(Titolo originale Quartet; Gran Bretagna, 2012; Genere: Commedia)
“Non sentirti morto finché non lo sei veramente. Vivi fino all’ultimo secondo”
“La vecchiaia non è roba per femminucce” (Bette Davis)
Scintillante debutto nella regia di Dustin Hoffman.
In Quartet il grande attore americano si cimenta con l’adattamento cinematografico di un’omonima commedia, datata 1999, del britannico Ronald Harwood, che è pure sceneggiatore della pellicola.
Si tratta di una storia che affronta in modo lieve e delicato, con punte di ironia e sarcasmo, l’argomento Vecchiaia.
La vicenda si svolge a Beecham House, una bella villa in pietra, situata nella campagna inglese, adibita a casa di riposo per musicisti e cantanti lirici in pensione. Gli ospiti trascorrono le giornate suonando brani di opere, cantando i mai dimenticati cavalli di battaglia, sia pure con una voce che non è più quella di “allora”, o cimentandosi nella ginnastica aerobica. Naturalmente, nel rievocare il mitico passato, riaffiorano antiche rivalità e mai sopiti rancori; le punzecchiature reciproche si sprecano. Un luogo in cui la vita segue un “ritmo tutto suo”.
Ogni anno, in occasione del compleanno di Giuseppe Verdi (il 10 ottobre) le “vecchie glorie” organizzano un concerto per raccogliere fondi destinati alla loro istituzione, sempre alle prese con problemi di bilancio.
Tra loro si distinguono tre inseparabili amici.
C’è il tenore Reginal Paget (Reggie) che non disdegna di incontrare giovani studenti in visita a Beecham House per confrontare opera lirica e rap. “Tutti pensano che l’opera e il rap siano completamente differenti. Per noi è solo parlare; per voi è un modo di cantare”, osserva un ragazzo di colore e dando così avvio ad un simpatico dibattito.
Il baritono Wilf Bond si considera ancora un irresistibile dongiovanni e cerca, sia pure senza successo, di darsi da fare con le graziose cameriere e con la giovane dottoressa, direttrice della casa.
Chiude il trio Cissy Robson, contralto, un po’ smemorata, ma di ottimo carattere e sempre pronta ad aiutare gli altri.
Nei tempi lontani, il trio era in realtà un celebrato Quartetto: completava il gruppo Jean Horton, soprano e gran diva, ritiratasi diversi anni prima dalle scene.
Mentre sotto la regia dell’eccentrico Cedric Livingston, già direttore d’orchestra, fervono i preparativi per lo spettacolo, giunge un ospite inatteso.
Il mistero è presto svelato: si tratta nientemeno che di Jean. E’ sempre elegante ed orgogliosa, anche se la crudeltà del tempo ha bussato pure alla sua porta: c’è quell’antiestetico bastone a rovinare tutto, porca miseria, pensa lei, in lista d’attesa per una protesi all’anca. Ma soprattutto è una donna sola, insoddisfatta specie dal punto di vista affettivo, incapace di rassegnarsi all’oblio del pubblico.
L’arrivo suscita nei presenti un certo turbamento; ma è soprattutto Reggie ad esserne dolorosamente colpito. Lui e Jean, infatti, circa un quarantennio prima, erano stati, sia pure per poco tempo, sposati; poi lei, ambiziosissima e volubile, lo aveva abbandonato per intraprendere la carriera di solista -e sciogliendo quindi il quartetto-. Ciò aveva prodotto nell’uomo una ferita insanabile.
Ma avere sotto lo stesso tetto i quattro migliori cantanti d’opera della storia inglese è un’occasione ghiotta, da non perdere, riflette Cedric: essi potranno di nuovo riunirsi e magari cantare quell’aria del terzo atto di Rigoletto (“Bella figlia dell’amore…..”), che li rese famosi.
Cissy e Wilf sono entusiasti e, poco dopo, anche Reggie -persuaso con una certa abilità dall’amico Wilf- sembra essere d’accordo.
L’unica che, sdegnosa, rifiuta è Jean. A nulla sembrano approdare i tentativi dei primi due di persuaderla; e nemmeno Reggie, in lotta con se stesso, pare ottenere successo. I due ex coniugi, separati dal rancore e dal tempo, non riescono a riavvicinarsi, pur non essendosi mai dimenticati l’uno dell’altra.
Jean, la quale, come tiene a ricordare, è stata “qualcuno, una volta!”, teme di sfigurare davanti ai colleghi, al pubblico e, soprattutto, all’ex marito.
Specie allorché si accorge che un’antica rivale di scena, anch’ella ospite della casa, ha tuttora una voce cristallina.
La nostra primadonna saprà fare i conti con il proprio egocentrismo e cambiare idea?
Presentato con successo l’autunno scorso al 30° Torino Film Festival, Quartet ci insegna come in ogni fase dell’esistenza possa essere bello ricominciare, far progetti, sentirsi a proprio agio con gli altri, infrangendo il bozzolo dell’isolamento nel quale si è tentati di nascondersi.
La pellicola si avvale di una narrazione liscia, senza sbavature, priva di quel che di patetico da cui sono, per loro fortuna, indenni americani ed inglesi allorché trattano temi difficili come la vecchiaia, la malattia o la morte.
Fantastici gl’interpreti scelti dal regista, a sua volta settantacinquenne carico di spirito e di ottimismo, il quale non ha avuto timore di mettersi dall’altra parte della macchina da presa: attori di chiara fama, autentici miti, come Maggie Smith, Tom Courtenay, Billy Connolly e Pauline Collins, danno vita all’inimitabile Quartetto.
E un certo numero di musicisti e cantanti pensionati si è unito in questa impresa, tanto rigorosa nelle modalità del suo svolgersi quanto coinvolgente per l’argomento affrontato.
E’ una gioia riservata a pochi privilegiati lavorare con un regista quale Dustin Hoffman!
E immagino il confronto tra due eccezionali…maratoneti: il giovane disadattato inglese Colin Smith che rinuncia a vincere una corsa campestre e a tutti i benefici che ne deriverebbero, interpretato da Tom Courtenay in The Loneliness of the a Long Distance Runner (1962) -titolo italiano, un po’ sciocchino: Gioventù, Amore e Rabbia- e Babe Levy, lo studente di storia ebreo, statunitense, preoccupato di riabilitare la memoria paterna, alle prese col criminale nazista, Dr. Szell, protagonista di Marathon Man (1976), che confermò ancora una volta il poliedrico talento di Dustin Hoffman.
Altra scelta felice: i titoli di coda vengono affiancati da una panoramica di foto giovanili degli attori, dei cantanti e dei musicisti; lo spirito generale è partecipato e lieto, suscita sorrisi e non lacrime di rimpianto.
Un Inno alla Vita: LEHAIM!!
Ecco un trailer del film in italiano: