Ed. Rizzoli, Collana Saggi Italiani, Milano, 15 marzo 2022, pp. 360, €.19
“Vogliamo pubblicare libri di persone che sono state prese di mira dai despoti…Vogliamo sostenere gli autori che sono dovuti fuggire in esilio o che stanno cercando di continuare a lavorare dal sottosuolo. Vogliamo opporre agli autocrati il potere della lingua scritta. Vogliamo dimostrare che la censura significa solo che un’opera può diffondersi ancora di più”.
Sono parole di Can Dündar (classe 1961), uno dei più apprezzati giornalisti turchi.
Da redattore capo del quotidiano Cumhuriyet (Repubblica), nel 2015, con una serie di puntuali inchieste, ha svelato i legami tra il regime di Erdoğan e i gruppi jihadisti di al Qaida e Isis in Siria, documentando con cura l’invio di armi e fondi. Ciò gli è valso l’arresto con l’accusa di spionaggio e divulgazione di segreti di Stato. Ha passato quattro mesi nella prigione di Silivri (vicino a Istanbul), è sfuggito ad un tentativo di omicidio sulle scale della Corte Costituzionale il giorno in cui veniva dichiarato illegittimo il suo arresto. Condannato poi, dopo un processo farsa, a cinque anni di carcere, prima dell’arresto riesce a fuggire in Germania; qui ottiene l’asilo politico.
Ora vive a Berlino dove, nell’ottobre 2021, ha fondato una casa editrice indipendente, dal nome suggestivo di “Una casa per i libri bruciati” che pubblica testi proibiti in Turchia.
E’ dura stare lontano dal proprio Paese, dalla famiglia, dagli amici….Ma finirà presto, assicura. “Perché, dopo quasi vent’anni di regime di Erdoğan, il Paese ha dimostrato ancora molta vitalità democratica”.
Can Dündar è uno dei protagonisti del saggio Dissidenti, pubblicato da Rizzoli proprio a ridosso dell’invasione dell’Ucraina da parte delle truppe russe.
Autore: Gianni Vernetti. Nato a Torino nel 1960, già deputato PD e sottosegretario agli Affari Esteri, rivolge il proprio impegno politico e civile alla tematica dei diritti umani, della democrazia, dell’ambiente (leggete il capitolo su Mohamed Nasheed, il primo Presidente delle Maldive eletto democraticamente, “il guerriero del clima”, altro che Greta Thunberg!) e della sicurezza internazionale.
Negli ultimi anni l’attenzione dell’Autore è dedicata in primo luogo al confronto tra democrazie e regimi autoritari, facendoci incontrare attraverso le sue vibranti pagine, tanti leader democratici, dissidenti ed oppositori in esilio, come, ad esempio, Can Dündar.
Questo libro è espressione di un’intensa ricerca che spazia tra Russia, Bielorussia, Cina, Hong Kong, Tibet, Iran.
Esso si divide in due parti:
Nella prima (“Usate la vostra liberta per promuovere la nostra”) Vernetti compie un’accurata analisi di come le democrazie liberali, da circa un trentennio, siano in grave difficoltà, minacciate da regimi dittatoriali, impegnati ad imporre il proprio modello politico ed economico.
Con la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, la storia non è affatto finita, come qualcuno sosteneva, né purtroppo siamo andati incontro ad un mondo pacificato in cui l’opzione democratica sarebbe stata prevalente.
Purtroppo questo non è (ancora) accaduto.
Gli ultimi tempi sono caratterizzati da un aspro, crescente confronto tra democrazie e dittature, cioè regimi come quelli al potere in Russia, Cina, Iran -salvo altri, Turchia in testa, con l’aggravante che quest’ultimo Paese è, ahimé, membro rilevante della NATO-.
Anni di realpolitik, appeasement, relativismo culturale verso questi governi autoritari ci hanno fatto dimenticare i rischi di tutto ciò per le nostre fragili democrazie.
L’ultimo esempio è l’invasione russa dell’Ucraina.
Ma la storia insegna che le dittature, le autocrazie, pur apparendo tanto forti ed immutabili nel tempo, prima o poi sono destinate a cadere.
L’ansia di libertà è più forte dell’oppressione e prescinde da limiti spazio temporali, storici, geografici.
Ma l’affermazione della democrazia dipende anche a da noi, dal mondo libero.
Non deve accadere che i nuovi dissidenti del XXI secolo vengano dimenticati o addirittura disprezzati: si tratti di persone in esilio o addirittura imprigionate nelle terribili carceri di cui talora scrivono i mezzi di informazione, fornendo notizie frammentarie, lette dal pubblico per lo più in modo distratto.
Non deve accadere che queste nobili figure siano cancellate da una storia riscritta a piacimento dai dittatori di turno.
Un aspetto sul quale non si riflette abbastanza.
Lo vediamo con la Russia di Vladimir Putin, così come con la Cina, gigante economico, militare e dunque imperialista.
Questo è il motivo che ha indotto Gianni Vernetti a scrivere il suo libro.
Un invito al mondo libero, come dichiara l’A., affinché si decida a globalizzare i diritti, oltre alle merci.
Nelle pagine che costituiscono la seconda parte dell’opera (“Dissidenti”) viene data voce a donne e uomini che hanno pagato col carcere e / o con l’esilio il loro dissenso, che si sono ribellati, e si prova a evidenziare quali possano essere le politiche più efficaci per non abbandonare gli oppositori e come diffondere democrazia e stato di diritto.
