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In un’intervista appena rilasciata a Enrico Parola (Corriere della Sera del 17 aprile), il Maestro Daniele Gatti dichiara: “Perché lo faccio? Perché me lo ha chiesto Abbado. Indirettamente: nei suoi ultimi tempi aveva confidato agli orchestrali: ‘Mi piacerebbe che vi prendesse Daniele’; così nel 2019 ho accettato”.

 

 

L’amata Orchestra Mozart ritorna a Bologna col suo Direttore musicale Daniele Gatti per proporci al Teatro Auditorium Manzoni due concerti.

In entrambi Ludwig van Beethoven è il protagonista assoluto, senza nulla togliere a Richard Strauss, che pure ascolteremo nel secondo concerto, autunnale.

Il primo in data 18 aprile, dopo la residenza artistica presso il LAC di Lugano per il tradizionale incontro di Pasqua. Il secondo l’1 ottobre, ancora al Manzoni.

Il 18 aprile:

Ouverture da Le creature di Prometeo, Op. 43

A seguire Il Triplo concerto in Do maggiore per pianoforte, violino e violoncello Op. 56, con la partecipazione di Andrea Lucchesini, pianoforte, e dei Solisti dell’Orchestra Mozart; vale a dire:

Francesco Manara, violino, che abbiamo applaudito in Accademia Filarmonica lo scorso 23 marzo insieme al suo Trio Johannes, a Simonide Braconi a Paolo Borsarelli

e Gabriele Geminiani, violoncello, il carissimo Gabri dal quale non si può prescindere.

Con Andrea Lucchesini, pianoforte, occhi chiari, capelli ricciuti.

Formatosi sotto la guida di Maria Tipo, Andrea ha ottenuto fin da giovanissimo largo consenso vincendo il Concorso Internazionale “Dino Ciani” al Teatro alla Scala di Milano. Da allora si è esibito in tutto il mondo con le più importanti orchestre e collaborando con i più illustri direttori. Recentemente ha tenuto concerti al Maggio Musicale Fiorentino diretto da Fabio Luisi, a Santa Cecilia in Roma sotto la direzione di Myun Whun Chung e con l’Orchestra della RAI Torino diretta da D. Russell Davies, oltre a concerti in Cina e al Festival di Astana. La sua ampia attività, segnata dal desiderio di esplorare la musica senza limiti, lo porta ad offrire programmi che spaziano dal repertorio classico a quello attuale sia in concerti che nelle sue numerose registrazioni. Per BMG il pianista ha registrato il Concerto Echoing Curves di Luciano Berio, diretto dallo stesso compositore. Questo ha segnato una delle pietre miliari di una stretta collaborazione con Berio, con cui Lucchesini ha assistito alla creazione della Sonata, opera finale e impegnativa dell’autore per pianoforte solo. Lucchesini ha eseguito la prima mondiale di questo brano nel 2001 che – insieme a tutte le altre opere pianistiche di Berio – è entrato a far parte di un CD per la AVIE Records, con  unanime successo di critica internazionale. Inoltre nel 2018 la German Label AUDITE ha pubblicato un nuovo CD con le Sonate di Scarlatti intercambiate con gli Encores di Berio, “un dialogo e allo stesso tempo un contrasto, un’esperienza di ascolto” come il pianista stesso lo descrive. Insieme all’orchestra e al repertorio solista, Lucchesini dedica sempre grande attenzione alla musica da camera, anche attraverso la stretta collaborazione con altri musicisti di spicco e l’esplorazione di varie formazioni del repertorio cameristico. Convinto che trasmettere la conoscenza musicale alle giovani generazioni è un dovere morale, Lucchesini si dedica con passione all’insegnamento. È spesso invitato a tenere masterclass presso le più importanti istituzioni musicali europee, come la Musik Hochschule di Hannover e la Sommer Wasserbuger Festspiele e la Musik Hochschule di Salisburgo. Fa parte di giurie in numerosi concorsi pianistici di tutto il mondo ed è stato nominato Accademico di Santa Cecilia nel 2008.

