27 LUGLIO, GIOVEDI
Ora è di turno la Germania.
Anche in questo caso, brevi flash da approfondire.
Partiamo dalla guerra del 1870, conclusiva del processo di unità nazionale tedesca: Guglielmo, già Re di Prussia dal 1861, è proclamato Imperatore col nome di Guglielmo I nella Sala degli Specchi della Reggia di Versailles il 18 gennaio 1871.
Un significativo particolare: in Germania, prima della riunificazione, c’erano circa 300 tra ducati e staterelli vari; dopo tale evento ne resta un decimo, cioè 30!
Nell’impostazione del Cancelliere Bismark, quella del 1870 avrebbe dovuto essere l’ultima guerra europea, in un assetto fondato sull’isolamento della Francia, dove alla “nuova” Germania sarebbe spettato il ruolo di ago della bilancia.
Fra gli effetti della guerra franco-prussiana, dal lato tedesco, ne segnaliamo anzitutto due.
In primo luogo, la nascita di uno Stato (Impero) in parte protestante -cioè luterano-, in parte cattolico, sotto un sovrano luterano.
Ne deriva un aspro scontro tra cattolici e protestanti con leggi e disposizioni a vantaggio di questi ultimi, cosiddetto Kulturkampf (Battaglia per la cultura). Argomento interessante sia per gli accostamenti con le analoghe iniziative francesi e italiane, sia per le premesse, poi utilizzate al tempo del nazismo.
In seguito la situazione si sdrammatizza. Nell’estate del 1882 la Germania riallaccia i rapporti col Vaticano.
Nel 1886/1887 sono emanate le cosiddette Friedengesetze, cioè Leggi di Pacificazione che concludono il conflitto. Papa Leone XIII dichiara ufficialmente chiusa la lotta “che tanto ha danneggiato la Chiesa e nulla ha portato alla Stato” (23 maggio 1887).
Quanto al secondo effetto, prendiamo in considerazione la ricchezza, anzitutto in termini finanziari, derivata alla Germania quale conseguenza della sconfitta francese; il che consente alla stessa Germania di diventare in breve una potenza industriale.
Il cambiamento nella regione è davvero enorme.
L’industrializzazione, iniziata dopo il 1830 e sviluppatasi con lo sfruttamento di giacimenti di ferro e carbone e con la costruzione delle prime reti ferroviarie, ha pure l’effetto di creare nel Paese una borghesia industriale liberale sul modello di quella inglese.
L’1 luglio 1867 era stato costituito un nuovo Stato, con un Reichtag, cioè Parlamento, eletto a suffragio universale; elemento principale: la Confederazione Tedesca del Nord, con la Sassonia insieme alla Prussia (che ne ha la presidenza).
Intanto il Cancelliere Bismark, con estrema spregiudicatezza, opera una politica volta alla riunificazione di tutti i territori tedeschi, riuscendo, aspetto rilevante, a spingere la Francia di Napoleone III a dichiarare guerra alla Confederazione stessa tramite un dispaccio diplomatico falsificato (19 luglio 1870). Ne segue una guerra che porta, poco dopo, alla capitolazione francese. E alla proclamazione, come sappiamo, dell’Impero.
Abbiamo dunque uno Stato centralizzato (Costituzione dell’aprile 1871) dove tutte le scelte rilevanti sono nelle mani del Governo centrale, retto da un Cancelliere e da Segretari di Stato che non dipendono dalla maggioranza parlamentare, ma dall’Imperatore, il Kaiser, con il potere in capo a lui di nominarli e sospenderli, oltre a quello di poter prorogare o sciogliere il Parlamento.
La potestà legislativa è divisa tra Reichstag (eletto a suffragio universale ogni cinque anni) e Bundesrat (Consiglio federale); senza l’approvazione di quest’ultimo le leggi non possono essere promulgate.
Dinamismo capitalista, negli anni fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Forte sviluppo economico che include pure l’agricoltura, la quale si modernizza e non risente della crescita dell’industria. Notevole incremento demografico.
Concorrenza con la Gran Bretagna. Si cominciano a delineare due poli: da una parte, il “vecchio” capitalismo di Francia e Gran Bretagna; dall’altra, quello “nuovo” di Germania e U.S.A.
Come accoglie il primo conflitto mondiale l’opinione pubblica tedesca? In generale in modo positivo, socialisti compresi; pur nascendo riserve in merito all’occupazione del Belgio.
La campagna pubblicitaria francese contro la Germania, presentata come una realtà barbara, priva di valori, sorprende i tedeschi.
Sorti della guerra decise in modo sfavorevole per la Germania con l’intervento americano (1917) e nonostante le vittorie sul fronte orientale.
La Germania, fra il 1917 e il 1918, si trova, come l’Impero asburgico, in gravi difficoltà: economico-finanziarie e di disponibilità delle risorse; “blocco” inglese che neutralizza le vittorie tedesche conseguite a Est.
La situazione politica, in Germania, diviene confusa e conflittuale: al cambiamento istituzionale infatti, da monarchia a repubblica, si accompagnano tentativi di presa del potere da parte di diverse formazioni politiche.
Risentimenti ed estremismi, incoraggiati dalle dure condizioni imposte dal Trattato di Versailles, danno fiato alle forze più destabilizzanti. Questo non solo nell’immediato, ma soprattutto negli anni seguenti, com’è noto.
La Rivoluzione bolscevica è un mito che attrae milioni di persone, ma che suscita pure la spinta contraria: formazioni militari e paramilitari di estrema destra.
Problema dei reduci.
Su tutto aleggia l’incubo delle riparazioni di guerra.
Il Trattato di Versailles deve essere sottoscritto, pena l’occupazione della Germania da parte delle potenze vincitrici.
L’esercito può essere composto solo di 1000.000 uomini, peraltro solo destinati a conservare l’ordine pubblico. Inaccettabile per la Germania.
Il marco tradizionale (Papiermark) non c’è più, sostituito dal Rentenmark (entrato in scena nel novembre 1923) che frena l’inflazione alle stelle.
Debito tedesco impossibile da pagare; i Paesi vincitori, d’altronde, debbono giustificare alle rispettive opinioni pubbliche che è valsa la pena combattere una guerra tanto sanguinosa.
Nonostante tutto questo la Germania cerca di reinserirsi nel concerto delle Nazioni.
Nel decennio 1920/1930 l’Unione Sovietica appare peraltro abbastanza defilata.
1933 – Anno d’ascesa del Nazismo. Il relativo partito (NSDAP) all’inizio non raccoglie troppe adesioni.
Ma il relativo programma -piena occupazione, Freikorps, cioè le famigerate SA [1], il tutto tenuto insieme dal collante dell’antisemitismo, che premia sempre- ha via via enorme successo.
Il 30 gennaio Adolf Hitler diventa Cancelliere del Reich, pur non avendo la maggioranza; come del resto non l’aveva Benito Mussolini nel 1922.
Disoccupazione eliminata; organizzazione sociale che dà vita ad uno Stato totalitario.
Nello stesso anno la Chiesa cattolica toglie la scomunica a chi s’iscrive al partito nazista.
In tre mesi la situazione si ribalta davvero.
Tutto è allineato in vista del “superamento di Versailles”: riprendersi i territori perduti e farlo con la guerra. Al contrario del Trattato, che vieta ciò.
Il nazismo entra ovunque -pensiamo alla persecuzione antisemita, ma non c’è solo quella-. Delazioni all’ordine del giorno; anche in famiglia. Anzi, a cominciare dalla famiglia.
1936 – Rimilitarizzazione della Renania [2]. Nessuno si oppone.
1938 (Marzo)– Anschluss , lett. Collegamento [3].
Obiettivo Danzica.
Per occupare la Polonia Hitler ha bisogno della collaborazione di Stalin.
Patto Molotov / Ribbentrop. E’ il Trattato di non aggressione fra il Reich e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche comunemente chiamato patto Molotov-Ribbentrop o patto Hitler-Stalin, stipulato a Mosca il 23 agosto 1939 fra la Germania nazista e l’Unione Sovietica, firmato rispettivamente dal Ministro degli Esteri sovietico Viačeslav Molotov e dal Ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop.
I contraenti si impegnano a non aggredirsi reciprocamente, a non appoggiare potenze terze in azioni offensive e a non entrare in coalizioni rivolte contro uno di essi.
