“Siamo nati e cresciuti in questa città. Siamo legati alla Filarmonica, è la nostra casa. Qui abbiamo un pubblico che ci segue e ci adora. Anche i musicisti stranieri si sentono parte della città. Per questo abbiamo pensato col festival di invadere Bologna di musica, per ricambiare l’affetto di questa che consideriamo la nostra casa” (Francesco Senese, Violinista, Assistant Konzert Meister e Board Member dell’Orchestra Mozart)
SABATO 27 APRILE 2019 , Ore 15:30
Il pomeriggio è dedicato, in primo luogo, ai piccoli -cioè a bambine e bambini dai 5 agli 11 anni- presso la nostra Sala Borsa.
Un’occasione, per ascoltare dal vivo brani di Mozart (e non solo) e per scoprire alcuni strumenti dell’orchestra insieme ai Solisti dell’Orchestra Mozart.
Chi sono i Solisti?
Daniele Carnio, coordinatore e contrabbasso
Katharina Naomi Paul, Gian Maria Lodigiani, violini
Riccardo Savinelli, viola
Antonio Amadei, violoncello
L’attività parte da una lettura del libro Agata di Lola Casas e Augustin Comotto (Lapis Edizioni).
Agata è piccola, piccolissima tanto che può fare il bagno nel lavandino e al cinema ha bisogno di una pila di cuscini per vedere i film, ma ha una grandissima…voluminosa… sproporzionata passione: il violoncello. Tutti si chiedono come farà una bambina così piccola a tenere in mano uno strumento così grande! Ma si sa, inutile mettere freni ai sogni, soprattutto quelli dei bambini…
Alle ore 17:00 in punto ci ritroviamo al Teatro Manzoni per il Concerto cameristico.
Chi ha organizzato ha avuto davvero la mano felice.
In primo luogo: Classico e Moderno alternati; quest’ultimo d’ispirazione letteraria.
Poi le formazioni, non così frequenti: Quintetto e Sestetto. A dimostrazione che la nostra Orchestra è in grado benissimo di allargarsi e restringersi come una magica Fisarmonica.
Il carnet
Elliott Carter, Scrivo in Vento per flauto solo
Suggestioni di musica tonale.
Mattia Petrilli
Ludwig van Beethoven, Sestetto per fiati in Mi bemolle maggiore Op. 71
Mariafrancesca Latella, Aljaž Beguš clarinetti
Raffaele Giannotti, Pierre Gomes fagotti
José Vicente Castello, Giuseppe Russo corni
Benjamin Britten, Sei metamorfosi da Ovidio Op. 49 per oboe solo
Lucas Macias Navarro
Wolfgang Amadeus Mozart, Quintetto per archi n. 4 in Sol minore, K 516
Lorenza Borrani, Giacomo Tesini, violini
Francesca Piccioni, Sara Marzadori, viole
Walter Vestidello violoncello
Elliott Cook Carter (Jr.) (New York, 11.12.198 / 5.11.2012), personalità poliedrica, è essenzialmente un autodidatta; coltiva uguali interessi sia per la Musica che per la Filosofia e perviene tardi ad una scelta di campo. Tale scelta è dovuta agl’incoraggiamenti di Charles Ives che lo inducono a studiare composizione presso l’Università di Harvard. In seguito si reca a Parigi, dove studia con Nadia Boulanger, illustre allieva di Igor Stravinsky. Rientrato in Patria, diviene direttore della compagnia di balletto Ballet Caravan.
Dal 1939 al 1941 insegna Musica, Fisica, Matematica e Greco antico al St. John’s College di Annapolis (Maryland). Durante la guerra viene impiegato presso l’Ufficio Informazioni e, in seguito, è docente in diverse università.
Nel 1967 diviene membro dell’American Academy of Arts and Letters, mentre nel 1960 e nel 1973 gli è assegnato il Pemio Pulitzer per la Musica.
