29 APRILE, GIOVEDI
Alle sei e tre quarti del mattino, sveglia; alle sette e trenta, valigie fuori della porta; alle otto esatte, dopo la prima colazione, partenza. Questo è, più o meno, il ritmo ad ogni tappa. Non sono ammessi malumori, né ripensamenti diversi, né, men che mai!, impegni a metà. Brandire la deresponsabilizzante espressione “senza impegno” comporta l’isolamento automatico dalla comitiva. Siete il gruppo più puntuale che abbiamo incontrato, si complimentano con noi Chicca e Angela.
Dove siamo diretti ora? Al sito archeologico di Qumran, anzi Khirbet (antica città di piccole dimensioni) Qumran, legato al ritrovamento casuale nella primavera 1947 dei cosiddetti Rotoli del Mar Morto, destinati a diventare celebri in tutto il mondo, nonché ad una comunità religiosa ebraica, vissuta tra il II secolo a.C. e il I secolo d.C., circa 170 anni: gli Esseni.
Ritorniamo -Mauro ed io- ai luoghi visitati sia nel 1996, sia l’anno scorso (e con noi alcuni tra gli attuali compagni di viaggio); rimando perciò anche alla lettura delle pagine scritte nell’occasione [1] .
La suggestione è comunque sempre molto forte: abbiamo lasciato pochi minuti fa la verde Kalia ed ora ci troviamo nel dorato Deserto della Giudea. Il terreno su cui sorge Khirbet Qumran è una sorta di terrazza che si stende davanti alle ripide montagne del suddetto Deserto, uno strato marnoso formato dai sedimenti del Mar Morto. I torrenti, che si formano nella stagione delle piogge, hanno eroso in profondità il terreno marnoso, dando origine al wadi Qumran. Esso si è aperto un percorso nella terrazza erodendola lateralmente, già in epoca preistorica.
Viene chiamato dagli Arabi wadi e dagli Israeliani nahal quel tipo di ruscello che, nella stagione delle piogge, può ingrandirsi al punto di trasportare a valle enormi quantità d’acqua, mentre il suo letto è asciutto per tutto il resto dell’anno (nel 2009 fummo costretti ad una laboriosa deviazione per poter raggiungere Ein Boqeq, poiché la strada che avremmo dovuto percorrere era stata allagata),
Giunti a destinazione, Angela ci parla delle cinque principali correnti politiche, con relativi “partiti di opinione”, presenti nella società ebraica dell’epoca in cui visse Gesù, sorte già nel periodo ellenistico contro le interferenze straniere (o meglio: alcune di tali correnti erano contro, ma non mancavano coloro i quali non avevano problemi di sorta ad ingraziarsi il potente occupante di turno), e perduranti, in sostanza, fino alla distruzione di Gerusalemme nel 70 e.v.
I Sadducei rappresentavano l’aristocrazia delle grandi famiglie sacerdotali, erano quanto mai attaccati al potere, lontanissimi dal messaggio dei Profeti (cui Gesù invece si ricollega) ed avversavano qualunque forma di libertà di coscienza, fermi ad un ben strumentale (ai loro privilegi) formalismo religioso. Come leggiamo nei Vangeli -e Gesù si scontra inevitabilmente con loro- non erano certo interessati a qualsivoglia riflessione sulla vita ultraterrena.
I Farisei: li potremmo identificare come i conservatori illuminati; persone dalla condotta apparentemente irreprensibile, impegnati nello studio e discussione della Torah, oltre che nella meticolosa osservanza delle sue regole; ma, almeno secondo la tradizione evangelica, proprio perché stimati e presi ad esempio, in molti di loro non c’era corrispondenza tra il formale rispetto della tradizione e il conseguente stile di vita.
C’erano poi gruppi fortemente nazionalisti: gli Zeloti o Zelanti (ultranazionalisti, che avevano la loro sede a Macheronte) e i Sicari (da sicar, pugnale, anch’essi ultranazionalisti, ma violenti per natura; non esitavano infatti ad accoltellare chiunque non la pensasse come loro).
Gli Esseni erano i religiosi ultraortodossi, talmente rigorosi da diffidare di qualunque contatto, anche con i correligionari. Si consideravano una sorta di popolo eletto, suscitando per questo, presso alcuni, sospetto e, presso altri, venerazione.
Vi erano poi altri gruppi ascetici non esattamente identificabili con questi ultimi. Camminiamo per i sentieri di questo luogo, che è National Park.
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Gli scavi hanno portato alla luce un ampio complesso edilizio ben conservato; con un edificio principale costituito da un quadrato di circa m. 380 di lato e da una torre fortificata posta all’angolo nord occidentale. Detto edificio comprendeva un vasto cortile interno, una sala di riunione, una cucina ed uno, per dirla con il linguaggio del monachesimo medievale, scriptorium.
Il complesso era poi fornito di acqua grazie ad un complesso sistema di canalizzazione, che, da una grande cisterna di decantazione, veniva convogliata nelle cisterne più piccole, alcune delle quali avevano senza dubbio una funzione rituale.
Nella zona circostante sono state identificate una quarantina di grotte, undici delle quali contenevano i famosi Rotoli, racchiusi in anfore per sottrarli alla furia distruttrice di Romani [2] .
Il recupero di calamai ed altri oggetti collegati fa ipotizzare una sorta di attività di “editoria”, unita a quella di studio e di preghiera.
A poca distanza dal fabbricato principale, in direzione del Mar Morto, è stato scoperto il cimitero della comunità, composto da oltre un migliaio di tombe, ordinate lungo l’asse nord / sud.
Sono state pure trovate ossa di donne e di bambini. Molto probabilmente non vi era una comunità per così dire “mista”, data la concezione di vita degli Esseni -Giuseppe Flavio ci narra che essi respingevano i piaceri come un male, erano rigorosamente ascetici, disprezzavano il matrimonio e adottavano i figli degli altri quando essi erano ancora disciplinabili allo studio-, bensì, a somiglianza dei monasteri medievali, vi era una piccola società civile che ruotava attorno a quella religiosa; pensiamo, un esempio per tutti, al contesto in cui si svolge il primo romanzo di Umberto Eco, Il nome della rosa.
Praticavano senz’altro l’agricoltura e la frutticoltura, compresa la coltivazione della palma (in occasione degli scavi sono stati recuperati circa 100.000 noccioli di dattero).
Sull’origine degli Esseni -e sul significato del nome (puri, bagnati, silenziosi..)- non c’è accordo tra gli studiosi. Su di loro scrivono Filone Alessandrino, Giuseppe Flavio (che, nella Guerra Giudaica, ci riferisce esserne stato discepolo), nonché Plinio il Vecchio, il celebre naturalista morto durante l’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Plinio, nella primavera del 70, aveva partecipato all’assedio di Gerusalemme in qualità di alto ufficiale romano e si era interessato alla Terra di Israele e alla sua gente, riportando i risultati delle ricerche nel celebre trattato Storia naturale, terminato alcuni anni dopo.
A proposito degli Esseni egli ci dice: “Gli Esseni si sono allontanati dalla riva, oltre il luogo inquinante del lago bituminoso [!!!]: razza solitaria ed ammirevole più di quelle del mondo intero, senza donne, avendo rinunciato all’amore, senza danaro, vivente in società con le palme”. La descrizione non è fondata su un’esperienza diretta, dato che, quando Plinio visitò i luoghi, la comunità non c’era più da un paio di anni, ma le sue parole sono pur sempre significative quale ricordo o memoria storica rimasta di quel gruppo, probabilmente sorto, come detto, verso la metà del II secolo a.C.
Gli Esseni, che godettero della protezione di Erode (il Grande), vivevano dunque in comunità appartate (come, ad esempio, i monaci buddisti o cristiani; diversamente dai frati).
