[Segue 27 Aprile]
Siamo vicini al kibbutz Beit Alfa (fondato nel 1922 dallo Hashomer Hatzair), il primo kibbutz a utilizzare la mungitura tecnologica robotica per i prodotti lattiero/caseari. Ci troviamo su terre comperate dalle organizzazioni sioniste e lavorate dai pionieri fin dagli anni ’20. Nel 1929 un gruppo di essi, proveniente dal vicino kibbutz Hefzibah (nato anch’esso nel 1922, grazie ad un gruppo di persone immigrate dalla Germania e dalla Cecoslovacchia), scoprì, in occasione dei lavori per scavare un canale di irrigazione, uno splendido pavimento musivo, facente parte di una sinagoga databile, grazie ad un’iscrizione in aramaico, al VI secolo e.v. (epoca bizantina) [1].
BeitAlpha Pionieri rinvengono Sinagoga

La sinagoga è piuttosto semplice, ma il pavimento è un’autentica meraviglia; infatti suscitò l’attenzione e l’ammirazione dell’archeologo Eleazar Sukenik, padre di Yagael Yadin (a sua volta, come ben sappiamo, archeologo, militare ed uomo politico israeliano).
L’antica sinagoga, col suo tesoro, è collocata all’interno di una moderna costruzione, costituente il Parco archeologico nazionale, situata tra i due kibbutzim Beith Alfa e Hefzibah.
L’entrata per i visitatori è attraverso un’area di parcheggio situata all’interno di Hefzibah.
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Ci danno il benvenuto alcuni gatti grigi piccoli e graziosissimi, che miagolano di gioia nel vederci.
All’interno ammiriamo il mosaico, opera d’arte complessa e naïve al tempo stesso.
 BeitAlpha Pavimento
Il pannello superiore raffigura l’Arca della Torah e tradizionali simboli religiosi ebraici, quali le menorot; il corno di montone (shofar);le quattro specievegetali (arba’ minim), elementi importanti nella festa di Sukkot, cioè i rami di palma (lulav), mirto (hadas), salice (aravot), cedro (etrog). Il pannello centrale è composto dal cerchio zodiacale con il dio Elio al centro e i simboli delle stagioni ai lati. Questa simbologia non era infrequente nelle chiese e nelle sinagoghe del periodo bizantino. Nel pannello inferiore è raffigurato il (mancato) sacrifico di Isacco, con una scritta che significa “Non colpire” (il ragazzo), rivolta al padre Abramo.
                                                                          BeitAlpha Mancato sacrificio Isacco
Gli adepti del Mokoya, una confessione giapponese di matrice cristiana, studiano l’ebraico nel kibbutz. Terminata la visita alla sinagoga, compiamo una breve passeggiata nel bellissimo giardino da essi allestito.
Hefzibahb Giardino Giapponese
            Ora siamo diretti a Nir David, kibbutz fondato nel dicembre 1936 (un anno difficile, che vide le grandi rivolte arabe contro gli Ebrei) col nome di Tel Amal, successivamente denominato Nir David in onore David Wolsohn, secondo presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale.
Questo è uno dei kibbutzim cosiddetti “Torre e palizzata”, come abbiamo visto in occasione della visita al Museo della Haganah di Tel Aviv[2] . Ecco una vecchia foto.
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Nella costruzione della nuova società ebraica, l’aspetto, per così dire, architettonico si traduceva nel modello della Humah umigdal (“Torre e palizzata”, appunto); l’insediamento era cioè concepito come una piccola cittadella comunitaria, in grado di esercitare l’autodifesa e di promuovere le relazioni sociali fra i suoi membri. “Il lavoro ebraico richiamava l’idea, tradottasi in uno slogan in uso durante la seconda e la terza aliyah, di kibbush ha’avodah (la ‘conquista del lavoro’), intesa nel duplice senso di rigenerazione spirituale attraverso l’attività manuale e di preferenza dei correligionari nell’impiego in imprese ebraiche [3] .
A Nir David, in compagnia della guida locale, Amir, un giovane biondo coi capelli lunghi, visitiamo un ambiente che è una perfetta ricostruzione del kibbutz ai suoi inizi, con i relativi servizi, quali, ad esempio, lavanderia e sala da pranzo comune; allestimento completato con oggetti diversi, come stoviglie, ecc. Gli ambienti erano in legno, con doppia parete inframmezzata da ghiaia; le costruzioni che fungevano da dormitori per i bambini avevano anche una parte in muratura.
Nella sala da pranzo vediamo alcune vecchie, quanto mai suggestive, immagini dei primi anni del kibbutz, tra le quali quella dell’innalzamento della torre di guardia, la prima struttura fissa.
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Oggi l’economia di Nir David (che conta 650 membri) si fonda essenzialmente su agricoltura e allevamento (pesci e volatili), piccola industria (cartotecnica) e turismo, poiché l’ambiente circostante è quello fotografato qui. Oasi lussureggianti e intorno colline desertiche, anche se si tratta di un deserto, per così dire, placato e amico.

