(Titolo originale L’angoisse du roi Salomon)
 
Ed. francese, Mercure de France, Paris, 1979
Ed. Italiana, Giuntina, Marzo 2008, Trad. Augusto Donaudy, con un saggio conclusivo di Luca De Angelis       pp. 300    
 
La Casa Editrice Giuntina di Firenze presenta la sua nuova collana di narrativa, “DIASPORA”, che va ad aggiungersi all’altra, nata alcuni anni or sono, “ISRAELIANA”.
Il primo volume di “DIASPORA” è opera di un autore francese di origine russa, non molto conosciuto dal nostro grande pubblico, Romain Gary, la cui vita è, essa stessa, un romanzo.
Figlio naturale di un’attrice, ebrea russa fuggita dalla Rivoluzione, e di Ivan Mosjoukine, celebre vedette del cinema muto, Roman Kacew (questo è il suo vero nome) nasce a Vilna (la “Gerusalemme della Lituania”) nel 1914. Vive alcuni anni a Varsavia, poi, nel 1928, giunge a Nizza, con la madre. Successivamente studia giurisprudenza a Parigi, indi si arruola nell’aviazione e raggiunge la "Francia libera" (l’organizzazione di resistenza fondata da Charles De Gaulle) nel 1940. Terminata la guerra, dopo l’uscita del primo romanzo, L’educazione europea nel 1945, giudicato da J.P. Sartre il miglior testo sulla Resistenza, egli intraprende pure la carriera di diplomatico al servizio della Francia. In seguito rivolge il suo impegno alla letteratura e alla realizzazione di film, soggiornando anche negli USA. Nel 1956 ottiene il prestigioso Premio Goncourt con Le radici del cielo. Sotto lo pseudonimo di Émile Ajar (ma ne adotterà anche altri; del resto, pure Gary è uno pseudonimo!) conduce una sorta di doppia vita artistica, dando vita ad un intrigante caso letterario; pubblica romanzi di grande successo e vince, nel 1975, grazie a questo capriccio di sapore omerico sul mistero dell’identità dell’autore, il secondo Premio Goncourt (unico scrittore in Francia) con La vita davanti a sé, da cui fu tratto un film, reso celebre dalla stupenda interpretazione di Simone Signoret (1977) nel ruolo della protagonista, l’ebrea Madame Rosa.
Il 3 dicembre 1980 Romain Gary si uccide con un colpo di pistola, nel suo appartamento in Place Vendôme, a Parigi.
Il romanzo che Giuntina ha il merito di far conoscere al pubblico italiano con “DIASPORA” è L’angoscia del Re Salomone, nella traduzione di Augusto Donaudy e con una pregevolissima postfazione di Luca De Angelis, degno coronamento di un’opera preziosa.
Pubblicato nel 1979 con lo pseudonimo di Émile Ajar, il libro è considerato il capolavoro di Gary per lo stile paradossale e ironico che lo contraddistingue. Del resto, nella quérelle letteraria nata dal gioco degli pseudonimi, c’è tutto l’atteggiamento beffardo di chi si burla del proprio ambiente, dove, ad opera dei medesimi critici, egli era considerato, come Gary, un autore ormai al tramonto, ma, nelle vesti del promettente Ajar, era salutato come “il nuovo che avanza”.
Ecco la storia. Salomon Rubinstein, un ricco ebreo polacco, divenuto in Francia il re della confezione in serie di pantaloni (il cosiddetto prêt à porter, come i dolori, le gioie, le angosce, che ognuno porta con sé fin dalla nascita), superati gli ottant’anni, si ritira dagli affari e fonda la “S.O.S. Benevoli”. Si tratta di un’associazione di volontariato diretta ad alleviare le sofferenze del prossimo, conosciute attraverso gli appelli telefonici di quanti hanno urgente bisogno di aiuto: perché o versano in ristrettezze finanziarie o sono malati o si trovano in difficoltà di ordine morale.
O comunque hanno necessità di udire una voce amica che mitighi la loro solitudine .
Qual è la motivazione reale che spinge il Sig. Rubinstein in questa attività, per la quale si avvale di alcuni collaboratori, ma che svolge anche in prima persona, rispondendo lui stesso alle chiamate telefoniche, con preferenza per quelle notturne? Generosità, amore del prossimo? Nulla di tutto questo. Ciò che lo muove è una sorta di rivalsa nei confronti di D-o, del Creatore che ben poco fa per alleviare le sofferenze umane, sempre più pesanti da portare.  La molla che spinge Salomon è una decisa guerra con l’Eterno, ingaggiata affinché quest’ultimo, vedendo un altro vecchio signore far piovere benefici al posto Suo, si vergogni del proprio comportamento, abbandoni la consueta ignavia e finalmente dimostri quanto Egli valga di più del “re del prêt à porter”. La lotta con D-o, intrapresa dal protagonista con “passione angosciata”, è del resto una forte componente della religiosità ebraica:
I cristiani, nei loro rapporti con D-o, non arrivano mai all’insulto; gli ebrei sì. Gli fanno delle scenate”, così si legge ad un certo punto.