Scrivo in vento [1], per flauto solo, dedicato al flautista e amico Robert Aitken, prende il titolo da un componimento poetico (sonetto 177) del nostro Francesco Petrarca, vissuto ad Avignone dal 1326 al 1353. Il musicista usa il flauto per presentare idee e registri contrastanti e suggerire la natura paradossale dell’opera.Contrasto (eterno) tra Uomo e Natura; o magari dialettica all’interno della Natura stessa? Ognuno dia la propria interpretazione.
E’eseguito per la prima volta il 20 luglio 1991 (in coincidenza con il 678° anniversario della nascita del Petrarca) alla Ville Rencontres de la Chartreuse del Centre Acanthes: l’iniziativa è dedicata da Robert Aitken alla musica di Carter nell’ambito del Festival di Avignone.
Mattia recita i versi di apertura
“Beato in sogno et di languir contento,
d’abbracciar l’ombre et seguir l’aura estiva,
nuoto per mar che non à fondo o riva,
solco onde, e ’n rena fondo, et scrivo in vento…..”
Il nostro funambolo ci accompagna in un mondo ricco di suggestioni.
Nella primavera 2016, con tale brano, c’incantò sull’artistica scalinata dell’Accademia Filarmonica in occasione della rassegna BO-OM che preparava il Concerto del 6 gennaio 2017; oggi, ha il palco tutto per lui.
Penombra e il grande Flauto dorato che luccica.
Penso a certe mattine di inizio estate allorché, di buonora, mi affaccio sui nostri terrazzi di casa per lasciarmi accarezzare dalla brezza profumata. Un coppia di fringuelli si dondola cantando sull’antenna TV poco lontano.
Piroetta finale di Mattia, frutto di lungo ed approfondito studio. Ma sembra che l’abbia inventata lì per lì. Incanto.
Da ascoltare.
Un breve istante di silenzio……
Palco ancora vuoto…Udiamo la Musica….
A passo cadenzato entra il nostro Sestetto, capitanato da Mariafrancesca.
Non si tratta però di una loro trovata per dar maggior colore all’interpretazione: è Beethoven stesso che prescrive questa entrée.
Pausa. Si siedono.
A destra i clarinetti: Mariafrancesca Latella e il simpatico collega, Aljaž Beguš (sloveno);
A sinistra i fagotti: Raffaele Giannotti, Pierre Gomes;
Al centro i corni: José Vicente Castello, Giuseppe Russo
Il Sestetto per fiati in Mi bemolle maggiore op. 71
Così articolato
- Adagio
- Allegro
- Adagio (si bemolle maggiore)
- Menuetto quasi allegretto
- Rondò. Allegro
Composizione: 1796, a 26 anni
- Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia 1810
- Organico: 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni
Le Serenate e i Divertimenti scritti da Mozart hanno influenzato notevolmente le musiche per fiati scritte da Beethoven sia a Bonn che a Vienna. Naturalmente questa influenza non sta a significare che Beethoven sia un imitatore puro e semplice dello stile chiaro e scorrevole e, soprattutto, di brillante effetto strumentale, impresso da Mozart a questo tipo di componimento, concepito per allietare le serate delle famiglie aristocratiche e principesche del tempo. Sotto questo profilo si sa che l’arciduca d’Austria, Maximilian Franz, divenuto poi arcivescovo di Colonia e principe elettore a Bonn, nutrì una vera e propria passione nei confronti dei pezzi per pochi strumenti elaborati da Mozart, tanto da tenere in piedi nella sua corte una piccola orchestra a fiati di otto suonatori, che abitualmente eseguiva tutti quei lavori che si adattavano ad un organico così ridotto. Si sa anche che Beethoven scrisse per tale complesso strumentale nel 1792 il suo Ottetto per fiati (due oboi, due clarinetti, due corni e due fagotti) rielaborato dallo stesso autore a Vienna nel 1796 nella versione di quintetto ad archi Op. 4.
