(Titolo originale     HHhH) 
 
Traduzione di Margherita Botto, Giulio Einaudi Editore S.p.A., Collana Frontiere, Torino, 2011, pp. 342, €.20,00
“Ci sarebbe un che di comico in quell’incontro faccia a faccia, se non preludesse alla morte di milioni di persone. Da una parte il biondo in uniforme nera, alto, faccia equina, voce acuta; dall’altra un piccolo criceto occhialuto, castano scuro, baffi, aspetto tutto sommato assai poco ariano”.
“Sì, già che si è in ballo, perché non Heydrich?”
  Circa venticinque anni fa un adolescente, nato a Parigi nel 1972, Laurent Binet, figlio di un’ebrea e di un comunista, sentì parlare per la prima volta dal padre, allora futuro professore di storia, di un evento che può essere considerato come il colpo più importante realizzato dalla Resistenza europea: l’attentato, effettuato a Praga la mattina del 27 maggio 1942, che costò la vita a Reinhard Heydrich, Reichsprotektor (ad interim) di Boemia e Moravia dal 27 settembre 1941, il braccio destro di Heinrich Himmler; in realtà suo autentico ispiratore.
L’attentato (chiamato significativamente in codice “Operazione Antropoide” per rimarcare il fatto che l’individuo obiettivo dell’azione nulla aveva di umano, tranne l’aspetto) fu opera di due partigiani -il primo slovacco, il secondo ceco: Jozef  Gabčik   Jan Kubiš-, due paracadutisti inviati dalla Resistenza cecoslovacca in esilio -con sede a Londra- per uccidere colui che veniva soprannominato “La Bestia Bionda” o “il Boia di Praga”. Il piano aveva il totale appoggio del Governo britannico, alla guida del quale, dal maggio 1940, al vile Neville Chamberlain era subentrato Winston Churchill.
Heydrich era stato l’unico esponente del regime nazista di alto, anzi altissimo, livello, presente, il 20 gennaio di quell’emblematico anno, all’incontro, svoltosi in una grande villa posta in una località vicina a Berlino, Wannsee, di sinistra bellezza; incontro nel quale fu data piena attuazione alla Soluzione Finale, lo Sterminio del Popolo Ebraico, peraltro già in atto.
La riunione, durata meno di un paio d’ore, ufficializzò, per così dire, il Genocidio.
Non si trattava più, rammenterà Binet nel suo libro “di affidare il compito ad alcune unità di assassini, ma di mettere al servizio del genocidio tutte le infrastrutture politiche ed economiche del regime”. Wannsee, un luogo che, se lo visiti anche solo una volta -a me capitò nel 1999-, ti resta dentro per sempre, un crocevia della Storia. Non può essere dimenticata ad esempio, quella terrificante tabella (visibile nel Museo, allestito nei locali della villa stessa), distribuita dallo stesso Heydrich agl’intervenuti alla conferenza, riguardante il numero degli Ebrei dell’Europa.
Essa è suddivisa in due parti. Nella prima sono elencati i Paesi di cui il Reich si è impadronito -e vediamo che, ad esempio, l’Estonia è già judenfrei….-; nella seconda sono compresi gli Stati satelliti (quali, ad esempio, la Croazia o la Slovacchia) o alleati, come l’Italia (con 58.00 Ebrei, einschliesslich Sardinien, cioè compresa la Sardegna!), ma non mancano i neutrali, quali la Svizzera, la Svezia o la Spagna e addirittura nemici, come la Gran Bretagna o l’URSS; per un totale di 11 milioni di Ebrei. Tutto ciò rende appieno l’idea di quale fosse il programma nazista [1].
La leggera eccitazione avvertita nelle parole del genitore durante il racconto dell’assassinio di Heydrich colpì l’attenzione del giovanissimo Laurent e lo indusse ad approfondire, nel corso degli anni, il tema con scrupolo e passione.
Gli studi, le letture, i viaggi focalizzati in primo luogo su quel tragico evento, le ricerche a tutto campo, senza disdegnare l’angolo di visuale cinematografico (tra i film, un esempio per tutti: Conspiracy, del 2001, con Kenneth Branagh nel ruolo di Heydrich; pur faticando, il luminoso e simpatico attore britannico a calarsi nelle vesti di un essere glaciale come il gerarca nazista) e, soprattutto, l’emozione trasmessa dal racconto paterno, rimasta intatta e anzi rafforzatasi nel corso del tempo nell’animo del figlio, hanno indotto quest’ultimo, divenuto, a sua volta, un valente storico, a scrivere il presente saggio, dal titolo che riprende il detto in voga, da un certo punto in poi, tra le SS: HHhH, Himmlers Hirn heißt Heydrich (il Cervello di Himmler si chiama Heydrich).
