“Perché la storia non è un oggetto da osservare; piuttosto è il tessuto della nostra esistenza, il fluire della nostra vita. Siamo fatti di storia. E perciò la Shoah non può essere demandata solo alla ricerca degli storici” “La stanza era invasa da un odore terribile, aspro. Difficile distinguere tra il fetore del gas e quello dei cadaveri e del liquame umano”.
“Ma ciò che distingue lo sterminio degli ebrei d’Europa anche da altri crimini nazisti, entro cui va contestualizzato, è il progetto planetario di rimodellamento biologico dell’umanità”.
Un’opera tanto breve quanto densa di contenuti è Se Auschwitz è nulla Contro il negazionismo, uscito a fine 2011 con Il melangolo di Genova.
L’Autrice, Donatella Di Cesare, Professore ordinario Filosofia Teoretica all’Università di Roma La Sapienza, affronta un tema di drammatica attualità. Il negazionismo, la concezione che tende a negare -o almeno a ridimensionare- lo stermino degli Ebrei da parte dei nazisti, pur avendo alle sue spalle una storia lunga, ha guadagnato terreno negli ultimi anni, complici un certo clima “revisionista” all’insegna del politicamente corretto e l’inevitabile progressiva scomparsa dei sopravvissuti della Shoah, tragici protagonisti di quell’Evento.
Il saggio -denso di nomi, fatti- è un’articolata trattazione politica e filosofica su un fenomeno che assume dimensioni internazionali. Lo vediamo all’opera in primo luogo in Germania e Austria, il mondo tedesco dove il nazismo è nato, si è sviluppato e ha diretto le sue operazioni di sterminio, ma anche in altri Paesi europei, a cominciare dall’Est, imprigionato per circa un cinquantennio nella tenaglia comunista, nonché in Medio Oriente; è diffuso pure in Italia. Anzi, nel nostro Paese, stando ad una recente ricerca, i siti internet di stampo antisemita sono raddoppiati tra il 2007 e il 2010 [1].
Che significa negazionismo? Come, in che modo, nega, chi nega? E perché? Il dibattito finora è stato limitato all’ambito storiografico, col rischio di non cogliere il fenomeno nella sua complessa gravità e di seguire il negazionista nelle sue argomentazioni farneticanti e maligne finendo per dare, in qualche modo, cittadinanza alle sue tesi.
Chi sono i negazionisti e perché negano l’esistenza delle camere a gas? Quali obiettivi si prefiggono? L’Autrice ricostruisce con cura le tesi negazioniste, i cui antesignani sono gli stessi nazisti. Se è vero che essi, per un certo tempo, filmano le loro gesta, per tramandarle ai posteri a maggior gloria del Reich millenario, è altrettanto vero che, in occasione di momenti chiave, il linguaggio si fa cifrato, criptico, “il tedesco” dimentica “la melodia raffinata dei poeti e la rigorosa profondità dei filosofi per impoverirsi, uniformarsi….La parola ridotta a segno” . E a sigla.
Pensiamo alla trucemente famosa Conferenza di Wannsee del gennaio 1942, il cui Protokoll, redatto sotto la regia di Reinhardt Heydrich, obbedisce a questi criteri. “La notte e la nebbia dovevano avvolgere” spiega Di Cesare “la lingua per far sparire le tracce delle vittime prima ancora che i crimini fossero commessi”. Nacht und Nebel Aktion.
A partire dall’estate 1944, poi, le SS iniziano a distruggere ad Auschwitz le tracce dei loro delitti bruciando gli elenchi dei convogli dei deportati e nel 1945, alla fine, fanno saltare in aria un gran numero di camere a gas e di forni crematori.
Lo svolgersi della Guerra Fredda, specie in Germania, poi, spariglia, per così dire, le carte.
Nella cosiddetta DDR, costituita nel 1949, viene reiterato l’errore di accantonare la “questione ebraica”. L’Autrice ricorda le parole pronunciate nel 1983 da Peter Kirchner, Presidente della Comunità ebraica di Berlino Est, in merito alle tremende pressioni subite dalla stessa, da parte delle autorità comuniste, affinché condanni il Sionismo (come sappiamo, nulla di nuovo sotto il sole…): “Nella RDT [Repubblica Democratica Tedesca] si vive con la coscienza che i nazisti siano all’ovest; in questo modo abbiamo risolto il problema”. Questa acritica incapacità di fare i conti col proprio passato spiega come mai, all’indomani della Wiedervereinigung (Riunificazione tedesca) del 1990, i cinque nuovi Länder,entrati a far parte della Repubblica Federale, siano divenuti terreno privilegiato, non solo di gruppi politici neonazisti, ma anche di bande e di network naziskin.