 

Conclusione del nostro concerto di Pasquetta nella gioia più totale con il terzo brano

Sinfonia n. 7 in La maggiore Op. 92.

 

Un anticipo sull’incontro di ottobre:

Metamorphosen- Studio per 23 archi solisti, di Richard Strauss, e ancora una volta Beethoven

con l’imponente Sinfonia n. 3 in Mi bemolle maggiore Op. 55, Eroica.

 

Nota di merito:

I concerti dei Solisti dell’Orchestra Mozart sono realizzati con il contributo di Alfasigma S.p.A; mentre la stagione concertistica è realizzata con l’apporto del Ministero della Cultura, della Regione Emilia-Romagna e del Comune di Bologna.

Media Partner: Rai Radio3, Classic Voice e Il Resto del Carlino. Partner: Nuovo Hotel Bologna de la GareTPER.

 

E’ una serata luminosa, piuttosto fresca; all’ingresso del teatro molte persone. Anzi, oltre a tanti affezionati della nostra Orchestra (i più simpatici, ad essere sincera), scorgo un notevole numero di volti nuovi.

Meglio così: significa che la Mozart è davvero patrimonio della nostra città.

Entriamo in teatro e ci sediamo ai posti, fila C, numeri 6 e 8: siamo sotto al palco, così possiamo respirare con loro, cogliere la gioia, gli sguardi d’intesa, i sorrisi e, perché no, la tensione che qua e là affiora, subito temperata da quel… professionale entusiasmo  che caratterizza i Nostri.

Qualcuno mi batte leggermente sulla spalla: Maria Orlandi Biagi, un regalo anche solo vederla!

Abbiamo condiviso l’avventura dell’Associazione Mozart 14, della quale ho scritto a più riprese su questo sito; la realizzazione del Sogno di Claudio Abbado: far giungere la Musica nei luoghi in cui essa non entra, carceri e ospedali in primo luogo. Dopo la morte del Maestro, la figlia Alessandra ha raccolto il testimone e proseguito in questa esperienza, bellissima nei contenuti, ma difficile quanto agli aspetti finanziari, perché, si sa, i bolognesi (ma non solo loro, certo) sono propensi, per dirla con la stessa Alessandra, più ad aprire il cuore che…il portafoglio!

La pandemia, poi, ha dato il colpo di grazia; unitamente, va detto, ad una certa ingenuità nel ritenere che la cittadinanza -tramite qualche facoltoso sovvenzionatore- avrebbe aiutato. Così, pur con estremo rammarico, Mozart 14 ha chiuso i battenti poco meno di un anno fa e i diversi programmi e progetti che ne costituivano l’essenza si sono silenziati.

Non tutti però. Tamino (Musica nei reparti pediatrici) è stato rilevato dalla Fondazione S. Orsola (che dispone di discreti “mezzi” economici), mentre Papageno (Musica nelle carceri) è prossimo alla (ri) partenza.

Come? Me lo spiega, in breve, Marina. Si ricomincerà -va da sé l’autunno prossimo- con una struttura snella, senza le tentazioni di… grandezza del passato.

Il Coro (Papageno), se ho ben capito, non sarà più misto, composto cioè da volontari esterni e da detenuti, ma solo da questi ultimi.

Peccato, perché lo scambio era fantastico e, ammettiamolo, induceva perfino chi, per nulla al mondo, avrebbe messo piede in un carcere, ad entrarvi senza problemi; insomma, quasi.

La presenza di Marina, in questo nuovo cammino, mi rassicura: non solo perché è persona di notevole intelligenza e calore umano, uniti a quell’ironia indispensabile per intraprendere qualunque strada difficile; ma perché di realtà sociali se ne intende, visto che è l’anima della Fondazione intitolata al marito, nel cuore di tutti noi, il giuslavorista Marco Biagi, assassinato davanti a casa, sotto gli occhi della moglie, dalle Brigate Rosse nel 2002: il 19 marzo Festa del Papà.

Si ricomincia, insomma, un piccolo passo alla volta.

