boni-a-mordere-la-nebbia

 

Ed. Solferino, Milano, Marzo 2021, pp. 208, €.17,50

 

“Non vedevo la fine. Stavo lì, di fronte a quella barriera bianca, con l’umidità che penetrava nelle ossa, cercando di distinguere le forme dall’altra parte. Non accettavo di non abbracciare con lo sguardo l’altra sponda”

“Essere fedeli ai propri sogni è una via che richiede molta energia e coraggio, perché se non sei tu ad inseguire ciò che ami, nessun altro lo farà al posto tuo”

 

Di lui, nel corso del tempo, mi è rimasta impressa nel cuore questa riflessione, applicabile pure al mondo della Musica.

Eccola.  Tra l’attore e il personaggio cui questi dà vita è sempre il secondo che “deve vincere” sul primo: deve, per così dire, “andargli avanti”, per dare all’interprete lo stimolo a rincorrerlo in una ricerca infinita ed appassionante. Se si trasferisce questo concetto nel mondo della Musica ti spieghi come vi siano alcuni, solisti o direttori d’orchestra poco conta, i quali, al culmine della fama, (ri)prendono sovente in mano partiture sulle quali hanno studiato per decenni trovandovi sempre qualcosa di nuovo. In un affascinante gioco a rimpiattino.

Seguo Alessio Boni da quando, oltre vent’anni fa, lo vidi in uno sceneggiato televisivo di genere romantico / poliziesco, in due puntate, diretto da Carlo Lizzani, La donna del treno: erano, possiamo dire,  gli esordi; ma in nuce, scorgevi già l’attore di vaglia, ottima scuola, riconoscibile dagli sguardi, dalle sfumature, dal tono della voce, dall’anima che metteva in ogni scena. In occasione del provino aveva suscitato la risata del regista snocciolandogli una filastrocca in bergamasco, un linguaggio montanaro, orobico, talora duro, quasi incomprensibile e traslitterabile con difficoltà, ma, forse per questo, di indubbia suggestione.

Negli anni è maturato imparando a conoscere se stesso anche attraverso i ruoli vissuti: al cinema, in televisione e, soprattutto, a teatro, il suo grande amore. Ha acquisito una notevole cultura, pur non vantando studi classici, grazie alla passione e all’eccezionale forza di volontà.

Tappa fondamentale nel percorso più recente è, a partire da inizio 2019, Don Chisciotte, trasposizione teatrale del capolavoro di Miguel de Cervantes Saavedra -l’opera più tradotta al mondo dopo Bibbia e Corano- che Boni (nel ruolo di protagonista) ha curato insieme al gruppo Il Quadrivio, costituito, oltre che da lui, da Roberto Aldorasi, Marcello Prayer, Francesco Nicolini, con l’attrice turca Serra Yilmaz nella parte insolita, ma indovinatissima, di Sancho Panza. Una rappresentazione per così dire di stampo artigianale, priva, in buona sostanza, di effetti speciali, in cui le scene cambiano sotto gli occhi degli spettatori. Un’autentica meraviglia.

Spettacolo che sta al pari di classici del palcoscenico come Vita di Galileo di Bertolt Brecht diretto da Giorgio Strehler e con Tino Buazzelli protagonista; o l’ Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, come declinato da Luca Ronconi e Mariangela Melato.

La figura dell’hidalgo della Mancha, divoratore di poemi cavallereschi, che in sella ad un magro ronzino insegue il sogno di riparare il mondo (tiqqun haolam, per dirla in ebraico) dall’ingiustizia ti cattura senza che tu te ne accorga. Ma è l’assunto principale della vicenda ad emozionarti nel profondo: per realizzare i propri sogni occorre coraggio, certo; ma soprattutto una discreta dose di follia. Chi ti sta attorno talvolta ti prende per pazzo, tende ad emarginarti…ma i fatti, prima o poi, ti daranno ragione. E poi: perché mai rinunciare ai sogni, specie a quelli meravigliosi della giovinezza?

