(Titolo originale The Monuments Men, U.S.A. 2014; Genere: Drammatico, Azione)
“ James: ‘Non sei un tantino….vecchio?’ Frank: ‘Sì!!!’ ”
“Puoi sterminare un’intera generazione…bruciare le loro case…..e troveranno una via di ritorno. Ma se distruggi la loro cultura, è come se non fossero mai esistiti. E’questo che vuole Hitler ed è esattamente questo che combattiamo”
“Sul retro del Cézanne c’è scritto Rothschild…”
Sono passati alla Storia con il nome di Monuments Men. Trecentocinquanta valorosi -uomini e donne, appartenenti a ben tredici Paesi diversi; ma, all’inizio (e pure alla fine del conflitto) il loro numero era assai minore- i quali, tra il 1943 e il 1951, prestarono servizio presso la Mfaa (Monuments, Fine Arts and Archives); un gruppo di persone colte ed appassionate -per lo più senza una specifica preparazione militare, poiché, nella vita civile, erano restauratori, archivisti, direttori di musei, esperti di arti figurative, archeologi- in servizio presso gli eserciti alleati durante il secondo conflitto mondiale ed inviate in Europa, divenuta campo di battaglia, con una precisa missione: recuperare i capolavori dell’arte. Com’è noto, le armate tedesche, mentre invadevano un Paese dopo l’altro, razziavano in modo sistematico dipinti, sculture e altri capolavori.
Al fine di impedire questo furto senza precedenti, a fine 1943, americani ed inglesi, con l’approvazione del Presidente Roosevelt, si accordarono per la costituzione della Mfaa.
Quasi una sorta di simbolica rifusione per l’assurdo bombardamento alleato dell’agosto 1943, che rischiò di mandare in frantumi il Cenacolo di Leonardo da Vinci.
Nella primavera successiva (1944) i membri della nuova unità si riunirono in Gran Bretagna, a Shrivenham, per l’addestramento-base in vista dell’operazione di salvataggio.
Dopo essere sbarcati in Normandia insieme con le altre truppe a inizio giugno, i Monuments Men raggiunsero chiese, castelli, conventi, apponendovi il famoso cartello, rivolto ai colleghi impegnati nelle operazioni militari: “Off limits. A tutto il personale militare: Edificio storico!” Indi compulsarono parroci, autorità civili, direttori e funzionari di musei per avere notizie sulla sorte di singole opere di pregio e di intere collezioni, scomparse in concomitanza con l’arrivo degli eserciti hitleriani, prima, e con la ritirata di questi ultimi, poi.
Ricordiamoci quanto aveva affermato, nel 1942, il Maresciallo del Reich Hermann Göring, il principale razziatore nazista dopo Adolf Hitler: “Una volta lo si chiamava saccheggio. Ma oggi le cose devono avere un aspetto più umano. Ad onta di ciò, io intendo saccheggiare e intendo farlo in maniera totale”.
I Monuments Men si suddivisero i diversi Paesi europei.
Francia. A Parigi trovarono due alleati nel direttore del Louvre, Jacques Jaujard, e nella collaboratrice volontaria dello Jeu de Paume, Museo legato al Louvre, Rose Valland -un’eroina suo malgrado, stupidamente accusata, dopo la liberazione della città dai tedeschi, di collaborazionismo con gl’invasori-, la quale sapeva bene, tra l’altro, dove i nazisti avevano occultato le opere rubate alle grandi famiglie ebraiche francesi. Una parte notevole di tali capolavori (insieme ad un’infinità di oggetti da collezione) era stata ammassata in Baviera, nel castello in stile medievale di Neuschwanstein, una costruzione innalzata meno di cent’anni prima, frutto del “pazzo” sogno del Re Ludwig II, amante della musica e delle arti, protettore dell’ingrato Richard Wagner.
Il luogo era talmente pieno di opere d’arte che i Monuments Men impiegarono ben sei settimane per svuotarlo: poiché ovviamente era privo di ascensori, tutto dovette essere trasportato a piedi lungo le scale (da una visita effettuata circa un decennio fa, le ricordo interminabili…).
Germania. C’era non solo da recuperare le opere d’arte rubate ai proprietari privati, ma pure da salvaguardare il patrimonio che i nazisti, con pretesti diversi (non permettere che dette opere cadessero in mano alleata, delirio da accaparramento puro e semplice, poco importa) avevano sottratto al popolo tedesco.
Nei piani di Hitler ciò che, in modo o nell’altro, era stato requisito avrebbe dovuto costituire, terminata la guerra con la vittoria del Terzo Reich, il nerbo del cosiddetto Führermuseum, da innalzarsi a Linz, la città austriaca da lui amata.
