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Ed. Solferino, Milano, Collana Tracce, Uscita: Ottobre, 2019, pp. 165; €.16

 

“Ancora quattro anni fa mi scattavo un selfie con una torta e vivevo barricato dentro un casale di campagna….Adesso mi muovo come un pendolo tra due metropoli e aspetto un figlio. Al primo colpo. E a un’età in cui la cartucciera tende a svuotarsi. Immagino questo spermatozoo attempato che taglia il traguardo con mosse circospette, ma inesorabili. Accadeva lo stesso anche a me, quando entravo in acqua da piccolo”.

“Mi piacerebbe che tu imparassi l’arte di stare da solo, ma che tenessi sempre un occhio al di là del vetro”.

 

Paradossi della vita. Sono diventata madre da giovane, d’intesa con un marito quasi coetaneo: una precisa scelta, la nostra, perché -ci siamo detti a più riprese- già tra genitori e figli, volenti o nolenti, mescolata all’amore beninteso, è spesso e volentieri presente una specie di sotterranea…lotta di classe, un fiume carsico che emerge inesorabile allorché i rampolli entrano nell’adolescenza; premesso tutto ciò, almeno non ci sia l’inevitabile contrasto dovuto alla differenza generazionale. Questo, in linea di principio.

Bene. Ciononostante, confesso che, con l’andare del tempo, mi ispirano sempre maggior tenerezza i padri…..tardivi.

Alt. Momento. Non mi riferisco a quei signori i quali, quando percepiscono l’approssimarsi inevitabile dei mesi invernali, cercano la coperta con cui riscaldarsi e/o a coloro che, per fermare il tempo, mettono al mondo il bambino – giocattolo brandendo il quale ostentano il proprio, vero o fasullo, prestigio. Salvo poi affidare la crescita del pargolo ad altri.

Mi riferisco invece a uomini con autentica vocazione di padre, magari a lungo non del tutto consapevole, in grado di realizzarla, per diverse ragioni e circostanze, solo verso i cinquanta o anche più.

Esempio da manuale è un cinquantatreenne, che conosco quel tanto da definirlo “gran signore” perché in grado parlare coi toni giusti a persone di tutte le età, deliziosamente  “antico”, talora didascalico nel  modo di esprimersi e nella gestualità -ma è il “suo bello”, come dire-… Talvolta  lo senti usare termini che andavano presso quelli della mia generazione, non della sua; ciclostile, ad esempio: chi la usa oggi, questa parola di  sapore vagamente sessantottino?

Di fascino notevole, peraltro mai esibito. Serio professionista, svolge la sua attività con passione assoluta frammista ad una notevole dose di ironia ed autoironia. E ad un impegno sociale vissuto senza clamore, con dedizione piena e  grande modestia. “Io non sono niente…Sono solo uno che dona due settimane all’anno per recarsi  in zone difficili e farle conoscere al nostro pubblico distratto. Poi ritorno qui, dove stiamo benissimo.  Gli eroi sono quelli che restano là, per svolgere un’opera meritoria”.

Un animale a sangue caldo. Non facile da trovare in giro.

Egli, chiamiamolo Giorgio -ma non è il suo vero nome, che taccio perché è figura nota al pubblico-, da tempo immemorabile esprimeva un forte desiderio di paternità. Proviene da una tradizionale famiglia della provincia lombarda, gente concreta, che lo ha formato a valori semplici e profondi.

Cambiavano, lungo gli anni, le diverse “compagne”, come si usa definirle con termine, almeno per me, irritante, ma quel desiderio espresso da lui, evidentemente non fatto proprio dalle stesse, restava sempre lì, insoddisfatto e immutato; duro e puro come un diamante.