L’accordo inoltre definisce, in base ad un “Protocollo segreto”, anche le rispettive acquisizioni territoriali corrispondenti agli obiettivi di espansione: in questo modo l’URSS si assicura l’annessione di Polonia orientale, Paesi Baltici e Bessarabia per ristabilire i vecchi confini dell’Impero zarista, mentre la Germania si vede riconosciute le pretese sulla parte occidentale della Polonia.
Guerra e sue vicende.
Shoah: Deportazione e uccisione di 6 milioni di Ebrei ad opera del regime nazista e dei suoi “volonterosi carnefici” europei.
Resistenza. Valore simbolico del sacrificio dei giovani della Rosa Bianca [4]. Simbolico perché è questa la nuova Germania, afferma con convinzione Giampaolo.
“Come possiamo aspettarci che la giustizia prevalga quando non c’è quasi nessuno disposto a dare se stesso individualmente per una giusta causa? È una giornata di sole così bella, e devo andare, ma che importa la mia morte, se attraverso di noi migliaia di persone sono risvegliate e suscitate all’azione?”
Così Sophie Scholl, responsabile del gruppo insieme al fratello Hans.
20 luglio 1944- Fallito (per poco) attentato contro Hitler promosso da alcuni ufficiali guidati dal Colonnello Klaus Schenk von Stauffenberg; anche se il complotto coinvolge, in modo più o meno diretto, migliaia di persone, tra le quali figure diverse e, per vari aspetti, notissime quali: Erwin Rommel e Dietrich Bonhöfer. [5]
Dall’armistizio (maggio 1945) al 1949 non abbiamo uno Stato tedesco, bensì un Paese occupato, con ciò che ne consegue.
Konrad Adenauer [6], Cancelliere dal 1949 al 1963, già Sindaco di Colonia (1917/1933), è il protagonista della vita politica tedesca di quegli anni: cattolici e protestanti insieme. Fondatore della CDU (Unione Cristiano Democratica della Germania).
Sull’altro fronte, i Socialisti (la SPD) rinunciano alla pregiudiziale marxista.
Pian piano il pre-governo diventa un vero e proprio governo.
Miracolo economico tedesco.
Rapporti con tutto il mondo.
3 ottobre 1990- Riunificazione tedesca, Wiederverheinigung.
“L’impero del male” cioè l’URSS era lo stesso, ma l’Imperatore….era cambiato.
Mikhail Gorbaciov è l’autore dell’apertura definitiva a Occidente: non devono esserci più Stati satelliti, vere “palle al piede”.
Prima di lui, Nikita Krusciov –curiosità della Storia, era stato Ministro dell’Agricoltura, come più tardi lo sarà Gorbaciov- è consapevole della necessità di un cambiamento. Dopo la morte di Stalin e fino all’inizio degli anni ’60 anticipa quanto Gorbaciov completerà nel prosieguo del tempo.
L’Unione Sovietica, ad un certo punto, non dispone delle risorse per far tornare a casa le truppe distaccate fuori del Paese. Poco prima della caduta del Muro, la Germania paga la somma necessaria e si “compra” la riunificazione.
Gorbaciov, giunto a Berlino Est per le celebrazioni del quarantesimo della DDR (Deutsche Demokratische Republik), era stato accolto dalle folle come un liberatore: Gorby, salvaci tu! Durante l’estate si erano verificate fughe di tedeschi da est verso ovest; dapprima poche decine, poi centinaia e poi migliaia. E così accadeva negli altri Paesi dell’impero sovietico, ormai in fase di crollo inevitabile; anche se tutto poteva apparire non così evidente. Si dice che il Muro crollò per il richiamo del cosiddetto Deutsche Mark. Quest’ultimo nacque nel giugno 1948, stampato negli USA, non emesso da alcuna banca centrale, valido solo a Berlino Ovest. I sovietici reagirono emettendo l’Ostmark e misero la città sotto assedio. I berlinesi sopravvissero grazie al famoso ponte aereo, ma le due monete sancirono la divisione. E nell’agosto 1961 per impedire le fughe dal paradiso socialista, la costruzione del Muro, die Maurer.
Il resto lo conosciamo.
Problematiche, in primo luogo monetarie, sorte con i cinque Länder della ex DDR.
Collaborazione con la Francia ed egemonia delle lobbies finanziarie.
Politica spregiudicata e, alla fine autolesionista e catastrofica per l’Europa, di Angela Merkel, su tutta la linea; compresa -oggi- quella in tema di immigrazione.
Veloce visita a Bressanone, dopo pranzo.
Permettetemi alcune altre notizie storiche, che completano quelle stringate di ieri.
La conca di Bressanone è abitata da oltre 10.000 anni: i primi insediamenti risalgono infatti al neolitico.
Si presume che già un documento dell’828 d.C., in cui è nominata “Pressena”, si riferisca a Bressanone. È certo, poi, che si parli di Bressanone in un atto di donazione con cui, nel 901, il Re carolingio Ludovico IV regala un territorio denominato Meierhof Prihsna al Vescovo Zaccaria di Sabbiona.
Grazie alla costruzione del Duomo, della Pieve e del Palazzo vescovile, l’insediamento presto si trasforma in città e, nel 1150, viene circondato da mura.
Per secoli, Bressanone è stata sede di principato vescovile con un’influenza estesa ben oltre i confini del Tirolo, rappresentando un ponte tra l’Italia settentrionale e la Germania meridionale.
Il Rinascimento lascia tracce evidenti negli edifici cittadini, ma è il Barocco a caratterizzare la città e la sua architettura: il Duomo viene modificato, mentre la residenza e sede amministrativa dei vescovi, il Palazzo Vescovile, è ampliato e trasformato in un palazzo di rappresentanza.
Con la costruzione della ferrovia del Brennero nel 1867, Bressanone acquista importanza come luogo di cura del Tirolo meridionale.
Durante la Prima Guerra Mondiale, la città vive il conflitto come sede di guarnigione e di lazzaretto e, con il trattato di Saint Germain-en-Laye (1919) Bressanone e l’Alto Adige divengono parte del Regno d’Italia.
Con il fascismo e la Seconda Guerra Mondiale Bressanone trascorre un periodo buio; dopo il 1945 comincia la ripresa.
Nonostante, nel 1964, la Sede vescovile venga trasferita da Bressanone a Bolzano, la prima continua ad essere considerata luogo di notevole importanza dalla popolazione cattolica dell’Alto Adige.
Oggi, Bressanone è il centro economico della Val d’Isarco e la terza città per grandezza dell’Alto Adige, con un centro storico pittoresco e interessante.
Notiamo, ancora una volta, l’estrema cura nella tutela del verde.
Perfetto equilibrio Uomo / Ambiente.
“Mentre Bressanone viene protetta dalle piene, portiamo il fiume nella città e la gente nello spazio del fiume”. Non è un suggestivo slogan, ma realtà quotidiana.
Sul prato di fianco alla Cattedrale incontriamo una simpatica famiglia berlinese: due giovani genitori, con i loro figli di pochi anni: Livia e Konstantin.
Ritorniamo veloci alla base.
Guai perdere una sillaba o una nota.
Oggi pomeriggio andiamo A EST
I musicisti trattati questo pomeriggio, esordisce Giacomo -cui di solito spetta aprire le danze- si inseriscono in modo perfetto nei filoni culturali loro contemporanei:
1) Il Naturalismo di Émile Zola in Letteratura
e
2) Il Verismo di Vincent van Gogh in Pittura.
Infatti lo stesso desiderio di rapportarsi al Vero concerne i compositori odierni.
Béla Bartok [7], il primo che ascolteremo, sostiene che la vera Musica popolare non è quella popolaresca suonata dalle orchestrine nei ristoranti per divertire il pubblico, bensì la Musica nata nelle campagne, che ci fa giungere subito alla realtà vera, vissuta.
Il Violinista cita un testo di Bartok, edito in Italia da Bollati Boringhieri nel 1997, col significativo titolo Scritti sulla musica popolare.
Argomenti davvero suggestivi anche per ragazzini sensibili.
Aneddoto di casa Abbado. Il piccolo Claudio, decenne o giù di lì, era talmente entusiasta di quelle musiche da scrivere su un muro della Milano occupata dai tedeschi: VIVA BARTOK!!!!
Figuriamoci. Si sta ricercando, pare, un partigiano il cui nome di battaglia assomiglia al fantomatico Bartok. Uno scrupoloso quanto ignorante ufficiale della Gestapo, riuscito a risalire all’indirizzo del colpevole, accompagnato dai suoi accoliti, bussa insistente alla porta di quella casa di musicisti.