Generalmente l’Ottetto in mi bemolle maggiore Op. 103 e il Settimino in mi bemolle maggiore op. 20 per clarinetto, corno, fagotto, violino, viola, violoncello e contrabbasso [2] sono considerate le composizioni più perfette di musica a fiati costruite da Beethoven, in quanto ogni elemento formale e linguistico raggiunge una organica ed equilibrata fusione espressiva, ma non bisogna sottovalutare la fresca inventiva musicale dei due Sestetti, quello in mi bemolle maggiore per due corni, due clarinetti e due fagotti op. 71, il nostro di oggi, e quello in mi bemolle maggiore per due corni, due violini, viola e violoncello Op. 81 b. Il primo risale al 1796 e l’autore inviandolo all’editore ne parla in questo modo: “II sestetto è tratto dalle mie prime cose e per di più è stato scritto in una notte. Non c’è da aggiungere altro, all’infuori del fatto che il musicista ha composto opere migliori; ma per parecchie persone una musica simile è accolta sempre con favore”.
Dopo la prima esecuzione avvenuta a Vienna nel 1805 appare sulla Allgemeine Musikalische Zeitung il seguente giudizio: “Favorevole impressione ha suscitato il Sestetto per due corni, due clarinetti e due fagotti di Beethoven, composizione che brilla per spontaneità della melodia e la sorprendente ricchezza delle idee nuove. La parte del clarinetto è stata eseguita alla perfezione dal signor Joseph Beer, al servizio della casa del principe di Lichtenstein. Questo artista, oltre ad una sicurezza di intonazione, ha un modo amabile e gradevole di fraseggiare, specie nei momenti di maggiore delicatezza”. In queste frasi c’è il succo delle caratteristiche e della validità del Sestetto considerato da alcuni musicologi come il germe musicale del (celebre, stupendo) Settimino, esempio insuperato dell’arte illuministica, senza -ancora- travagli romantici.
Il nostro Sestetto, gruppo cameristico, sembra un’orchestra di notevoli dimensioni per la varietà di timbri e colori e, nello stesso tempo, è quanto di più dialogante si possa concepire.
Eco di musiche popolari, da feste in campagna, gioia allo stato puro, come abbiamo visto in Lussemburgo nelle giornate di Pasqua, felicemente e incredibilmente piene di sole.
I corni di Josè e Giuseppe ci richiamano un’origine anche medievale.
Virtuosismi dei due clarinetti e pirotecnico finale.
Il gruppetto ci lascia suonando. La Musica continua per alcuni istanti. Poi….La fiaba è finita?
Niente affatto, perché è entrata in noi.
Lucas Macias si cimenta in un brano tanto suggestivo quanto di difficile esecuzione.
Le Sei metamorfosi da Ovidio Op.49 (Six Metamorphoses after Ovid) è una suite di sei pezzi per oboe, composta da Benjamin Britten (1913 /1976) nel 1951 traendo ispirazione da altrettanti episodi delle Metamorfosi di Ovidio.
Le Metamorfosi di Ovidio non hanno avuto solo influenza sulla Letteratura, sulla Scultura e sulla Pittura, ma anche sulla Musica. Prova di questo, per esempio, sono queste sei metamorfosi per oboe solo dell’autore britannico.
L’opera è dedicata alla oboista Joy Boughton (1913-1963), figlia di Rutland Boughton, compositore a sua volta, nonché amico di Britten. Essa di compone di sei movimenti:
- Primo movimento : Pan e Siringa (Senza misura)
- Secondo movimento: Fetonte, le Eliadi e Cicno (Vivace ritmico)
- Terzo movimento: Niobe (Andante)
- Quarto movimento: Le gesta di Bacco (Allegro pesante)
- Quinto movimento: Narciso (Lento piacevole)
- Sesto movimento: Alfeo e Aretusa (Largamente)
Si tratta di un ciclo di deliziose miniature per oboe solo basato sui versi del celebre poeta latino il quale, prendendo le mosse da sei figure della mitologia romana -Pan, Fetonte, Niobe, Bacco, Narciso e Aretusa-, delinea una riflessione molto acuta sulla contraddittorietà del comportamento umano.
Il lavoro comprende sei delle 246 favole che compongono il poema di Ovidio.