All’epoca di Gesù, sparsi per il Paese, ve ne erano circa 4000, mentrequelli residenti a Qunram erano all’incirca 150. Il sito fu distrutto dai Romani nel 68 (e.v.) a causa del coinvolgimento -vero o presunto- degli Esseni nelle sommosse che si conclusero con la distruzione di Gerusalemme. Anzi sembra che alcuni scampati avessero raggiunto gli zeloti di Masada, condividendone poi il tragico destino (ciò sarebbe provato dal ritrovamento nella stessa Masada, durante gli scavi del 1963, di un frammento di pergamena dei Canti della santificazione del sabato, opera conosciuta dagli studiosi dei ritrovamenti nelle grotte).
Ma, proprio grazie alle provvidenziali grotte, si salvò la preziosa Biblioteca della Comunità, biblioteca composta da tre gruppi di manoscritti (circa 900, se ben ricordo), scritti in ebraico, aramaico e greco, per lo più su pergamena, ma alcuni su papiro, databili in genere tra il 150 a.C. e il 7° d.C. Manoscritti “biblici” (il 40% dei rotoli identificati, si tratta di copie di testi della Bibbia ebraica); “apocrifi” (il 30%, testi del periodo del Secondo tempio, come Enoch, Giubilei, Tobia, Siracide e salmi non considerati canonici dalla tradizione ebraica) e testi “settari” (30%, nei quali sono esposte le regole e le credenze di gruppi all’interno della società ebraica, come la Regola della Comunità , il Rotolo della Guerra, ecc.).
Fino al 1967 la maggior parte dei reperti furono custoditi nel Museo Rockefeller di Gerusalemme (già chiamato Museo Archeologico della Palestina).
Dopo la guerra dei Sei Giorni, nel 1968, essi furono, in larga parte, trasferiti al Santuario del Libro (Museo di Israele), mentre altri si trovano attualmente negli USA e /o nelle mani di collezionisti privati.
Le singole grotte dove erano nascosti i rotoli sono state numerate da 1 a 11 nell’ordine cronologico di scoperta e contraddistinte con la lettera Q (Qumran) per identificare i manoscritti ivi rinvenuti; le indicazioni di provenienza sono seguite da una designazione -assai sintetica- relativa al contenuto del manoscritto: ad esempio, 1QIs si riferisce al rotolo con il testo del libro biblico di Isaia, scoperto nella grotta 1 del complesso di Qumran.                                                                           DSC01714

Nel caso in cui diversi manoscritti di una determinata opera provengano dalla stessa grotta, si usano per distinguerli, delle lettere collocate in posizione di apice. Così, ad esempio, i due rotoli di Isaia rinvenuti nella prima grotta vengono indicati con 1QIs a e 1QIs b (con a e b, come detto, in apice).
Ad Amman, poi, è custodito il celebre Rotolo di rame, ritrovato nel 1952 all’interno della grotta n. 3: misterioso documento redatto in 12 colonne di testo inciso in ebraico, contenente un elenco dei 64 nascondigli di quello che alcuni ritengono essere il Tesoro del Tempio di Gerusalemme. Esso tuttavia non è da annoverarsi tra i manoscritti veri e propri di Qunram poiché, a quanto pare, fu deposto nella relativa grotta nel 70 d. C , quando cioè in loco non vi erano più gli Esseni.
Copie dei Rotoli, con annesso filmato esplicativo dei luoghi e della loro storia, si possono vedere nel vicino (un po’ più a nord di Kalia) kibbutz Almog. Questo, divenuto kibbutz un paio di anni dopo, è sorto nel 1977 come Insediamento Nahal.
Questi ultimi sono piccoli insediamenti costituiti da unità dell’esercito (appunto Nahal, נח”ל‎, acronimo di Noar Halutzi Lohem, Gioventù Pioniera combattente; mentre il significato complessivo della parola è, come abbiamo visto, Ruscello, Corso d’acqua), le quali uniscono agli incarichi militari, di difesa, anche compiti civili, come, ad esempio, lo sviluppo dell’agricoltura.
Certo, come richiama Angela, il deserto è sempre stato un luogo più che mai abitato e teatro di numerose esperienze, nel corso della Storia.