Ovvio che, al momento, non è neppure pensabile far tornare di attualità la proposta, da me fatta ad Alessandra ai primi di marzo 2020 e da lei accolta con piacere, in merito all’invito, in un prossimo concerto del Coro Papageno, da rivolgere a un certo personaggio, che avrebbe garantito folta presenza di pubblico.

Ma chissà che col tempo…..L’importante è non perdere i contatti, poi si vedrà.

“Sognare non costa nulla” afferma qualcuno. Non sempre è vero, ma talvolta sì.

Torniamo intanto ai nostri sogni condivisi con la Mozart.

Chi entra per primo?

Facile: Giacomo (Tesini), seguito da Gabrielle (Sheck), Timoti (Fregni) e…Francesco (Senese).

Via via gli altri, a cominciare da (Manuel) Kastl, Simone (Briatore), di nuovo con noi, Gabriele (Geminiani) che avrà una grande parte nel secondo brano. Poi Hermann van Kogelenberg, notevole flautista, le trombe mirabili Thomas Hammerschmidt e Jakob Gollien….I supercornisti Jose – Vicente Castello e Giuseppe Russo…

Il Quartetto Mirus è al completo: Riccardo (Savinelli), viola; Luca (Bacielli), violoncello, Massimiliano (Canneto), violino secondo; e Federica (Vignoni), violino primo, la pescarese dai lunghi capelli neri striati di blu. Molto appassionata, drammatica, felice di suonare, cioè di giocare: in inglese il verbo è lo stesso, to play.

Il Direttore entra accolto da un’ovazione, come sempre.

 

Ecco!

Le Creature di Prometeo Die Geschöpfe des Prometheus, op. 43 è un balletto in tre atti musicato da Beethoven nel 1801, per la coreografia di Salvatore Viganò.

Costituisce l’Op. 43 del Catalogo beethoveniano. Essa si articola in 17 momenti, che iniziano con l’Ouverture e si concludono con l’Allegretto in mi bemolle maggiore.

Prima al Burgtheater di Vienna il 28 marzo  1801.

Si tratta dell’unico balletto propriamente detto composto dal sommo musicista.

Il libretto originale è perduto, mentre rimane il programma della prima rappresentazione.

Fu accolto tiepidamente al debutto e in seguito dimenticato con l’eccezione dell’Ouverture in Do maggiore (Adagio, Allegro molto con brio), che visse una vita indipendente come pezzo da concerto. Ne ascoltiamo una parte, poco più di cinque minuti, ma è tutta una meraviglia.

E’ musica splendida, spumeggiante in tutta la sua durata; ogni strumento canta con gli altri e gli assolo del violoncello richiamano tutti quanti, in un rincorrersi tra Adagio e Allegro e Allegro molto.

Organico: 2 flauti; 2 oboi; 2 clarinetti; 2 fagotti; 2 corni; 2 trombe; timpani, archi.

Il finale (Allegretto /Allegro molto) contiene, in forma di rondò, il tema con variazioni che, nientemeno, chiuderà la Sinfonia n. 3, cioè l’Eroica (prima esecuzione pubblica a Vienna il 7 aprile 1805). Ti emozioni perché è evidente che la Musica non è un’entità astratta, lontana dalla vita dell’Autore, ma ne è parte essenziale.  Una mirabile direzione di Leonard Bernstein coi Wiener Philarmoniker.

 

Come indica il titolo, l’argomento del Balletto riprende la favola classica di Prometeo.

Questo eroe greco -creatura sublime che aveva trovato l’umanità nello stato di ignoranza primigenia- ebbe il merito, secondo la mitologia, di aver affinato gli esseri umani attraverso le scienze e le arti e di offerto loro leggi universali. Muovendo da questi presupposti il Balletto porta in scena due simboliche statue animate che, grazie alla potenza dell’Armonia, a poco a poco divengono partecipi di tutte le espressioni della vita (di qui l’origine dei vari “quadri” del Balletto).

