(Titolo originale: EASY VIRTUE; G.B. 2008)
            [Riporto qui il commento che scrissi, circa due or sono, in occasione dell’uscita di questo spumeggiante film. Una riflessione su quanto poco si evolvano in definitiva le dinamiche familiari; o, per essere più ottimisti e positivi, su quanto poco esse fossero cambiate tra l’inizio del secolo scorso e i primi anni Settanta del Novecento. Oggi, chissà….. ]
Siamo alla fine dei Roaring Twenties. Un giovane nobiluomo britannico, John Witthaker, durante un soggiorno a Montecarlo, s’innamora di una bellissima e spregiudicata ragazza di Detroit, Larita Huntington, vincitrice di un locale Grand Prix automobilistico, e la sposa.

 

             Siamo alla fine dei Roaring Twenties. Un giovane nobiluomo britannico, John Witthaker, durante un soggiorno a Montecarlo, s’innamora di una bellissima e spregiudicata ragazza di Detroit, Larita Huntington, vincitrice di un locale Grand Prix automobilistico, segue, a breve distanza di tempo, il momento di presentazione alla famiglia, che vive in una vasta e sufficientemente lugubre villa nella campagna inglese, oppressa dai debiti e dalla nostalgia del tempo che fu.
Nonostante disponga di una discreta dose di far play e di spirito di adattamento, Larita percepisce subito l’ostilità della suocera, accompagnata dall’inevitabile freddezza nei suoi confronti delle due sorelle di John. Al quadretto pare far eccezione il capofamiglia, un uomo dall’aspetto prestante, ma trasandato, che vive per lo più in una sorta di capanno degli attrezzi, indifferente alle vicissitudini finanziarie del gruppo: la Grande Guerra, risalente a circa un quindicennio prima, ha lasciato forti tracce di cinismo e disillusione nel suo animo. Egli è per natura allergico ad ogni forma di ipocrisia, che traspare da ogni frase e gesto dei congiunti, ma in grado di comprendere l’intelligenza e l’ironia. Nella nuova venuta egli vede un tocco di novità e di sincera gioia di vivere; qualcuno con cui parlare e rivelarsi.
Il regista australiano Stephan Elliot ha tratto dalla commedia che Noel Coward scrisse, a 23 anni, nel 1924 un piacevolissimo film nel quale sarcasmo, spirito romantico, passione, cinismo, sono fusi in una sintesi davvero originale, sullo sfondo dell’antica contrapposizione tra vecchio e nuovo mondo. I personaggi sono tratteggiati con maestria grazie alla grande bravura degl’interpreti.
Kristin Scott Thomas è Veronica, la madre, una donna frustrata nel sesso e negli affetti, che vede nella giovane nuora una minaccia all’equilibrio polveroso e falso che si era illusa di aver creato all’interno della famiglia. Al suo rampollo aveva destinato la figlia del Milord confinante (per il quale ella nutre un segreto e inconfessato sentimento e che alla fine acquisterà la proprietà), Sarah Hurst, una bellezza bruna e tranquilla -diffidare delle apparenze, Milady-, conosciuta fin dalla più tenera infanzia.
Il marito, padrone di casa presente/assente, chiamato solo Mister Witthaker, ha le sembianze del grande Colin Firth, che rende alla perfezione i rimpianti e i rimorsi di chi, ricordando gli eventi bellici non si sa perdonare che “….da quell’attacco l’altro capitano ha portato tutti indietro vivi, io nessuno”. Egli non sopporta le falsità dell’ambiente in cui vive, cui reagisce con frasi al fiele. Di fronte all’ansia stizzita della moglie al momento dell’ingresso alla villa della cabriolet con a bordo il rampollo e la novella sposa, sibila all’augusta consorte: “Fingi [di essere contenta], siamo inglesi…”
Ben Barnes è John, ragazzo esuberante, desideroso di evadere dal suo mondo, ma incapace di rendersi autonomo e di spiccare il volo in modo definitivo; per questo va alla ricerca di donne forti e sicure di sé. Oggi Larita, domani magari…..
La giovane Jessica Biel è un’impagabile, irresistibile Larita: spregiudicata quanto basta, riesce a stupire nelle circostanze più disparate, come quando, pur riluttante all’idea, partecipa ad una battuta di caccia alla volpe, che com’è noto, esige che si svolga a cavallo. Ella arriva a cavallo, sì, ma di una…potente motocicletta!
Sotto la scorza di una disinvolta femminista -siamo all’epoca delle flappers, della prima emancipazione femminile che si esprime oltre il ristretto ambito della borghesia progressista di fine ‘800- si cela un animo sensibile, tormentato da una tragedia vissuta alcuni anni prima.
Coessenziali all’intreccio e alla compagine familiare sono le due sorelle di John, Hilda e Marion, che, è ovvio, non sopportano la cognata (da loro soprannominata la…“fallofila”): la prima perduta nel rimpianto di un fidanzato, probabilmente mai esistito, i cui lineamenti cerca di rintracciare in questa o quella persona; la seconda occupata nel vano tentativo di attrarre su di sé l’attenzione di Phillip Hurst, fratello di Sarah, uomo affascinante in barba -o forse grazie- a un lieve handicap fisico.
Chiude la scena il maggiordomo. Sembrerebbe, lì per lì, un giovanotto tutto gelo british, ma in realtà, col suo occhieggiare tra una stanza e l’altra, ci fa capire ben presto per chi faccia il tifo!
Due parole sul titolo originale, il medesimo della commedia: “Easy Virtue”. La cifra per comprendere è la Finzione: Falsa è la “Virtù” dei Signori; come finto è l’essere “Facile” di Larita, che si dimostrerà assai più sensibile ed umana dell’altezzosa famiglia.
Il film è all’insegna della battuta pronta e veloce, ma sa sfumare in una catturante sensualità. Dal charleston al tango di una delle ultime scene, il climax: un capolavoro di perfezione; stilistica, ma soprattutto evocativa.
Di grande suggestione è tutta la vicenda per chi, come chi scrive, ha avuto modo di vedere una società medio-borghese la quale, fatte le dovute astrazioni da alcuni particolari, ricorda molto da vicino, nelle sue malsane debolezze, l’aristocrazia britannica raffigurata nella pellicola.
Poteva talora succedere, alcuni decenni or sono, che una giovane sposa, di gradevole aspetto, ma estranea alla solita cerchia delle comuni conoscenze (e magari, scandalo!, impegnata in un’attività lavorativa, per di più lontana dal canonico, ideale-per-una-donna-unico-tollerato, insegnamento), al momento dell’ingresso nella famiglia dello sposo, non fosse accolta proprio a braccia aperte. C’era ad attenderla la suocera col sorriso a denti stretti, supportata sovente da un’ancestrale figlia, costantemente timorosa di perdere i propri privilegi. Insomma, la principessa ereditaria; peraltro non di rado  priva del…regno!
               A salvar la situazione c’era la parte maschile del gruppo, e, in primo luogo, il giovane coniuge.
Impossibile per la madre trattenerlo, poiché egli aveva già spiccato il volo.


Scritto il 10 febbraio 2009