Viene ad aprire mamma Linuzza (Maria Carmela), docente di pianoforte. Ignara delle prodezze del figlioletto birbante, non comprende le domande che le vengono rivolte; ma giunge subito Claudio, il quale confessa con candore: “Sì, sono stato io a scrivere. Bartok è il mio compositore preferito. Che male c’è?”. Quelli non la bevono e ritengono che il discolo li prenda in giro, coprendo qualcuno. Per convincerli e liberarsi dell’odiosa presenza sarà necessario tirar fuori le partiture di Microcosmos che Claudio sta studiando.
“Vedete che cosa c’è scritto? Bartok. Nulla di sovversivo.” O forse sì, scherza Giuseppina Manin che riporta il gustoso episodio nel libro dedicato al Maestro milanese, ma questo..mistero, conclude l’Autrice, i nazisti non lo scopriranno mai! [8]
Bartok, autore prolifico, ma che non si confronta col genere “sinfonia”, insieme al collega Zoltan Kodaly [9], si reca, munito di una sorta di antenato del registratore, il cosiddetto Cilindro di Edison [10], nelle campagne ungheresi e rumene per conoscere le musiche popolari e fermarle nella memoria, cogliendone l’essenza.
I due registrano nel tempo con una certa fedeltà circa 9000 canzoni!
Diverse, tra esse, vengono rielaborate dai musicisti ed utilizzate per le loro composizioni.
Disponiamo di cilindri sulle Danze Popolari Rumene che Bartok (1917) reinterpretò in tre versioni: per pianoforte; per piccola orchestra; per violino e pianoforte.
I nostri fantasiosi Maestri ci fanno ascoltare La danza del bastone, Jocul cu bâtă in rumeno (poi rielaborata da Bartok e inserita nelle Danze rumene): risalente al 1912. Si balla con un bastone.
e La danza della fascia. L’audio non sarà il massimo, ma la suggestione è incredibile.
Passiamo ad un’interpretazione dei nostri giorni. Musica popolare suonata con gli strumenti della tradizione colta europea.
Via, alle Danze popolari rumene!
Il primo Autore di oggi, secondo il programma distribuito, ma che vediamo per secondo, è
Leoš Janáček
Di origine ceca (Hukvaldy, Moravia, 1854 / Ostrava -terza città della Repubblica ceca dopo Praga e Brno-, 1928). Studia a Praga, Lipsia, Vienna. E’ docente di composizione e direttore del Conservatorio di Brno. Compone molte opere teatrali tra cui: Šárka (1887); Jenufa (o La figliastra, 1904), che è ritenuta la migliore; Destino (1906); I viaggi del signor Brouček (1920); Kát’a Kabanová (1921); La volpe astuta (1924); L’affare Makropulos (1926); Da una casa di morti (rappresentata postuma, nel 1930, ispirata a Dostoevskij).
Inoltre è autore di musica corale, orchestrale, da camera. Nella sua produzione, stilisticamente influenzata dagli impressionisti francesi, è fatto largo e geniale uso di elementi etnici moravi. Celebri, tra i pezzi sinfonici, Taras Bulba (1918) e la Sinfonietta (1926). In lui, pur ormai anziano, si vede la giovane avanguardia musicale del suo Paese.
Ci viene proposta la Sonata per violino e pianoforte (1914/1915)
Articolata su quattro movimenti
Con moto
Ballada
Allegretto
Adagio
Al nostro Janáček interessa sì la Musica popolare in sé, ma soprattutto sono importanti i rumori, le inflessioni della voce, le sfumature più diverse; intende infatti rompere col mondo tradizionale tedesco. Qui non abbiamo il “mattocino” di partenza che Beethoven utilizza per costruire un movimento o un brano -Giacomo spiega uno dei concetti che ritiene, a ragione, più rilevanti-, ma un fluire di infinite variazioni, anzi di ripetizioni. E’ la suggestione di questa Musica.
Massimo spiega come l’itinerario compositivo della Sonata risenta in modo evidente dei contraccolpi, emotivi e psicologici, degli anni della Prima Guerra Mondiale; dallo scoppio -26 giugno 1914- alla disgregazione dell’Impero austro-ungarico, seguita dalla liberazione dei popoli cèco e slovacco. Partito da un’idea patriottica e da intenti nazionalistici (La Sonata per violino fu scritta all’inizio della guerra, “…quando attendevamo i russi in Moravia”, ricorda l’autore ancora nel 1922, e i russi erano visti quali fratelli liberatori), Janàček col tempo mitiga l’alta temperatura dell’esaltazione bellica, cioè di quando alla sua mente eccitata sembra di “percepire i clangori dell’acciaio affilato”, e rende più contrastante l’insieme di sensazioni che la guerra gli aveva suggerito.
Il travaglio della Sonata, la cui versione definitiva contempla alla fine un Adagio nient’affatto liberatorio, è caratterizzato dalla oscillazione tra differenti stati d’animo, tra aggressività e introversione, ansia e speranza: quasi come in un caleidoscopio nel quale tutti questi elementi sono agitati alla rinfusa, senza precise intenzioni.
L’aspetto tipico del brano è quindi costituito da una continua nervosità, da sbalzi d’umore improvvisi e laceranti, di cui l’estrosa spigliatezza -evidentemente ricalcata sui modi tipici esecutivi della musica popolare, tanto del canto quanto del parlato- è il corrispettivo sul piano prettamente compositivo.
Così il Con moto iniziale può richiamare alla mente gli stilemi del violinismo tzigano, con tanto di pizzicati, ed è espressione di un’isteria senza freni, tesa e bruciante, resa ancor più stridente dalla contrapposizione degli stili: velocità affrettata degli accompagnamenti e flemma sinistra del canto. Siamo davvero vicini a quelle zone della psiche di cui ci parlano Kafka e Kundera nei loro romanzi.
La Ballada con moto che segue è una parentesi lirica tutta giocata sulla grazia della melodia e la decisa emancipazione del pensiero armonico; eppure anche qui si avverte un che di paradossale, di non completamente svelato; una piacevolezza per così dire inquieta, negata.
L’Allegretto, con le sue movenze di danza gaia e vivace, pare indiavolato; disturbato forse da una latente tendenza all’accelerazione ritmica e alla sfasatura metrica e minacciato da un’instabilità timbrica secca e intermittente, con strappi nervosi; poi si distende tra luci e ombre, o meglio tra colori sgargianti e improvvisi e crudi bianco-neri.
Da questo punto di vista l’Adagio finale è la chiave di lettura più appropriata per intendere la Sonata come una confessione di forza vitale e di mortale debolezza, in contrato perenne tra loro.
Riporto alcune annotazioni perspicue del musicologo Sergio Sablich.
“La polifonia di stili incontrata nel corso dell’opera non si risolve in un contrappunto dialettico: e l’identità del tutto, tanto del piano complessivo così laborioso quanto dei particolari così lucidamente personalizzati, si frantuma in una follia afasica, senza neppure più i connotati di una parvenza che non sia schizofrenica. Sussurri e grida si confondono, velocità e lentezza si sovrappongono, violino e pianoforte si scambiano le funzioni, fino a non sapere più come interagire, se non con apprensive interiezioni. Il violino balbetta ancora qualcosa, poi tace. La disgregazione è compiuta. Anche la Cecoslovacchia libera intanto era nata, ma questa musica non sembra il suo inno di battesimo”.
Siamo all’ultimo Autore di oggi,
Sergej Sergeevič Prokof’ev [11]
Ma non ci limitiamo a lui: i Russi, almeno uno sguardo a vol d’uccello, lo meritano, caspita!
Massimo e Giacomo insistono sull’importanza della dimensione SPAZIO nella Musica russa. Pensiamo, per esempio, alla Sinfonia Sesta, Patetica, Ilic Cajkovskij (1840-1893), fin dal suo primo movimento. Ecco una dichiarazione suggestiva di Sir Antonio Pappano, un grande, davvero: emozionante sentirlo parlare, con quell’accento incredibile anglo-campano, vederlo dirigere o suonare il pianoforte…..Amatissimo.
Fin verso il 1860 la Musica russa è, per così dire, colonizzata dagli italiani.
Poi alcuni Autori cercano di recuperare le tradizioni nazionali.
Ecco allora che nasce il cosiddetto Gruppo dei Cinque [12].
