Museo Ebraico di Bologna, 29 marzo 2011, ore 17.30
L’Ufficio culturale dell’Ambasciata di Israele a Roma partecipa quest’anno con un proprio padiglione alla prestigiosa Fiera del Libro per Ragazzi di Bologna, giunta quest’anno alla 48a Edizione.
Com'è noto, la letteratura per l'infanzia ha sempre rivestito un ruolo di rilievo nell'ambito della cultura israeliana: anche gli scrittori più illustri e noti all’estero non disdegnano di misurarsi con tale genere, che è andato via via sviluppandosi in contemporanea con l’uso sempre più variegato della lingua ebraica man mano che essa si è forgiata nell’incontro con la realtà quotidiana.
L’Ambasciata ospita nello stand editori, autori, illustratori, agenti letterari; ospite d’onore: la celebre poetessa Nurit Zarchi (נורית זרחי).
Nata a Gerusalemme nel 1941, Nurit è cresciuta in due kibbutzim della valle diYizre’el, dapprima a Geva e successivamente nel vicino Ein Harod.
Dopo gli studi di Psicologia presso l’Università di Gerusalemme, si è dedicata al giornalismo e alla letteratura, sia per l’infanzia che per gli adulti. Ha pubblicato romanzi, raccolte di novelle e poesie, saggi e un notevole numero (un centinaio) di libri per l’infanzia. Nel suo Paese è stata insignita dei principali riconoscimenti letterari, tra cui, nel 1999, il Premio Bialik e, per ben due volte, il Premio d’Israele per la Letteratura.
La sua scrittura è caratterizzata da un uso originale della lingua, da un notevole umorismo, virante talora verso il grottesco, nonché da una forte innovazione metaforica. Professore ospite nelle principali università israeliane e straniere, è considerata un maestro nella letteratura post moderna ed è studiata in varie Facoltà di letteratura contemporanea.
I suoi libri sono stati pubblicati in Europa, negli USA e in Estremo Oriente, nonché tradotti in ben 15 lingue. Nel nostro Paese è uscito finora solo il racconto L’epidemia, tradotto da Alessandra Shomroni, inserito nella raccolta AA. VV., Racconti crudeli dei più grandi narratori israeliani, edito nel 2001 da Stampa Alternativa (Viterbo).
Famosa è la raccolta di 20 storie dal titolo Chi conosce Tanina?
Tanina è una sorta di Bambina / Strega, in grado di cambiare il proprio aspetto, da buono a cattivo, diventando grande e poi rimpicciolendosi; suscitando così identificazione nei bambini, negli adolescenti e negli adulti.
Tra i numerosi impegni della scrittrice a Bologna c’è quello di oggi pomeriggio, presso il locale Museo Ebraico.
Al mio arrivo, una ventina di minuti prima dell’inizio, ella è già lì. Mentre parla svelta in ebraico con una ragazza bruna e un bel giovane barbuto -lettore di Lingua Ebraica presso la nostra Università-, la vedo indaffarata a sistemare con cura sul tavolo di vetro, attorno al quale si siederanno gli ospiti, libri e libretti editi in Israele, ricchi di illustrazioni. Il fascino irresistibile delle opere destinate ai piccoli lettori.
Sandali semplici portati senza calze, pantaloni larghi, ampia blusa a fiori, il tutto completato da uno spolverino rosso acceso, aria piacevolmente casual, Nurit non ha nulla a che vedere con il personaggio dall’aria corrucciata e solfurea che occhieggia tra i rami spogli di un alberello -in lontananza, l’immancabile corvo, visibile sulla versione segnalibro-, così come la raffigura l’immagine / simbolo dell’incontro di oggi.
Concorda, allorché mi presento e glielo faccio notare: “Yes, a witch!” Ride di gusto.
Sopraggiunge il suo interlocutore nell’incontro, il Prof. Antonio Faeti, a lungo titolare della cattedra di Letteratura per l’Infanzia presso il nostro Ateneo (la prima in Italia), critico di fama europea, ispiratore del Centro culturale e Libreria per ragazzi “Giannino Stoppani” (l’eterno Gian Burrasca, nato dalla fantasia di Luigi Bertelli, detto Vamba, nel 1907), costituito nel 1983 da un gruppo di sue allieve.
Di fronte ad un pubblico attento, dopo il benvenuto del Direttore, Franco Bonilauri, il Prof. Faeti ci parla del profondo rapporto tra Ebrei e Letteratura per l’Infanzia.
Ma, prima ancora, rende affettuoso omaggio al suo, per così dire, mentore: Ubaldo Lopez Pegna, docente di Filosofia all’Istituto magistrale, costretto a peregrinare per l’Italia a causa dapprima del suo antifascismo, indi cacciato dalla scuola in ottemperanza alle Leggi Razziali del 1938, autore, dopo la Liberazione, di un corposo mémoire dal significativo titolo Io esistevo per il fascismo.
Come mai tanta attenzione, da parte del mondo ebraico verso l’Infanzia, si chiede il Professore, ricordando gli editori ebrei dell’800, come Bemporad di Firenze o Donath di Genova (senza dimenticare che il primo editore di Emilio Salgàri, del quale ricorre il centenario della morte, fu un ebreo)?
Facile la risposta, anche alla luce delle celebrazioni per il 150° Anniversario dell’Unità.
Essi erano tutti patrioti italiani, che avevano compreso l’importanza dell’educazione a valori positivi e di solidarietà fin dai primi anni di vita.
