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“Ha lasciato un vuoto incolmabile, ma anche un’impronta intangibile in me e in noi. Mi ha cambiato la vita musicale, mi ha valorizzato. Lo considero il mio maestro a tutti gli effetti…Aveva la filosofia dell’ascolto e non solo sul podio, ma nella vita. Ci ha insegnato a fare musica insieme e ci lasciava suonare dimostrando fiducia nei nostri mezzi. E per un professionista è importantissimo” (Lucas Macias Navarro, Direttore d’Orchestra, Oboista e Board Member dell’Orchestra Mozart)

 

 

DOMENICA 28 APRILE 2019 , Ore 11:00

Mattinata insolita, potremmo definirla.

E’ previsto infatti l’altro appuntamento musicale extra Festival.

La sede, come sappiamo, è il prestigioso Palazzo Isolani, Via S. Stefano n. 16.

La relativa Fondazione è tra i sostenitori della rassegna.

Palazzo Isolani, già denominato Palazzo Bolognini, presenta elementi gotici, rinascimentali, neoclassici. Esso si affaccia su Piazza S. Stefano -la quale, in realtà, non è una piazza, bensì un allargarsi della stessa strada; un “largo” per così dire- ed è collegato, tramite un percorso fatto di cortili e passaggi, a Strada Maggiore, sulla quale prospetta un insieme di corpi antichi e  di costruzione più recente.

Il palazzo è stato progettato e realizzato tra il 1451 e il 1455 da Pagno di Lapo Portigiani (autore pure del Palazzo Bentivoglio distrutto dalle milizie pontificie nel 1506), architetto proveniente da Fiesole, su commissione della famiglia senatoria Bolognini. Come altre famiglie della città, i Bolognini traevano le loro ricchezze dal commercio della seta, all’epoca punto forte dell’economia cittadina.

Durante il 1700 il palazzo viene acquistato da un’altra famiglia nobile bolognese, gli Isolani, il cui nome è legato alla provenienza dall’isola di Cipro.

Nel 1708 la parte del palazzo corrispondente al civico 16 di Piazza S. Stefano viene rimaneggiato da Antonio Torri. All’interno affreschi settecenteschi attribuiti a Francesco Stagno e Giuseppe Valliani.

Il luogo è stupendo, attraverso tutti i giorni quella Piazza. Levo lo sguardo verso l’altana troneggiante sui tetti e mi si stringe il cuore.

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E perché mai? La ragione è nota. Nell’appartamento posto nell’altana, in cima alla scala elicoidale, magica

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ha vissuto per circa un decennio Claudio Abbado. Per l’esattezza, la sua “vera” casa era quella in Sardegna, dove trascorreva mesi, per studiare, leggere, andare in barca, riposarsi, ricevere gli amici. Luogo carissimo al suo cuore, in mezzo al verde e all’acqua, un’abitazione molto semplice -non certo la villa stile Hollywood dei neo ricchi che intendono far colpo-, quasi spartana. Con una stanza da letto che avresti immaginato appartenere ad un adolescente. Così mi riferiscono coloro che hanno visitato quel luogo fatato: essenziale e pieno di vita, come lui.

A Bologna veniva per occuparsi dell’amato “Beniamino” e per stare in compagnia della figlia Alessandra.

Ed è in quell’appartamento tra i tetti bolognesi che, dopo aver gioito e trascorso belle ore con persone vicine, figli e musicisti, ha passato gli ultimi mesi dell’esistenza terrena, soffrendo intensamente; e poi…..chiuso gli occhi, con tutti loro quattro attorno, Daniele, Alessandra, Sebastian e Misha,  la mattina del 20 gennaio 2014.

 

Per un certo lasso di tempo le imposte dell’appartamento sono rimaste chiuse.

In seguito, circa due anni e mezzo fa, leggo sulla stampa cittadina che proprio quei locali, condotti dal Maestro in affitto, erano stati destinati dalla proprietà (Palazzo Isolani) a Bed & Breakfast. Confesso di aver provato un certo disagio, unito a dolore, dopo un istante di incredulità.

D’accordo che vi siano comportamenti più censurabili di questo; d’accordo che le ragioni del cuore spesso soccombono di fronte alle necessità economiche; e, per di più, sappiamo tutti quanto l’attività di Bed & Breakfast sia lucrosa. Ma…santi numi, est modus in rebus!

Così difficile trovare un inquilino normale, per così dire, una famiglia, anziché ripiegare sulla forma più anonima di locazione, cioè il B&B, in cui tutti vanno e vengono?

Se penso alla proverbiale riservatezza di Abbado, mi vengono i brividi.

Un po’ di rispetto, via, per la memoria di una persona che al suo Paese ha regalato tanto -con buona pace degli imbecilli che, dopo gli anni alla Scala, lo davano trasferito all’estero alla ricerca di vantaggiosi incarichi. E magari pure evasore fiscale….Buffoni!-.