Britten evoca la leggenda di Pan e dell’amore per Siringa; la tragedia di Fetonte, che col suo carro si schianta sul Sole; le lacrime di Niobe per la perdita dei suoi quattordici figli; le feste di Bacco con le sue Baccanti; la storia d’amore di Narciso ed Eco, e la leggenda di Aretusa, bellissima ninfa, che si tramuta in una sorgente d’acqua dolce e fresca per sfuggire al dio Alfeo, figlio del dio Oceano, innamorato di lei. Ma la costanza del giovane dio viene premiata. Zeus, infatti, tramuta Alfeo in fiume permettendogli di raggiungere l’amata fonte, cioè Aretusa, dal Peloponneso al mar Jonio ove ella si trova.
Applausi a scena aperta per il nostro musicista dalle mille sfumature, che si è impegnato in uno sforzo davvero da brivido.
Ascoltate il suggestivo brano.
Chiudiamo in tormentata bellezza, con gli amici nominati sopra.
Wolfgang Amadeus Mozart, Quintetto per archi n. 4 in Sol minore, K 516
- Allegro (sol minore)
- Minuetto e trio. Allegretto (sol minore)
- Adagio ma non troppo (mi bemolle maggiore)
- Adagio (sol minore) – Allegro (sol maggiore)
Composizione: Vienna, 16 maggio 1787
Edizione: Artaria, Vienna 1790
Organico: 2 violini, 2 viole, violoncello
Così un notevole musicologo, Marino Mora: “Il Quintetto in sol minore K 516 rappresenta senza dubbio uno dei vertici assoluti della produzione cameristica mozartiana. Scritto nella palpitante tonalità di sol minore raccoglie un coacervo di drammaticità e inquietudini uniti a un’aspirazione alta. I materiali sono raccolti in una scrittura densa, raffinata che esalta le potenzialità espressive e tecniche degli archi. Nell’Allegro spicca il tema principale dal profilo cromatico e discendente, talvolta ‘tinteggiato’ con il colore della struggente sesta napoletana di Paisiello e Piccinni, lasciato al violino-viola e sostenuto dialogicamente dal gruppo. Ma proprio il procedimento di passaggio da esso agli altri elementi tipico della forma sonata, straordinariamente progressivi, molto ci dicono sulla temperie che Mozart vuole imprimere alla partitura. Concluso il primo tema esso, infatti, si trasforma in modo continuo e trapassa prima a una frase conclusiva, poi alla frase-ponte modulante; gli elementi di quest’ultimo, a loro volta, proseguono e coincidono con il secondo tema, che viene come ‘mascherato’ dal mantenimento del tono di sol minore e poi si riverbera, come un’ombra, su altre tinte; solo lentamente il secondo tema si profila e inizia a distinguersi più netto, tanto che dopo questo percorso meraviglioso e sofferto si staglia al caratteristico si bemolle maggiore, il tono relativo maggiore, concluso da un dardeggianti epilogo e da belle codette. Queste modalità di scrittura molto ci dicono sulla volontà di allineare i tratti tematici che indicano probabilmente l’idea di mantenere un parametro comune unico: quello della drammaticità persino in elementi solitamente antitetici. Dopo che nello sviluppo sono sfruttati gli elementi motivici sia del primo che del secondo tema attraverso serrate imitazioni, passi discendenti e in genere una ricerca di ombreggiature scure (timbri gravi, giochi di dissonanze, dinamiche sferzanti) ecco la libera ripresa del materiale, ancora ricca di inquietudine e contrasti sonori.
Il Minuetto non rappresenta un momento di discontinuità e conferma il clima sofferto di fondo con improvvise esplosioni accordali, fosche e tinteggiate dentro aspri e ricurvi accordi diminuiti, salti, improvvise fermate e ripartenze, salvo poi finalmente accennare a un illusorio sol maggiore nel canto intonato e finalmente disteso del Trio, prima della ripresa di un ambiente nuovamente “patetico” imposto dal ritorno del tema di Minuetto.