Si tratta di cinque compositori classici non professionisti (alcuni avevano intrapreso, ad esempio, la carriera militare) capeggiati da Milij Balakiriev (Nižnij Novgorod, 2 gennaio 1837 / San Pietroburgo, 29 maggio 1910), i quali -a S. Pietroburgo- danno origine a un filone musicale tipicamente russo, sganciato quanto più possibile dalla tradizione dell’Occidente europeo e quindi dalle sue convenzioni accademiche. Essi potrebbero essere definiti come una derivazione del Nazionalismo romantico in Russia; così come la colonia di Abramcevo [13] e il revival russo cercano di raggiungere obiettivi simili nel campo delle Belle Arti.
Massimo si sofferma, in modo sintetico ma efficace, sulla profonda suggestione di queste musiche che esprimono vasti Spazi e Coralità.
Pensiamo solo, ad esempio, al Boris Godunov (1860) di M. Musorgskij con quella grande campana in scena, o ai Quadri per un’esposizione (1874) dello stesso Autore.
Passando ad altro compositore, ad esempio Igor’ Fëdorovič Stravinskij, lo sappiamo: lavora a Parigi, indi negli USA; ma resta profondamente russo.
Nella Sagra della Primavera (1913) suscita scandalo il celebre ballerino Vaclav Nijinski: la ballerina (o il ballerino) che danza e danza fino allo sfinimento. Il contesto cui si rifà Stravinskij sono le melodie tradizionali russe. Aspetto che spesso è posto in secondo piano poiché lo si vede come il musicista puro, del futuro e dunque sganciato dal contesto di partenza.
Figura drammatica e poliedrica, di incredibile produttività -comporre gli riusciva con estrema facilità, un po’ come a Mozart- è Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič (San Pietroburgo, 25 settembre 1906 / Mosca, 9 agosto 1975). Rimane sempre nella sua Patria, cui era troppo legato per andarsene, e tutta la vita deve confrontarsi con l’ottusità del potere sovietico e giungere spesso ad odiosi compromessi. Musicista di successo, che vive nel terrore.
La più grave delle accuse con cui lo stesso potere stroncava gli autori non graditi era “Formalismo”; cioè il dar vita ad opere troppo legate alle….forme classiche, quando viceversa la musica dev’essere scritta per il Popolo (?).
Come può esprimersi allora un vero musicista, spirito libero? Con l’ironia, ignota a chi si ritiene depositario della Verità assoluta; un po’ come capita oggi con la tirannide del politicamente corretto, i fanatici adoratori del quale non hanno per natura alcun senso dell’umorismo.
La Quinta Sinfonia del Nostro contiene marce, trionfi; ma il tono è quanto di più grottesco si possa concepire.
Il 22 Giugno 1941 le armate di Hitler varcano la frontiera sovietica e Dmitri Shostakovich, leningradese, innamorato della sua città, dall’8 Settembre 1941 si trova assediato con tutti i concittadini, dalle truppe tedesche. La richiesta di essere inviato al fronte viene respinta a causa delle sue condizioni di salute, con l’assicurazione che si renderà più utile continuando a comporre. Verrà a tale proposito impiegato nel corpo dei pompieri per sorvegliare l’edificio del Conservatorio.
In questa atmosfera nasce il progetto di una nuova Sinfonia da dedicare alle vicissitudini della città natale.
Il lavoro procede rapidamente: il 3 Settembre conclude il primo tempo, il 17 il secondo, il 29 il terzo ed il 27 Dicembre a Kuybyshev, dove erano stati sfollati i principali artisti dell’Unione Sovietica, l’intera composizione.
La Settima viene eseguita il 5 Marzo 1942 nella Casa della Cultura di Kuybyshev dall’Orchestra del Teatro Bol’soj diretta da Samuil Abramovič Samosud e ripresa il 19 Luglio 1942 a New York -dove la partitura era giunta in microfilm con un viaggio avventuroso attraverso la Persia e l’Egitto- dall’orchestra della NBC diretta da Arturo Toscanini.
Il 9 Agosto 1942 la Settima risuona anche nella Sala della Filarmonica di una Leningrado ridotta allo stremo; per l’occasione sono richiamati dal fronte i musicisti dell’Orchestra della Radio diretti da Karl Eliasberg e vengono sistemati degli altoparlanti nella periferia della città, rivolti verso i soldati tedeschi, per far sentire loro che la vita di Leningrado continua a pulsare. Magico!
La partitura, che diventa in breve il simbolo musicale della resistenza sovietica all’aggressione nazista e consacra la fama internazionale dell’Autore, è concepita, in parte anche scritta, durante l’assedio di Leningrado e riflette la drammaticità e la reazione patriottica del momento.
Insignita del Premio di Stato di Prima Classe dell’URSS la Sinfonia è inoltre una delle opere di Shostakovich subito approvate dal regime comunista, con il quale, nel corso della sua vita, il compositore intratterrà sempre, come sappiamo, rapporti complessi e spesso tragicamente conflittuali.
Ecco un trailer della Sinfonia, diretta da Teodor Currentzis; il quale ti potrà piacere o non piacere; ma non ti lascia indifferente.
Concludiamo con Sergej Sergeevič Prokof’ev, del quale, data l’ora tarda, non seguiamo la biografia.
Ci limitiamo ad affermare come la sua Musica sia ricca di umorismo.
Secondo il cosiddetto “Manifesto di Prokof’ev” essa deve contenere una melodia chiara e semplice.
Il brano di stasera, che rispetta in pieno tale tendenza e risale al 1944, è la
Sonata per violino e pianoforte n. 2, op. 94, all’inizio concepita per flauto (poi tradotta in violino, grazie a David Oistrackh) e pianoforte.
Si articola in quattro movimenti.
Moderato
Presto
Andante
Allegro con brio.
I primi due pieni di verve; una melodia a brani “spezzati”.
L’andante è pieno di tenerezza e tormento.
L’ultimo è focoso, ritmato, culminante in una sorta di esplosione.
Tanto stupendo quanto difficile da interpretare per i nostri Maestri.
Stasera abbiamo osato, confessa Giacomo, forse troppo. Dalle espressioni dei visi traspare però la soddisfazione.
E poi, in Musica, rincalza il Collega e Amico, come nella vita, si deve “osare”.
Tratti dalle mie ricerche di interpreti, ecco due mostri sacri: Gidon Kremer e Martha Argerich
28 LUGLIO, VENERDI
L’ ultima tappa riguarda l’Europa dell’Est.
Non è semplice, confessa Giampaolo, dare un taglio alla nostra conversazione.
Si tratta di un contesto vario, costituito dal vastissimo Impero romano, prima; e da quello bizantino, poi.
Pensiamo a non solo quanto fossero estesi i domini di Roma, ma quale varietà di rapporti essa intrattenesse; con i Cinesi, ad esempio. Impensabile, diresti. Ma non solo questo. Non ci sarebbero stati solo rapporti commerciali, cioè.
Il nostro docente compie una sorprendente digressione.
Esiste una popolazione cinese, nel deserto di Gobi, con tratti somatici “romani”.
I soldati di una legione fantasma, di cui nulla si seppe più nel mondo antico, dopo una spedizione in Oriente, fondarono l’unico centro romano presente in Cina, la città di Liquian, sito archeologico della provincia orientale di Gansu. La legione era al comando di Licinio Grasso, triumviro ai tempi di Cesare e Pompeo, che avviò una campagna contro i Parti in Turchia, durante la quale il suo esercito fu sgominato e lui stesso ucciso.
Lo storico Plinio racconta che i sopravvissuti furono tutti fatti prigionieri e trasferiti dai Parti in una regione del nord Afganistan.
Tuttavia allorché, anni dopo (20 a.C.), Romani e Parti siglarono la pace e si accordarono per la restituzione dei prigionieri, i componenti della sfortunata legione erano spariti nel nulla. Al mistero avrebbe dato risposta Bau Gau, un cronista dell’Impero Han (206 / 220 d.C.), secondo il quale quegli stessi prigionieri furono sconfitti da un condottiero cinese nel 36 a.C. Gli “stranieri” vennero quindi deportati in Cina per difendere la strategica provincia orientale di Gansu. E’ qui che i superstiti della legione fondarono Liquian con cui, in Cina, si indica ancora la romanità.
Fondata o meno storicamente, la vicenda molto ci dice su quanto la dimensione SPAZIO sia rilevante per tutto l’Est -come del resto ieri abbiamo sottolineato in Musica-.