Prometeo conduce le statue sul Parnaso (il monte di Apollo e delle Muse) e dà incarico ad Apollo di avvicinarle ai mondi delle varie Arti; Apollo, a sua volta, invita Anfione, Arione e Orfeo a far conoscere alle statue i segreti della Musica, mentre chiama Melpomene e Talia a dischiudere i misteri della Tragedia e della Commedia. In ultimo Prometeo affida le creature a Tersicore e a Pan, affinché apprendano le tecniche della Danza pastorale; nonché a Bacco perché esse entrino nel mondo delle Danze a carattere orgiastico.

Un breve racconto sul mito di Prometeo, uno dei più importanti delle cultura greca, che segna il rapporto tra gli uomini e gli Dei dell’Olimpo.

Prometeo (in greco antico Promethéus, ossia colui che riflette prima), era un Titano, ossia uno degli dei più antichi, che controllavano l’universo  prima degli dei dell’Olimpo capeggiati da Zeus.

I Titani vengono considerati come le forze primordiali del cosmo, che imperversavano sul mondo prima dell’intervento regolatore e ordinatore degli dei olimpici.

Prometeo aveva cinque coppie di fratelli gemelli, appunto i Titani. Un giorno essi si ribellarono a Zeus e Prometeo (che aveva previsto la sconfitta dei Titani) si schierò, insieme al fratello Epimeteo (ossia “colui che riflette dopo”), dalla parte di Zeus contro i Titani. Ciò permise a Prometeo di diventare amico degli altri dei dell’Olimpo.

Tra questi Atena, figlia di Zeus, la quale gli insegnò le arti dell’architettura, dell’astronomia, della matematica, della medicina, della metallurgia e pure della navigazione. Prometeo trasmise questi doni agli esseri umani.

Prometeo e suo fratello ricevettero dagli dei anche un certo numero di buone qualità, da diffondere saggiamente fra tutti gli esseri viventi. Epimeteo cominciò a distribuire queste buone qualità agli animali, a caso, dimenticandosi degli uomini. Così, per rimediare, Prometeo decise di rubare dalla casa di Atena uno scrigno in cui erano riposte l’intelligenza e la memoria, e le donò agli uomini. Ciò provocò l’ira di Zeus, che giurò di vendicarsi.

I rapporti tra il Re degli Dei e gli uomini furono peraltro sempre burrascosi, al punto che un giorno Zeus, per somma ritorsione, tolse il dono del fuoco agli uomini per lasciarli nel buio più totale.

Che fare?

Prometeo si recò allora dalla sua amica, la dea Atena, dea della saggezza e dell’artigianato, affinché lo facesse entrare di notte nell’Olimpo. Giunto lì accese una torcia col fuoco del carro di Elio (il dio del Sole) e fuggì.

Quando Zeus venne a sapere che Prometeo aveva riportato il fuoco agli uomini andò su tutte le furie e ordinò a Efesto, dio della scultura, della metallurgia, dell’ingegneria e del fuoco (Vulcano, per i romani), di creare una donna bellissima a cui venne dato nome di Pandora: era la prima donna del genere umano.

Zeus mandò Pandora come regalo a Epimeteo (il fratello sciocco di Prometeo), affinché la sposasse e lei potesse, poi, punire il genere umano. Epimeteo, però, avvertito dal fratello della macchinazione, la rifiutò.

Allora Zeus, furioso, decise di farla pagare una volta per tutte al titano e agli uomini che questi difendeva. Così fece incatenare Prometeo a una roccia sulla vetta di un monte. Lì, ogni giorno, un’aquila gli avrebbe squarciato il ventre e dilaniato il fegato per l’eternità; ma il titano era immortale e durante la notte le ferite guarivano. Un supplizio infinito.

Nel frattempo Epimeteo, che sperava di far cambiare idea a Zeus sulla sorte del fratello Prometeo, decise di sposare Pandora. Poco dopo, però, la giovane, curiosa, aprì un vaso che Epimeteo teneva nascosto. Al suo interno si trovavano tutti i mali che potevano colpire l’uomo e che erano stati chiusi lì da Prometeo stesso: le malattie, la pazzia, la fatica, la passione, la vecchiaia e la morte.