Problema davvero interessante è quello del(l’eventuale) rapporto tra Gesù e gli Esseni.
Come scrivevo in occasione del viaggio 2009, se, per un verso, nella pratica essena vi possono essere alcuni richiami alla visione cristiana, per altro verso, la figura del Cristo che si siede a tavola con peccatori e gente dalla dubbia moralità, non disdegna affatto la compagnia femminile, ammonisce le persone apparentemente irreprensibili dicendo che i pubblicani e le prostitute passeranno loro davanti nel Regno di D-o, che riserva la propria simpatia al “figliol prodigo”, anziché al primogenito di casa dalla vita intemerata; la figura di Gesù ha un sapore….picaresco -aspetto purtroppo rimosso nel corso del tempo- che nulla ha a che vedere con i religiosi raccolti nelle loro comunità, ben decisi a non contaminarsi col mondo e le sue debolezze [3] .
Sappiamo che il Mar Morto, situato ad oltre 400 metri sotto il livello del mare e con un’acqua dieci volte più salata di quella marina, diciamo, ordinaria, è il punto più basso della terra e il più salino dei laghi naturali. Ma non sono solo le sue acque ad avere caratteristiche uniche, bensì soprattutto l’aria del luogo: infatti c’è una pressione atmosferica sufficientemente alta da filtrare i dannosi raggi UVA, una quantità di ossigeno maggiore di quella del livello del mare e un’aria ricca di bromo in quantità superiore a qualsiasi parte del mondo. Nessun pesce può vivere in quelle acque; soltanto 11 specie di batteri vi si sviluppano e crescono.
Il Mar Morto (in ebraico Yam Ha Melah, cioè Mare di sale; in arabo Bar Lut, Mare di Lot) è alimentato dal fiume Giordano e da sorgenti minerali naturali. Circondate da montagne, queste acque non hanno altro sbocco che verso l’alto; e così evaporano nell’aria secca e calda del deserto, dove il sole splende in pratica tutto l’anno, arricchendo l’atmosfera dei componenti chimici che portano con sé e lasciando un “lago” nel quale ogni litro di acqua contiene 320 gr. di sali e minerali, oltre ad un fango minerale nero, saturo di sostanze benefiche per la salute: le prime patologie ad essere curate sono quelle dermatologiche; indi quelle artritiche e reumatiche.
Chi soffre di disturbi respiratori o di asma, poi, può trarre sollievo dall’aria ricca di ossigeno; così come gli ipertesi: la pressione del sangue (sia diastolica che sistolica) diminuisce dopo due o tre giorni di permanenza al Mar Morto.
Secondo autorevoli scienziati israeliani il Mar Morto è in serio pericolo perché, data la sua posizione geografica (il punto più basso della superficie terrestre e tra i più caldi), l’evaporazione non è sufficientemente compensata dalle acque del Giordano e di altri corsi d’acqua (per lo più temporanei). La portata del fiume, poi, è assai diminuita nel tempo a causa dell’uso agricolo; inoltre le industrie israeliane e giordane del carbonato di potassio -che si trovano nella parte sud- contribuiscono alla discesa del livello del lago, che si è già abbassato di 27 metri.
Diverse soluzioni sono state studiate e, in specie, la Banca Mondiale ha stanziato 15 milioni di dollari per lo studio di fattibilità di un collegamento con il Mar Rosso, che incanalerebbe l’acqua ad Aqaba e la porterebbe alle sponde meridionali del Mar Morto, con produzione di energia elettrica e con un impianto di desalinizzazione che fornirebbe l’acqua ad Amman (costo previsto dell’opera: 5 miliardi di dollari).
Il progetto ha suscitato l’opposizione degli ambientalisti, anche perché la zona è fortemente sismica.
Usciamo dai territori contesi e rientriamo in Israele. Eccoci a Mitzpe Shalem, un piccolo centro, nato come insediamento Nahal all’inizio degli anni ‘70, poi divenuto kibbutz. Facciamo una doverosa sosta per acquisti al grande negozio vicino ai laboratori dei prodotti Ahava (Amore), di cui Mitzpe Shalem è azionista, insieme, tra gli altri, ai kibbutzim Kalia e Ein Gedi.