E anche questa città gli deve molto, perché ha contribuito a farla, sia pure in parte, uscire dal gretto provincialismo con annesso chiacchiericcio da salotto che la caratterizza.

Basta.

Stamani le sale a pianterreno del Palazzo accoglieranno i Solisti dell’Orchestra Mozart.

Prendiamo ciò come una sorta di insolita riparazione.

Giungiamo sul luogo con un certo anticipo, come ci aveva consigliato la sera prima il Presidente Azzaroni.

All’ingresso incontriamo il nostro primo violoncello, Gabriele Geminiani, che si gode la sua sigaretta.

Quanti pensieri, vero Gabri? Ancora non ci conoscevamo, noi due, ma ricordo una Tua istantanea davanti al portone di casa sua, ‘quella’ mattina: Tu, Dietmut Poppen, Johane Gonzales…..altri che non rammento…Tutti con lo strumento in spalla…l’espressione addolorata e incredula.

“Sì, l’ho ricordo benissimo, figuriamoci. Ma quello è stato il ‘meno’, diciamo. L’esperienza più forte l’avevamo vissuta il giorno prima, quando tutti quanti siamo andati lassù” accenna in alto “da lui…. Siamo sfilati uno ad uno davanti al suo letto”.

I Soldati che rendono omaggio e salutano il Generale morente. Caro Gabri.

Rammenta i salti mortali che faceva per conciliare gli impegni familiari con la dedizione assoluta che Abbado esigeva dai suoi musicisti.

“ Claudio, devo andare a Roma dai miei…Non posso restare qui… E lui ‘Vai, stai un giorno, poi torni!’ Come sarebbe….un giorno?????”

“Mia moglie, ora ex moglie” precisa con un sorrisetto tra l’amaro e l’ironico “era fuori di sé……Ma con lui era impossibile sgarrare. Chiedeva un impegno senza pari..Ma quanto ci ha dato….Quell’esperienza mi ha maturato come musicista e come persona, inutile negarlo”.

Ci pensi, alla faccenda del B&B? Scuote la testa. “Quell’appartamento doveva diventare un Museo”. Conclude.

E chi se ne sarebbe occupato, abbi pazienza? Gli domando tra me e me, ma lascio cadere l’argomento. Troppo dolore. Gustiamoci invece questi momenti. In fondo gli siamo vicini, no?

Entriamo e ci sediamo in prima fila, accanto ad una simpatica coppia di Baricella, Andrea e Catia, “Donatori Amadé” come noi.

Sul fondo della sala, ma in una posizione che gli consente di osservare tutti, a cominciare dai Musicisti, un busto di Napoleone, giunto qui a Bologna nel 1796.

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Il primo brano:

W.A. Mozart (1756-1791), Quartetto per flauto e archi n. 1 in Re maggiore, K 285

Herman van Kogelenberg, flauto

Manuel Kastl, violino

Margherita Fanton, viola, in sostituzione di Francesca Piccioni

Luca Bacelli, violoncello.

 

Eccoli, i nostri

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Composizione: Mannheim, 25 dicembre 1777

  1. Allegro (re maggiore)
  2. Adagio (si minore)
  3. Rondò Allegretto (re maggiore)

“Il Quartetto in re maggiore K. 285, il primo di una serie composta un po’ contro volontà (e non terminata) per l’olandese De Jean (Mozart non amò particolarmente il flauto), è del periodo di Mannheim [1], e precisamente del dicembre 1777. Il flauto domina incontrastato in tutti e tre i tempi: viola e violoncello nell’Allegro si limitano a qualche intervento di natura essenzialmente ritmica giacché anche nello sviluppo dal punto di vista armonico non ci sono eventi particolari, solamente il violino per poche battute è trattato al pari del flauto. L’Adagio in si minore con i caratteristici ‘sospiri’ mannheimiani si annovera tra i più bei tempi di tutta la letteratura flautistica: lo strumento a fiato con la sua melodia malinconica è come esaltato dai delicatissimi pizzicati degli archi. Conclude il Quartetto un Rondò tra i più impegnativi per il violinista, la cui parte di accompagnamento si rivela una sorta di perpetuum mobile che fa da sfondo al protagonismo del flauto accanto al quale il violino stenta ad affermarsi” Così una preziosa Guida all’Ascolto.

 

 

Tutti bravissimi; in particolare Herman col lungo flauto dorato.

 

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Al termine, scambiamo quattro chiacchiere.

Breve stacco e via, con il secondo brano.

Di scena il grande Felix.

 

Felix Mendelssohn – Bartholdy (1809-1847), Quintetto per archi n. 2 in Si bemolle maggiore op. 87

Francesco Senese, Tilman Bünig, violini

Behrang Rassekhi, Luigi Mazzucato, viole

Gabriele Geminiani, violoncello

 

Sono proprio a pochissimo da noi…..

