Editori Laterza, Bari, Febbraio 2022, Collana Saggi tascabili Laterza, pp. 192, €.15
“ Si tratta di un Paese di cui molto si parla, facendo il più delle volte un’esperienza scarsa, se non nulla, degli eventi concreti. Un nulla che viene coperto da stereotipi, luoghi comuni, apologie acritiche e, più spesso, insensate demonizzazioni”
Fin dalla sua (ri) costituzione nel 1948 lo Stato di Israele è stato al centro dei conflitti in Medio Oriente ed oggetto di accesi dibattiti, soprattutto in Europa; in primo luogo a cominciare dal giugno 1967, allorché l’esercito israeliano, all’avanguardia sotto tutti i punti di vista e carico di determinazione, riportò una luminosa, quanto inaspettata (dai suoi avversari) vittoria sulle forze arabe sostenute dall’Unione Sovietica, assai più numerose, ma non certo altrettanto evolute quanto a tecnologia; e, men che mai, così motivate.
Contrariamente ai vicini, Israele combatteva per la propria sopravvivenza, come del resto ha sempre fatto.
Con mia grande sorpresa, l’ho scritto numerose volte, il mondo cosiddetto progressista, tranne poche eccezioni, sostenne compatto le ragioni di parte araba e iniziò così la ben orchestrata opera di disinformazione e demonizzazione di Israele che tuttora prosegue, sia pur con motivazioni sia pur sempre più scolorite, ma instancabili, e spesso con sprezzo del ridicolo, dopo oltre cinquant’anni dalla sorprendente “Guerra dei Sei Giorni”, senza che vi sia in molti, anzi in troppi, un serio tentativo di (provare a) comprendere la storia e le vicende di un Paese quanto mai complesso, la cui nascita, pur inserita nel solco dei movimenti nazionali sviluppatisi nel XIX secolo, se ne distingue per diversi aspetti, a cominciare da quello territoriale.
Non è problema da esaminare nel presente contesto, ma rivestono una certa importanza sia la disinformazione in questa materia -ma non solo, pensiamo ai vari putiniani di complemento venuti alla luce a fine febbraio, esibiti nei salotti televisivi, in nome di un fasullo pluralismo- che caratterizza i nostri media (per non parlare dei social network, vere fogne a cielo aperto, salvo poche eccezioni), sia l’inadeguatezza e la vetustà di organizzazioni internazionali quali l’ONU e i suoi diversi organismi.
Claudio Vercelli, docente di Storia contemporanea presso l’Istituto di studi storici Gaetano Salvemini di Torino, docente a contratto nell’Università Cattolica, autore di numerose pubblicazioni in materia, con il presente saggio, ISRAELE Una STORIA in 10 QUADRI, identifica ed approfondisce i cambiamenti più importanti avvenuti nel Paese lungo i suoi poco più di settant’anni di vita al fine di fornire al lettore le basi fondamentali per farne proprie le recenti evoluzioni.
Come viene ben chiarito in premessa, non si tratta di una storia dello Stato di Israele [1]; bensì di una riflessione che prende l’avvio da alcuni passaggi strategici, nella storia, nella demografia, nella geografia, nell’economia, nella politica, nell’immagine che il Paese ha di sé; 10 quadri appunto, che consentono a chi legge e riflette di imparare a conoscere un luogo di piccole dimensioni, ma quanto mai proteiforme e mutevole.
Il percorso è semplice, lineare. Libretto prezioso, sostenuto dalla presenza muta, ma indispensabile, di Barney, il cane di Claudio; un labrador, immagino: dal nome e dal ritratto affettuoso che egli ne fa.
Ecco i titoli dei 10 quadri, alcuni posti in forma di interrogativo, che Vercelli pone a se stesso e al lettore:
– Pensare il nome “Israele”
– Definire la nazione: le radici del sionismo
-Costruire lo Stato degli Ebrei o realizzare lo Stato ebraico?
