh,amministrata dall’Autorità Palestinese- sito legato all’episodio dell’Ascensione di Gesù (Lc: 24,51; Atti: 1,9: “Li condusse fuori verso Betania..e fu portato verso il cielo”), oltre che villaggio abitato, secondo il racconto evangelico, dai tre fratelli, amici di Gesù: Lazzaro (donde il nome del luogo in lingua araba), Marta e Maria. E a proposito di quest’ultima -seduta in ascolto del Maestro, come si confà ad ogni discepolo, dimentica dei tradizionali “doveri femminili” di accudire l’ospite- Gesù osserva: “..Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta” (Lc.: 10, 38-42).
Ma Betania è da ricordare anche come sede di un’istituzione benemerita: la casa di accoglienza per bambine abbandonate (Lazar Home for Girls), fondata da una donna coraggiosa, Samar Sahar (grande amica di Angelica Edna Calò Livne, che non ha bisogno di presentazioni!), palestinese cristiana, appartenente al gruppo dei Memores Domini (laici consacrati), la quale svolge la sua opera con impegno e coraggio in un contesto nel quale il rispetto per le donne e la loro promozione sociale e culturale non sono certo moneta corrente [2] .
Passiamo nelle vicinanze di un altro luogo oggetto di contestazione: Ma’ale Adumin, il cui nome, riferito al colore rossiccio delle sue rocce, tipico del Deserto di Giudea, deriva dal libro di Giosuè (15: 6-18) nel quale la località è descritta come zona di confine tra le tribù di Giuda e di Beniamino. La città (essa ha ottenuto tale qualifica nel 1991) fu fondata nel 1975 da una ventina di famiglie israeliane su terreni che, all’epoca dell’occupazione giordana, erano demaniali e non privati; dunque, tanto per chiarire, nulla è stato “rubato” a nessuno. Oggi essa conta oltre 30.000 abitanti. Pur trovandosi circa mezzo chilometro al di là della cosiddetta “linea Verde”, può essere considerata, data la posizione, un comune limitrofo a Gerusalemme, e non un “insediamento” (hitnahalut in ebraico).
Pensierino della mattina. Quando sono i Palestinesi a costruire -in Cisgiordania sorgono bei centri: aria buona, servizi sociali di tutto rispetto, prezzi non elevati, l’ideale per le giovani famiglie, come Rawabi, ad esempio, a nord di Ramallah, nata ad inizio 2010, destinata ad ospitare circa 40.000 persone; una città moderna ed ecologica, nella quale punti di forza saranno la salvaguardia dell’ambiente e un uso attento delle risorse- nessuno, nel mondo, dice una parola; ma se lo fa l’altra parte…..
Tutto parte, lo sappiamo, dall’assioma, propinato in primo luogo dall’Europa, che Giudea e Samaria siano “Territori palestinesi occupati”, il che non è vero né storicamente, né giuridicamente: si tratta di “Territori contesi”; e in un territorio conteso il divieto di costruire dovrebbe valere per entrambe le parti. Ma questo banalissimo, elementare principio non passa (né è mai passato) per l’anticamera del cervello di nessun politico o persona che conti.
Tutto parte, lo sappiamo, dall’assioma, propinato in primo luogo dall’Europa, che Giudea e Samaria siano “Territori palestinesi occupati”, il che non è vero né storicamente, né giuridicamente: si tratta di “Territori contesi”; e in un territorio conteso il divieto di costruire dovrebbe valere per entrambe le parti. Ma questo banalissimo, elementare principio non passa (né è mai passato) per l’anticamera del cervello di nessun politico o persona che conti.
Ma non guastiamoci il piacere di questo suggestivo panorama, costituito da rocce dalle diverse tonalità di rossiccio e rosa carico, intervallati da bianco lunare.
Scendiamo “da Gerusalemme a Jerico”, lungo un terreno impermeabile: mi rammento il viaggio del 1996 e la risata di mio figlio minore Marco, allora undicenne, la mascotte del gruppo, nell’atto di mettersi in testa un copricapo beduino variopinto. Ecco il Museo del Mosaico, dove, sotto una tenda, è ricordata la celebre parabola del Buon Samaritano (Lc.: 10, 29-37).
Qua e là vediamo accampamenti beduini. Angela rileva, a proposito dei beduini che vivono in Israele, quanto sia complesso il problema della loro scolarizzazione, in particolare, delle ragazzine, condizionate da antiche tradizioni patriarcali.
Visibile alla nostra sinistra è Jerico, vero paradiso degli archeologi, considerata la più antica città abitata della terra, nonché la più bassa, poiché si trova a circa 260 metri sotto il livello del mare.
La visitammo nel 1996; la ricordo per la cortesia di alcuni venditori ambulanti di pompelmi rosa, dal colore e sapore indimenticabili, nonché per la potente suggestione: secondo la tradizione cristiana infatti Jerico è il luogo in cui Giovanni Battista predicava e battezzò Gesù. Inoltre non si può fare a meno di pensare alla figura, in fondo simpatica, di Zaccheo.