Francesco, un centimetro davanti a me, chiede volete che ci spostiamo un po’ più avanti?

Ma va’ là… Desidero sentirvi respirare, perbacco!

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Vera musica da camera come si faceva in casa Mendelssohn, a Lipsia, con Felix e l’amata sorella Fanny, poi coniugata Hansel, morta lo stesso anno del fratello. Ottima musicista, fine compositrice a sua volta; ma, in quanto donna, per lei era ..sconveniente esibirsi al di fuori delle mura di casa. Pare fosse pure l’opinione del padre, il quale non tollerava la sua attività di compositrice.

Egli le scrisse nel 1820: “La musica forse diventerà la sua (di Felix) professione, mentre per te può e deve essere solo un ornamento”. Felix, invece, la supportava sia come compositrice che come artista, anche se era cauto (probabilmente per ragioni familiari) sull’idea che lei pubblicasse a suo nome le proprie opere. Egli comunque la aiutò ad arrangiare un certo numero di componimenti che lei pubblicò come propri, e lei in cambio aiutò lui con considerazioni critiche sulle sue partiture, considerazione delle quali il fratello faceva tesoro.

Per i nostri criteri di valutazione fu una figura sacrificata e, per di più, oggetto –pare- della gelosia della cognata, Cecile Jeanrenaud.

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Quello di oggi è lo stesso brano che fu suonato in Piazza Maggiore, il 5 luglio 2016 [2] prima della proiezione del film L’Orchestra. Claudio Abbado e i musicisti della Mozart.

La squadra era un po’ diversa, con Gisella Curtolo (viola) e Verena Maria Fitz (violino “Jean” e capelli lunghi ramati), ma c’erano Gabriele, Behrang e Francesco, qui presenti oggi. Serata triste e dolcissima.

Dunque:

  1. Allegro vivace (si bemolle maggiore)
  2. Andante scherzando (sol minore)
  3. Adagio e lento (re minore)
  4. Allegro molto vivace (si bemolle maggiore)

Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, s. a.

 

Composizione: Lipsia, 8 luglio 1845

 

 

 

Inquadramento dotto:

“Il Quintetto op. 87 di Mendelssohn appartiene all’ultimo periodo di produzione artistica; teniamo però presente che la maturità Felix l’aveva raggiunta fin dai sedici anni, allorché impiegò una prima volta un quintetto d’archi (con violino, violoncello, due viole e contrabbasso) assieme al pianoforte nel brillantissimo Sestetto op. 110. Il primo Quintetto d’archi (2 violini, 2 viole, 1 violoncello) risale al 1831 (op. 18), il secondo è dell’estate del 1845, lo stesso anno in cui pubblicò, dopo un intenso periodo di lavoro, il Concerto in mi minore op. 64, composto per Ferdinand David, Konzertmeister dell’Orchestra del Gewandhaus a Lipsia che lo consigliò riguardo ai problemi strettamente violinistici. Non sorprende dunque nel Quintetto op. 87 una raffinata scrittura della parte del primo violino, decisamente concertante nell’Allegro vivace iniziale e di spicco anche nell’Adagio. Eric Werner valuta molto positivamente il secondo tempo, Andante scherzando, ‘un quadro ritmicamente incisivo’ che ‘fa ampiamente uso di pizzicati e spostamenti di accenti, così da essere uno dei movimenti in cui Mendelssohn seduce qualsiasi musicista per la loro eleganza formale (anche se spesso criticata o definita tout court ‘superficiale’). Il miglior Mendelssohn è quasi sempre il sinfonista: l’Adagio e lento in re minore in cui si rivela la sua maestria d’orchestrazione ci mostra un Mendelssohn elegiaco, lontano da ogni manierismo salottiero. Dell’Allegro molto vivace finale Werner rileva essenzialmente la combinazione di stile concertante e contrappuntistico della coda. La prima esecuzione del quintetto ebbe luogo solo cinque anni dopo la morte dell’autore, il 29 novembre 1852 nel Gewandhaus di Lipsia”.

Brevissime riflessioni dello spettatore profano, pur appassionato, sui diversi momenti e movimenti.

Pieno di vivacità e di entusiasmo romantico, con la guida del violoncello, l’inizio (Allegro vivace).

Nel secondo movimento (Andante scherzando) attacco dei violini… -Francesco e Tilman- giocano coi pizzicati

Adagio e lento Meditativo e drammatico.. Esprime i sentimenti in maniera forte…li butta letteralmente fuori.

Si cambia registro di 360° nell’Allegro molto vivace finale.

Tutta una festa. Applausi a scena aperta.om-festival-2019-28-4-19-secondo-concerto-1

 

 

E tutti insieme, alla fine, si godono il nostro abbraccio

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Un simpatico rinfresco… Chiacchiere, emozioni, pizzette calde ed ottimo vino.