Nel presentare la nostra poetessa, per apprezzare adeguatamente la quale, sostiene, non sarebbe sufficiente un semestre di studio universitario, Faeti evidenzia come i radicali principi comunitari che stanno alla base del kibbutz (l’ossatura, la struttura fondante della società israeliana) costituiscano il vero antidoto alla solitudine e all’emarginazione patita dalla Sirenetta; emarginazione che è pure metafora del doloroso isolamento sofferto da Hans Christian Andersen a causa della propria omosessualità, nella puritana società danese dell’epoca.
Nascondimento…Metafora…..sono i fili conduttori che ci guidano nell’universo infantile, dove le favole, al di là dell’apparenza, non hanno mai, o quasi, sapore consolatorio -com’è vero, basti pensare a Hansel e Gretel, la fiaba che preferivo da piccola!-.
Nei ghetti dell’Est Europa la finzione simbolica era, per i bambini, un rifugio che consentiva loro di salvarsi e sopravvivere.
“Così come lo stato di ‘orfanezza’ precoce -comune a Nurit e a me-“ confessa “ci ha indotti ad una sorta di…spostamento immaginativo verso un orizzonte metaforico per vivere e salvarci”.
Il Professore parla di Israele con sensibile partecipazione, con una capacità di coinvolgimento che mi emoziona come non mai, accenti rari nell’attuale clima di ottusa delegittimazione di tale Paese. In Israele, egli sottolinea, convergono tante esperienze diverse, tante comunità, orizzonti, sfumature, lingue del contesto originario di provenienza; e nuova lingua, imparata nella terra di arrivo, plasmata man mano che la si usa. Su tutto un sentimento palpabile di precarietà: l’unico Stato, nel mondo, la cui esistenza è costantemente in discussione. Ciò non può non influire sulla psicologia delle persone, a cominciare dai più piccoli; spontaneo quindi il ricorso al fiabesco, allo spazio del sogno, del possibile, la ricerca di un luogo dove tutte le frammentarietà potranno ricomporsi.
Nurit Zarchi si concentra, a sua volta, sul tema della “lingua”, su questo uccello strano, come lo definisce, utilizzato nella vita quotidiana, che sta “dentro, fuori e attorno a noi”, nel corpo e nell’anima. A lungo l’ebraico è stato usato pressoché solo come lingua sacra, poi, quando sono iniziate le aliyot, alla fine del XIX secolo, è sorta la necessità di creare un linguaggio comune a tutti. O, meglio, ricrearlo.
Ci racconta l’epopea di Eliezer Ben Yehuda, con una voce calda, musicale, mentre il bel giovane con barba, accanto a lei, traduce partecipe. La scrittrice attinge ai ricordi d’infanzia e della prima adolescenza quando, alle prese con un lessico in continua trasformazione, rinveniva nuovi vocaboli da imparare in calce ad ogni libretto (in colore diverso, rosso, giallo, blu) assegnatole in lettura dalla biblioteca del kibbutz. L’evoluzione della lingua continua ancora oggi; anzi, in certi casi, ha aspetti di..involuzione: i bambini israeliani non hanno ormai più il tempo di pronunciare la parola “ken” (sì), si limitano a dire “k(e)”! Sorride complice e prosegue. L’ebraico di oggi prende i suoi vocaboli qua e là: dal russo, dall’inglese, dall’arabo……
Ricordo all’istante Etgar Keret quando confessa: “Per salutarci siamo soliti dire tov-yallah-bye” “E attingiamo pure” precisa lei “dal gergo dell’esercito!”
Chissà che ne penserebbe Ron Leshem, autore di Tredici soldati (Rizzoli, 2007)…..[1]
“La letteratura in genere, e la nostra in particolare, sembrerebbe complicata, ma occorre tener conto che essa è in continua evoluzione perché è la lingua ad essere in perenne trasformazione, anche grazie agli scrittori che, usandola nelle loro opere, la plasmano, la cambiano”.
Nurit ha una capacità espressiva davvero unica e coinvolgente nel raccontare le sue storie, all’apparenza assurde. Non contenta della personale…performance chiama in aiuto l’Addetta culturale dell’Ambasciata di Israele a Roma, Ofra Farhi, seduta nelle prime file, grazie al cui impegno ella oggi è qui. Una giovane donna dall’aspetto gioioso, il personaggio ideale per leggere, interpretandolo, un raccontino che si svolge al Polo Sud.
In un italiano abbastanza sicuro, venato di “israelianità” quanto mai conferente, mimica efficacissima, Ofra ci fa ritornare bambini e gliene siamo tutti davvero grati.
All’uscita avvicino il Prof. Faeti per rammentargli che, tanti anni fa, mio padre Ugo, scomparso a fine 2006, umorista ed illustratore, lo aveva conosciuto ed apprezzato; il mio interlocutore lo ricorda, a sua volta, con grande stima ed affetto ed è lieto di incontrarmi. Rievoca alcuni simpatici aneddoti, sulle lontane Fiere del Libro cui anche mio padre partecipò, perché amava molto il mondo dell’infanzia. “Ho ben presente che Suo Padre aveva illustrato, prima ancora, Il Vecchio e il Mare di Hemingway per Mondadori: era un esperto ‘arnoldologo’ perché sapeva tutto di Arnoldo Mondadori, vita, carattere, abitudini. Una volta lo scrittore americano venne in Italia e io mi feci scrivere una dedica da lui su una copia del romanzo che avevo portato con me. Era l’edizione della Medusa -I grandi narratori di ogni Paese- di Mondadori, illustrata da Ugo Marantonio”. Sorride commosso.
Una favola tra le favole.