All’epoca di Cristo Jerico era un centro prospero, dedito ai commerci e al gioco -la storia “non è acqua”, come si suol dire: alcuni anni fa qui sorgeva, insolito frutto di una fragile pace, il casinò Oasis, assai frequentato dagli israeliani, poi chiuso a seguito della cosiddetta Seconda Intifadah- . Gesù, alla ricerca di peccatori (“non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati” osservava perspicuamente) entra in città ed individua subito il ricco capo dei pubblicani, salito sul sicomoro per vedere meglio questo giovane Maestro capace di attirare le folle con le sue parole e il suo comportamento, privo di enfasi e demagogia, tutto il contrario di un esponente politico. Intreccio di sguardi e di sentimenti, come sovente accade nella narrazione evangelica: la gioia di Zaccheo -l’esattore per conto dei Romani, il collaborazionista, l’uomo arricchitosi alle spalle dei suoi connazionali- deciso a cambiare vita, e l’autorevolezza di Gesù, venata della consueta ironia (cfr. Lc: 19, 1-10).
Nelle vicinanze di Jerico vi sono due preziosi monasteri, entrambi greco-ortodossi, abbarbicati sulle rocce: il Monastero di S. Giorgio, risalente al V secolo, raggiungibile attraverso un sentiero degno di un film di 007, il Wadi Qelt
e il Monastero di Quarantul (Quarantena, secolo XIII), posto sul Monte della Tentazione a ricordo della tentazione di Cristo da parte del Diavolo.
Interessante ripensare alla pagina di Matteo sull’argomento (Mt.: 4, 1-11), in particolare a proposito della seconda tentazione. L’Avversario porta Gesù sul pinnacolo del Tempio e gli dice: “Se sei Figlio di D-o, buttati giù poiché sta scritto [Salmo 91, 11-12]: ‘Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con le loro mani…. ‘ ”.
Quel “buttati giù” mi fa subito pensare alle invocazioni di Mohammed Atta e compagni prima d’imbarcarsi per il tragico volo dell’11 Settembre 2001: la tentazione dell’onnipotenza unita ad un odio talmente folle da desiderare la propria morte pur di polverizzare il maggior numero possibile di “infedeli”.
Ma perché il Vangelo riporta una seduzione, per così dire, religiosa? Gesù ti disorienta sempre: nel suo spirito che potremmo definire laico, anche se di tale termine oggi si abusa fino alla nausea nel linguaggio comune, diffida dell’ambiente “sacro”. Lo riscontriamo in diverse circostanze della sua vita e in alcune parabole, come, ad esempio, quella del Fariseo -perfetto modello di religioso ortodosso- e del Pubblicano -persona consapevole dei propri limiti, che sa mettersi in discussione-. Ciò accade perché egli conosce le insidie nascoste nell’ambito religioso: la superbia, il fascino esercitato dal potere e dal danaro, mascherati e giustificati da un che di sacrale. Di conseguenza risponde al suo Interlocutore: “Sta scritto anche: ‘Non tentare il Signore D-o tuo’ “ [Dt: 6, 16].
La strada che percorriamo ora si trova in un “territorio da definire”; alla nostra sinistra aree sotto giurisdizione palestinese.
Entriamo in Samaria, disseminata da numerosi kibbutzim che danno -o almeno davano- lavoro a tanti palestinesi. Il boicottaggio delle merci prodotte in aziende israeliane poste nei cosiddetti “Territori” si calcola comporterebbe, al di là di altre conseguenze e valutazioni, la perdita del lavoro per circa 25.000 palestinesi. Ma questo non interessa né ai capetti dell’ANP o di Hamas, né ai nostri pacivendoli, digiuni di storia, geografia, economia e….senso comune.
Lungo la nostra via (Strada n. 90, che attraversa la Valle del Giordano), ammiriamo un enorme palmeto: ci troviamo in località Gilgal (postazione militare nata nel 1970, trasformata in kibbutz tre anni dopo; poco meno di 200 abitanti nel 2006) / Netiv Hagdud (il Sentiero del Battaglione, moshav costituito nel 1975 in memoria del battaglione ebraico che combatté nella Valle durante la Prima Guerra Mondiale; 125 abitanti), una zona in cui vi sono vasti campi coltivati e allevamenti di mucche e tacchini (specie di animali assai delicata), abitata fin dai tempi remoti: sono stati trovati infatti resti di cereali e vasellame risalenti al neolitico (!) ed altri reperti rilevanti per la storia degl’insediamenti umani in questi luoghi.
Poco lontano Pe’zael,moshav istituito verso il 1970 (poco più di 200 abitanti), a ricordo dell’insediamento ebraico di Phasaelis -epoca del Secondo Tempio-, così denominato a ricordo di Fasaele, fratello di Erode il Grande. Qui è stato eretto un monumento ai caduti israeliani nella cosiddetta “Guerra di attrito” con l’Egitto (1968/1970).