Dovunque, all’Est, abbiamo forti presenze romane: pensiamo alla Romania, isola latina in un mare slavo (a parte l’ugro-finnica Ungheria).
Valerio Massimo Manfredi, nel suo romanzo storico Teutoburgo (Mondadori, 2016) ricorda come i Germanici parlassero delle “infinite strade dei Romani”.
Il mondo slavo è, di per sé, assai variegato. Il suo punto di partenza, per così dire, è la Mongolia.
Ognuno di questi popoli ha tendenza ad espandersi (la “grande Serbia” o “la grande Bulgaria”), il che, tra l’altro, è causa delle cosiddette Guerre balcaniche di inizio XX secolo.
Riscoperta, in Romania, della Latinità; contrariamente a quanto accade da noi, dove l’abolizione, o quasi, del latino a scuola in favore del Nulla ha contribuito in modo pesante a creare un Paese di irriducibili ignoranti, facile preda di personaggi senza scrupoli.
E che dire dell’Albania? Pare una variabile impazzita, che non si trova a posto da nessuna parte! Esclama il nostro Professore.
Un po’ come la Svezia -nei secoli passati, potenza dominatrice, poi decaduta- anche la Polonia era molto estesa (arrivava fino all’Ucraina), finché, a partire dal 1772, con la prima spartizione [14], essa viene fortemente ridimensionata.
Guardiamo a Nord, ai Paesi baltici: i Cavalieri Teutonici portano il Cattolicesimo. Allorché nella Storia entra Lutero, i Cavalieri colgono il vantaggio che ne deriva -la figura de Papa scompare; capo della Chiesa è il Principe-. L’Ordine si laicizza e il suo territorio diviene essenzialmente la Prussia.
Alcuni Stati (ri)emergono come nazioni alla fine della I Guerra Mondiale.
Rammentiamo poi come i Paesi baltici -indipendenti sì, per alcuni aspetti, ma non certo dal punto di vista economico- nel 1941 sono alleati dei Tedeschi; la resistenza ai sovietici durerà fino agli anni ’50 del Novecento compresi.
Alla fine della II Guerra Mondiale -il nostro docente procede per suggestivi flash- la Polonia si sposta verso Ovest di circa 200 Km, con conseguente sovrapposizione di popolazioni, lingue, fedi.
I Russi avanzano sia verso est che verso ovest.
Problemi inerenti al fatto che il progetto unitario (europeo) era stato pensato per i Paesi dell’Europa continentale; viceversa il programma di Unità europea, così come la vediamo oggi, porta ad un confronto, spesso dialettico, con sistemi politici diversi.
Compilo a quest’ultimo proposito, un elenco cronologico -quanto mai generico ed incompleto- che non tiene conto delle diverse problematiche di adesione / non adesione, standard minimi che esprimono sviluppi lunghi e complessi.
1957- Costituzione della cosiddetta Europa dei Sei -Paesi fondatori, riprenderemo il tema arrivati in Lussemburgo-: Germania, Francia, Italia, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo.
1973 – Entrano Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca
1980 – Grecia (post colonnelli) inoltra domanda, subito accolta
1986 -Spagna, Portogallo
1990 – Germania riunificata
1995 – Austria, Svezia e Finlandia
2004 – Cipro (parte greca), Malta, Ungheria, Polonia, Slovacchia, Lettonia, Estonia, Lituania, Repubblica ceca, Slovenia
2007 – Romania, Bulgaria
2013 – Croazia.
E non è finita!!
Situazione complicata per la mancanza di una politica comune su questioni di profondo rilievo.
E adesso, un po’ di relax, evviva!
Durante questo Corso, dato l’impegno che esso comporta, non abbiamo il tempo materiale per conoscere più da vicino il complesso dell’Abbazia, compresa la Chiesa. Ci sarà una prossima occasione.
In compenso oggi, subito dopo pranzo, prima del momento musicale, è possibile una visita guidata al Giardino storico.
Appuntamento all’ingresso del giardino, una rustica porta in legno.
Il nostro accompagnatore è un signore di mezza età, simpatico: indossa una maglietta gialla e calza un cappello di paglia per ripararsi dal sole gagliardo.
Entriamo in un profumato paradiso, di dimensioni vaste per un giardino.
Da sempre i monasteri hanno coltivato i giardini che, oltre all’auto-rifornimento di verdura, frutta, erbe medicinali e fiori, servivano (e servono) alla Comunità come luoghi d’incontro, di ristoro spirituale e corporale, di preghiera e di lavoro.
Nell’Abbazia dei Canonici Agostiniani di Novacella certamente c’è stato, fin dall’inizio, un giardino sia come orto sia come giardino botanico, anche se oggi non abbiamo più esatta conoscenza della sua collocazione medievale. Il giardino (orto + giardino botanico + giardino alberato) è stato restaurato, con profonda cura e dispendio di energie, negli anni 2001–2004 e, in parte, riaperto al pubblico, secondo il modello barocco: con piszinum, voliera e limonaia al lato sud dell’Abbazia.
Entrando nel giardino, si vede la sovrastante Sequoia e di fronte ad essa gli impressionanti alberi secolari di Gingko.
In mezzo si dispiega il giardino barocco con la sua bella fontana e le aiuole contenenti migliaia di fiori. Stanno maturando in vista dell’autunno i grappoli d’uva del pergolato, i quali ci invitano a passeggiare lungo di esso.
Il pergolato divide il giardino barocco dalla parte anteriore. Delle circa 75 varietà di piante officinali che crescono nel giardino botanico, fanno parte non solo quelle conosciute come l’iperico (erba di S. Giovanni), l’erba cardiaca, l’abrotano, il timo comune, la menta nelle sue diverse specie, la salvia, la trigonella ecc., ecc., ma anche erbe veramente esotiche come la citronella, la salvia di melone, il timo giamaicano e il tabacco.
Il giardino è, come detto, parte della clausura e serve, fino a oggi, alla ricreazione dei Canonici Regolari. Si può comunque visitare da aprile a ottobre come da programma affisso in segreteria.
Scattiamo diverse immagini.
Ultimo appuntamento musicale.
Il titolo non potrebbe essere più suggestivo:
IN VIAGGIO
Esordisce Giacomo: I diversi compositori hanno colorato in vari modi il loro conoscere, il loro viaggiare.
C’è chi viaggia davvero, come, ad esempio, Couperin –che entra in contatto, tanto per fare un nome, con Arcangelo Corelli [15]- oppure, citiamo un altro illustre personaggio, Pietro Locatelli.
Viaggiano Chopin, Mendelssohn, Rossini…..I russi stessi, che immagineresti legatissimi alla loro amata Patria al punto di staccarsene a malincuore, viaggiano!
C’è invece chi viaggia con la fantasia e relative suggestioni -o magari alterna i due momenti!-
Un eccezionale viaggiatore di fantasia è poi Claude Debussy. Nella sua opera Estampes (1903), una suite per pianoforte, egli associa la sua musica, espressa in brevi, suggestivi brani, ad impressioni visuali dell’Oriente, della Spagna, di paesaggi.. Abbiamo quindi: Pagodes, in omaggio al gusto giapponesizzante dell’epoca (pensiamo a Puccini), La soirée dans Grenade, Jardins sous la pluie. Piccoli gioielli che non ti stanchi di ascoltare, specie se il pianista è in gamba.
Altre suggestioni….Quali? Beh.. una può essere quella “turca”: come non ricordare, ad esempio, la “Marcia turca” di Mozart ? [16].
Oppure, sempre meraviglia di…Amadé, il Concerto per violino e orchestra n. 5 in La maggiore K 219 (1775). In esso, il Rondò conclusivo, assai elegante, si concede qualche piacevole stravaganza, accogliendo quadretti di sapore turco -era prevista una sorta di mascherata di tutti gli strumentisti in abiti turchi tzigani, all’epoca in voga senza timori! Lo ritroviamo pure in Haydn-, con evidenti reminiscenze delle Gelosie del serraglio, un balletto composto tre anni prima e lasciato incompiuto. Per questo motivo il Concerto è soprannominato Türkish. Ne scrivo, su questo sito, nella seconda giornata dell’Orchestra Mozart Festival 2018.