Tanto che, tra me e me, talora mi chiedevo, un po’ sul serio e un po’ per scherzo: sarà nato prima Giorgio o la sua aspirazione a diventare papà? Mi sarebbe dispiaciuto, confesso, se a un uomo intenso come lui non fosse consentito -per le ingiustizie dell’esistenza- di trasmettere ad almeno un figlio il proprio patrimonio di contenuti e vita vissuta, rari da trovare nel nostro mondo così frettoloso, materialista, superficiale.

Finché….ecco l’anima gemella e, laus Deo, i due hanno condiviso lo splendido progetto. Il piccolo nascerà a brevissimo e da tempo nello sguardo di Giorgio c’è una luce nuova, di chi non vede l’ora di stringere tra le braccia questo bambino prezioso (maschietto).

Intanto attende con -relativa- calma che “si compiano i giorni”. Abbraccio infinito alla nuova famiglia.

Se la caveranno alla grande, ne sono certa. Evviva!

Un altro padre tardivo, di sei anni maggiore di Giorgio e ben conosciuto da lui, è Massimo Gramellini.

Autore di romanzi -L’ultima riga delle favole (2010); Fai bei sogni (2012); Avrò cura di te (2014)- scrive da tempo il Caffè in calce alla prima pagina del Corriere della Sera, cura la posta sentimentale di 7 (il Magazine del Corriere) e conduce il programma di Raitre Le parole della Settimana.

Lo seguo da anni e, anche se talvolta non condivido certe sue valutazioni un po’ spicce, giornalistiche mi verrebbe da dire, su realtà complesse cui non si addice l’accetta, l’ho sempre stimato e non perdo i suoi commenti, a cominciare dalla posta “del cuore” (che non leggo di solito, se tenuta da altri).

Ai tempi dell’attentato alle Torri Gemelle mi commosse il racconto di due ragazze americane, amiche tra loro, imbarcate una sul primo volo che s’infranse contro la Torre Nord, l’altra sul secondo, schiantatosi sulla Torre Sud. Non erano riuscite a prendere il medesimo aereo, ma si erano salutate dandosi appuntamento all’arrivo.

Alcuni mesi fa è uscito un saggio, così lo definisce l’A., autobiografico, intrigante come un romanzo, di quelli che si leggono a cuore battente perché li senti un po’ tuoi. Anzi, senza “un po’ ”.

Prima che tu venga al mondo  è il Diario dei pensieri che sorgono -“ruscellano” , direbbe Antonia Arslan- in un padre di 58 anni nel momento in cui sa che gli nascerà un figlio. Un evento, nel caso di Massimo, rimandato a lungo, concimato da una certa ansia, dovuta alla lucida consapevolezza del terremoto che quell’evento avrebbe portato nella sua vita. A gambe per aria le certezze nelle quali si era cullato fino al momento X; in primis abbandono del ruolo di eterno figlio, pur dotato di compagna di vita.

Alè, tutto cambia nell’attimo in cui Simona gli annuncia siamo incinti. Fantastico.

Declinato in nove capitoli, tanti quanti sono i mesi dell’attesa di Tommaso (nato giusto un anno fa), è la lettera ad un bambino che fisicamente non c’è ancora, ma è già ben presente in spirito, e che lo costringe pure a fare i conti con un padre che non c’è più, col quale Massimo ha avuto un rapporto complicato.

Perché Tommaso? Nome incantato che ricorda il discepolo di Cristo e padre del Cristianesimo delle origini, quello gnostico, perdente di fronte al Cristianesimo dell’istituzione, del dogma, della precettistica ferrea, del potere; accompagnato, per vendetta di chi non amava gli spiriti liberi, dalla nomea di scettico che si fida solo di se stesso, lui che amava la compagnia degli altri e non si chiudeva nella torre d’avorio.

O Thomas More, sorta di Socrate inglese, che preferisce essere decapitato per ordine di Re Enrico VIII piuttosto che rinnegare i  principi in cui crede.

O Tommaso d’Aquino, uno dei Padri imprescindibili della cultura occidentale.