Non appena il vaso fu aperto, questi mali si sparsero subito tra gli uomini e solo la Speranza, anche lei nel vaso, da quel giorno poté dare conforto gli esseri umani nei momenti peggiori.

E Prometeo? Dopo ben tremila anni Ercole, figlio di Zeus, passò sul monte in cui l’eroe soffriva incatenato. Con una freccia trafisse l’aquila che tormentava Prometeo e ne spezzò le catene: il titano che aveva plasmato l’uomo e gli aveva donato il fuoco era di nuovo libero.

Chi meglio di Beethoven può dirsi portatore degli ideali illuministici di libertà?

Il titano della “grande musica d’arte” di fronte al titano per eccellenza della mitologia antica, cioè Prometeo.

 

Ludwig van Beethoven, Triplo concerto in Do maggiore per pianoforte, violino e violoncello, Op. 56

Si svolge su tre movimenti

  1. Allegro
  2. Largo (la bemolle maggiore)
  3. Rondò alla Polacca

 

Composizione: 1803/04

Prima esecuzione: Vienna Großer Redoutensaal del Burgtheater, 4 maggio 1808

Edizione: Bureau des Art set d’Industrie, Vienna, 1807

Dedica: Principe Lobkowitz

 

Il Grande Concerto in do maggiore per pianoforte, violino e violoncello, più noto come Triplo Concerto, viene scritto nel 1803-1804, ma è pubblicato tre anni dopo, nel 1807, come Op. n. 56.

Il 1803 rappresenta un anno proficuo per Beethoven: dopo l’intenso lavoro all’opera Leonora, si dedica alla revisione della Sinfonia Eroica, completa il Triplo Concerto e compone le Sonate per pianoforte Op. 53 e Op. 54, oltre ad abbozzare larghe parti dell’Op. 57, l’Appassionata.

Alcuni commentatori avanzano l’ipotesi che originariamente l’opera sia stata concepita per il solo violoncello, vista la preponderanza virtuosistica che questo strumento ha nei confronti degli altri due solisti. Va osservato che la prima esecuzione assoluta dell’opera, avvenuta a Vienna nell’estate del 1808, vide al violoncello il famoso virtuoso Anton Kraft, al violino il modesto Carl August Seidler e al pianoforte l’arciduca Rodolfo, poco più che un dilettante. Il violoncellista era l’unico quindi che potesse reggere il peso di una scrittura tecnicamente impegnativa.

Oggi: un concertato perfetto, una perfomance,  quasi  jazzistica, tra Pianoforte (Lucchesini), Violino (Manara) e Violoncello (Geminiani).

Tre musicisti che non avevamo mai suonato insieme, ma diresti che è una vita che respirano le stesse note.

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Pensa che i musicisti della Mozart (come del resto quelli della “corazzata”, cioè dell’Orchestra di Lucerna, mirabilmente guidata da Riccardo Chailly dal 2015, figlia dello stesso padre Abbado) si prendono un periodo di congedo dalle importanti compagni di cui fanno parte per ritrovarsi a suonare insieme, per ascoltarsi l’uno l’altro, solo per pochi giorni. Una gioia infinita, come accadeva con Claudio Abbado.

Questo è il lascito più prezioso del Maestro  milanese: lo spirito che anima “la” Mozart e “la” Lucerna.

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Lasciamo la parola ai musicologi; nella fattispecie Giorgio Pestelli.

