Museo Ebraico di Bologna, 23 Gennaio / 27 Febbraio 2011
In questi giorni in cui onoriamo la Memoria della Shoah insistendo sull’importanza di tale riflessione specie per le giovani generazioni, c’è una categoria, se così la si può chiamare, di persone coinvolte nell’evento che occupa un ruolo defilato, quasi a continuare quell’agire discreto e silenzioso che ne ha caratterizzato l’esistenza.
Sono i “Giusti tra le Nazioni”, così chiamati ed onorati dallo Yad Vashem di Gerusalemme: Goym (גוים;Gentili), cioè non Ebrei, i quali, durante le tremende persecuzioni nazi-fasciste sfociate nella Shoah, salvarono la vita a Ebrei, senza alcun tornaconto e con grave rischio personale.
Tante storie, testimonianze, spesso rimaste sconosciute ai più.
Ecco perché è quanto mai apprezzabile l’allestimento, da parte del Museo Ebraico di Bologna, della Mostra Luigi Varoli, il “Giusto” pittore dedicata alla vita e alle opere di un personaggio, Luigi Varoli, ben noto nei luoghi in cui è vissuto, ma che merita di essere apprezzato e onorato al di fuori della sua Romagna.
Alcune note biografiche. Nato a Cotignola (Ra) nel 1889 da una modesta famiglia, poiché rivela ben presto spiccate attitudini pratiche, viene inviato come apprendista dai suoi presso una fabbrica di oggetti in terracotta. Qui è attratto dal lavoro svolto dai decoratori e dalle infinite potenzialità dei diversi materiali. Poiché per essere un abile decoratore occorre saper disegnare, si iscrive dapprima alla Scuola comunale di Disegno e Plastica di Lugo, diretta da un noto pittore e scultore, suo compaesano, Domenico Visani, e successivamente all’Accademia di Belle Arti di Ravenna.
Dopo aver ottenuto la licenza dei corsi superiori di pittura a Roma e partecipato a diverse rassegne d’arte in Italia e a Parigi, rientra a Cotignola, alla quale è rimasto peraltro collegato, poiché ivi risiedeva la sua famiglia e, in primo luogo, la moglie Anna, sposata nel 1920.
Inizia l’attività di insegnante presso la locale Scuola di Arti e Mestieri, continuata poi presso il Liceo Artistico di Ravenna. La Scuola da lui diretta è situata all’interno della sua casa/studio, vero e proprio cenacolo e punto di riferimento per tanti giovani praticanti ed artisti, da lui incoraggiati ad esprimersi liberamente.
Partecipa con entusiasmo alla vita sociale e culturale del suo tempo.
Si cimenta abilmente con la scultura (nonché con le decorazioni, il primo amore non si dimentica!) e, artista poliedrico, utilizza i più vari materiali: dalla terracotta dei suoi inizi giovanili, al legno, al ferro, alla ceramica, al tessuto, alla cartapesta. A quest’ultimo proposito -nel 1948- predisporrà, proprio in cartapesta, per una sfilata locale di carri allegorici, cinque grandi figure a forma di testa (i “Testoni”), raffiguranti in caricatura cinque noti personaggi del paese, conosciuti per i loro soprannomi: si trattava di persone note per la stretta frequentazione col vino. Per non creare malumori, insieme a loro l’Artista raffigurerà pure se stesso.
Egli predilige il genere del ritratto e della figura, collegandosi ad una chiara matrice ottocentesca, ma con una certa originalità e ricerca di linguaggi nuovi.
Appassionato di musica, Varoli si diploma in contrabbasso nel 1931 presso la Regia Accademica Filarmonica di Bologna ed è stimato da Francesco Balilla Pratella (Lugo 1880-Ravenna 1955), uno dei più autorevoli esponenti del Futurismo Musicale Italiano.
Il Maestro muore nella sua Cotignola, dopo una dolorosissima malattia, il 25 settembre 1958.
L’iniziativa del Museo Ebraico è volta a far conoscere la figura di Luigi Varoli non solo come artista (c’è una selezione di opere provenienti dalla Pinacoteca Comunale di Cotignola), ma anche per il coraggioso impegno da lui profuso quale animatore -insieme al commissario prefettizio Vittorio Zanzi (1896/1985, altra nobile figura)- di una rete di solidarietà che, negli anni della Seconda Guerra Mondiale, dal 1943 al 1945, ha dato rifugio (e salvezza) a profughi, ebrei e non, provenienti da ogni parte d’Italia, nonché ricercati politici, partigiani feriti e inseguiti dai fascisti, evasi dai campi di prigionia e di concentramento tedeschi.
Numerosi sono stati gli Ebrei strappati alla Shoah (41, per l’esattezza): tra loro i Muggia, gli Oppenheim (marito, medico, moglie e la loro -allora- piccola figlia Lea), i Lopes-Pegna, i coniugi Guido e Anna Ottolenghi (cari amici di Varoli) con i tre figli; famiglie oggi residenti a Bologna.
“L’ospite, anche quando non è atteso, è sempre padrone nella mia casa”. Così stava scritto all’ingresso della sua abitazione/studio.
Questo luogo, un autentico… porto di mare, proprio perché aperto a tutti, pareva non destare sospetti presso gli occupanti tedeschi, i quali talora vi si recavano; e, nel contempo, magari in soffitta o in cantina, intere famiglie di ebrei trattenevano il respiro per la tensione.
Perché, è ovvio, sarebbe bastato un nonnulla per scatenare l’irreparabile.
Per la loro coraggiosa opera nel 2003 lo Stato di Israele e lo Yad Vashem di Gerusalemme hanno conferito in memoriam il titolo di Giusto tra le Nazioni a Luigi e Anna Varoli e a Vittorio e Serafina Zanzi.
La Mostra è allestita con la collaborazione del Comune di Cotignola, dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna, nonché della Comunità Ebraica di Bologna. E’ patrocinata dal Comune e dalla Provincia di Bologna, dall’Assemblea Legislativa e dalla Giunta della Regione Emilia Romagna, dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, dall’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna, dall’Ufficio Scolastico Territoriale e dall’Ambasciata di Israele.
E’ visitabile fino al 27 febbraio 2011.