I colloqui con i protagonisti avvengono per lo più lontani dalle loro case, con la palpabile nostalgia che ne deriva: tra le montagne dell’India che ospita la diaspora tibetana (bellissimo l’incontro col Dalai Lama, persona di eccezionale levatura spirituale), nell’isola cinese democratica di Taiwan, asilo degli eroi di Tienanmen del 1989 e di Hong Kong oggi, come, ad esempio, Nathan Law; nella piccola e coraggiosa Lituania, che, a causa della sua storia drammatica, forse più di ogni altro Paese europeo è divenuta l’approdo della dissidenza russa e bielorussa. E tanti, tanti altri.
Da Aleksei Navalny -il più famoso e importante leader politico dell’opposizione russa, fondatore del partito Russia del Futuro e della Fondazione Anticorruzione, prima avvelenato con un agente nervino, il novichok, da quelli dell’FSB, poi imprigionato in un carcere durissimo per reati mai commessi- a Masih Alinejad, che si batte con coraggio per i diritti delle donne in Iran, a Nadia Murad -giovane yazida, immagino sconosciuta alle nostre femministe d’accatto, costretta a diventare schiava sessuale per i terroristi dell’ISIS, poi fuggita in Occidente, dove continua il suo impegno; Premio Nobel per la Pace 2018, insieme col medico congolese Denis Mukwege, che assiste e cura le donne vittime di stupri-.
Quanto a Nadia, ella è diventata “Ambasciatrice di buona volontà” delle Nazioni Unite e ha vinto diversi premi, tra cui il Sakharov per la libertà di pensiero 2016 e il riconoscimento di Donna dell’anno, sempre nel 2016. Un impegno che continua a portare avanti, accendendo la luce sul genocidio della sua gente e su tremila ragazze che, come lei, a partire dal 2014, sono state vittime di stupri e altri abusi compiuti dai miliziani dell’Isis. Proprio a queste donne e alle innumerevoli vittime della violenza sessuale in giro per il mondo, Nadia ha voluto dedicare il Premio Nobel, “nella speranza che certi crimini possano essere estirpati per sempre”.
Alla grande scrittrice persiana Azar Nafisi, autrice, tra l’altro, del celeberrimo Leggere Lolita a Teheran (“Ho lasciato l’Iran, ma l’Iran non ha lasciato me”).
Al campione di scacchi Garry Gasparov.
Questi era stato un convinto sostenitore di Boris El’cin e dell’avvio delle riforme democratiche successive al dissolvimento dell’URSS.
Due note biografiche.
Dopo il suo ritiro dalle competizioni, nel 2005, si è dedicato a tempo pieno all’impegno politico per la democrazia, la tutela dei diritti umani e la scrittura.
Nel 2008 gli è stato impedito di candidarsi alla presidenza per sfidare Vladimir Putin.
Nel 2012 è divenuto Presidente della Human Rights Foundation, con sede a New York succedendo a Vaclav Havel e, dall’anno seguente, di fronte al rischio di un arresto a seguito della svolta autoritaria di Puntin, si trasferisce a New York in esilio volontario.
Gianni Vernetti lo incontra al telefono nella primavera del 2020, durante il primo lockdown. Tra le tante informazioni, pensieri che i due si scambiano è rilevante quanto Gasparov afferma in ordine alla missione (“Dalla Russia con amore”) nel Nord Italia da parte di una delegazione russa, autorizzata dall’allora Presidente del Consiglio Giuseppe Conte dopo un colloquio con il dittatore russo.
Un’iniziativa, decisa in ventiquattr’ore al di fuori di ogni canale diplomatico, con contorni ancora opachi, una missione militare composta da esperti dell’intelligence militare russa e da esperti di guerra chimica. Un precedente molto grave, che nulla pare avesse di scientifico e suscitò una certa diffidenza anche nei nostri scienziati, come ad esempio, la Prof.ssa Antonella Viola, immunologa di chiara fama: “Mi fecero strane domande…” confessò in un’intervista.
Quando, poco tempo dopo, un articolo sul quotidiano La Stampa espresse riserve sull’iniziativa, il giornale torinese fu accusato di russofobia dal portavoce del Ministero della Difesa della Federazione russa, in un comunicato espresso con una violenza senza precedenti rivolta anzitutto all’autore dell’articolo: Qui fodit foveam, incidit in eam (Chi scava la fossa, in essa precipita).
Gasparov rileva come questa durissima reazione contro la libertà di stampa e contro chi aveva espresso legittime critiche su quell’anomala spedizione, la dica lunga sulla precisa strategia intimidatoria adottata dalla Federazione Russa.
Le stesse considerazioni valgono per la Cina; invito i lettori a leggere le interviste ai numerosi dissidenti cinesi, dei quali, confesso, prima d’ora, ignoravo l’esistenza.
Un libro prezioso, imprescindibile, da meditare con attenzione. Lo consiglio vivamente.
Lo si può leggere in modo continuativo; ma anche “saltare” da un protagonista all’altro; da una storia all’altra, travalicando i continenti.
Un testo impegnativo, in grado di arricchirti. Te ne accorgi in modo pieno alla fine.
Fanno riflettere queste righe.
“Mentre l’Occidente sembra quasi annoiato dei propri successi democratici ed è scosso al suo interno da sempre più violente pulsioni populiste e sovraniste, sono i giovani e le donne dei regimi autoritari che dimostrano come lo status quo possa essere mutato”.