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In breve tempo, attraversando luoghi di un verde intenso, molti dei quali ben coltivati, giungiamo al kibbutz Ein Harod.
Esso nacque nel 1921 per iniziativa di 35 giovani sionisti. Il nome deriva dalla sorgente, menzionata dalla Bibbia, come il luogo in cui stava il giudice Gedeone (Gd.: 7, 1).
Nel 1952 il kibbutz si scisse in due, Ein Harod Ihud e Ein Harod Me’uhad, a causa di rivalità politiche: il primo aderì al partito Mapai (di sinistra, laburista), il secondo al Mapam (di estrema sinistra, come il Meretz, per capirci). Quando nel 1981 fu costituito il Movimento dei Kibbutzim Uniti entrambe le istituzioni vi aderirono.
Il kibbutz conta oggi oltre 350 membri a pieno titolo, con una popolazione complessiva di circa un migliaio di persone. E’ stato la casa di Yitzhak Tabenkin, uno dei fondatori del movimento kibbutzistico e dunque il simbolo dell’ideologia collettivistica del kibbutz; ma nel 2009 ha iniziato un processo di privatizzazione; tant’è che, per accedere alla sala da pranzo comune, così ci viene riferito, occorre pagare un biglietto.
Le attività principali sono: agricoltura, apicoltura (praticata a Ein Harod Me’uhad da 80 anni!), tipografia e piccola meccanica di precisione.
Vi è pure un notevole Museo -che non abbiamo tempo di visitare-, intitolato “Beit Shturman” (dal nome di uno dei fondatori del kibbutz, Haim Shturman), centrato sulla storia, l’archeologia, la natura dell’area.
Incontriamo un simpatico volontario italiano, Paolo, 41 anni (padre di un giovane di ventitreenne che attualmente studia in Austria)
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      il quale si occupa di traduzioni dall’ebraico in inglese per un’azienda americana. Egli ci parla del suo grande amore per Israele, rammaricandosi profondamente di essere l’unico volontario presente; ci racconta pure dell’impegno profuso dal kibbutz in favore dei ragazzi del sud del Paese che furono ospitati qui ai tempi dell’operazione Cast Deal contro Hamas nell’inverno 2008/2009.
Ci godiamo ancora un po’ di fresco in questo sito intimo e semplice.
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Peccato davvero che, all’improvviso e con una certa insistenza, alcune persone (abitanti del kibbutz non in grado di apprezzare il contesto in cui vivono? Visitatori maleducati?) passino ripetutamente a poca distanza da noi inforcando rumorosi ed inquinanti ciclomotori. Un autentico pugno nell’occhio e.. nelle orecchie, oltre che al naso!