Ho assistito due volte al Don Chisciotte. La prima, nell’aprile 2019, a Ravenna, presso il Teatro Dante Alighieri, in una suggestiva serata di primavera; la seconda, a fine gennaio 2020, nella mia città, al nostro Duse, a due passi da casa. Evidente quanto l’esperienza bolognese fosse più forte, più intensa dell’altra, di come lo spettacolo fosse cresciuto nel frattempo.

Più vissuto, più autentico. Una maturazione notevole in poco meno di un anno.

Concordava con me il minore dei tre fratelli Boni, Andrea, incrociato per caso durante l’intervallo, un capellone simpatico come un cantastorie medievale. Era intento a sistemare nel foyer del teatro le copie del libro -contenente la splendida sceneggiatura dello spettacolo e del come esso sia venuto via via prendendo forma nei mesi di preparazione, sorta di sinopia- pubblicato da una piccola casa editrice veneziana, Damocle. Una quota parte degl’introiti ricavati dalla vendita del testo presso gli spettatori avrebbe contribuito a finanziare realtà sociali poste nei luoghi via via raggiunti dall’errante hidalgo.

A non lasciarmi era il coraggio del Cavaliere, la sua “follia” nel perseguire i sogni contro l’incredulità di troppi. Il pensiero andava in modo naturale a Claudio Abbado, il mitico direttore d’orchestra, con una forte visione sociale della Musica, il quale ha sempre lottato per portare questa sublime Arte negli ambienti dai quali essa è abitualmente esclusa, suscitando spesso indifferenza (e talora ironia perfida) in alcuni tra coloro che ne affollavano i concerti perché era di moda applaudire “Claudio” e, perché no, spacciarsi per suo amico pur senza esserlo. Nell’ultimo decennio di vita, a settant’anni e passa, egli aveva intensificato questo impegno, costituendo con la figlia Alessandra l’Associazione Mozart 14 impegnata a portare, fin dal 2006, la Musica negli ospedali pediatrici e nelle carceri. Un Don Chisciotte in piena regola, con bacchetta e smoking.

Ideona: perché non invitare Alessio Boni come ospite in un prossimo concerto annuale, dedicato al pubblico bolognese, che il Coro Papageno tiene con crescente grande successo? Il Coro, costituito nell’ambito dell’Associazione, è formato da detenuti di ambo i sessi, ospiti nel locale carcere della Dozza, supportati da volontari esterni e diretto da un ottimo Maestro, Michele Napolitano.

L’attore, che sapevo essere persona di alti valori morali e sociali, avrebbe potuto recitare alcuni testi di Autori originari dei numerosi Paesi e culture dai quali i detenuti stessi provengono; un caleidoscopio unico. Garantito il folto afflusso di pubblico. Meglio di così…. Mi risultava poi una recente visita di Boni al carcere di Pistoia dove si era intrattenuto con  gli ospiti sui loro problemi, timori, speranze.

Con questa proposta, terminata la prima rappresentazione di Don Chisciotte al Teatro Duse, mi avvicino  (Buona sera, Papà Alessio); ma, dopo un rapido saluto (Ciao!), non ottengo alcuna attenzione da parte sua, anzi. Fuorviata dal mio entusiasmo, sottovaluto che il protagonista è stanco, dopo due ore e passa di massimo impegno, che c’è la tensione post “prima” teatrale, che….la fame sta facendo capolino…. Tento invano di illustrargli la bellezza della mia idea.

Per contro, il mio potenziale interlocutore, anziché chiedermi di rimandare la chiacchierata ad un momento più propizio, magari al termine della tournée che si concluderà in primavera, si lancia in una serie di battute a voce alta che immagino vorrebbero essere spiritose -buona fede sempre salva-, ma che, lo ammetto, in quel momento, m’infastidiscono. Lì per lì, cerco di stare allo scherzo, ma me ne vado in fretta, lasciandolo con piacere alle signore ansiose di selfies e autografi. Sono convinta che di me avrà pensato che vuole questa sconosciuta rompiscatole? Io, di rimando, mi son chiesta chi crede di essere un simile burberone distratto?? Basta. Ad interpellarlo, se crede,  ci penserà lo staff di Mozart 14, o, meglio, la stessa Presidente Alessandra Abbado, assai più autorevole della sottoscritta.