Lotta con l’Onnipotente ed esigenza di riparare il mondo, ora a pezzi, sono la cifra per capire lo spirito della storia.
Il destino fa incontrare l’anziano signore con Jean, taxista part time, giovane dall’espressione un po’ malandrina (e per questo affascinante), che si arrangia come può aggiustando (!) di tutto; burlone all’apparenza, in realtà personalità tormentata, una sorta di “autodidatta dell’angoscia”, egli nutre una sviscerata predilezione per i dizionari, che rappresentano, ai suoi occhi, un mondo ideale, dove tutto è sistemato, a posto e regna la tranquillità dell’anima.
Jean, la voce narrante del romanzo, è una sorta di ideale figlio, di estrazione popolare, del ricco uomo d’affari; l’incontro tra i due è emblematico: Jean, o Jeannot, viene assunto da Salomon per recarsi in casa di coloro che, per i motivi più disparati, si rivolgono alla “S.O.S. Benevoli”. Tra questi entra ben presto in scena Cora Lamenaire, una ex cantante di canzoni "realiste", un tempo amica di Salomon; una signora (anzi, come viene sempre chiamata, signorina) sessantacinquenne, ma ancora piena di joie de vivre, che non riesce a dimenticare il suo passato di donna corteggiata ed applaudita. Ella appartiene al vasto gruppo dei ci dévant, cioè coloro che, ora nell’oblio, in un passato, più o meno remoto, erano stati persone importanti o comunque conosciute. Cora è dolce, sensibile; subito attratta dal bel Jean, sogna e progetta per lui un futuro di attore e cantante, sulla falsariga del duo Edith Piaf / Yves Montand.
Jean sta al gioco, anzi, una sera, si lascia perfino andare ad un rapporto sessuale con lei; non per bieco calcolo o disprezzo per questa donna tanto più anziana, ma, al contrario, perché vi identifica una sorta di…specie minacciata in via di estinzione, una creatura da salvare, come la foca bebé sola di fronte al sadico cacciatore che sta per scuoiarla o l’uccello marino invischiato nella morchia sulle spiagge della Bretagna. E’ proprio la compagnia di Jean che rianima la “signorina Cora”, risveglia in lei l’amore, mai morto bensì solo sopito, nei confronti dell’uomo al quale, oltre trent’anni prima, aveva salvato la vita rinunciando a denunciarlo, in quanto ebreo, ai tedeschi e ai loro compari collaborazionisti: Salomon Rubinstein.
Sull’insolito triangolo tra Salomon, Jean e Cora, si costruisce la vicenda: Jean s’impegna come non mai affinché, da una parte, la donna riesca a far chiarezza nel suo cuore e, dall’altra, perché il “re Salomone” lasci perdere la sua caparbia ostinazione, si riavvicini alla signorina Cora e, caspita, la perdoni per non esserlo andato a trovare nemmeno una volta (!) durante i quattro lunghissimi anni in cui egli era nascosto in quella dannata cantina sui Champs Elysées! Alla fine, il giovane riesce nel suo intento ed è ben lieto di veder partire la coppia alla volta di Nizza, dove, si sa, le persone vivono assai più a lungo che nella metropoli sulla Senna.
Scritto in un linguaggio volutamente semplice, a volte (quasi) sgrammaticato, nel romanzo si respira quel profumo francese di nostalgia da fin du siècle, ancora presente negli anni vicini a noi, come quando Cora vorrebbe “canoter”, cioè compiere una gita in barca, con Jean, alla maniera dei personaggi raffigurati nei quadri impressionisti.
Non mancano episodi esilaranti. Ad esempio nelle pagine che raccontano i festeggiamenti per l’ottantacinquesimo compleanno di Salomon, il quale, arzillo come non mai, è decisissimo a farsi portare da Jean, che gli fa pure da autista, “dalle puttane”! Non servono argomenti dissuasivi messi in campo da tutti i collaboratori di “SOS Benevoli”, preoccupatissimi da simile prospettiva; il buon senso si scioglie come neve al sole di fronte alle ferree spiegazioni del padrone di casa: “Desidero dirvi, miei giovani amici, che non sono sfuggito per quattro anni ai nazisti, alla Gestapo, alla deportazione, alle retate del Vél d’Hiv’, alle camere a gas….per lasciarmi sopraffare, col pretesto di meschine ragioni fisiologiche….I migliori non sono riusciti ad avere ragione di me, figuratevi se ci si riuscirà con la routine. Non per nulla…sono sfuggito all’olocausto. Ho intenzione di vivere a lungo, tenetevelo per detto!”
E chi lo mette in dubbio?! Non resta che accompagnarlo sul luogo tutti insieme, nessuno escluso, e…incrociare le dita!
L’angoscia per le ingiustizie del mondo è addolcita dallo humour ebraico, vero bene rifugio per Salomon e non solo per lui; tutta la storia è permeata di una deliziosa Yddishkeit che incanta e commuove.
Un vivissimo ringraziamento all’Editore per averci fatto conoscere un autentico gioiello.
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