Salutiamo Paolo, che ritroveremo qualche giorno dopo a Tel Aviv.
Pranzetto, con fragranti focacce ed insalate freschissime, nel Paradiso terrestre incontrato lo scorso anno[4]: il parco naturale di Sahne, in località Gan Hashlosha.
Questa volta solo una persona si concede una nuotata: Roberto, il quale -zitto zitto- fa a meno dello spuntino per immergersi nelle acque cristalline.
Subito dopo però nessuno di noi rinuncia alla passeggiata archeologica al grande parco archeologico di Beit She’an,
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anch’esso familiare a chi conosce un po’ il Paese, ma che si rivede con piacere e che emoziona le “matricole”  di questi luoghi, come Nelly e Anastasia, qui ritratte.

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L’antica città di Beit She’an era già nota nel XV secolo a.C. ed è nominata più volte nella Bibbia (in particolare nel Libro dei Re). Gli scavi archeologici hanno riportato alla luce resti di costruzioni dell’epoca di Salomone distrutte dal Re assiro Tiglat Pileser III all’epoca della conquista del Regno di Samaria nel 721 a.C. Durante l’epoca ellenistica ebbe una popolazione ellenizzata e fu chiamata, come sappiamo, Scythopolis o anche Nysa Scythopolis, in onore di Nysa, l’amata nutrice di Dioniso, che la tradizione greca vuole fondatore della città. Nei secoli III e II a.C. la città fu teatro sia delle lotte tra le dinastie tolemaica e seleucide, sia della rivolta dei Maccabei asmonei i quali, nel II secolo, la distrussero. Nel 64 fu occupata dai Romani e divenne capitale della Decapoli, le dieci città della Samaria, importanti centri di cultura greco-romana, dotate di notevole autonomia, compresa quella di coniare proprie monete (cfr. i Vangeli e, in particolare: Mt.: 4,25; Mc.: 5,20, a proposito della predicazione di Gesù in questi luoghi).
La dominazione di Roma rese florida la città (l’unica a ovest del Giordano), come attestano l’ottima pianificazione urbanistica -passeggiamo lungo il cardo, come l’anno scorso- e i notevoli monumenti, quali il teatro (il meglio conservato non solo della Samaria, ma di tutto Israele)
                                   Beit She'an Teatro 1                                                                             Beit She'an Teatro 2

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Beit She'an Teatro  scalinata

l’ippodromo, l’acquedotto, il bagno pubblico col complesso sistema di riscaldamento.

Notevoli anche le vestigia bizantine.
Beit She'an Bizantino 1

Beit She'an Bizantino
Fu gravemente danneggiata da terremoti -nel 363 e nel 749 e.v.-, tanto che, racconta Angela, ancora nel 1985 erano visibili capitelli e rocchi di colonne a terra.