Ecco Francesco col Consulente Artistico

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Magari quei due  si stanno scambiando pensieri sulla nomina del nuovo Direttore Musicale, ormai prossima.

José Vicente Castello, dal luminoso sorriso, ci confida che, in Spagna, Napoleone non è così popolare come in Francia o in Italia. Eh certo… se riflettiamo un attimo sulla Storia….

 

A tra poco!

 

Ultima parte del nostro denso Festival. Appuntamento alle ore 17:00.

Rammento il programma

Felix Mendelssohn-Bartholdy, Ouverture da Sogno di una notte di mezza estate Op. 61

 

Wolfgang Amadeus Mozart, Concerto per pianoforte e orchestra n. 22 in Mi bemolle maggiore, K 482

 

Franz Schubert, Sinfonia n. 5 in Si bemolle maggiore, D 485.

 

Una breve riflessione, non farina del mio sacco, ovviamente, bensì tratta dai commenti di preparazione al Festival 2019: opera dell’ottimo Giacomo Tesini.

Il nostro violinista rammenta come il primo brano del concerto che andremo a godere -cioè l’Ouverture dal Sogno di una notte di mezza estate di Mendelssohn, 1842- si colleghi al pomeriggio di ieri, e cioè alle Metamorfosi di Ovidio di Benjamin Britten con cui ci ha intrattenuto il nostro Lucas, mago dell’oboe.

Quasi centovent’anni dopo Felix, in Gran Bretagna, il compositore inglese -che, con Ovidio, aveva già attinto ad una delle fonti letterarie del Sogno shakespeariano- scrive un’opera il cui libretto è composto interamente da versi di Shakespeare [3]. Legami magici.

 

Ci si prepara, su e giù per le scale del Teatro Manzoni. Gisella Curtolo e Hermann van Kogelenberg

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Pochi istanti di attesa…I Piloti scaldano i motori

 

Pronti…Via!

Al di là delle battute, due parole su questo concerto che si apre con l’onirica Ouverture da Sogno di una notte di mezza estate di Felix Mendelssohn-Bartholdy.

Mendelssohn può essere considerato un artista interdisciplinare: il suo amore per la letteratura è attestato dal fatto che, giovanissimo, godette della stima e protezione di Wolfgang Goethe. Goethe ebbe una profonda e duratura simpatia per Felix, sin da quando gli fu presentato da Carl Friedrich Zelter, suo consigliere musicale e già insegnante di armonia dello stesso Felix a Berlino. I rapporti tra il poeta, ottantenne, e il giovanissimo musicista (il primo incontro avvenne nel 1821) furono sempre molto cordiali e improntati ad un forte, comune interesse per i problemi della vita culturale, in primo luogo tedesca. Più volte Mendelssohn si recò in casa di Goethe e fu invitato a suonare al pianoforte musiche sue e di diversi autori, commentandole con osservazioni estetiche e filosofiche, spaziando in ambito letterario.

Un accenno all’opera completa, A Midsummer Night’s Dream (Sogno di una notte di mezza Estate), Op. 61

Musica: Felix Mendelssohn-Bartholdy (1809 – 1847)

  1. Ouverture – Allegro vivace (mi maggiore)
  2. Scherzo – Allegro molto vivace (sol minore)
  3. Marcia degli Elfi – Allegro molto vivace (sol minore)
  4. Bunte – lied per coro – Allegro non troppo (la maggiore – la minore)
  5. Intermezzo – Allegro appassionato (la minore)
  6. Notturno – Con moto tranquillo (mi maggiore)
  7. Hochzeitmarsch (Marcia nuziale) – Allegro vivace (do maggiore)
  8. Prologo (Marcia funebre) – Allegro commodo (do maggiore)
  9. Ein Tanz con Rupeln (Danza dei contadini) – Allegro molto (mi maggiore)
  10. Finale – Allegro vivace (do maggiore)

 

Composizione: 1842

Organico: soprano, mezzosoprano, coro femminile, 2 flauti, 2 oboi, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 3 trombe, 3 tromboni, basso tuba, timpani, percussioni, archi

Prima rappresentazione: Postdam, Neuer Palais Theater del Sanssouci-Schloß, 14 Ottobre 1843 a Berlino, in un allestimento curato dallo scrittore Ludwig Tieck e dallo stesso Mendelssohn, alla presenza della corte di Friedrich Wilhelm IV, re di Prussia.