Il volume, pubblicato in Francia lo scorso anno da Grasset & Fasquel di Parigi, è valso all’Autore il Prix Goncourt du premier roman 2010. Ora la Casa Editrice Einaudi      lo presenta al pubblico italiano col titolo originale, sì da introdurre il lettore subito al cuore del problema.
Si tratta di un libro che si articola, per così dire, su due piani.
Da un lato, il vero e proprio saggio storico, assai documentato, sofferto, specie quando rievoca la debolezza dei governi francese ed inglese di fronte alla prepotenza hitleriana, sfociate nello sciagurato Patto di Monaco del 1938, l’imperdonabile tradimento ai danni della Cecoslovacchia con conseguente abbandono della stessa alle grinfie hitleriane; mossa che portò “disonore e guerra” per parafrasare Winston Churchill. Un saggio storico reso palpitante dalla capacità dello scrittore di raffigurare gli eventi in presa diretta, senza peraltro ricorrere ad inutili artifizi narrativi, poiché lo stile adottato è giornalistico, nell’accezione migliore del termine.
Dall’altro lato, seguiamo fin dall’inizio quella che si può definire, secondo le parole di un illustre giurista “ la Storia del lavoretto”. I dubbi, gli interrogativi, le emozioni, le polemiche con altri Autori, talora le identificazioni coi singoli personaggi, costituiscono il tessuto vivo dell’opera.
E’ come se di un magnifico affresco fosse visibile l’altrettanto affascinante sinopia.
Lo scrittore ci parla della propria formazione letteraria; dunque il volume, da un certo punto di vista, può anche essere considerato una sorta di inconsueto…..memoir; anche se non è facile effettuarne una classificazione di genere. Ma ciò non è un limite, anzi.
A noi il gusto di seguire il lento prender forma del libro, il suo caratterizzarsi in progress.
E quanta fatica nella redazione! “Ho passato tutta la mattina a correggere il testo” confessa Laurent, pensando a Oscar Wilde “per eliminare…una sola virgola. Al pomeriggio, l’ho aggiunta di nuovo”. Come lo capisco….
La Shoah fa da sfondo all’opera, ma non è la voce delle vittime a rendercene partecipi. La conosciamo dal suo aspetto orrendamente organizzativo, ne vediamo in pieno le dimensioni, l’incredibile imponenza.
Binet ha notevole abilità nel “manovrare” i diversi attori e ci confida le proprie riflessioni circa i tempi e i momenti dell’entrata in scena di ciascuno.
Il primo è il diabolico Reinhard Heydrich, la cui parabola esistenziale è seguita con scrupolo documentale fin dai primi anni di vita. A cominciare dalla nascita nel 1904 a Halle an der Saale in una famiglia di stampo conservatore. I genitori (il padre Bruno era musicista) sognano per lui un avvenire dedicato a tale arte; e dunque il ragazzo incomincia ben presto a suonare (il violino).
In casa regna un convinto antisemitismo. Ironia della sorte: la nonna aveva sposato in seconde nozze un certo Süss, tipico cognome ebraico (anche se poi, in seguito, pare che la persona in questione non fosse affatto un ebreo); e ciò crea al rampollo  problemi con i compagni di studio, atteso il forte odio antigiudaico presente nella società civile fin dagli anni intorno alla Prima Guerra Mondiale.
Altra circostanza che, in lui, determina risentimento verso i coetanei è una certa voce chioccia a causa della quale essi erano soliti soprannominarlo “la capra”. Beninteso quando ancora ciò era possibile, senza rischiare il carcere o peggio!
Dopo la guerra e la sconfitta della Germania, in un clima di radicale antisemitismo e astio anticomunista, in tutto il Paese si diffondono i cosiddetti Frei Korps (Corpi Franchi), formazioni paramilitari di estrema destra, la cui costituzione era stata avallata dal governo socialdemocratico di Weimar per distruggere i gruppi della sinistra radicale, a cominciare dagli Spartachisti di Karl Liebnecht e Rosa Luxembourg. Heydrich aderisce a tali formazioni con entusiasmo.