E pure oggi, direi, che sono visibili!
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Ascoltiamo con attenzione la lezione di storia all’aria aperta.
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Con la sconfitta dei Bizantini da parte degli Arabi la città prese il nome di Beisan e tale restò fino al 1900. Sempre vi fu una locale Comunità ebraica, la quale, nel periodo del Mandato, dovette subire gli attacchi arabi, culminati nelle rivolte del 1936/1939. Il piano di spartizione ONU l’assegnava (col distretto di cui è capitale) all’istituendo Stato di Israele. E così fu dopo la Guerra d’Indipendenza del 1948.
La moderna città, sorta nel 1949 accanto all’antica, abitata da molti immigrati dai Paesi arabi, conta poco più di 16.000 abitanti. Di recente, come in diversi altri luoghi del Paese, essa ha costituito un memoriale dedicato ai suoi figli caduti in guerra: Yad Lebanim, cioè Monumento ai Figli, intitolato a Shani Turgeman, 24 anni, ucciso da un missile Hetzbollah durante la seconda guerra in Libano del 2006.
Attraversiamo una bellissima valle con immensi bananeti e ripassiamo da siti conosciuti come Naharayim Aram (L’Isola della Pace) o il kibbutz Ashdot Ya’akov, a cura del quale sono coltivate le terre ora a sovranità giordana in ottemperanza al Trattato di Pace del 1994 [5] .
Oltrepassiamo il kibbutz Afikim (nome che fa riferimento all’alveo del fiume Giordano e del suo affluente, lo Yarmuk), nel quale sono praticate agricoltura e allevamento del bestiame secondo metodi avanzatissimi, nonché attività industriali, quali la produzione di siede a rotelle. A partire dagli anni ’80, a seguito dell’andata al governo del Likud di Menahem Begin (1977), anche questo kibbutz ha intrapreso una parziale opera di privatizzazione; come diversi altri, del resto. Lo vedremo [6] .
Siamo ormai arrivati sulle rive del Lago di Tiberiade, il Kinnereth, la Cetra, così chiamato per la sua forma. Cipressi alla toscana da un lato ed atletici banani dall’altro.
Se la zona è ora fertile e lussureggiante ciò lo si deve ai pionieri sionisti, i quali, fin dall’epoca della Seconda Aliyah, sfidando le avversità naturali e conseguenti malattie (prima fra tutte la malaria), nonché gli ostacoli frapposti dagli uomini, la resero il luogo affascinante, prospero e aperto ai contributi di tutti (sol che lo vogliano…) che vediamo.
Anche nei secoli passati c’era stato chi aveva considerato il ritorno alla Terra dei Padri non più solo come conclusione religiosa della vita. Tra costoro Doña Gracia Mendes (Lisbona, 1510 – Istanbul, 1569), donna d’affari, intellettuale, mecenate e politica, persona dalla vita avventurosa e dai molteplici interessi, una delle più importanti figure femminili della storia ebraica.
Ecco un francobollo commemorativo.
Donna Gracia
              Ella dedicò la sua vita alla salvezza degli Ebrei portoghesi e spagnoli, perseguitati duramente dall’Inquisizione e convertiti a forza al cattolicesimo: fu infatti grazie al suo coraggio che essi poterono emigrare nelle terre dell’Impero turco preservando così il loro patrimonio culturale e religioso (oltre che le loro vite).
Nel 1558 Doña Gracia acquistò terreni proprio sul Lago di Tiberiade e vi intraprese un progetto di reinsediamento ebraico.
Ma i tempi non erano certo maturi per la costituzione di uno Stato (ebraico) indipendente [7] .
Eccoci ad un’altra meta “forte” della giornata, il kibbutz Degania, cioè Fiordaliso, comei fiori selvatici che, in primavera, tappezzano i campi; oppure Degania, come Dagan, Chicco, Grano. Insomma, scegliete Voi, a seconda che Vi sentiate più floreali o…georgici.
Degania Ingresso
Il 29 ottobre 1910 (25 del mese di Tishri…) dieci uomini e due donne giunsero in questo luogo, allora malarico e pressoché disabitato, chiamato Um Juni, nella zona sud del Lago, al punto di congiunzione con l’alveo del Giordano. Su queste terre -acquistate qualche tempo addietro a cura del Fondo Nazionale Ebraico da una famiglia persiana (Majid-A-Din) residente a Beirut- il gruppo costituì la prima kvutzah. La kvutzah, cioè gruppo (plurale kvutzot), era, in origine, un gruppo itinerante di lavoratori ebrei della Seconda Aliyah, che vivevano in modo collettivo e prestavano la loro opera nei moshavim (plurale di moshav, colonia agricola) costruite durante la Prima Aliyah.
Successivamente tali gruppi presero ad insediarsi stabilmente in un luogo prescelto, dando vita cioè a quello che più tardi (negli anni ‘20) sarebbe divenuto il kibbutz, letteralmente assemblea(plurale kibbutzim). Se Degania fu la prima kvutzah pienamente riuscita, a Ein Harod, nel 1921, fu istituito il primo kibbutz.
Prima di tale periodo (gli anni ’20 cioè) i due termini furono spesso confusi, anche se le concezioni che ne erano a fondamento differivano nella sostanza: più piccola, familiare, la kvutzah (non più di 20 o 30 membri), più grande il kibbutz.
Quindi, fino alla fine del primo decennio del Novecento, i giovani Pionieri (Kalutzim), riuniti nei piccoli gruppi itineranti, si spostavano da un villaggio all’altro della Terra di Israele, Giudea compresa. Essi -provenienti per lo più dalla “Zona di residenza” dell’Impero russo- erano spinti da idee anarcoidi e animati da utopie sociali di libertà e uguaglianza (notevole l’influenza di Tolstoj), ma ben lontani dai problemi concreti del mondo in cui ora si trovavano. Tuttavia, quando cominciò ad affermarsi il programma di “conquista del suolo”, si fece largo una visione invero sistematica, improntata ai canoni del comunismo agrario russo. La sistematica colonizzazione della Galilea, poi, regione assai difficile, lontana dalla costa, con malaria diffusa, strade e comunicazioni mancanti, tale clima di…frontiera, insomma, rese possibile la realizzazione del sionismo socialista e cioè di quella nuova società ebraica, che altrove, nel Paese, pareva più ardua a svilupparsi [8] .
Poco più a sud nacque nel 1920 una nuova, seconda, Degania, chiamata Degania Bet; mentre la prima fu ridenominata Degania Alef.
Degania Bet (la cui popolazione ammonta a circa 500 persone, mentre quella di Degania Alef a 650) fu progettata e costruita dall’architetto Korenberg ed ebbe tra i suoi fondatori il futuro Premier israeliano Levi Eshkol. Durante i moti antiebraici del 1920 fu attaccata e abbandonata per diversi mesi. In occasione della Grande Rivolta Araba del 1936/1939 servì come modello per la costruzione delle palizzate e torrette di guardia secondo i principi che abbiamo visto a Nir David.
Nella Guerra d’Indipendenza del 1948 i residenti di Degania Alef e Degania Bet riuscirono ad arrestare l’avanzata delle forze siriane nella Valle del Giordano, nonostante i bombardamenti subìti.
                                                                         Degania carro armato 1948
Il medesimo carro armato (siriano) se ne sta ora a dormire all’ingresso dell’insediamento, significativo, sia pur arrugginito, bottino di guerra.
DEGANIA Carro armato oggi