Che delusione però che sia stato  fallimentare il primo incontro proprio con qualcuno da me stimato molto; il quale, tra l’altro, ha fama di persona cordiale. Non ci siamo “presi”, vai a vedere perché.

Ma…non sono il tipo che si rassegna facilmente e, se ritengo che un progetto abbia un qualche fondamento, difficile che vi rinunci. E infatti non è finita qui perché, il giorno dopo, un rapido scambio di messaggi e mail tra noi rimette il tutto sui giusti binari. Nasce così un simpatico contatto, saltuario va da sé, ma non interrotto.

Poi….la Pandemia, col suo carico di dolore, paura, incertezza. Teatri e tutte le iniziative culturali sospese per mesi, come lo sono ahimè ancora.

In questo buio, una luce. Lorenzo viene al mondo il 22 marzo 2020, a primavera appena sbocciata. Alessio Boni e Nina Verdelli, la sua compagna di vita, una giovane giornalista bella e (auto)ironica, annunciano la nascita del loro primogenito (!).

Confesso che la notizia mi commuove. Non è un mistero che Alessio accarezzasse da lungo tempo il desiderio di diventare padre, per trasmettere ai figli quei valori profondi di libertà, solidarietà, impegno fattivo che da sempre caratterizzano la sua vita. Un sogno divenuto realtà grazie a Nina, quella “giusta”: la coppia innamorata, ma pur sempre solo una coppia, si trasforma in una Famiglia.

Questo proprio nel momento in cui a questa grande Gioia vissuta entro le mura domestiche con il privilegio di poter trascorrere ogni istante col piccolo nuovo arrivato, fa riscontro il Dolore del mondo esterno. Il silenzio totale interrotto dalle sirene delle ambulanze, a Milano. La città e la provincia di Bergamo, i luoghi in cui il Nostro è nato e cresciuto e dove risiede la sua famiglia d’origine, duramente colpiti. Anche parenti e amici vittime del Covid. Situazione dicotomica  molto difficile da reggere.

Una paternità raggiunta a ben (!) 53 anni, ma questo che importanza ha? Non ci sono particolari limiti, né regole in materia, ognuno ha i propri tempi. Posso dire con serenità, io che sono stata una madre giovane, che i padri per così dire tardivi -brutto termine, ma per capirsi- percepiscono con maggiore consapevolezza il legame tra le generazioni, colgono la dimensione verticale dell’esistenza meglio di chi è divenuto genitore diversi anni prima. Non mi sono mai chiesta, riguardo ai miei figli appena nati, che tipo di madre sarei stata o che cosa avrei insegnato loro. Tutto era più immediato, istintivo; più superficiale, chissà.

Nel periodo della quarantena, e, soprattutto, dopo, quando la nuova Famiglia ha potuto raggiungere il rifugio di campagna in Toscana, Alessio, mentre percepiva negli occhi innocenti e misteriosi del figlio tante domande a lui rivolte: “Tu chi sei? Che cos’hai da dirmi?”, ha avuto tempo e coraggio di interrogarsi su se stesso. Che uomo sono? E che padre sarò? Come saprò difendere Lorenzo dall’indifferenza della vita? L’indifferenza, il peccato più grave, oggi.

E’ stato, così mi pare di aver capito, quel certo mordersi, da parte del bambino, il labbro inferiore -proprio come il piccolo Alessio- a far scattare il meccanismo magico.

Ne è scaturita una sorta di autoanalisi, un riguardarsi indietro per cogliere il percorso che ha portato l’Autore dalla provincia lombarda, attraverso le scelte, gl’incontri, gli errori (guai disprezzare o temere le cadute, insegnano a crescere) ad essere ciò che egli è ora.

Alessio, Uomo in cammino, instancabile, con volontà da schiacciasassi.

Mola mia…Non mollare, in bergamasco, non darsi mai per vinti.

“Oggi, come allora, sono convinto che tutto sia possibile se lo si desidera e lo si persegue senza riserve”. Voglia di scoprire, di conoscere, un briciolo di follia e di incoscienza donchisciottesche, imprescindibili per realizzarsi.