Quale strada può intraprendere un giovane di bell’aspetto, forte nelle arti ginniche e nello sport, a cominciare dalla scherma, imbevuto di esasperato nazionalismo in un’epoca contrassegnata da crisi e disoccupazione? La risposta è semplice, anzi scontata: la carriera militare.
Nel 1922 si arruola in Marina (conoscerà, data la passione della moglie di questi per la musica, anche il tenente di vascello Wilhelm Canaris, il futuro capo dell’Abweher, controspionaggio della Wehrmacht) [2], ma deve lasciarla alcuni anni dopo, a seguito di uno scandalo sessuale. Ben consigliato dalla fidanzata (poi moglie), Lina von Osten -donna dura e decisa, sopravvissuta benone al marito per circa un quarantennio, nazista della prima ora e tale sempre rimasta [3]- si arruola nelle SS; le Schutzstaffeln, create da Hitler l’1.5.1925, come “squadre di protezione”, l’organizzazione paramilitare affidata alle cure di Heinrich Himmler.
Quest’ultimo intende istituire un servizio di sicurezza, che possa far concorrenza all’Abweher di Canaris (simile anomalo “pluralismo” è motivo ricorrente nella storia del Terzo Reich), ma non è un esperto d’intelligence. Grazie alla propria diabolica abilità il giovane Heydrich riesce ad entrare nelle grazie di Himmler e dello stesso Hitler e dunque incaricato di organizzare lo SD Sicherheitsdienst, Servizio di Sicurezza (la meno nota, ma la peggiore tra le organizzazioni naziste), che diverrà, dal 22 settembre 1939, lo RSHA (Reichsicherheitshauptamt), Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich, a dirigere il quale sarà chiamato proprio Heydrich.
Nella veste, ottimamente retribuito, si stabilisce con la moglie a Monaco e inizia così la sua irresistibile ascesa.
Odio antiebraico al calor bianco: lo vediamo all’opera durante la trucemente famosa Kristallnacht del novembre 1938; pare sia sua l’iniziativa di dotare i detestati nemici di un segno distintivo. Ecco quanto riporta Binet: “Anche se gli Ebrei sono eliminati dalla vita economica [sic], il problema principale rimane. E consiste nel cacciare gli ebrei dalla Germania. Frattanto, suggerisce [Heydrich], bisogna appioppare loro un distintivo perché li si possa riconoscere….Un’uniforme! esclama Göring….Un contrassegno, piuttosto, suggerisce Heydrich”.
L’antisemitismo del personaggio è, per così dire, originario, respirato in famiglia, come sopra accennato. Nel 1934, ad esempio, in un rapporto sulla “questione ebraica” accenna al “gas” come metodo per eliminare i principali nemici del Reich.
Scrupolo burocratico spinto al massimo, compilazione incessante e maniacale di elenchi e liste (di…uccisione, più che di proscrizione), una ferocia inaudita rivolta contro veri o presunti avversari. Riveste un ruolo di primo piano nell’operazione nota come “Notte dei lunghi coltelli”: primavera 1934, eliminazione delle SA, Strurmabteilungen, i Nazisti della prima ora, le camicie brune, un esercito irregolare di circa 400.000 uomini, comandati dal famigerato Ernst Röhm.
La presenza di Heydrich è attestata in un numero incredibile di macchinazioni operate dal regime nazista; incluse vicende aventi l’estero quale teatro, ma nelle quali la Germania è, sia pure indirettamente, coinvolta: ad es. l’affaireTuchačevskij, il successore di Trockij a capo dell’Armata Rossa, fatto assassinare da Stalin nel giugno 1937.
Ambizioso oltre misura, diventa una figura imprescindibile se è vero che lo stesso Hitler chiarisce, a proposito di lui, a Himmler: “Quell’uomo è straordinariamente abile e straordinariamente pericoloso…Saremmo sciocchi a rinunciare ai suoi servigi”.
Con l’eliminazione di Röhm e di gran parte dei quadri delle S.A., le SS assumono un enorme potere e divengono un’organizzazione autonoma che deve rendere conto solo al Füher.
Grande potere si accentra quindi nelle mani di Himmler e Heydrich; ques’ultimo, a soli 30 anni, diviene Gruppenführer, grado equivalente a quello di generale di divisione.