[1] Le immagini sono tratte da www.biblewalks.com
[2] V., in questo Diario, il 22 aprile 2010, Seconda Puntata.
[3] C. VERCELLI, op. cit., pp. 119/120.
[4] V. Diario 2009, 26 febbraio.
[5] V. Diario 2009, 26 febbraio.
[6] A proposito di Afikim e problematiche diverse relative ai kibbutzim, v. anche infra, domani, 28 aprile.
[7] Si parla di questa importante figura di donna ebrea in Il Network prima di Internet- Personaggi e documenti, visioni e suoni della modernità ebraica nel tempo, Editrice Compositori, Bologna, 2009, pp. 55 e ivi alle pp. 48 /49. Inoltre segnalo l’articolo a firma Ester Moscati e Fiona Diwan, Grecia Nasi: la gentildonna d’acciaio che sfidò gli imperatori, leggibile sul Bollettino della Comunità Ebraica di Milano (sito web www.mosaico-cem.it) del 29.11.2010, nel quale, tra l’altro, si dà conto di una rilevante iniziativa statunitense per celebrare a dovere i 500 anni dalla nascita di Gracia Nasi.
[8] Importante studio sulla genesi e lo sviluppo del kibbutz, ricco di note con riferimenti storico- bibliografici e un utile glossario dei termini principali, è Lorenzo CREMONESI, Le origini del sionismo e la nascita del kibbutz (1881-1920), Giuntina, collana Shulim Vogelmann, Firenze, 1985, pp. 265.