Da questa autoanalisi è nato un libro bellissimo, scoperta continua.

Un gioiello, letterario e umano, che parla di una vita vissuta in modo onesto, senza fronzoli, espresso in una prosa sobria, a tutto tondo, che scorre limpida come un torrente di montagna. Un linguaggio spontaneo, ti sembra di sentir parlare il Narratore; ma ti rendi ben presto conto di quanto ogni concetto, ogni frase siano vagliati, meditati, levigati; senza perdere quella qual certa “rusticità” espressiva, tipica dello scrittore non professionista, come tale carica di forte suggestione. E non c’è, come talora capita con personaggi famosi, un giornalista alle spalle dell’Autore, a suggerire temi e modalità, non siamo, grazie al cielo, davanti ad un testo “scritto con”. Tutta farina del suo sacco e via. Un’ideale lettera a Lorenzo.

Mordere la nebbia è uscito il 25 marzo, pochi giorni dopo il primo compleanno del piccolo; coincidenza forse voluta. La notizia l’aveva data Alessio circa un mese prima sul suo profilo face book con parole trepidanti, quasi  la nascita di un secondo figlio.

Il filo conduttore è la condivisione dell’idea di crescita. Non puoi scegliere il tuo luogo di nascita. Può essere una famiglia di artigiani lombardi, come i Boni, o un ambiente di raffinata cultura; puoi muovere i primi passi in una solida democrazia oppure lottare, fin da bambino, per la sopravvivenza in un Paese dilaniato dalla guerra. Questa casualità, pur orientando giocoforza la tua vita, non arriverà a determinarla, se vuoi. “Sei tu che scegli, di giorno, in giorno, in qual direzione essere e divenire uomo. Nel bene o nel male; nel cinismo o nell’incontro con l’altro. Mordendo la nebbia che avvolge il futuro, fino a dissiparla”.

Chi ha la bontà di leggere i miei commenti sa che limito al massimo il racconto della trama, ad esempio, di un romanzo per lasciare al lettore il piacere della scoperta ed evitare che questi si accontenti della recensione e non acquisti il libro! Cerco sempre di evitare simili tiri birboni agli scrittori.

Nel nostro caso non siamo di fronte ad una romanzo, né, per la verità, ad una autobiografia; bensì ad un percorso di maturazione, che vale per chi scrive, ma può attagliarsi a ciascuno di noi, indipendentemente dall’età e dalle esperienze attraversate. A maggior ragione, quindi, non racconterò il libro, limitandomi a sottolineare pochi punti fermi nel percorso e ad evidenziare personaggi di particolare rilievo; senza esagerare nelle spiegazioni (almeno così spero).

Il libro va assaporato pagina dopo pagina; anch’esso è una conquista perché ti consente di penetrare in mondi che non immaginavi neppure esistessero….

Desiderio di andare lontano, di superare un destino che pareva già definito.

Il punto di partenza. Il luogo e la famiglia d’origine: Lago d’Iseo, tra Sarnico e Villongo. L’infanzia serena trascorsa a fantasticare, a giocare a Tarzan coi coetanei.

I genitori, gente pratica, concreta: la Mamma, Roberta, impegnata nel negozio di famiglia a vendere le piastrelle che il Papà, Ignazio, col suo camioncino, va a posare in tutta la Lombardia. Un lavoro  massacrante, ma di notevole soddisfazione, penso.

Ho incontrato diversi artigiani nel tempo e conosco la passione di tanti fra loro per il lavoro “ben fatto”. Ricordo con grande piacere e stima proprio i piastrellisti. La competenza nel comporre le cosiddette fughe, come forme musicali polifoniche, il consigliarti quasi con affetto questo o quell’altro articolo, i pregi, i limiti, con tanto di analisi psicologiche “Adesso questo modello Le piace, fa molto casa di campagna, ma tenga presente che se non pulisce con cura estrema, tutto invecchia presto perché lo straccio non scorre come dovrebbe, data la scabrosità. Lei, mi par di capire, ha altro da fare.. e si sa che le domestiche tirano via.. Meglio quest’altro, più semplice e altrettanto pregiato. Tra l’altro ha un costo minore. Mi scusi eh, se mi permetto…”

Al padre si affianca ben presto il figlio maggiore, Marco, indi il secondogenito, 13 anni, Alessio. Ma il ragazzo non ci sta, non accetta il determinismo che, ancora in quegli anni, la faceva da padrone. C’è in lui una sorta di angoscia per una vita fissata e tutta uguale.