-Gli spazi e il tempo: dallo Stato di Israele al Regno della Giudea?
-Ridefinire il rapporto tra demografia e democrazia
-La terra e i flussi: geografia, economia, globalizzazione
-Rappresentanza elettiva e populismo nella società politica israeliana (aggiungo: anche in relazione coi cosiddetti populismi europei)
-Immaginare Israele: raccontarsi ed essere raccontati
-Antisemitismo e antisionismo: il ramo storto dell’umanità
-Ciò che c’è, quel che resta.
Ciascuno lettore si soffermerà sugli aspetti, le tematiche che lo hanno colpito di più, senza necessariamente uniformarsi al cammino seguito dall’Autore.
Per quanto mi riguarda, è sempre appassionante la dialettica Stato degli Ebrei / Stato ebraico. Si soffermerò in breve solo su questo aspetto.
La dizione “Stato degli Ebrei” trae origine da un processo storico inserito nell’ambito dei movimenti nazionali ottocenteschi; percorso che ha visto gli Ebrei costruttori di una via nazionale come soluzione ai loro secolari problemi, così polarizzati: da una parte, l’antisemitismo, su cui non vale spendere parole; dall’altra, l’assimilazionismo, il rischio cioè della perdita della propria identità.
Altra questione è invece il riferirsi allo “Stato ebraico”. Ciò richiama ad una sovranità politica basata su un insieme di norme derivate dai testi religiosi fondamentali. Israele ha un corpus normativo che si rifà solo in minima parte alla tradizione ebraica, mentre le sue leggi e la loro applicazione sono tipiche di una società moderna secolarizzata.
Altro argomento è il rapporto tra identità ebraica, religiosità e sfera pubblica. Questo rimanda al modo in cui gli israeliani percepiscono il loro essere ebrei, sovente diverso dal vissuto diasporico; grazie anche al fatto che non esiste un unico modo di essere ebrei, non esiste quella che, in campo cattolico, viene definita “dogmatica”. E l’ebraismo medesimo è percepito solo in una parte minoritaria degli israeliani come scaturito da una radice religiosa, ma costituisce una sorte di comune sentire, un’appartenenza civile condivisa.
Senza contare, problema da non sottovalutare, che oltre un 20% dei cittadini dello Stato non è ebreo.
Quali prospettive per il futuro di Israele, in un’epoca tendenzialmente globalizzata, in cui vengono messi in dubbio confini e limiti, quando, viceversa, confini definiti e sicuri (nonché accettati dalla comunità internazionale) sono il suo principale problema, al momento di difficile soluzione?
Ci troviamo di fronte ad una società che ha le proprie radici in una cultura politica (il Sionismo) ancorata al pensiero occidentale, con un più un patrimonio sentimentale ed effettivo, in cui è tuttora partecipe la tragedia vissuta dal Popolo Ebraico nel Novecento, con le notevoli implicazioni nel rapporto con i Paesi europei che, poco o tanto, non sono certo estranei alle responsabilità del Genocidio. Senza contare l’importanza della lingua ebraica (l’ebraico rinato, non lo yiddish, espressione di sofferenza e subordinazione!), vero collante per i cittadini dello Stato, come il servizio militare, autentica scuola di educazione civica.
A ciò si aggiunge il montante antisemitismo, incredibile fino a qualche decennio fa, in parte dovuto all’irrisolto rapporto di quegli stessi Paesi europei col mondo ebraico, in parte al dilagare dell’Islam in Occidente, nella sua forma più estremista che purtroppo sta modificando in modo drammatico le nostre società democratiche. La debolezza dell’Europa, da questo punto di vista, meriterebbe una riflessione severa, che non è il caso di intraprendere in questa sede.
Sarà Israele, già all’avanguardia in campo scientifico e tecnologico, ricco di una variegata cultura, a fungere, in qualche modo, da apripista? Israele, passato da Nazione dei kibbutzim a Starp up Nation nel volgere di pochi decenni.