Prima ancora, già dal 1600, abbiamo Lully il quale compone le musiche di una commedia di Molière, Il borghese gentiluomo (Le Bourgeois gentilhomme): Comédie ballet in cinque atti, con coreografie di Pierre Beauchamp. Rappresentata per la prima volta il 14 ottobre 1670 alla corte del Re Sole nel castello di Chambord (il più importante tra i castelli della Loira), dalla compagnia teatrale di Molière, essa contiene La Danza dei Turchi.
Alla fine del XVIII secolo inizia ad affermarsi lo “Stile ungherese”: pensiamo al Trio di Haydn in Sol maggiore, che contiene, nell’ultimo movimento, il Rondò all’ungherese, pieno di Divertimento, Ritmo. Lo accennano al violino e pianoforte.
Eccolo completo di violoncello, questo spumeggiante terzo movimento.
Gradualmente ci si avvicina all’aspetto della ricerca etnomusicologia (come abbiamo già visto con Kodaly e Bartok).
Quando il nostro Giuseppe Verdi compone Aida si consulta con un egittologo.
Nel nostro percorso di Storia della Musica incontriamo Johannes Brahms il quale resta sì “in poltrona”, a casa sua, ma conosce molto bene la musiche ungheresi, la musica popolare di quel Paese -senza recarsi in loco- grazie soprattutto all’amico magiaro Joseph Joachim (Joachim József; Köpcsény, 28 giugno 1831 / Berlino, 15 agosto 1907), violinista, compositore, direttore d’orchestra.
Il Lied [17] Op. 97, n. 4, composto da Brahms nel 1884/1885, ha come titolo Dort in den Weiden (Là sui prati), ed è tratto da una canzone popolare.
Ecco il testo, in tedesco e italiano.
Dort in den Weiden
Dort in den Weiden steht ein Haus,
da schaut die Magd zum Fenster ‘raus!
Sie schaut stromauf, sie schaut stromab:
ist noch nicht da mein Herzensknab’?
Der schönste Bursch am ganzen Rhein,
den nenn’ ich mein, den nenn’ ich mein!
Des Morgens fährt er auf dem Fluss,
und singt herüber seinen Gruss, des Abends, wenn’s Glühwürmchen fliegt,
sein Nachen an das Ufer wiegt,
da kann ich mit dem Burschen mein
beisammen sein, beisammen sein!
Die Nachtigall im Fliederstrauch,
was sie da singt, versteh’ ich auch;
sie saget: übers Jahr ist Fest,
hab’ ich, mein Lieber, auch ein Nest,
wo ich dann mit dem Burschen mein
die Froh’st’ am Rhein, die Froh’st’ am Rhein
Là sui prati
Là sui prati c’è una casa
da cui guarda fuori una ragazza!
Guarda su e giù lungo il fiume:
Non c’è ancora il ragazzo del mio cuore?
Il più bel ragazzo di tutto il Reno
io dico che è il mio, che è il mio!
Al mattino va sul fiume
e mi canta il suo saluto,
la sera, quando volano le lucciole,
porta a riva la sua barca c
così che posso stare col mio ragazzo
stare insieme, stare insieme!
Quel che canta l’usignolo
nel cespuglio di lillà lo capisco anch’io;
dice: Tutto l’anno è festa,
se ho, amore mio, un nido anch’io
dove con il mio ragazzo sono
la più felice sul Reno, la più felice sul Reno!
Analoga “operazione” Brahms l’aveva compiuta nel Trio in mi bemolle maggiore per violino, corno -al posto del violoncello- e pianoforte, op. 40 (1865), tratto da musiche popolari. Per dirla col nostro Giacomo, il compositore tedesco utilizza il “mattoncino” popolare originario e lo “nobilita” secondo il proprio stile colto.
Melodie dal vago sapore zingaresco, specie nel secondo movimento, sono nel Quintetto in si minore per clarinetto e archi, Op. 115, composto nell’estate 1891 a Ischl; così articolato
Allegro (si minore)
Adagio (si maggiore); col clarinetto che domina
Andantino (re maggiore). Presto non assai, ma con sentimento
- Con moto (si minore). Un poco meno mosso
Non sono certo trascurati dal Nostro gli Autori ungheresi colti.
Ad esempio:
Béla Kéler [18]]
Insoliti i suoi inizi. Dopo aver abbandonato gli studi musicali, Keler va a lavorare in una fattoria dove ha modo di leggere un libro di Johann Georg Albrechtsberger (compositore austriaco) e inizia a suonare il violino. Dopo qualche tempo si stabilisce a Vienna perfezionandosi. Dirige varie orchestre e, in seguito, compie numerose tournée in tutta Europa.
Il grande musicista tedesco, Brahms cioè, compone una delle sue Danze ungheresi basandosi, trasformando il tutto “alla Brahms”, su una melodia di csàrdàs di Keler.
La csàrdàs è una danza popolare magiara -lett.: dell’osteria-, suonata per lo più in questi locali.
Joseph Joachim, poi, ne fa una versione per violino e pianoforte.
Esiste una registrazione (la ascoltiamo, sono pochi istanti) datata 1889 nella quale è lo stesso Brahms alla tastiera. Emozione infinita.
Brahms influenzerà il boemo Antonin Dvořák -legatissimo alla terra natia, pur di mentalità cosmopolita-.
Sappiamo bene che quest’ultimo ha sì successo in Patria, ma che, ad un certo punto, si reca negli U.S.A. dove, in buona sostanza, fonda e dirige il Conservatorio di New York (1892 / 1895).
Poliedrico, fa tesoro della tradizione popolare boema, ma giunge fino al gospel.
Nella celeberrima Sinfonia dal Nuovo Mondo [19] ci sono la nostalgia per l’Est Europa, ma la suggestione delle grandi praterie del Nord America.
Da ascoltare e vivere, dirette da…chi volete. Per quanto mi riguarda, prediligo due classici passionali, pur diversi tra loro nel carattere e nell’intensità -anche se non si fatica a comprendere che il secondo è stato, agli inizi di carriera, assistente del primo-: Leonard Bernstein e Claudio Abbado.
Compone Poemi sinfonici, cioè composizioni musicali per orchestra, di solito in un solo movimento, di ampio respiro, ispirate alle più svariate occasioni extramusicali: un lavoro letterario in prosa o in versi, un’opera figurativa o filosofica (pensiamo a Così parlò Zarathustra, di Richard Strauss, che vedremo a Lucerna), un omaggio a luoghi od occasioni. L’ideatore del poema sinfonico è Franz Liszt.
Tra i Poemi sinfonici di Dvořák alcuni sono considerati i suoi lavori più originali. Ne scrive cinque, tutti tra il 1896 e il 1897. Essi presentano una numerazione sequenziale: Il folletto delle acque (Op. 107); La strega di mezzogiorno (Op. 108); L’arcolaio d’oro (Op. 109); La colomba selvatica (Op. 110); Canto d’eroe (Op. 111).
I primi quattro poemi sono basati sulle ballate del filologo e folclorista ceco Karel Erben.
Canto d’eroe nasce da un’ideazione di Dvořák, e pare sia un lavoro autobiografico.
E’ pure autore di Opere liriche in ceco: la più famosa è Rusalka. [20]
Sappiamo che fra Brahms e Dvořák c’è un rapporto di stima reciproca e amicizia e che il primo segnala la musica dell’amico all’editore musicale Fritz Simrock di Bonn, per il quale Dvořák compone la prima delle due serie di Danze slave (1878), modellate sulle Danze ungheresi brahmsiane.
Grazie a questi contatti la musica di Dvořák comincia a essere apprezzata e a circolare in Europa.
Intanto alcune immagini di Giacomo e Massimo all’opera.
Continuiamo il nostro VIAGGIO musicale e soffermiamoci un attimo su Franz Schubert, il Wanderer per antonomasia, del quale stasera ascolteremo la
Sonatina per pianoforte e violino Op. 137 n.1, datata 1816, v. infra.
Figure assai diverse Franz e Dvořák, ma con qualche aspetto comune, a parte la genialità.
Entrambi hanno profonda passione per la Musica da camera; entrambi suonano la viola.
Talvolta, nelle loro composizioni, si scambiano gli stili: infatti Dvořák a volte “vienneggia” e Schubert…”pragheggia”, come nel bellissimo
Quintetto per pianoforte e archi in la maggiore detto La trota. Nel catalogo Otto Erich Deutsch delle opere di Schubert porta il numero D. 667. L’opera fu composta nel 1819, da uno Schubert ventiduenne e venne pubblicata solo nel 1829, un anno dopo la sua morte.