Ragioneria, corso serale perché durante il giorno c’era il lavoro. Mamma, che noia.

Ha un sogno da inseguire, anche se non ne conosce ancora forma e contenuto.

Spiccherà presto il volo,  a costo di entrare in conflitto con l’ambiente circostante, Padre compreso. Però….La Famiglia è sempre stata per lui un punto fermo; e, alla fine del testo, esprime questo sentimento, esteso ai fratelli, con una tenerezza incredibile. La madre gli ha insegnato la libertà e ha creduto sempre in lui, fin dall’inizio; il padre gli ha donato la perseveranza e, senza volerlo, col suo carattere un po’ ruvido, lo ha indotto ad allontanarsi dal nido. Quel Papà il quale, all’inizio, non comprendeva di che cosa andasse mai alla ricerca il figlio, il Sorgen Kind; ma quando questi ha cominciato a riportare i primi successi, frutto di serio impegno, eccolo acquistare i giornali che parlavano di lui e  mostrarli orgoglioso agli amici.

I due coniugi si sono amati e si amano moltissimo. Ci viene raccontato all’inizio: lui che, caschi il mondo, dà un bacio a lei, alla sera, dopo la doccia, al termine di una giornata faticosa e le riserva piccole attenzioni come sbucciare e tagliare la frutta. L’amore tra i genitori è davvero il regalo più grande che si possa fare ad un figlio, a patto che sia un amore non chiuso in se stesso a campana, ma illumini chi sta vicino. Amore solido che resta anche se magari vi sono contrasti e tu hai scelto una strada diversa da quella che tuo padre e tua madre sognavano per te. Amore punto fermo, capace donarti quella carica, quella sicurezza che ti consentono di affrontare le battaglie della vita. Ti rende ”contento”, come sottolinea Alessio riprendendo l’aggettivo da Tiziano Terzani: in pace con te stesso e col mondo. E di contagiare di quella contentezza chiunque incontri.

Il Sogno… Dapprima entra in Polizia, dopo una severa selezione, perché immagina di diventare una sorta di “Serpico”, il difensore  dei deboli; ma, dopo poco più di un anno, allergico alla ferrea disciplina, lascia -pur dichiarando che quell’esperienza gli ha insegnato la costanza, il rispetto e l’osservanza delle regole- e con un amico si reca negli USA, un mondo totalmente libero dove ha fatto di tutto, perfino il baby sitter

Dopo pochi mesi torna in Italia…altre esperienze, come quello di animatore turistico.  Questo abbozzo di recitazione, forse ha mosso qualcosa dentro di lui…

Poi…..Le sorprese non mancano, tra speranze e delusioni. Ma il giovanotto tira dritto, guai  mollare.

Infine la folgorazione, dopo aver assistito a Roma… “Ero tutto occhi, orecchie e cuore, scoperchiati di fronte a quel caos armonico che arrivava dritto alle viscere…” Comprende che quella è la sua strada, quello è il sogno inseguito da realizzare.

La marcia di avvicinamento al palcoscenico, gli anni dell’Accademia d’Arte Drammatica a Roma, la vita bohemienne, e la costruzione di sé attraverso i Maestri incontrati, nei confronti dei quali serba affetto e gratitudine infiniti, raccontati in vividi bozzetti. Giorgio Strehler e Orazio Costa, anzitutto; o Andreas Rallis, sorta di asceta del teatro, che lo capisce al primo sguardo: “Hai le motivazioni giuste.”

E, negli anni successivi, Marco Tullio Giordana, il regista che, a mio avviso, ha saputo valorizzarlo meglio. Questione di…chimica. Pensiamo solo al trio Loren / Mastroianni / De Sica: imbattibile.

Sicuro di sé, ma, al contempo umile, come aveva insegnato ad Alessio la nonna Maddalena, altra importante figura di casa. Mattoncino, dopo mattoncino….