Edizione: Breitkopf & Härtel, Lipsia, 1842

Composto da Mendelssohn nel pieno della sua maturità (ma recuperando l’Ouverture che aveva scritto all’età di soli diciassette anni), e da molti considerato il suo maggior capolavoro, il Sogno di una notte di mezza estate appartiene a un genere del tutto particolare della musica romantica, e cioè quello delle musiche di scena scritte per il teatro drammatico. Un genere ibrido, in effetti, che, per via della presenza dell’orchestra, è imparentato con la Sinfonia e con tutto quanto di nobile e di importante siamo abituati ad associare alla scrittura orchestrale; ma che si colloca, in realtà, in un territorio molto più contingente, occasionale, nascendo come supporto sonoro per una particolare rappresentazione teatrale, come musica “funzionale”, di scena; quindi, senza particolari ambizioni di “durata” nel tempo al di là dell’occasione specifica per la quale era stata composta.

Il primo brano della serie è dunque l’Ouverture, composta nel 1826 come brano orchestrale indipendente destinato a un’esecuzione concertistica e riutilizzato poi nel contesto teatrale come pezzo di “apertura” da eseguirsi a sipario ancora chiuso. Scritta in forma sonata (e cioè con la classica architettura basata sulla tripartizione Esposizione – Sviluppo – Ripresa, e sulla presenza di più temi), quest’ Ouverture possiede in effetti respiro, dimensioni, complessità e articolazione degne di un primo movimento di Sinfonia. E inoltre è perfettamente legata sia al contesto shakespeariano (l’Autore studiò a lungo Shakespeare), sia al resto delle musiche, rendendo l’opera pienamente compatta e perfettamente coerente. Da vero sogno. Claudio Abbado con L.S.O.; 1986 mi pare.

 

 

 

 

La gioia continua con un brano che l’Orchestra esegue per la prima volta.

Si tratta di :

Wolfgang Amadeus Mozart, Concerto per pianoforte e orchestra n. 22 in Mi bemolle maggiore, K 482

Al pianoforte: Martin Helmchen

Un breve profilo di questo simpatico solista cappellone in stile musicista romantico

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Nato a Berlino nel 1982, Helmchen esplora tutti gli aspetti della musica classica a partire dalla sua passione per la musica da camera e dalle prime collaborazioni con il compianto violoncellista Boris Pergamenschikow. Ha collaborato e collabora con le maggiori compagini europee e coi Direttori più prestigiosi.

I suoi partner di musica da camera sono Juliane Banse, Matthias Goerne, Veronika Eberle, Marie-Elisabeth Hecker, Christian Tetzlaff, Antje Weithaas, Carolin Widmann e Frank Peter Zimmermann. È abitualmente invitato alla Wigmore Hall di Londra.

La Scandinavia è al centro della sua stagione 2018/19, che include il suo debutto con la Oslo Philharmonic, oltre al ritorno alla Danish National Symphony Orchestra e alla Royal Stockholm Philharmonic Orchestra. Altrove, debutta con l’Orchestra Sinfonica di Montréal, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e l’ Orchestre Philharmonique de Luxemburg. Helmchen continua la sua stretta collaborazione con la Deutsches Symphonie Orchester di Berlino con Andrew Manze, e ritorna anche alla Boston Symphony Orchestra.

Ha intrapreso inoltre un progetto integrale delle Sonate di Beethoven con Frank Peter Zimmermann, che si estenderà fino al 2019/2020, e presenta il duo a Londra, Berlino, Dresda, Friburgo, Varsavia, Madrid e Bilbao.

Martin Helmchen è un artista esclusivo di Alpha Classics. L’anno scorso ha pubblicato un CD solista con le Variazioni Diabelli di Beethoven, un CD di musica da camera di Schumann con Marie-Elisabeth Hecker e Antje Weithaas e un CD in duo con Marie-Elisabeth Hecker con musiche di Brahms. Ha registrato numerosi dischi per Pentatone Classics, tra cui concerti per pianoforte di Mozart, Schumann e Mendelssohn, nonché musica da camera di Schubert, Schumann e Brahms.

Allievo di Galina Iwanzowa a Berlino, Helmchen ha continuato i suoi studi con Arie Vardie alla Hochschule für Musik di Hannover. I suoi altri mentori includono William Grant Naboré e Alfred Brendel. Nel 2001 ha vinto il “Concours Clara Haskil” e nel 2006 ha vinto il “Credit Suisse Young Artist Award”. Dal 2010, Martin Helmchen è Professore associato di musica da camera presso l’Accademia di Kronberg.

Martin Helmchen suona pure con la moglie, la violoncellista Marie Elisabeth Heckert in duo e in varie formazioni cameristiche.

 

Qualche nota sul Concerto di stasera.

Esso si articola su tre movimenti

  1. Allegro (mi bemolle maggiore)
  2. Andante (do minore)
  3. Rondò. Allegro (mi bemolle maggiore)

Organico: pianoforte, flauto, 2 clarinetti, 2 fagotti, 2 corni, 2 trombe, timpani, archi

Composizione: Vienna, 16 Dicembre 1785

Prima esecuzione: Vienna, Burgtheater, 23 Dicembre 1785

Edizione: Andrè, Offenbach 1800

Nel primo tempo (Allegro) non ci scostiamo da una coloritura brillante che non porta nulla di nuovo rispetto ai precedenti concerti.