La prosa di Massimo -mi viene da chiamarlo per nome, come un amico- è scorrevole, ricca di ironia. D’altronde non mi son mai trovata di fronte persone ironiche che non fossero pure intelligenti; mentre il contrario lo incontri ad ogni angolo di strada.

Un libro godibile da chiunque, ma in grado di essere apprezzato appieno da chi è genitore, indipendentemente dall’età sua e dei figli, e anche da chi si prepara ad esserlo.

Nella storia si affacciano alcuni personaggi, che non dimentichi.

Simona, presenza affascinante e discreta.

Diego, figlio di Simona e di un precedente partner, ragazzino estroverso con il quale il protagonista ha un rapporto di affettuosa complicità; non si sostituisce al padre di lui, limitandosi a volergli bene e a rispettarlo. E ti par poco? Un conto sono gli sceneggiati televisivi o i film dove tutti stanno insieme appassionatamente e un conto la severa realtà quotidiana, sempre complessa, dove un errore, all’apparenza banale, può comportare conti salati.

L’amico Norberto. Persona in carne e ossa, magari nascosta da un nome di fantasia, o alter ego dell’Autore?

Poco importa. Norberto, un misto di finto scetticismo, talora sopra le righe, e umanità diverte inducendoti a riflettere. Appare come il classico amico il quale, pur non avendo figli, o forse proprio per questo, dispensa a profusione sul tema pareri come perle di saggezza vincolante. A suo tempo, ne ho incontrati a pacchi, pur non così simpatici -e saggi- come Norberto. Questi sembrerebbe avere torto su tutta la linea, lì per lì. Sembrerebbe….

In compenso a tenere il pallino della simpatia in mano, a conquistarti, è (quasi) sempre Massimo.

“Sono contento che sia maschio” riflette, dopo che, in un primo momento, per un banale equivoco, pareva che l’Atteso fosse una bambina. “Di donne evolute ne conosco tante. Sono i maschi evoluti che mancano. Mi piacerebbe contribuire a forgiarne uno”.

Scommetto che, conoscendone carattere e propensioni, gli stessi pensieri attraversano il cuore di Giorgio.

Tanti sentimenti e considerazioni si intrecciano in un dialogo immaginario, ma non tanto, con Tommaso.

Inevitabile, quando leggi un testo così vivo, sincero, operare confronti tra l’esperienza di chi narra e la tua.

Del resto, non mi definisco un recensore nel significato usuale del termine. Nei commenti evoco spesso le mie esperienze personali.

Mi piace dialogare, anche a distanza, con chi è differente da me -per età, esperienze di vita e altro-, ma col quale esiste un misterioso legame. E’ proprio questo tipo di persone che cerco.

Altrimenti che gusto ci sarebbe?

La mia esperienza è diversa da quella di Gramellini, evidente.

Ma c’è qualcosa che ci accomuna, nel profondo. Ed è la chiave per comprendere questo testo/confessione, il filo rosso che lega tutto. La…Bambinitudine. Lo stato di grazia che i piccoli possiedono senza rendersene conto e gli adulti sensibili si sforzano ogni giorno di ritrovare.

Non è qualcosa di razionale, che s’impari studiando.

L’esatto contrario. E’ la predisposizione dell’anima alla scoperta. La Musica è terreno ideale per questi viaggi. Ne scrivo spesso nei “miei” concerti vissuti con passione.

Ma lo è pure il quotidiano, condiviso con le persone che ami, coloro che contano per te.

Nasce Tommaso ed io rivivo quando ho finalmente conosciuto i miei figli dopo mesi di trepidante attesa.

Mattia, il primogenito, venuto di colpo, quando “tutti”, vai a vedere perché, avevano “deciso” che difficilmente sarei diventata madre; e anzi mi avevano, se non persuasa, almeno convinta di questo. La gioia della smentita, al quinto mese avanzato di gravidanza, è stata una sorpresa indicibile. Mescolata con un certo timore, poi fugato dalla realtà, dovuto al fatto di aver assunto, nei primi mesi, certi farmaci, potenzialmente abortivi, nell’ignoranza della nuova situazione. Mauro  vedeva il mio ventre crescere, azzardava l’ipotesi che aspettassi un bambino, ma io lo smentivo stizzita.