Fino al giorno della sua uccisione tutti gli eventi più tragici per i quali i nazisti sono passati alla storia vedono Heydrich come protagonista o comunque in primo piano, donde la frase, nota tra le SS, che dà il titolo al libro. Annota infatti Binet: “E’ incredibile fino a che punto, nella politica del Terzo Reich, e particolarmente in ciò che essa ha di più terrificante, al centro di tutto si trovi sempre Heydrich”. Hitler lo ammira e lo ritiene diverso dagli altri che lo circondano. Chissà, forse un giorno dovrà perfino guardarsi lui stesso, il Capo supremo, da questa personalità che nulla e nessuno sembrano in grado di ostacolare o moderare. Sarà per questo motivo che lo nomina Reichsprotektor ad interim di Boemia e Moravia (il titolare dell’incarico, Konstantin von Neurath, troppo morbido, secondo Berlino, nei confronti dei cechi, era stato provvisoriamente -?!- messo in congedo per ragioni di salute), trasferendolo, a fine settembre 1941, a Praga dove diviene una sorta di monarca ed instaura un regno basato sul Terrore allo stato puro?
L’Autore sembra quasi esitante nel presentare gli altri due, ben diversi, protagonisti del dramma: Jozef Gabcik (lo slovacco, di bassa statura, sanguigno, energico) e Jan Kubiš (il ceco, anzi moravo, alto, bonario, riflessivo). Ricordiamo che lo scrittore ama profondamente la città di Praga, dove ha vissuto a lungo; inoltre egli ha svolto il servizio militare in Slovacchia. E dunque si riesce a comprendere con quanta cura ed affetto registri gli stati d’animo di questi due giovani, la loro ansia di riscatto, le ultime volontà: entrambi fanno testamento, prima di partire, consapevoli che, comunque andrà la missione, non usciranno vivi da quell’impresa che li farà passare alla storia.
In Gran Bretagna essi si sono addestrati con cura a compiere un gesto clamoroso affinché le democrazie occidentali siano, in qualche modo, costrette ad intervenire in aiuto del loro Paese, riscattando il proprio onore, perduto a Monaco con il tradimento verso la Cecoslovacchia.
Il dramma della Cecoslovacchia tradita dalle democrazie europee e divorata dai nazisti viene espresso con plastica efficacia.
E’ deciso: il gesto clamoroso non sarà l’uccisione di un esponente nazista come tanti, o magari di un collaborazionista ceco, ma della figura più rilevante, Reinhard Heydrich.
C’è chi teme che, se il progetto andrà in porto, la reazione di Hitler sarà inimmaginabile e tanti innocenti moriranno: ma, d’altronde, non è ciò che già sta accadendo? E quando mai le dittature ragionano in termini di azione /reazione? Quando mai hanno bisogno di un “pretesto” per commettere i loro crimini?
Chi legge segue con una certa tensione l’arrivo in Cecoslovacchia di Jozef e Jan, paracadutati, a fine dicembre 1941, con documenti falsi, nonché con abiti ed effetti di marca locale….Insieme con loro, nel viaggio aereo, c’è un altro gruppo che avrebbe fatto loro da supporto.
Ma tra gli uomini coinvolti è nascosto il Traditore, che lo scrittore, da par suo, ci fa incontrare al momento giusto.
Giunti a destinazione nella madrepatria che avevano lasciato tempo addietro, i partigiani, mentre vivono i rischi della clandestinità, ricevono l’aiuto di tante persone, delle quali si conosce a malapena il nome o il cognome, ma tanto preziose, che si prodigano per loro a rischio della vita.
Sono i componenti della Resistenza ceca in Patria, stremata certo, ma non distrutta, come ritiene il crudele e supponente Invasore.
Binet si identifica con Jan e Jozef; racconta i momenti chiave dell’attentato e del seguito con un’intensità drammatica tipica di chi non scrive, bensì vive direttamente quegl’istanti.
L’arrivo in città, sulla Merecedes nera, guidata dall’altissimo…Klein, della “Bestia Bionda”, sicuro di sé, intento, si immagina, a passare in rassegna i successi ottenuti nel Protettorato e ad assaporare futuri trionfi…
La curva, quello sconosciuto che si materializza di colpo (“Cosa fa, quel cretino?”)…si ferma in mezzo alla strada, getta via l’impermeabile, “scopre un’arma automatica…la punta…Prende la mira. E spara”.
Ma il mitra, uno Sten, s’inceppa tra le braccia di Gabčik, per un qualche dannato motivo…Heydrich è ora in piedi, con la pistola in pugno….
C’è pure un tram di passaggio a confondere la scena….