In compenso all’ovest vasta è l’opera di rimozione. Come detto, la Guerra Fredda ha fatto la sua parte: nella Repubblica Federale, sorta dalle rovine della guerra, ragioni di carattere strategico e di opportunità politica lasciano aperto il campo ad un’opera di “denazificazione” svoltasi, in larga parte, all’insegna dell’amnesia e…dell’amnistia. La Germania occidentale, fiera della sua posizione di baluardo del mondo libero occidentale, pare aver (ri)acquistato una certa verginità politica ed esistenziale. La Colpa viene scaricata sul gruppo dirigente nazista: il popolo tedesco, con un Paese ridotto ad un cumulo di macerie e il dramma di oltre dieci milioni di concittadini cacciati dalle province orientali e depredati dall’Armata Rossa, finisce per convincersi di essere la prima e unica, oltre che misconosciuta, vittima del conflitto. Auschwitz viene, per così dire, espunto dalla coscienza nazionale per lungo tempo; almeno fino al processo intentato da Israele ad Adolf Eichmann nel 1961/’62. Come del resto, fino a quel drammatico evento, c’è stata, sia pure da una ben diversa prospettiva, una sorta di rimozione da parte ebraica; e pure israeliana.
“Quel Paese lì”, così sono chiamati i luoghi dello Sterminio in Vedi alla voce: amore di David Grossman.
L’analisi non trascura certo le tesi più sfacciate e velenose in tema di negazionismo -Faurisson, Irving o Roger Garaudy; quest’ultimo transitato, nel corso degli anni, dal marxismo di marca staliniana, all’ammirazione per il Cattolicesimo progressista, all’Islam militante, tanto da costituire a Cordova una fondazione/museo che celebra le conquiste dei seguaci di Maometto, ritenute le uniche, autentiche radici dell’Europa-, ma pone soprattutto l’accento sulle posizioni pseudoscientifiche e raffinate, in zona grigia, per così dire, e dunque ancor più pericolose per chi non disponga di robuste armi culturali per farvi fronte. Un esempio per tutti è rappresentato è Ernest Nolte, più volte invitato, anni addietro, a tenere conferenze nel nostro Paese presso alte sedi istituzionali.
Un notevole pregio del presente libro consiste, come sottolineato sopra, nella sua visione “a tutto campo”. Esso ci mostra la strada che i negazionisti vorrebbero far percorrere ad un ingenuo lettore (od osservatore): contrabbandare la negazione come espressione di libertà di pensiero -quando viceversa è proprio il negazionismo in quanto tale a negare in radice tale libertà-. Con diabolica abilità psicologica questi incantatori mirano a togliere qualsivoglia dimensione tragica e reale alla Shoah attraverso le loro minuziose, ottuse indagini, ricche di pretese (pseudo) scientifiche.
Come sottolinea l’Autrice, l’intento è avvolgerci nelle spire della menzogna per renderci complici, indifferenti, cioè “analfabeti emotivi”.
Viene riportata, in contrapposizione a tale indicibile realtà, la tragica, testimonianza di Shlomo Venezia, sopravvissuto di Auschwitz, il quale, durante la prigionia, fu costretto a lavorare nei Sonderkommando, le “unità speciali”, costituite da internati, addette alle operazioni di smaltimento e cremazione dei corpi dei deportati uccisi col gas [2] .
Chi nega, vale la pena insistere su questo aspetto, per lo più non ignora quanto è accaduto, anzi. Chi nega l’esistenza delle camere a gas persegue un preciso intento politico, così riassumibile: la Shoah è un mito costruito con perizia dagli Ebrei per fondare lo Stato di Israele. Quest’ultimo è creatura, a sua volta, illegittima, perché trae origine da una truffa e dal furto della terra ai danni dell’unico popolo “autoctono”, quello palestinese; truffa e furto perpetrati dagli Ebrei, gente che, con detta terra, non ha mai avuto alcun rapporto, se non un legame assai remoto, cancellato da due millenni di storia successiva alla conquista romana di quei luoghi. L’intera storia ebraica viene dunque nullificata, verrebbe da dire soppressa col gas; è cancellato il legame indissolubile con la Terra dei Padri. Nell’ipotesi più…benevola Israele rappresenta un regalo europeo al Popolo ebraico quale risarcimento per la Shoah;e magari un comodo escamotage per non pagare debiti di guerra.