Il parto, veloce e senza particolari traumi, si svolse secondo le regole di quarant’anni fa, col padre tenuto al di là della porta, in uno stato di…sospensione.

Quadro completamente diverso con Marco, otto anni dopo.

Gravidanza diagnosticata subito, zero gufi all’orizzonte. Urrah!!!

Nove mesi sereni e parto ultrarapido condiviso con Mauro, presente in camice verde alle mie spalle, sia perché la mentalità -pure ospedaliera- cambia nel tempo, grazie al cielo, sia perché il medico che mi assistette, oltre che uno specialista, è pure un amico. Mauro si sposta davanti, ad un cenno del Dr. Gandolfi (“Ecco che arriva!”), per cui, tra noi due, il primo che ha visto Marco è stato lui! Acchiappato al volo dall’ostetrico come un pallone da rugby: ha sempre avuto la propensione ad andarsene di casa appena possibile, il ragazzo; contrariamente al tranquillo fratello.

 

“Quando è stata l’ultima volta che ho fatto qualcosa per la prima volta?”

Si domanda Massimo, alla fine del Diario. Adesso, risponde. E’ il momento in cui Tommaso viene al mondo e i due fanno conoscenza.

Quell’istante in cui, tu sia credente o meno poco importa, senti attorno a te il Profumo di D-o. Un’esperienza unica che, parlo per me, esprimere a parole è impossibile, rischi la banalità.

Puoi condividerla insieme ad altri i quali, a loro volta, l’hanno provata, solo con scambio di sguardi o similitudini; magari accostandola ad un’opera d’arte. Ad un’alba piena di luce.

Ma forse il Silenzio che ti avvolge a fine attesa, quando non sai bene che cosa ti aspetta  di lì a poco, e  immagini meraviglie che nulla sono a confronto di ciò che vivrai, tra qualche istante, quando la porta si aprirà…“quel” Silenzio forse è il modo più degno per accogliere l’Incanto.

E tante altre gioie potrai coglierle lungo l’arco della vita coi tuoi figli; non ci sono solo i dolori, le sofferenze, le banalità quotidiane, grazie al cielo.

La nascita di un bambino, si tratti di Tommaso o di altri, evoca sempre in me unioni d’amore, quelle con -e tra- le persone a me care.

Scendo a mia volta in campo: quando è stata l’ultima volta che IO ho fatto qualcosa per la prima volta?

Avranno pazienza i lettori se, di nuovo, tiro in ballo l’avventura vissuta alcuni mesi fa, troppo importante per essere archiviata.

L’estate scorsa. Il matrimonio di un figlio evoca il film della vita, a cominciare dal momento della sua nascita; meglio, non appena sai che c’è.

Hai voglia razionalizzare: finalmente il giovanotto ha intrapreso la sua strada, così avremo un po’ più di tempo per noi e strizzi l’occhio a chi ti è compagno da decenni.

Fingi di perderti in queste riflessioni, fai la distaccata quando lo vedi in abito da cerimonia felice e commosso, accanto alla donna che ama. E’ vero, ti senti finalmente tranquilla, ma un figlio, nelle diverse fasi della nostra vita, è -e resta-sempre un unicum.

Mi limito a queste parole, senza sprecar tempo in sterili discussioni su chi ami di più: tuo marito  oppure i figli? E, tra i figli, chi senti più vicino? Domande banali cui non val la pena rispondere, ma che, per quanto mi concerne, non mi pongo nemmeno.

In un Silenzio carico di emozione ho contemplato il nostro Marco percorrere la navata della chiesa con la sua fresca Sposa Natalia.

Illuminati da un sole sfolgorante.


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