Ti colpisce la capacità di vivere i personaggi, attratto dalla loro radicalità -pensiamo a Caravaggio, quasi un compaesano, impegnato ad inseguire la verità della vita nei bassifondi; a Ulisse, l’uomo che sa osare e sfidare il destino, “la cui esperienza appartiene a ciascuno di noi”; al Principe Andrea di Guerra e Pace (“schiacciato dal dovere e teso alla gloria”); a Walter Chiari (difficilissimo ruolo)-, di penetrare nel loro intimo con tutto se stesso e sapersi trasformare anche in qualcuno all’opposto di lui. Perfino in un mostro, come il terrorista mai pentito, Giorgio Pellegrini (Arrivederci amore, ciao), che alla fine trionfa, sorta di nostrano Mister Ripley.

“Adoro misurarmi con personaggi completamente diversi da me. Più sono lontani, più mi attraggono”.

E che dire dell’indimenticabile Matteo Carati: di La meglio gioventù (regia di Giordana, guarda caso), il giovane di alti ideali che rifiuta il mondo mediocre attorno e si toglie la vita proprio la notte di S. Silvestro, insopportabile fiera delle vanità? Quanti si sono riconosciuti in lui e quanti hanno visto in Matteo l’amico, il figlio, il fratello che aveva fatto la stessa fine.

Leggetevi con cura ciascun capitolo e sarete coinvolti in un viaggio sorprendente, con persone colme di fascino ritratte dall’Autore con profondità che induce da riflettere e rileggere.

Chissà se a questo libro ne seguiranno altri, frutto magari degl’incontri appassionati coi personaggi cui dà corpo e cuore.. E’ presto per dirlo  e non ha nemmeno senso porgli la domanda.

Intrecciata alla vita artistica è l’impegno sociale (iniziato nel 2006) per incontrare lo sguardo dell’altro, per “lasciar fuori della porta la finzione, la maschera che noi ci portiamo sempre appresso, incollata sull’anima”. Scrive: “Quasi ogni anno compio un viaggio in Paesi che vivono in condizioni di disagio…Mi prendo una tregua dal lavoro e vado alla scoperta, cercando, nel mio piccolo, di portare  alla luce dell’opinione pubblica situazioni di emergenza”, Viaggi compiuti con organizzazioni umanitarie, internazionali e nostrane, come UNICEF, Medici senza Frontiere  o CESVI, una ONG bergamasca di cui è attivo testimonial da tempo.

Mozambico; Indonesia; Zimbawe; Myanmar; Perù; Haiti; Lesbo, in Grecia, disastro umanitario, tragedia dimenticata a un paio di ore d’aereo da Roma.

Senza dimenticare Siracusa e S. Pietro a Paterno, vicino a Napoli: realtà terribili e inimmaginabili, proprio qui, a casa nostra.

Testimonianze vivide, senza sconti, diversa l’una dall’altra, capaci di darti molto, di cambiarti il cuore. A completamento è utile visionare gli splendidi documentari da lui girati, estraibili dal suo sito web – nei primi ha ancora un volto di ragazzo, Lorenzo in un futuro non così lontano- a testimonianza della passione e dedizione. Un impegno serio, ben lontano dal cliché della persona famosa che si fa fotografare in istantanee coi bambini africani perché fa tendenza.

Circolarità del testo, com’è nell’esperienza ebraica.

Il racconto inizia evocando le figure di Ulisse e Don Chisciotte; si conclude con loro che riappaiono sulla scena, stelle polari nell’esperienza dell’Autore.

L’uno lascia la sua isola, la serenità familiare per andare verso l’ignoto, superando i limiti imposti dal destino. L’altro, per i canoni comuni, banali è un fallito, ma in realtà, in sella a Ronzinante, esprime la forma più alta di coraggio: la fedeltà al proprio sogno, inseguito in epoca cavalleresca e vagheggiato in ogni tempo dagli spiriti eletti: la Giustizia.

Lorenzo ascolta le parole di suo Padre, sgrana gli occhi e sorride.

 

Buona Lettura.