Tocca a Kubiš entrare in azione con la bomba. Jan mira al sedile anteriore, ma l’ordigno “atterra accanto alla ruota posteriore destra. Però esplode”. La Mercedes si solleva di un metro ed uno dei più potenti uomini del Reich va a terra.
La fuga dei due giovani, la corsa verso l’ospedale per salvare la vita al gerarca…..il seguito….La morte della Belva, per un’intervenuta infezione, all’alba del successivo 4 giugno, le esequie solenni a Praga e Berlino; il furore di Hitler che si scatena pochi giorni dopo contro un villaggio vicino Praga, Lidice, raso al suolo con barbara meticolosità, tutti gli abitanti uccisi o deportati……
Gabčik e Kubiš passano i giorni a nascondersi…la Chiesa Ortodossa dei Santi Cirillo e Metodio li accoglie, insieme con alcuni compagni, nella sua cripta; i sentimenti di colpa per la vendetta tedesca; sentimenti nobili, ma che non hanno ragion d’essere a motivo di quanto ho espresso sopra…..
Laurent è con loro, nel freddo di quel luogo, dove “c’era tutta la storia del mondo racchiusa in poche pietre” scrive pensando alla visita effettuata con l’amata Aurélia un sessantennio dopo.
E il Tradimento, ben pagato, di un compagno, il quale andrà incontro, nel 1947, alla vergognosa fine dei vili…
L’incursione nei nazisti nella chiesa e la tremenda battaglia con 800 (!) SS che hanno ragione di 7 ardimentosi solo dopo ore e ore.
La Morte gloriosa degli Eroi.
“D’altra parte, ho detto che non volevo scrivere un manuale  di storia. Questa vicenda per me è una questione personale”, riflette Laurent Binet. Le emozioni dell’uomo sono messe sulla carta, ma senza che ciò comprometta il rigore dello storico.
Questo libro toccante e solido, di enorme potenza, è un’opera di giustizia: far conoscere i fatti e, in specie, le figure dei due protagonisti. Togliere dall’anonimato Jozef e Jan, catalogati, pressoché sempre, allorché si parla dell’uccisione di Heydrich, al di fuori del Paese nel quale si è svolto il dramma, solo come “elementi della Resistenza ceca”.
Prendono corpo i loro sogni di libertà, di vita normale, di ragazze, di famiglia, di serate a bere una birra e a chiacchierare…un futuro agognato che disegni magari nei particolari proprio perché sai che non sarà mai tuo.
Concludo con una riflessione dell’Autore, all’apparenza paradossale e quasi irriverente, nella quale tuttavia mi riconosco in pieno: “ Chi è morto è morto, e non gl’importa nulla che gli si renda omaggio. Ma è per noi, per i vivi, che significa qualcosa. La memoria non è di alcuna utilità a chi viene onorato, ma serve a chi se ne serve. Grazie a lei mi costruisco, grazie a lei mi consolo”.


[1] Un autentico classico di storia del nazismo è W. SHIRER, The Rise and Fall of the Third Reich, 1959/1960, uscito nel 1962, 1965 e 1990 con Einaudi, che ne ha poi curato una più recente riedizione (2007, pp. 1776).
Un’iniziativa davvero rilevante, posta in essere poco più di un anno fa, è la Mostra, allestita presso il Consiglio Nazionale Forense in Roma (dal 17 al 30 giugno 2010), dal titolo Gli avvocati senza diritti. Il destino degli avvocati ebrei in Germania successivamente al 1933, con didascalie ed immagini di notevole impatto. Un indubbio merito del Presidente del C.N.F., Prof. Avv. Piero Guido ALPA.
[2] Sulla figura di Wilhelm Canaris, condannato a morte dal famigerato Volksgericht per la partecipazione all’Operazione Valchiria, il generoso, ma tragicamente fallito, Colpo di Stato contro Hitler, guidato dal Colonnello Claus Schenk von Stauffenberg, del 20 luglio 1944, vedi un accenno nella mia recensione a M. LOMONACO, La caccia di Salomon Klein, su questo sito, Luglio 2010.
[3] Un testo davvero significativo che dimostra quanto rilievo assumessero i legami familiari (in specie il grado di complicità tra marito e moglie) nel Terzo Reich e dunque sfata il mito della moglie che nulla sa dei crimini commessi dal coniuge è: Gudrun SCHWARZ, Una donna al suo fianco. Le signore delle SS, il Saggiatore, Milano, 2000, pp. 317. Illuminanti le pagine dedicate a Lina Heydrich (pp. 163 e ss.)