Un motivo intenso di preghiera si leva con l’Adagio ma non troppo ed è seguito da una congerie lenta e progrediente di idee differenti, come fossero più voci a pronunciare più tesi. Vi è un’estrema frammentazione dei motivi, che indica da una parte una ricerca intimistica e riflessiva, dall’altra, forse, un voluto divaricarsi di idee. Alcuni temi sono incisi in recitativo, altri sono vera parola sonora cristallizzata. In questa struttura bipolare suddivisa in due A, con ritorno del tema della I sezione, le voci sono spesso catapultate all’acuto o al grave in soliloquio, con effetti in sordina, frasi peregrinanti che ci restituiscono l’immagine monolitica di ascetico ‘percorso’. Dentro questo lungo e sofferto cammino che pare come organizzato in episodi e al tema del ‘viaggio’ dedicato, giungiamo all’atto finale. Una sorta di porta lo introduce, con un enigmatico Adagio. Sopra un accompagnamento tutto costruito da un sostegno di note reiterate e calibrate dal quartetto, il violino primo intona una melodia cantabile di profonda espressività. Per la particolare atmosfera sospesa e incantata assomiglia molto ad alcune delle più belle pagine mozartiane di Adagio, orchestrali [è vero!] o anche riferite ai concerti per pianoforte o altro strumento solista. Attraversata da improvvisi accordi diminuiti, dissonanze, tonalità minori, la bella melodia si staglia senza recedere, sino a incontrare un clima più sereno che si dirada, aprendosi e alleggerendosi ulteriormente nelle ultime battute. E l’inizio del rondò in sol maggiore, che irrompe come un soffio di vento dopo l’oppressione di un clima stagnante. Un primo episodio particolarmente ampio e ricco di contrasti è seguito dal ritorno del refrain principale del rondò, mentre un secondo episodio discorsivo e brillante altrettanto articolato, separa il materiale dal ritorno definitivo del tema principale, sino a concludere in modo intenso e trascinante il Quintetto”.
Un dotto e coinvolgente commento cui c’è ben poco da aggiungere.
Un’interpretazione da altro Quintetto, per rendere l’idea; bravissimi, certo. I “nostri” però hanno quel quid in più, niente da fare.
Serata diversa dal solito, non c’è che dire!
Appuntamento alle 22:00 per il Late Night Concert presso il locale Scrambler [3] Ducati Food Factory, in Via D’Azeglio n. 34a, ore 22:00.
Scrambler Ducati Food Factory ha di recente aperto a Bologna, sia in pieno centro che sulla via Stalingrado. L’idea è coniugare la passione sportiva degli appassionati del motociclismo con la buona tradizione gastronomica della città in un binomio sul filo della convivialità e dello spirito sportivo.
Ducati Scrambler Food Factory, circa 500 metri quadri e 130 coperti disponibili, richiama in modo naturale il mondo del motociclismo e della vita on the road fatta di una praticità che non rinuncia alla bellezza e al glamour. All’ingresso siete accolti dall’illuminazione che gioca con le altezze e le sospensioni di Viabuzzuno.
L’architetto Giacomo Migliori di “Sviluppi Urbani” ha pensato gli ambienti come un loft post-industriale, utilizzando molto il cemento e quindi la vita su due ruote come filo conduttore. Il tema del Wanderer emerge anche qui.
Un luogo di eccellenza, food lab (si va dalla cucina bolognese tradizionale, alle pizze, ai taglieri; vini e birre di alta qualità), un contesto nel quale si inseriscono a meraviglia i nostri musicisti.
Il locale è pieno di persone; l’atmosfera è gaia, serena, priva della sovreccitazione da sabato sera. Diversi avventori osservano incuriositi l’insolita compagnia.
Ci è riservato un grande tavolo nella sala principale.
Arrivano in molti, tra i componenti dell’orchestra.
Manca però il Quartetto Mirus: dove si saranno cacciati quei mattacchioni?