L’opera è conosciuta come La trota poiché il quarto movimento è una variazione sul precedente Lied schubertiano La trota (Die Forelle). A quanto pare, il quintetto era stato scritto per Sylvester Paumgartner, di Steyr in Alta Austria (luogo incantevole, visitato da noi due anni fa), un ricco mecenate musicale e violoncellista dilettante, che aveva suggerito a Schubert di inserire una serie di variazioni sul Lied.
I nostri due Maestri, sorprendenti come sempre, ci mostrano ora, sullo schermo alle loro spalle, una significativa immagine, in stile anni Venti o Trenta del Novecento.
Il signore al centro è Maurice Ravel, quello a destra George Gershwin [21]
Nel 1928 George e il fratello Ira, si stabiliscono un qualche tempo a Parigi dove George si dedica principalmente allo studio della composizione. Numerosi Autori, tra i quali anche Ravel, che qui vediamo, rifiutano però di insegnare loro, temendo che il rigore della classicità possa reprimere la sfumatura jazz di Gershwin.
George incontra in Europa altre figure illustri, come Alban Berg, ad esempio; fa conoscenza con la Musica dodecafonica, con realtà assai lontane dal suo mondo che tuttavia lo attraggono. Vediamo come personalità molto diverse tra loro, come Gershwin, Stravinskij, Berg, Puccini (a quanto so) si conoscano e si stimino l’un l’altro.
Mentre è in Europa Gershwin scrive Un americano a Parigi, opera che, alla sua prima esecuzione alla Carnegie Hall di New York il 13 dicembre 1928, ottiene successo sì, ma non travolgente; ma, in seguito, “cresce” sempre più.
Un classico!
Poco tempo dopo il ritorno definitivo negli USA.
La sua composizione più ambiziosa resta però Porgy and Bess, uno dei pochi esempi moderni di melodramma, andata in scena per la prima volta il 30 settembre 1935 a Boston.
Con lo stile generale della commedia, quest’opera contiene alcune delle arie più famose di Gershwin, prima fra tutte Summertime, con testo di Ira e DuBose Heyward. Porgy and Bess è tuttora generalmente considerata la più grande opera americana del Novecento, sia per le sue innovazioni (i personaggi sono quasi tutti neri) che per la qualità delle canzoni che presenta.
Il principale motivo per cui le composizioni di Gershwin sono ancora apprezzate è, infatti, la loro trasversalità: combinano elementi che dimostrano grandi conoscenze delle tecniche classiche, come la fuga e vari cambi di tonalità, con le sonorità tipiche della musica popolare e, in particolare, del jazz.
Massimo e Giacomo ci avevano promesso un brano a sorpresa, che preferiscono riservarci oggi pomeriggio, anziché stasera.
Si tratta di
Un americano a Parigi (An American en Paris)!
E’ un Poema sinfonico (composto per una grande orchestra), eseguito per la prima volta, come accennato, alla Carnegie Hall di New York dalla New York Symphony Orchestra diretta da Walter Damrosch. Ha sapore autobiografico: è ispirata infatti al viaggio intrapreso in Europa per conoscere gli Autori tanto ammirati, Ravel in testa.
A inizio anni ’50 la MGM realizza l’omonimo film musicale con Gene Kelly e Leslie Caron protagonisti; pellicola super premiata.
Quale versione ci riservano i nostri Amici?
Uno splendido filmato:
L’Orchestra Filarmonica di Los Angeles col suo Direttore pirotecnico, il venezuelano Gustavo Dudamel (!)
Con questi sentimenti e sensazioni ci rechiamo a cena.
Abbiamo trascorso un pomeriggio fantastico che ha pressoché cancellato la fame!
Ma, una volta seduti, l’appetito ritorna.. .Gershwin comunque non ce lo saremmo aspettati; mi sa tanto che l’idea sia partita da Giacomo….Anche se Massimo, quanto a trovate, non è da meno.
Ci attende l’ultimo appuntamento serale.
Con
Franz Schubert, Sonatina per pianoforte e violino, Op. 37 n. 1
Le tre Sonate per violino e pianoforte op. 137 (in re maggiore, in la minore e in sol minore) sono composte da Schubert fra il marzo e l’aprile del 1816 e pubblicate da Diabelli (quello delle “variazioni” di Beethoven per capirci) a Vienna nel 1836, otto anni dopo la morte del musicista.
Esse sono conosciute erroneamente con il titolo di “Sonatine”, forse per la loro brevità, anche se stilisticamente costituiscono un saggio di abilità nello sfruttamento delle risorse timbriche ed espressive dei due strumenti. Certo l’Autore, che al tempo di queste Sonate non aveva ancora venti anni, risente molto l’influenza mozartiana e delle prime composizioni di Beethoven, ma è già presente una certa originalità.
Anche in questo Schubert troviamo un certo gusto popolaresco, fresco, giovane; la seconda anima di Franz.
Il brano si articola in tre movimenti.
Allegro molto Assai orecchiabile e spigliato
Andante L’inizio è spensierato, ma, pian piano, diventa sempre più meditativo
Allegro vivace gradevolissimo! Percepisci la giovinezza dell’Autore
Ecco una versione (alcuni anni fa, 1984!) di Pinchas Zukerman e Marc Neikrug
Si continua con
Antonin Dvořák, Sonatina per violino e pianoforte, Op. 100
Composta a New York tra il Novembre e il Dicembre 1893, è dedicata “Ai miei figli Otilka e Toník, Aninka, Maenka, Otakar e Zinda per celebrare il completamento della mia centesima composizione”.
Pure la Sonatina in sol maggiore op. 100, composta per violino e pianoforte, contiene una chiara impronta popolaresca in tutti e quattro i movimenti in cui è articolata.
Il primo tempo (Allegro risoluto) ha un carattere molto ritmico e non mancano felici spunti melodici inseriti in un contesto quanto mai vario e mutevole.
Il successivo Larghetto (detto Lamento indiano) è in sol minore ed ha un tono malinconico e sofferto. Il violino si espande in una linea melodica espressiva sorretta dai morbidi arpeggi del pianoforte. L’atmosfera iniziale viene riproposta e portata a compimento dai due strumenti sino ad un clima dalle sfumate sonorità.
Il Molto vivace può definirsi uno Scherzo con trio pieno di tutto quel sapore gustosamente popolaresco che appartiene alla migliore cifra creativa di Dvoràk.
Dall’attacco in pianissimo si giunge alla ripresa del tema in maniera forte e accentuata nel ritmo. L’Allegro conclusivo è il più esteso dei quattro movimenti. Il primo tema ha un carattere robusto e dai toni sincopati e marcati, come pure il secondo, anche se con spirito diverso. Il momento centrale, definito “Molto tranquillo”, ha una linea cantabile e intensamente melodica. La ripresa del primo tema è di grande effetto: dopo il pianissimo i due strumenti sono coinvolti in una sintesi di vivace tensione espressiva.
Tutto il brano “fa molto Far West” pur raffinato da un’impronta europea.
Ecco i fratelli Shaham, artisti statunitensi figli di due scienziati israeliani (gioco… in casa): Gil al violino e la sorella Orli al pianoforte
L’Autore ideale per congedarci da questa settimana impegnativa certo, ma fantastica per tutto quanto ha saputo donarci?
Il “vecchio”, caro Johannes!
Johannes Brahms, Danze ungheresi nn. 6, 11, 4, 5 (nella versione per violino e pianoforte di Joseph Joachim)
Tra il 1869 e il 1880 Johannes Brahms compone un gruppo di 21 danze ungheresi, in origine destinate a due pianisti. Alcune sono orchestrate dallo stesso Brahms, altre da illustri Colleghi, come ad esempio Antonín Dvořák.
Fin da giovane Brahms ha amato sia la Musica popolare in stile ungherese che quella a quattro mani per pianoforte.
La maggior parte delle danze sono pezzi rapidi ed energici. Imitando lo spirito della musica popolare ungherese, alcune delle danze cambiano il ritmo a metà strada, come nella quarta danza, dove un’introduzione languida e malinconica lascia il posto all’esuberanza. La quinta danza inizia con un ritmo veloce, poi diventa ancora più frenetica. E’ gioia soprattutto per il violino.
Per chiudere un breve filmato dei Berliner Philarmoniker con “quel” Direttore, ancor giovane, felice e in gran forma
E beh…..Ci voleva una simile conclusione!