E’ noto che, poche settimane prima di suicidarsi, il dittatore era solito estraniarsi dalla dura realtà della disfatta militare e dell’imminente caduta rifugiandosi in un mondo fantastico, incarnato dal modellino in scala di Linz ricostruita e del suddetto Museum.
Ad Aachen poi era scomparso il tesoro di Carlo Magno, ritrovato in seguito a Siegen, la patria di Pieter Paul Rubens, in Renania Settentrionale Westfalia.
Fu poi il caso a condurre i nostri valorosi a Merkers, in Turingia, dove, in una profonda (640 metri) miniera rinvennero nientemeno che l’intera riserva aurea della Germania nazista, ma pure una notevole numero di opere.
Nella vicina Bernterode (per inciso, uno dei principali siti di produzione munizioni della Germania centrale), sempre in una miniera, alla profondità di 550 metri (!), essi si trovarono di fronte alle bare dei Re di Prussia: di Federico Guglielmo I, il Re Soldato, Der Soldatenkoenig, morto nel 1740 (del quale Adolf Hitler si riteneva il continuatore), e del figlio, Federico II il Grande, nonché del Maresciallo von Hindenburg e della moglie; il luogo era ricco di stendardi, nastri funebri, svastiche. Era destinato a far da teatro all’incoronazione di Hitler quale imperatore d’Europa o magari del mondo? La miniera era stata sigillata il 2 aprile, proprio il giorno in cui i Monuments erano giunti a Siegen. Dopo aver evacuato la popolazione, i nazisti, utilizzando mano d’opera coatta -prigionieri soprattutto italiani, francesi e sovietici- avevano operato nella più assoluta segretezza. Nella miniera di Heilbronn, nel Baden Württemberg, ecco i tesori del Museo di Karlsruhe.
Ma il clou di tutta la vicenda fu in Austria, nella miniera di salgemma di Altaussee, in Stiria, alle spalle di Salisburgo e Linz.
I nazisti vi avevano raccolto ben 6500 quadri, statue, mobili, libri, monete oggetti preziosi diversi.
Quando le casse furono aperte, i Monuments Men (siamo nel maggio 1945) quasi non credevano ai loro occhi: finalmente erano arrivati alla Madonna con Bambino, scolpita dal giovane Michelangelo nel 1503/1504 -su incarico di un gruppo di ricchi mercanti locali, i Mouscron, e pagata ben 4000 fiorini-, sottratta alla Chiesa di Nostra Signora di Bruges (la Vrouwekerk); all’Astronomo di Jan Veermeer (1668), proveniente dal Louvre, quadro che aveva colpito in modo particolare Adolf Hitler, divenendo quasi un’ossessione per lui; al Polittico dell’Agnello Mistico, un olio su tavola, dipinto da Jan van Eick nel 1432 (cattedrale di Sint Baafs di Gand), anch’esso destinato a perla artistica del Reich vagheggiato millenario.
Ma la sorpresa non era finita. Poco dopo, davanti alla miniera, abbandonate su un prato, c’erano otto casse con una scritta in tedesco: “Attenzione, marmi, maneggiare con cura”. Ma, apertele, si accorsero che, anziché “marmi”, le casse contenevano otto grandi bombe inesplose.
Tutto fu subito chiaro. In caso di disfatta, l’ordine di Hitler era di far saltare in aria i capolavori, nonché qualsivoglia infrastruttura potenzialmente utile al nemico e al popolo tedesco, traditore del suo…Capo supremo : il trucemente famoso “Ordine Nerone” o Nero Befehl, in lingua originale; oggetto di discussione, negli anni successivi, tra gli storici.
Nel caso del tesoro di Altaussee il responsabile dell’Ordine era il Gauleiter della zona: August Eigruber, un nazista fanatico oltre l’impensabile.
Ma l’ordine da eseguire, che egli aveva ricevuto da Berlino, non venne attuato: furono il nervosismo di quei momenti, o la rapidità dell’arrivo dei “salvatori” o, più semplicemente, il caso -difficile stabilirlo-, a impedire che le cariche fossero innescate. O, meglio, le gallerie furono minate per rendere inaccessibile il passaggio dal di fuori; ma non al punto di distruggere quanto era contenuto all’interno. Chi ordinò queste “esplosioni controllate”? Una notizia di forte impatto emotivo, che ho conosciuto da ultimo. Ad Altaussee erano finite pure alcune casse, provenienti dal Monastero di Montecassino -teatro della grande battaglia (sorta di guerra nella guerra) che impegnò Tedeschi e Alleati dall’autunno/inverno 1943 alla primavera 1944-, con i tesori del Museo Archeologico di Napoli. Ma gran parte delle meraviglie che il grande centro della Cristianità custodiva furono salvate da un insolito…. Monuments Man, che impedì il piano di furto ben studiato dagli uomini della Divisione Goering, alle dirette dipendenze del Feldmaresciallo: il comandante del XIV Corpo d’Armata corazzato tedesco in Italia, il Barone Frido von Senger und Etterlin, oblato benedettino, un cavaliere di altri tempi, poliglotta che aveva studiato ad Oxford ed avversava i nazisti. Egli riuscì a far giungere quelle meraviglie in Vaticano, non senza rischi. Ma questa, come sovente si dice, è un’altra storia.