Due paroline semplici semplici a proposito di quell’aura di rimbambimento totale che contraddistingue il boicottaggio di tutto ciò che è israeliano -dai Sali e Creme di bellezza del Mar Morto agli…Scrittori, senza trascurare beninteso gli Scienziati-. Per quanto concerne, in specifico, i prodotti nati qui, essi -a tacer d’altro- non possono certo essere definiti “merce proveniente dai territori occupati”, visto che, come detto, sali, fanghi e quant’altro nascono e vengono trattati in Israele. Delle due ipotesi, una almeno è vera, o magari entrambe, fate voi: o quelle brave persone dei pacifinti occidentali hanno un debito, oltre che politico-culturale, anche geografico, poiché non sanno dove si trovano i laboratori di Ahava di cui cianciano a vanvera (e tutto fa presumere che da queste parti non abbiano mai posato i loro preziosi piedini) o considerano l’intero Israele “territorio occupato”, comprese magari Tel Aviv o Haifa. Che ne dite?
Risaliti in vettura, ecco un gruppo di piccoli stambecchi attraversarci la strada per poi incamminarsi lungo un sentiero a lato: si tratta di un’articolata famigliola, con madre impegnata ad accudire i cuccioli, mentre il padre sembra starsene un po’ defilato:
“Ecco, guarda, come al solito” sogghigna Maria Pia “il maschio che non vuole far fatica!”
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La foto non rende troppo l’idea, ma vi assicuro che la situazione era proprio quella descritta dalla nostra amica in due battute.
Passiamo vicino a Ein Gedi, la celebre Fonte del Capretto di biblica memoria (ad esempio: II Cronache: 20, 2; Cantico dei Cantici: 1, 14). Un paradiso in terra, che non visitiamo, ma che so essere uno dei posti più incantevoli di Israele, per la sua riserva naturale, ricca di essenze provenienti da tutto il mondo, oltre che di un piccolo zoo. Fu il primo kibbutz -vi si coltivano datteri e mango e si allevano tacchini- a dar vita ad un albergo, nel lontano 1953; un anno dopo l’apertura degli stabilimenti sul Mar Morto.
Procavie di piccola taglia ci osservano incuriosite, pur un po’ timorose, e un graziosissimo uccello chiamato Tristamit o Storno di Tristam (Onychognathus tristammi), dal potente fischio, cattura la nostra attenzione.                                                                             TRISTAMIT Uccello del deserto

Campi di mango, palmeti…Incredibile come in queste zone, con una vita, all’apparenza arida e sottotono, date le condizioni climatiche, crescano in salute tante specie vegetali.
E c’è una storia magica………


[1] V. Diario 2009, alle pp. 66-68.
[2] A tale proposito interessante è il capitolo intitolato Iudaea capta (pp. 11-26) nel notevole volume Riccardo CALIMANI, Storia dell’Ebreo errante- Dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme al Novecento, Mondadori, Collana Oscar Storia, Milano, Ia ed. 2003, ristampa 2009, pp. 562.
[3] Sul movimento qumranico, l’esperienza religiosa ed etnica del deserto, la predicazione del Battista, gli esordi del ministero pubblico di Gesù vedi Harmut STEGEMANN, Gli Esseni, Qumran, Giovanni Battista e Gesù, edizioni Dehoniane, Bologna, 1995, pp. 397; titolo originale Die Essener, Qumran, Johannes der Täufer und Jesus. Ein Sachbuch, Verlag Herder, Freiburg im Breisgau, 1993. L’avvincente prefazione all’edizione italiana è di Bernardo Gianluigi BOSCHI o.p., il domenicano biblista e archeologo che fu la nostra guida nel viaggio del 1996, il quale condivide con Angela Polacco, tra l’altro, un certo interesse per la figura di Erode.