Nella vicina Yafit (Bellezza) si possono gustare diverse specie di frutta come primizie; essa fu fondata nel 1980 da un gruppo di immigrati dalla Francia, raggiunti, un decennio dopo, da un certo numero di russi. Yafit, un centinaio di abitanti, è un moshav shitufi, cioè un moshav (villaggio) strutturato secondo principi che risentono sia del moshav tradizionale (villaggio cooperativo dove sussiste la proprietà privata), sia del kibbutz (realtà comunitaria dove non esiste proprietà privata e i compiti sono equamente ripartiti tra i membri).
Vediamo grandi bacini di riserva per il recupero e il trattamento dell’acqua piovana, preziosa da queste parti, mentre Angela ci fa notare come, a tacer d’altro, il terrorismo abbia notevolmente peggiorato le condizioni di vita dei Palestinesi. Prima della cosiddetta Seconda Intifadah circa 200.000 lavoratori palestinesi giungevano in Israele, dai cosiddetti “Territori”, Striscia di Gaza compresa. Nel tempo tale manodopera è stata giocoforza rimpiazzata da immigrati tailandesi, filippini, ecc.
Una digressione di carattere storico-politico, a proposito del moshav.
L’idea di creare una vasta rete di moshavim risale all’epoca della Prima Guerra Mondiale, nell’ambito delle linee di condotta assunte dal sionismo locale in merito al rapporto di valorizzazione della terra. Poiché non era possibile attuare la colonizzazione attraverso le sole imprese private, fu adottato il criterio cooperativistico, basato sulla mutua assistenza ed sulla condivisione di alcuni strumenti di lavoro. La famiglia diventò così l’unità produttiva fondamentale, sulla quale si regge l’intelaiatura dell’insediamento. I primi due moshavim furono (1921) Nahalal, di cui ci parla Meir Shalev nei suoi romanzi, e Kfar Yehezkel, entrambi posti nella Valle di Yizre’el. Il modello originario era il moshav ovdim (cioè dei lavoratori) al quale si affiancò, verso gli anni Trenta, il moshav shitufi, citato sopra. I moshavim hanno sempre intrattenuto solidi legami con lo Histadrut, cioè la centrale sindacale (nata nel 1920) [3] .
Siamo ad un passo dal confine con la Giordania, lo Stato che ha siglato la pace con Israele nel 1994, la cui popolazione -4 milioni di abitanti- è concentrata soprattutto nella capitale Amman e lungo la Valle del Giordano. La politica dei “Ponti aperti”, inaugurata da Israele nel 1968, cioè poco dopo la fine della Guerra dei Sei Giorni, permise non solo l’attraversamento di persone e beni dalla Giordania ai Territori amministrati da Israele (c.d. “occupati”, secondo la terminologia corrente, ma fuorviante) e preparò, sia pure lentamente, la normalizzazione tra i due Paesi -sfociata nel trattato di pace del 1994-, ma pure consentì l’esportazione verso la Giordania di tecnologie provenienti dallo Stato ebraico, scambio che tuttora permane, nonostante la popolazione giordana sia fortemente ostile a Israele.
Mentre ammiriamo uno stormo di bianche cicogne in volo, attraversiamo un valico che, se fossero stati attuati gli accordi di Camp David del 2000, sarebbe divenuto un vero e proprio confine statuale. Siamo all’interno della cosiddetta Linea Verde, anche in senso reale, visto che è ricca di campi coltivati.
Passiamo accanto a Malkhishua, sede di un importante centro di riabilitazione per tossicodipendenti. Purtroppo anche in Israele è diffusa la droga, ci spiega Angela, ma le emergenze cui il Paese deve far fronte e il lungo periodo di servizio militare attenuano la gravità del problema.
Siamo nella zona del Monte Gilboa, dove il re Shaul e suo figlio Yonathan morirono combattendo contro i Filistei (I Samuele: 31), ricca di fiori stupendi e multicolori.
Ecco Tel Te’omim, specializzata nella produzione di pannelli fotovoltaici; vediamo ancora diversi bacini per la piscicoltura. Il grano, già alto, è una immensa pennellata di verde.
Una deviazione a destra ed entriamo, con la strada n. 71, nella Valle di Beit She’an, ricca di corsi d’acqua.
[1] V. C’era una volta….. (Giugno 2008).
[2] Mentre rivedo queste pagine leggo che la casa di accoglienza di Samar è stata chiusa per mancanza di fondi e/o presunte irregolarità, mentre alla sua fondatrice è stato intimato di lasciare i “Territori”. E se il vero motivo fosse che si tratta di un’istituzione cristiana, per di più impegnata in favore della dignità delle donne: due “bestemmie” insopportabili per gl’islamisti, dominanti in quei luoghi? E qual’ è la posizione delle Autorità ecclesiastiche, in primo luogo locali, tanto impegnate a demonizzare e delegittimare lo Stato di Israele da non curarsi affatto delle sofferenze cui i loro fedeli sono sottoposti dai seguaci di Maometto?
[3] Cfr. C. VERCELLI, op. cit. in questo Diario alla n. 3 della Quarta Puntata. L’aspetto dei moshavim qui trattato è svolto alle pp. 122/123 del testo di Vercelli.