Nell’Andante, una serie di stupende variazioni su un tema in Do minore, dà luogo ad un intimo colloquio tra il pianoforte e i singoli strumenti.

Nella parte centrale del tema conclusivo (Allegro) troviamo un andantino cantabile che interrompe le rapide e brillanti evoluzioni dello strumento solista presenti all’inizio e nella ripresa del tema iniziale.

Il brano porta la data del 16 dicembre 1785 e fu eseguito a Vienna la prima volta il 23 dicembre dello stesso anno ottenendo un grande successo da parte del pubblico che volle la replica dell’Andante. Si trattava del resto di un periodo -forse il solo periodo- fortunato nella vita viennese del musicista. Le poche lettere di quegli anni giunte fino a noi rispecchiano uno stato d’animo sollevato ed euforico, con vivaci istantanee dell’ambiente musicale viennese in un’epoca dove gli artisti lavoravano personalmente a contatto col pubblico. “Ora come potete immaginare -scrive Mozart al padre- devo necessariamente suonare e quindi scrivere cose nuove. L’intera mattinata la dedico agli allievi e quasi tutte le sere ho da suonare”. E in un’altra lettera a Leopoldo dice: “Eccovi l’elenco di tutti i miei abbonati. Io da solo ne ho trenta di più che Richter e Fischer insieme. Il primo concerto è andato benissimo. La sala era piena zeppa e il nuovo concerto da me eseguito è piaciuto straordinariamente. Ovunque si sente lodare questa accademia…”.

Ed è per queste accademie -concerti a sottoscrizione- che Mozart scrisse quattordici Concerti per pianoforte e orchestra, tra i quali quello in mi bemolle che si esegue stasera.

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Ed ecco il gioioso Allegro che sembra fatto apposta per noi

 


In conclusione, non poteva mancare il caro Franz Schubert.

 

La Sinfonia n.5 in Si bemolle maggiore D 485, composta all’età di diciott’anni, può essere considerata l’inizio del passaggio verso la sua maturità artistica.

Mentre nella precedente Quarta Sinfonia (cosiddetta “Tragica”, ma è un nome attribuito dopo) il compositore si era ispirato a forme beethoveniane, qui il modello è Mozart, con il palese riferimento alla sinfonia K. 550; tuttavia, le ridotte dimensioni e la sobrietà dell’organico orchestrale fanno trasparire gli intenti di una destinazione cameristica. Il brano, privo dei grandi effetti del sinfonismo romantico, deve essere eseguito “senza trombe e timpani”, così Schubert indica in occasione della sua prima esecuzione avvenuta nell’autunno del 1816 presso la dimora del violinista Otto Hatwig. Della compagine orchestrale, diretta per l’occasione da Hatwig, fanno parte anche lo stesso Schubert alla viola e suo fratello Ferdinand, primo violino.

La partitura, articolata in quattro movimenti, è scritta per un organico formato da flauto, due oboi, due fagotti, due corni e archi.

Il primo movimento, Allegro, si presenta elegante e ben equilibrato; due sono i temi, uno delicato e cantabile, l’altro più elaborato e vigoroso. Lo scambio continuo dei ruoli tra gli strumenti e l’alternanza archi-legni lo rendono particolarmente brioso.

Il secondo movimento, Andante con moto, mostra, a parere degli studiosi, alcune curiose analogie con la celebre sinfonia in sol minore K. 550 di Mozart: stessa tonalità, mi bemolle maggiore, uguale metro, 6/8; certamente di stampo mozartiano è il grazioso e delicato tema principale, nella parte centrale reso ancor più affascinante con delicati passaggi e modulazioni.

Nel terzo movimento, Minuetto – Allegro molto – Trio, è palese il riferimento alla sinfonia K. 550; se ne discosta il Trio, a carattere di Ländler, con il fagotto che canta la melodia assieme ai violini.

Il quarto movimento, Allegro vivace, si snoda ricco di modulazioni e di effetti timbrici. Brioso e irruente il primo tema, ricorda alquanto le sonorità di Haydn; il secondo tema, più tranquillo, evoca ancora una volta le morbide e delicate melodie mozartiane.

Ecco una memorabile direzione di Claudio Abbado del 1986, a Vienna con Chamber Orchestra of Europe in occasione del 40° anniversario dell’UNICEF.

Dati sia la giornata, a cominciare dal Concerto del mattino con relativa “location”, sia il fatto che siamo in chiusura di un Festival memorabile, è del tutto coerente.

 

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Torniamo al nostro Manzoni.

Applausi e standing ovation per l’Orchestra e per questo fantastico “Capitano” che ha traghettato la nave fuori del porto, verso il mare aperto, come scrissi a suo tempo.