E manca Luca Franzetti, mannaggia. Scommetto che ha fatto un salto a casa, da sua moglie a Parma, per vedere se è tutto OK: tra poco più di due mesi nascerà il loro bambino. Maschio, femmina? E chi lo sa…Preferiscono la sorpresa.
In compenso, abbiamo Gisella Curtolo, l’eleganza in persona, pure in abiti sportivi.
E giungono Giacomo Tesini e Lorenza Borrani; Herman van Kogelenberg e Mattia Petrilli…. Per non parlare di Gabriele Geminiani, in forma splendida.
Pizzette di discrete dimensioni, taglieri di formaggi e salumi…birra, vino bianco….Qualche suggestivo dolcetto che attira l’interesse di Mauro.
Loris Azzaroni si fa servire un bicchiere di rosso, dal colore scintillante. Atmosfera di festa, rilassata. Intanto faccio due chiacchiere con Francesco Senese e, ovviamente, con Lucas Macias: ancora complimenti affettuosi e inevitabili considerazioni: una certa persona (inutile precisare chi) ti aveva raccomandato di non trascurare l’oboe, caro mio. Al solito, aveva ragione. Occhiata d’intesa.
Su tutti vigila discreto il “Gran” Consulente Artistico Gaston Fournier Facio, lo vedete sulla sinistra, anche se l’immagine purtroppo è piccola;
mentre Marco Caselli Nirmal sceglie le inquadrature migliori per le sue foto (che io saccheggio, è notorio). Parlo poco di lui in queste giornate, ma Marco c’è sempre.
Ecco chi ci delizierà con la Musica, con alle spalle una vasta parete chiara dove sono sistemati con arte ruote, pezzi di ricambio e quant’altro dell’ambiente Scrambler.
Miriam Pastor Burgos (oboe), quella di Murcia, che consente a Lucas di prendersi una pausa dopo il duro cimento con la musica di Britten.
Verena Maria Fitz (violino); Javier López Calvo (viola); Martin Leo Schmidt (violoncello) e, a seguire, Luigi Mazzucato (viola); Tilman Büning (violino); Francesco Senese (violino); Gabriele Geminiani (violoncello) e altri che non rammento.
Si incomincia, il programma è leggermente diverso da quello originario.
Salvo errori.
W.A. Mozart, Divertimento per violino, viola e violoncello in Mi bemolle maggiore, K 563 (Minuetto)
W.A. Mozart, Quartetto in Fa maggiore per oboe e archi, K 370
Felix Mendelssohn, I e IV movimento del Quintetto d’archi , Op. 87.
Applausi vigorosi!
Marina Orlandi Biagi, impegnata questa sera in una cena a casa di amici, non ha però rinunciato a godersi l’ultima parte del nostro simpatico incontro.
Tutti insieme, siamo una bella famiglia.
Felice Notte, Amici.
[CONTINUA]
[1] Tratto dal Canzoniere del Petrarca Rerum vulgarium fragmenta
[2] Composto tra il 1799 ed il 1800 e pubblicato nel 1802 con una dedica all’imperatrice Maria Teresa d’Austria.
[3] Scrambler deriva dal verbo to scramble, cioè mescolare. Lo Scrambler, in campo motociclistico, indica un tipo di motoveicolo con caratteristiche principalmente stradali, al quale sono state apportate lievi modifiche per renderlo adatto ad affrontare percorsi sterrati o brevi tratti fuoristrada di trascurabile difficoltà.
Così erano chiamate, in alcuni territori di provincia degli USA della fine anni ‘50, le motociclette stradali cui venivano applicati manubri, pneumatici e rapporti da fuoristrada, al fine di agevolmente percorrere le lunghe strade sterrate che collegavano i “ranch ” alle vie di comunicazione pubbliche. Arrivato in Europa, il termine fu utilizzato soprattutto dalle case italiane e britanniche che, a partire dagli ‘60, sfornarono un cospicuo numero di modelli “scrambler”. In Italia, molte delle più importanti case motociclistiche avevano in listino un modello turistico trasformato “scrambler”, come Ducati, Moto Guzzi, Laverda, Moto Morini, ecc.