BUONANOTTE
[1] Il nome per esteso è Sturmabteilung SA (letteralmente “reparto d’assalto”, anche se si è affermato nell’uso comune e nella letteratura scientifica l’espressione “squadre d’assalto”): il primo gruppo paramilitare del Partito nazista. Sono conosciute anche come camicie brune a causa del colore della divisa. Interessante la loro storia: subiscono una sanguinosa epurazione dal regime hitleriano nel giugno 1934 (La cosiddetta Notte dei lunghi coltelli, di cui si occupa pure il capolavoro di Luchino Visconti La caduta degli dei, 1969), ma resteranno, con compiti di ordine pubblico, fino al termine del conflitto.
[2] La rimilitarizzazione della Renania ha luogo il 7 marzo 1936, quando le forze militari tedesche della Wermacht entrano in Renania. Questa occupazione è storicamente molto importante in quanto viola lo status smilitarizzato della Renania previsto dai termini del Trattato di Versailles e del Patto di Locarno (1925) e sposta i rapporti di forza, presenti allora in Europa, dalla Francia verso la Germania. L’entrata dell’esercito tedesco in questa regione, per la prima volta dalla fine della Grande Guerra, permette alla Germania di perseguire una politica di aggressione verso l’Est Europa.
[3] Si tratta della annessione dell’Austria alla Germania nazista nel marzo 1938 per formare la “Grande Germania”.
[4] La Rosa Bianca ( Weiße Rose) è un gruppo di studenti cristiani che si oppone in modo non violento al regime nazista. Il movimento è attivo dal giugno 1942 al febbraio 1943, allorché quando i principali componenti del gruppo vengono arrestati, processati e condannati a morte tramite decapitazione.
[5] Le responsabilità furono diversificate, ma ottima occasione per il regime, già in rotta, per vendicarsi di veri o supposti oppositori; a cominciare da chi riteneva partito migliore una pace separata con gli Alleati.
[6]Konrad Herman Josef Adenauer (Colonia, 5 gennaio 1876 – Bad Honnef, 19 aprile 1967), cattolico, è uno dei padri fondatori della Comunità europea, insieme ai francesi Robert Schuman e Jean Monnet e all’italiano Alcide De Gasperi.
[7] Béla Viktor János Bartók (Nagyszentmiklos, allora Ungheria, oggi Romania, 25 marzo 1881 / New York, 26 settembre1945) compositore, pianista ed etnomusicologo ungherese. Studioso della musica popolare dell’Est Europa e del Medio Oriente, è uno dei pionieri dell’etnomusicologia.
[8] MANIN Giuseppina, Nel giardino della Musica – Claudio Abbado: la vita, l’arte, l’impegno Ugo Guanda Editore S.r.l., Collana Piccola Biblioteca Guanda, Milano, Ia edizione Gennaio 2015; IIa edizione Febbraio 2015, pp. 176. Testo da me recensito nel marzo 2015 e ripreso, va da sé, più volte.
[9] Zoltán Kodály (Budapest, 16 dicembre 1882 / 6 marzo 1967): compositore, linguista, filosofo, etnomusicologo; educatore.
[10] Il cilindro fonografico è un supporto di registrazione audio, inventato da Thomas Edison negli USA verso fine Ottocento. Hanno registrato dai cilindri tutti i più grandi cantanti dell’epoca (da Beniamino Gigli a Enrico Caruso)
[11] Sergej Sergeevič Prokof’ev (Soncokva, Ucraina, 23 aprile 1891 / Mosca 5 marzo 1953). Pianista e compositore russo.
[12] Il gruppo dei Cinque è composto da: M. Balakiriev; A. Borodin; C. Cui; M. Musorgskij e N. Rimskkij Korsakov.
[13] Abramcevo è una tenuta agricola nelle campagne di Mosca, dove nel 1840 un gruppo di pittori e scrittori russi nazionalisti (tra i quali Gogol’) fonda, sotto la guida dell’imprenditore e mecenate Savva Ivanovič Mamontov e di sua moglie Elizabeta un circolo letterario e artistico rimasto vivo durante il XIX secolo. Il circolo diviene un centro per il movimento slavofilo. Al suo interno gli artisti, in spirito cooperativo, disegnano progetti architettonici e instaurano laboratori per il disegno e la produzione di mobili, ceramiche e tele di seta. Alcune delle opere rappresentate nel teatro della tenuta, come le tragedie bibliche Iosif e Saul, sono scritte da Mamontov e recitate anche dai bambini delle famiglie della comunità. Fra questi ultimi è presente anche il giovane Konstantin Stanislavskij. Oggi la tenuta è un museo, dove gli spazi percorsi dagli artisti e le loro produzioni possono essere visitati dal pubblico.
[14] Le spartizioni della Polonia (in Rozbiór Polski o Rozbiory Polski; in lituano: Padalijimas) avvengono nel 1700 e pongono fine all’esistenza della Confederazione polacco lituana Le spartizioni coinvolgono la Prussia, l’Impero russo e l’Impero austriaco che si dividono le terre della Confederazione. Le tre spartizioni avvengono:
- il 5 agosto 1772;
- il 23 gennaio 1793;
- il 24 ottobre 1795.
Dopo le guerre napoleoniche -durante le quali Napoleone Bonaparte aveva ricostruito, nella forma del Ducato di Varsavia, uno Stato polacco- la Prussia, l’Impero russo e l’Impero austriaco si spartiscono la Polonia in 3 parti:
il Granducato di Poznàn, va al Regno di Prussia;
- la Repubblica di Cracovia all’Impero asburgico
- il Regno di Polonia, conosciuto come Regno del Congresso, alla Russia.
In tutti questi casi non mancano assicurazioni riguardo al riconoscimento della lingua nazionale polacca, al rispetto per la cultura della Polonia e dei diritti dei suoi abitanti; non passa molto tempo tuttavia prima che queste promesse vengano disattese: questi tre stati sono velocemente annessi dalle tre potenze.
[15] Arcangelo Corelli (Fusignano, 17 febbraio 1653 / Roma, 8 gennaio 1713), compositore e violinista barocco. Considerato tra i più grandi compositori del periodo barocco, fondamentale il suo contributo allo sviluppo della musica strumentale e, in particolare, alla sonata a tre e a quella solistica, come pure al cosiddetto Concerto grosso. Lo stile introdotto da Corelli, disseminato in Europa grazie a musicisti che erano stati in contatto con lui, come Georg Muffat e Piero Castrucci, e ad altri suoi seguaci come Francesco Geminiani, Pietro Locatelli e Francesco Antonio Bonporti, è d’importanza fondamentale per lo sviluppo del linguaggio orchestrale e violinistico del primo Settecento in tutta l’Europa.
[16] Tratta dalla Sonata per pianoforte n. 11 (Klaviersonate Nummer 11) in la maggiore K 331, celebre per il suo terzo movimento, il rondò “alla turca “.
Non è noto dove essa sia stata scritta; si ipotizzano come possibili località: Salisburgo, Monaco, Vienna o Parigi. Quando? Dal 1783 al 1784. La sonata è composta da tre movimenti:
- Andante grazioso
- Menuetto
- Allegrino (o Allegretto) – Alla turca
Tutti e tre i movimenti sono in tonalità di la maggiore o minore, quindi si tratta di una composizione omotonale.
[17] Composizione per voce e pianoforte; lett.: Canzone
[18] Bela Keler (Bardejov, 13 febbraio 1820 / Wiesbaden, 20 novembre 1882) direttore d’orchestra e compositore ungherese.
[19] L’ultima e più famosa sinfonia di Dvoràk fu composta fra il 19 dicembre 1892 e il 24 maggio 1893, a New York, e quivi presentata il 16 dicembre 1893 sotto la direzione di Anton Seidl.
[20]Opera in tre atti con libretto in ceco di Jaroslav Kvapil (1868 / 1950), rappresentata per la prima volta a Praga il 31 marzo 1901. Il nome dell’opera proviene dalla mitologia slava dove Rusalka è uno spirito dell’acqua, dei laghi e dei fiumi.
[21] George Jacob Gershwin, all’anagrafe Jacob Bruskin Gershowitz (New York, 26 settembre 1898 / Los Angeles 11 luglio 1937), famiglia ebraica di origine ucraina e lituana, compositore, pianista, direttore d’orchestra. Noto fino dagli anni della Prima Guerra Mondiale, è considerato l’iniziatore del musical statunitense; la sua opera spazia dalla musica colta al jazz.