“L’esposizione orchestrale del primo movimento, Allegro, si apre con un tema annunciato in Pianissimo da violoncelli e bassi e poi ripreso da tutta l’orchestra in un graduale crescendo. Una serie di impetuose scale ascendenti (bassi e violoncelli) conducono alla tonalità della dominante, nella quale prima gli archi e subito dopo i legni presentano il secondo tema. Una breve coda, basata sulla testa del secondo tema, conclude l’esposizione dell’orchestra. È ora la volta dei solisti, che in regolare successione espongono il primo tema: prima il violoncello nel suo registro acuto, seguito dal violino e dal pianoforte in ottava. Un nuovo tema, solenne e un poco retorico, esposto da tutta l’orchestra in Fortissimo, precede un’ulteriore ripresa del primo tema, affidato al violoncello e subito elaborato e variato dai tre solisti in un episodio sereno e spensierato. Il secondo tema, esposto in la maggiore, viene ancora una volta affidato al violoncello e viene seguito da un nuovo episodio di sviluppo motivico condotto principalmente dai tre solisti. Ancora il terzo tema, ora in fa maggiore, a tutta orchestra in Fortissimo, precede l’ultima apparizione del primo tema, ancora nella successione violoncello-violino-pianoforte.

Lo sviluppo è piuttosto convenzionale e non evidenzia quelle tensioni drammatiche tipiche di Beethoven. È formato essenzialmente da due episodi: il primo basato quasi esclusivamente sulla testa del primo tema e condotto su energici arpeggi ascendenti e discendenti dei tre strumenti solisti, il secondo costituito da un nuovo motivo cantabile, esposto dal violoncello e subito raddoppiato dal violino. La ripresa è regolare e prevede il ritorno di tutti i temi uditi nell’esposizione, più il nuovo motivo cantabile apparso per la prima volta nello sviluppo; un’enfatica coda conclude poi il movimento.

Il secondo movimento, Largo, è una pagina delicata, molto lirica, nella quale le straordinarie capacità cantabili del violoncello emergono in tutta la loro potenza. Poche battute orchestrali, poi la parola passa al violoncello solista, che espone il tema principale utilizzando il suo registro acuto; una breve transizione condotta dai corni e dal pianoforte conduce alla ripresa del tema principale. La melodia è ora affidata a violoncello e violino solisti, mentre pianoforte e corno sostengono armonicamente. Il sereno discorso musicale precedente si spezza poi bruscamente: tonalità minore, sospensione armonica, lunghi pedali preparano l’arrivo dell’ultimo movimento, Rondò alla Polacca, pagina leggera e spensierata, una delle poche concessioni beethoveniane alla moda dell’epoca. La sua struttura è quella tipica del rondò, con un refrain (tema principale) che si alterna a diversi couplet (cioè episodi).

Il tema principale, esposto dal violoncello e subito ripreso dal violino, è un motivo semplice e accattivante, che subito circola in orchestra con facilità e scorrevolezza, spesso variato e abbellito. Il primo couplet, basato su scorrevoli scalette ascendenti, è affidato ai tre solisti e si presenta come ideale continuazione del tema principale; il secondo couplet, invece, ha il tipico piglio ritmico della Polacca e ha in comune col terzo couplet la tonalità minore. Un veloce e frenetico Allegro, sorta di ‘moto perpetuo’ condotto dai tre solisti sulle delicate punteggiature degli archi, precede il finale, nel quale riappare per l’ultima volta il tema principale”.

Qui esegue il Trio Malipiero, Gruppo d’Archi Veneto, con Direttore il M° Maffeo Scarpis

 

 

 

 

Breve intervallo.

Si avvicina il superfotografo Marco Caselli Nirmal: lavoro, per lui stasera -le foto qui riportate sono sue-, ma pure la soddisfazione di essere tra noi.

Ci indica, presente a pochi passi, il M° Michele Mariotti, per diversi anni Direttore del nostro Teatro Comunale, il quale, a far tempo dal prossimo novembre guiderà, con un incarico quadriennale, il Teatro dell’Opera di Roma.

“Chissà” riflette Marco ad alta voce “che non sia uno dei prossimi Direttori della Mozart”. Chissà.

D’altronde sappiamo che, nel tempo, cambieranno i Direttori, ma lo spirito della nostra Orchestra resterà sempre quello.

Con il nostro amico ci salutiamo ripromettendoci di incontrarci ancora con la bella stagione, a Bologna sui nostri terrazzi “abbadiani”, cioè ricchi di piante.

Faccio una breve passeggiata per sgranchirmi le gambe.