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Due del Board dell’Orchestra- Manuel e Francesco- si congratulano.

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Il momento dei saluti.

All’ “Uscita degli Artisti”, posta sulla breve strada a lato del teatro, li saluto ad uno ad uno, a cominciare da quelli che conosco -e sono la maggioranza-. Baci, abbracci, scherzose frasi di circostanza (“In bocca…all’ostetrica” per il quasi papà Luca Franzetti)…Carissime Lorenza e Gisella …Grandissimo Manuel….Hermann, fantastico averti conosciuto da vicino…Giacomo, uno di famiglia-famiglia, straordinario Gabri; come del resto Francesco, Maria Francesca e Sara Marzadori -con Voi  ci si rivedrà nell’arco di pochi mesi in occasione dei Sabati all’Accademia Filarmonica-…..

Passa il Maestro sottobraccio alla moglie: “God bless you..” gli mormoro, ma non mi sente perché è un po’ provato; non insisto.

Josè Vicente è strafelice per la presenza del suo bambino. Ho sempre avuto un debole per i Papà.

“Ecco la mia amica, Mara” Carissimo Lucas, grazie infinite…Anzitutto di esserci. Un abbraccione a tutta la famiglia, a cominciare dai più piccoli. Felicitazioni per la Tua Orchestra Filarmonica di Oviedo. Bella città vero? Annuisce con un sorriso.

Mi è piaciuto molto quanto hai detto nell’intervista al Resto del Carlino il 25 scorso. E cioè: “Qualcuno nuovo entra sempre, ma l’importante è mantenere un nucleo forte che possa crescere insieme perché un’orchestra deve diventare un gruppo unico e la filosofia della Mozart ti entra nella pelle come un marchio tanto da rendere necessario per ciascuno di noi tornare a farne parte. E’ lo stesso prodigio che Abbado fece coi Berliner: dopo di lui la loro musica migliorò”. Sorride contento “Quando ci rivedremo?” mi fa Mah…Senz’altro l’anno prossimo! Gli rispondo e concludo: O magari prima, chissà….Ma ogni volta che ci ritroveremo sembrerà sia trascorso solo un attimo.

Non si tratta della frase di circostanza per stemperare l’inevitabile, pur leggera, malinconia di un saluto. L’Orchestra Mozart è un luogo dello Spirito, come l’Associazione Mozart 14. Se penso all’una, subito mi viene in mente l’altra.

E verso entrambe tendo a portare persone alle quali mi sento, in vario modo, legata; perché so che apprezzerebbero questi due meravigliosi Sogni che si realizzano e crescono giorno dopo giorno. Don Chisciotte è sempre in ricerca: realizzato un sogno, eccone pronto un altro.

 

Non è il momento della pausa per alcuni di loro.

Un ristretto gruppo di figure rappresentative dovrà a breve nominare il nuovo Direttore Musicale. Un onere non da poco. Questo avverrà in autunno; o anche prima, mi pare di aver capito: forse entro maggio, addirittura. Ohibò….

Chi compone il ristretto gruppo? E’ presto detto.

Il Presidente dell’Accademia Filarmonica di Bologna, Loris Azzaroni, il Consulente Artistico, Gaston Fournier Facio, e il Board dell’Orchestra, composto da cinque componenti della stessa: due “legni” (Mattia Petrilli, flauto e Lucas Macias Navarro, oboe) e tre “archi” (Francesco Senese, Manuel Kastl e Raphael Christ, violini).

Rispetto agli anni abbadiani c’è una certa differenza. Nella Mozart originaria -quella che non ho direttamente conosciuto- tutto passava dalla visione del Maestro. Oggi l’organizzazione è diversa: c’è il board che sintetizza le idee e fa da punto di riferimento. E’ divenuta, per così dire, più democratica, ma non ha affatto perduto lo spirito del suo fondatore. C’è un senso di fratellanza (che mi ha sempre colpito) derivante dal fatto che ognuno di loro è stato scelto personalmente da Abbado Tutti vedono questo come un imprimatur comune. A cominciare, lo ripeto senza sosta, dal principio del reciproco ascolto; far funzionare la grande musica sinfonica con lo stesso piglio e la medesima cura che si mette nella cameristica.

Sui componenti del  board grava una notevole responsabilità. Riflessione -maturazione lenta, la migliore- e massimo riserbo.

Solo un anticipo operativo da parte di “Fournier” (così gli piace esser chiamato).

“Col Nuovo Direttore si intraprenderanno esecuzioni, oltre che classico e romantico, pure di inizio Novecento”.

Ecco la foto dello staff operativo, al termine di un’esperienza meravigliosa. Alfredo, Paola, Flavia, Virginia, Laura con il Presidente Loris  e il Consulente Artistico Gaston, anzi. Fournier!