Quelle opere, insieme a tutte le altre ritrovate, vennero portate alla centrale istituita dagli Alleati a Monaco e da qui iniziò una difficile opera di individuazione dei proprietari -tanti di loro erano stati uccisi nei campi di sterminio- e di restituzione. Una lunga vicenda che continua ancora oggi, se pensiamo, ad esempio, che la sola Francia conserva nei propri musei ben duemila opere i cui proprietari restano tuttora ignoti.
Un libro/verità davvero fuori del comune, sia per gli avvenimenti narrati che per la qualità espositiva, che per la messe di dati forniti, è Monuments Men. Eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia dello storico americano Robert Edsel (con Bret Witter), pubblicato nel 2009 negli U.S.A. ed edito in Italia nel gennaio 20014 da Sperling & Kupfer: 431 pagine, da leggere con cura e passione, costo €. 16,90 -ben spesi-.
Un’opera a mezza strada tra testo di storia contemporanea, manuale di critica d’arte, diario di vita vissuta; arricchita da emozionanti immagini fotografiche. Una notizia di rilevo: sono in corso di pubblicazione, sempre presso Sperling & Kupfer, alcuni volumi del medesimo Autore che raccontano non solo la storia dei Monuments Men, ma pure la resa segreta dei nazisti che mise a rischio molti tesori dell’arte italiana.
Comprensibile quindi che il bravo attore, nonché produttore e regista, statunitense, George Clooney sia rimasto affascinato dal volume di Edsel, lui che, tra l’altro, ha una speciale predilezione per i film sulla Seconda Guerra Mondiale. Dopo due anni di serie ricerche sul tema dei saccheggi nazisti, in poco tempo ha diretto e interpretato un film interessante e ricco di spunti, di cui può andare fiero, tratto proprio dal libro. Una pellicola di intrattenimento, ma di un certo livello, con una colonna sonora all’altezza, in grado di far sorridere, con dialoghi svelti e scene cariche di ironia, dove non mancano tuttavia i risvolti drammatici e tragici e dove si nota, in modo direi evidente, che la cosiddetta “Guerra Fredda” coi sovietici era già cominciata.
E, nota di colore, ma non ci si scandalizzi: gli unici a morire del gruppo -eroicamente, sia chiaro!- sono il britannico e il francese. Un po’ di grandeur yankee ogni tanto, non guasta, specie negli attuali momenti di crisi della leadership americana e dell’Occidente in genere!
La pellicola, da circa dieci giorni nelle nostre sale, è stata accolta un po’ freddamente dalla critica, sempre snob e di vedute ristrette, ma ha suscitato largo entusiasmo nel pubblico, spesso all’oscuro di vicende all’apparenza secondarie.
Io stessa confesso che nulla sapevo del libro e di questi insoliti personaggi, finché, dai giornali, non ho attinto la notizia del film in corso di lavorazione.
Per il suo Monuments Men Clooney ha ingaggiato un cast di tutto rispetto, dando ad ogni interprete per lo più un nome sì di fantasia, ma ispirato ad un personaggio reale, ritrovabile nel libro.
A se stesso ha riservato la parte del protagonista, responsabile del piccolo gruppo sul quale si concentra la vicenda.
George è Frank Stokes, figura ispirata a George Stout, lo storico dell’arte, specialista nella conservazione del patrimonio artistico che, dal 19943 al 1945, lavorò alacremente al recupero delle opere d’arte. Tra l’altro, la somiglianza fisica tra i due “George” è notevole!
Matt Damon -sempre carismatico nella sua ironia!- per dar vita a James Granger, ha studiato James Rorimer, divenuto, dopo il conflitto, direttore del Metropolitan Museum of Art di New York.
Rich Campbell, cioè Bill -tutto simpatia- Murray, nella realtà è l’architetto Robert Posey: a lui si deve la ricollocazione al suo posto del Polittico dell’Agnello Mistico di Jan van Eick.