Nel corridoio che conduce alla platea, una figura nota: Buona sera, Gaston Fournier Facio! Dopo un istante di perplessità -mannaggia le mascherine!- questo vero signore, consulente artistico della Mozart, profondo studioso di Gustav Mahler, ma non solo, mi dedica un affascinante sorriso.

E’ soddisfatto della serata: “E anche ieri, a Lugano, è andata a meraviglia! Al termine della Settima  è ‘venuto giù il teatro’ per gli applausi”.

Andiamo dunque a goderci l’ultimo brano: Sinfonia n. 7 in La maggiore Op. 92, articolato in quattro movimenti. Qui riporto l’interpretazione della East-Western Divan Orchestra diretta dal fondatore Daniel Barenboim, a Londra nel 2012, durante la stagione annuale detta Proms, durante la quale, per otto settimane, vengono eseguiti numerosi concerti (talora anche due al giorno) alla Royal Albert Hall, nel quartiere di South Kensington. Tra i musicisti riconosco l’artista della viola e nostro amico nella Mozart, Behrang Rassekhi: ben trovato!

  1. Poco sostenuto – Vivace
  2. Allegretto (la minore)
  3. Presto (fa maggiore)
  4. Allegro con brio

Un brano che abbiamo vissuto tante volte.

L’ultima con Grazie Claudio!  il concerto del 24 gennaio 2019 diretto dall’indimenticabile Ezio Bosso a capo di una vasta pattuglia di prodi: tutti, negli anni, avevano collaborato, in diversi modi ed occasioni, con Claudio Abbado e si erano ritrovati grazie all’impegno caparbio di Alessandra.

Rimando a quanto ho scritto in quella circostanza [1]   su questa Sinfonia, ma vale la pena di riportare le riflessioni in tema del Maestro Gatti in occasione dell’intervista citata in premessa: “Della Settima ho ascoltato tante esecuzioni scultoree, muscolari, soprattutto del primo movimento, ma non possiamo dimenticare che è una danza gioiosa, come disse tra l’altro Wagner. E…..non si può rallentare il secondo movimento tramutandolo in una marcia funebre -è un Allegretto, seppur trasfigurato, è ancora una danza- così il finale non può essere troppo violento e frenetico, diventerebbe un frullatore”.

 

Davvero ‘viene giù il teatro’ al termine di simile meraviglia.

Ci sentiamo un tutt’uno. Ti rendi conto di quanto la Musica avvicini le persone, creando un’empatia che oltrepassa il concerto vero e proprio. Abbiamo necessità di questa empatia, specie in periodi difficili come l’attuale.

 

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Nota di aggiornamento: a inizio autunno l’Orchestra sarà impegnata in una tournée tutta italiana: Ferrara, Salerno, Verona, Bologna e Milano.

Evviva!

 

Lasciamo il Teatro dalla porta laterale, accanto all’uscita degli Artisti.

Qualcuno DEBBO salutare, come da mia tradizione, nonostante l’arietta pungente, un ultimo strascico invernale.

Giacomo, il Mirus, Francesco Manara, Nicola Bignami; e…Maria Francesca Latella, l’ottima clarinettista, che rivedo volentieri dopo un paio di anni…

Vorrei complimentarmi con Francesco (Senese), ma ritarda, ohibò.

In compenso scambiamo due chiacchiere con Gabriele, congratulandoci per l’eccellente interpretazione.

Passa veloce Cristiana Fabbri, con la quale ci incrociamo talvolta per strada, riuscendo di rado a fermarci per chiacchierare. Ma è una di quelle persone che ti sembra di aver sempre conosciuto; un’autentica presenza amica.

Il freddo insiste e Mauro freme. Di Francesco nemmeno l’ombra. Chissà dov’è finito!

Basta, ci rinuncio.

Non mancheranno le occasioni, perbacco.

La città è piena di luce, a cominciare dalla nostra Piazza Maggiore con S. Petronio.

Buona notte.

[1]  V. mio commento su questo sito, Gennaio 2019.