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In attesa della notizia che tanto ci sta a cuore, ecco una novità, significativa direi; che riporto come Postilla.

A inizio maggio è stata presentata a Milano, a Palazzo Marino, una nuova Orchestra.

Ha un nome simpatico, “LaFil” (Filarmonica di Milano, da non confondersi con la Filarmonica della Scala, nata nel 1982 da un’idea- chissà- mai- di- chi): prevede nuove modalità di comunicazione, nuove tecnologie sinergiche, una nuova sede, non teatrale, Palazzo delle Scintille, City Life.

Nasce secondo una formula definita “nuova” da Giuseppina Manin nell’articolo sul Corriere della Sera del 7 maggio scorso. Qual è questa formula? Si tratta di un progetto (dedicato ora a Schumann e, in autunno, a Brahms) sorto per mettere in luce nuovi talenti e riunire generazioni diverse: musicisti affermati e giovani. Vi troviamo infatti alcune prime parti di ensembles prestigiosi (provenienza: Scala, S. Cecilia, Opera di Roma, Comunale di Bologna, Fenice di Venezia, Maggio Fiorentino, Wiener e Berliner, MCO, ecc, ecc.), ben lieti di confrontarsi con i nuovi colleghi, freschi di diploma o quasi.

A propiziarne la nascita e a dirigere il primo concerto, il prossimo 31 maggio -presso la sede, ore 20:00- il Maestro Daniele Gatti, primo Direttore musicale, al quale si alternerà il trentenne Marco Seco, stimatissimo al Gewandhaus di Lipsia e all’Opera di Copenhagen. Splendido.

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Marco Seco è uno dei fondatori di LaFil insieme a Luca Formenton (Editore de il Saggiatore), Roberto Tarenzi, viola del Borciani, Carlo Maria Parazzoli, primo violino di S. Cecilia.

La Filarmonica -che avrà una residenza estiva a Sestri Levante- insieme col Comune e a tutti i sostenitori, festeggerà la nascita del progetto, come detto dedicato a Schumann, offrendo gratuitamente i primi due concerti, 31 maggio (Sinfonia Prima e Terza) e 2 giugno (Sinfonia Seconda e Quarta), fino ad esaurimento posti. Basta prenotarsi sul sito web: www.lafil.com

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La nascita di una nuova compagine musicale, composta da artisti di vaglia, è sempre, di per sé, una festa.

 

Peraltro, cara Manin, la “formula” non è nuova: la conosco bene e, per questo, ne sono felicissima. Strano che Lei, nel suo commento, non ne faccia cenno. Forse non ha ben presente tutto questo perché l’Orchestra Mozart (questa sì novità assoluta) è realtà storicamente bolognese e Lei di Bologna, nel suo bel libro, uscito nel gennaio 2015 [4], si è occupata poco, solo in modo rapido.

 

LaFil presenta la propria “filosofia” come inedita; tuttavia questo non è vero, detto con sincerità.

Ma tant’è. Interessa invece che siamo di fronte a un’ulteriore prova che i semi gettati da un certo Signore diverso tempo fa germogliano quando magari, da spettatore ignaro, non te lo aspetteresti.

Ecco che cosa è accaduto nel mio terrazzo interno ricco di piante: una mattina, l’anno scorso, individuai, in un grande vaso di rose, due creaturine verdi sconosciute. Le avevo battezzate, in un primo momento, come erbacce. Osservandole da vicino, al momento di estirparle, mi accorsi che trattavasi di piccoli fichi.

Fichi? Nei giardini vicini non avevo visto in precedenza alberi di fico, almeno così mi era parso.

Mentre gli steli timidi, mai visti prima, facenti capolino in un altro vasetto poco più in là sono mughetti. Faranno i fiori tra un paio d’anni, se tutto va bene.

Con le piogge scroscianti di questi giorni gli uni e gli altri stanno crescendo alla grande.

Da dove e come sono venuti qui i nuovi ospiti? E chi lo sa. Vie misteriose, come nella Musica.

 

 

[1] Mozart, ventunenne, vi era giunto, con la madre, il 30 ottobre 777, lasciandosi alle spalle l’infruttuoso soggiorno a Monaco ed Augusta.

[2] V. mio commento su questo sito (Gennaio 2017), Orchestra Mozart risuona. 6 Gennaio 2017, si riaccende la Gioia.

 

[3] Si tratta del Sogno di una notte di mezza estate (A Midsummer Night’s Dream), opera lirica di Britten (1960), liberamente tratta dal lavoro di Shakespeare, eseguita per la prima volta l’11 giugno 1960 al Festival di Aldenburgh, diretta dall’Autore.

[4] V. commento su questo sito (Marzo 2015, ma ripreso più volte) a: Giuseppina MANIN, Nel giardino della Musica. Claudio Abbado: la vita, l’arte, l’impegno, Ed. Guanda Milano, 2015, pp. 174.