Come ben sappiamo l’integralismo islamico antisemita -diffuso in modo massivo in tutto il mondo arabo/musulmano a far tempo dai primi anni del XX secolo, dapprima per combattere la presenza ebraica in Terra d’Israele, di poi per delegittimare lo Stato ivi costituito- ha trovato (e trova) un valido appoggio nei movimenti sedicenti pacifisti occidentali, in primo luogo europei, nonché in vasti settori del mondo accademico ed intellettuale (compresa larga parte degli organi di “informazione”) e, negli ultimi anni, nelle ossessive, stupide campagne di boicottaggio economico dei prodotti israeliani. Un’onda lunga, la quale, specie a far tempo dall’11 Settembre 2001, anziché aprire gli occhi wide shut dell’Occidente, li ha serrati, se possibile, ancora di più, acquistando una forza incredibile. Fino all’accettazione, senza fare una piega, del programma negazionista e genocidario del governo iraniano, la cui punta di diamante -fin dai tempi di Khomeini- è la cancellazione di Israele dalla mappa geografica tramite l’arma nucleare, all’acquisizione della quale nessuno, nel cosiddetto mondo libero, si è mai seriamente opposto. E con Mahmud Ahmadinejad accolto ed applaudito all’ONU, intervistato dalle Tv statunitensi ed invitato presso una prestigiosa università di New York. La sua posizione, condivisa dal mondo arabo/islamico, non scandalizza affatto l’Occidente, Stati Uniti compresi; preoccupano assai di più quei nuovi appartamenti costruiti nella cosiddetta Gerusalemme Est!
Una lunga storia, quella dell’antisemitismo islamico, iniziata (per limitarci alla contemporaneità) nella prima parte del ‘900 con l’entrata in scena della bieca figura del Gran Muftì di Gerusalemme, Haj Amin al Husseini -del quale, per parte di madre, era parente Yasser Arafat-, feroce antisemita, fomentatore instancabile dell’odio arabo contro gli Ebrei, ben conosciuto da Adolf Hitler e dai principali gerarchi del Terzo Reich, nonché ideatore delle SS musulmane bosniache (distintesi per i massacri compiuti durante la guerra) [3]. Quale disorientamento per il mondo, nel giugno 1967, allorché il piccolo Israele, minacciato ancora una volta di distruzione da parte di nemici dotati di eserciti più corposi di Tsahal (anche se non certo così avanzati tecnologicamente), riporta un’astuta quanto sorprendente vittoria ed il suo Popolo straccia in mille pezzi la logora carta d’identità di Eterna Vittima Errante alla mercé altrui, buona solo a suscitare commiserazione o, al massimo, ispirazione per sedicenti artisti; insomma l’Equilibrista sul filo, come scrive Elena Loewenthal! Ciò, da parte di tanti, non gli è mai stato perdonato. Guai diventare un popolo come gli altri, impegnato nel proprio sviluppo e pronto a difendersi quando è necessario. Gli Ebrei, spersonalizzati, devono essere inchiodati in eterno al ruolo di vittime.
In chiusura mi permetto di aggiungere allo studio perfetto della Prof. Di Cesare un’altra categoria di negazionisti: le cosiddette “Anime Belle”.
Esse, in apparenza, non negano affatto l’esistenza della camere a gas, ci mancherebbe! Ma -specie in occasione del 27 Gennaio (Giornata della Memoria), sfruttando con abilità la circostanza- propongono, con tono ed accenti tra l’addolorato e il moralistico, vergognosi accostamenti della cui infondatezza queste persone per prime sono consapevoli: l’esercito israeliano si comporta verso i Palestinesi come quello nazista nei confronti degli Ebrei. Oppure: gli Israeliani sospendono le operazioni militari a Gaza per consentire l’ingresso dei convogli umanitari poiché massacrare la gente dopo che questa ha riempito la pancia è una soddisfazione senza fine. Il medesimo compiacimento provato da quell’ufficiale tedesco che consentì l’entrata in un campo di sterminio di un’incubatrice per poter poi uccidere con maggior gusto il piccolo che sarebbe nato di lì a poco.
Delirio? Niente affatto. Merce comune, oggi. Si tratta sempre di quel negazionismo, che pareva cacciato per sempre dalla porta, ma che, in realtà, è rientrato trionfante dalla finestra.
[1] Si riacutizza l’antisemitismo in Italia, editoriale di KOL HA-ITALKIM, Bollettino di informazione degli Italiani in Israele, n. 50 del gennaio 2012.
[2] VENEZIA Shlomo, Sonderkommando Auschwitz, Ed. Rizzoli, Milano, 2007, pp. 235.
[3] Tra le numerose pubblicazioni su una materia, davvero imbarazzante per i nostri sedicenti progressisti, si può citare un volume uscito di recente, HERF Jeffrey, Propaganda nazista per il mondo arabo, Edizioni dell’Altana, collana La Veranda, Roma, 2011, pp. 464.