Certo ci sono l’irrisolta questione palestinese, il gravissimo pericolo rappresentato dall’Iran ad un passo dalla bomba atomica, rischio colpevolmente sottovalutato in Occidente, ma nuovi rapporti si stanno costruendo tra Gerusalemme e gli Stati arabi sunniti, in cui sono al potere regimi dittatoriali -problema non da poco!-, nel solco dei cosiddetti “Accordi di Abramo” siglati due anni fa .
Tra domenica sera, 27 marzo, e lunedì 28 ha avuto luogo, nel sud di Israele, uno storico vertice regionale, con la partecipazione dei rappresentanti di Stati Uniti, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco, cui si è aggiunto l’Egitto, primo Paese arabo a fare la pace con Israele (1979).
Al centro degli incontri, le minacce insite nel problema nucleare iraniano e le sue ricadute sulla sicurezza mediorientale, nonché mondiale.
La velocità con cui è stato organizzato il “Vertice del Negev”, il luogo scelto per l’incontro e l’elenco dei partecipanti sottolineano il notevole significato di questo summit senza precedenti fra ministri arabi in Israele. Ospitato dal Ministro degli Esteri Yair Lapid in un hotel presso Sde Boker, il kibbutz del Negev dove abitava e dove è sepolto il Primo Ministro fondatore di Israele David Ben-Gurion, l’incontro in un luogo di tale risonanza storica ha costituito di per sé un’ulteriore eccezionale conferma della legittimità e dell’importanza regionale attribuita a Israele dai partner degli Accordi di Abramo: Marocco, Bahrain ed Emirati Arabi Uniti. Con la loro semplice presenza, i Ministri degli Esteri di questi Paesi hanno portato a un livello più alto le relazioni con quello Stato per la cui (ri)fondazione la figura di Ben-Gurion è imprescindibile.
Questi colloqui arrivano appena una settimana dopo che il Presidente egiziano Abdel-Fattah el-Sissi ha ospitato a Sharm el-Sheikh il Primo Ministro israeliano Naftali Bennett e il Principe Ereditario degli Emirati Arabi Uniti Mohammed bin Zayed al-Nahyan, per un vertice decisamente caloroso e ben pubblicizzato.
Senza contare un fatto di rilievo.
Scrive David Horovitz in Times of Israel del 28 marzo : “L’attacco terroristico di domenica sera a Hadera, in coincidenza con il summit di ministri degli esteri arabi ed israeliano nel Negev ha gettato un’ombra cupa su quello che doveva essere la festosa apertura di un incontro senza precedenti. Ma indipendentemente dal fatto che il mortale attentato -rivendicato dallo Stato Islamico (Isis) e celebrato dalla Jihad Islamica Palestinese come una ‘eroica risposta al vertice dell’umiliazione e della vergogna nel Negev occupato’ – fosse o meno progettato allo scopo di far deragliare il vertice e di scoraggiare i suoi partecipanti arabi, la cosa più evidente è che ha avuto esattamente l’effetto opposto.
Uno dopo l’altro, nelle loro dichiarazioni pubbliche alla conclusione formale dei colloqui di lunedì pomeriggio, il Ministro degli Esteri israeliano Yair Lapid e i suoi quattro colleghi arabi hanno fermamente condannato quest’ultimo, ennesimo caso del sanguinoso terrorismo con cui tutti i loro paesi sono alle prese, per poi rapidamente andare avanti e sottolineare la loro comune determinazione a costruire un fronte unito contro il devastante estremismo che imperversa nella regione”.
[1] Lo stesso Vercelli ne ha scritte tre: Israele. Storia dello Stato. Dal sogno alla realtà (1881-2007), Giuntina, Firenze, 2007; Breve storia dello Stato di Israele. 1948-2008, Carocci, Roma, 2008; Israele. 70 anni. Nascita di una nazione, Edizioni del Capricorno, Torino, 2018. Attualmente è impegnato nella redazione di un saggio riguardante la Storia del Sionismo