Walter Garfield, vale a dire Walker Hancock, è l’impagabile John Goodman, al quale la robusta stazza da Fred Flinstone non impedisce di vantare una discreta agilità di movimento e una notevole dote di coraggio, di cui darà prova, in Francia, col suo compagno d’avventura, l’entusiasta ebreo francese, emigrato in Gran Bretagna, Jean Claude Clermont (figura di fantasia), grafico e disegnatore, impersonato da Jean Dujardin, pronto alla battuta, anche nei momenti difficili; il protagonista, tra gli altri, di The Artist, film rivelazione di due anni fa, nonché premio Oscar quale miglior attore di quell’anno.
Si può essere nonno affettuoso e, nello stesso tempo, intrepido cercatore di opere d’arte perdute in un mondo sconvolto dalla guerra, in grado di distinguere un capolavoro autentico da una copia, sia pure perfetta: lo dimostra Preston Savitz , un po’ invecchiato rispetto all’originale Lincoln Kirstein, Bob Balaban .
Vale la pena morire per una Madonna con Bambino scolpita da Michelangelo? Non c’è alcun dubbio, risponde il britannico Lt. Donald Jeffries, cioè Ronald Edmund Balfour, cui dà corpo e anima Hugh Bonneville
Ci sono infine due personaggi, all’apparenza un po’ defilati, ma fondamentali in tutta la vicenda.
Un giovane ebreo tedesco, poco più che diciottenne (classe 1926), originario di Karlsruhe, emigrato negli USA con la famiglia nel 1938, ritorna in Europa con le truppe ed entra a far parte del gruppo dei Monuments Men.
Il suo era stato l’ultimo bar mitzvah, celebrato nella locale Sinagoga di Kronenstrasse, il 24 settembre 1938, vigilia della partenza coi genitori alla volta prima della Svizzera, poi dell’America, dove saranno raggiunti dai nonni materni (quelli paterni furono uccisi nella Shoah). Si chiama Harry Ettlinger (nome originario: Heinz Ludwig Haim), tuttora vivente. Anzi Harry ha seguito di persona le riprese del film ed era, di recente, anche a Milano dove, con la troupe e Edsel, ha visitato il Cenacolo leonardesco. Ricco di vitalità, di entusiasmo, sa coinvolgere chi lo ascolta con la mimica e quel suo parlare chiaro e ben scandito. Harry vanta una storia assai significativa, specie per chi, come la sottoscritta, s’interessa di realtà ebraiche (luoghi, oggetti, fatti e, anzitutto, persone). Nella pellicola è Sam Epstein, Dimitri Leonidas, quasi una matricola, ma in grado di dare ottima prova.
L’unica figura femminile è la grandissima, ancora una volta, Cate Blanchette, Claire Simone nel film, Rose Valland nella realtà. Efficiente, assai coraggiosa -corse gravi rischi durante l’occupazione, per amore della cultura; purtroppo la sua opera non è stata riconosciuta a dovere-, ironica quanto basta (“…dovremmo aiutarvi a rubare le nostre opere d’arte…rubate?”, chiede a James Granger), Cate / Claire / Rose è fantastica nel trasformarsi, se occorre, da un’anonima funzionaria occhialuta
in un’affascinante donna francese.
A parte George -e pure Dimitri (rispetto a Harry)- non vi è somiglianza fisica tra i personaggi che vediamo sullo schermo e i loro corrispondenti storici. Scelta voluta di libertà, con l’intenzione di dare a ciascuna figura un valore simbolico, universale, che prescinda dal dato, per così dire, calligrafico. Un film tratto da un libro non può esserne la fotocopia priva di originalità, pena il tradimento di entrambi. Clooney lo ha capito molto bene, nella sua interpretazione, libera sì, ma di forte sostanza. D’altronde, quello della somiglianza fisica (o meno) tra un attore e il personaggio interpretato è un tema sempre affascinante, una musica suonabile con gli strumenti più vari . Ad esempio, un altro film uscito in questi giorni, Saving Mister Banks - vera “chicca” che racconta come e perché nacque la figura di Mary Poppins attraverso la vita drammatica della sua autrice, Pamela Lincoln Travers (adorabile, nel suo essere odiosa, Emma Thompson)-, mostra Tom Hanks in grado di regalarci un Walt Disney quanto mai aderente al vero proprio perché non somigliantegli alla lettera.
Per ritornare ai Monuments, nella pellicola si alternano i momenti allegri, da scampagnata goliardica. Il faticoso allenamento, in vista dell’impresa, che peraltro non fa desistere nessuno, ad esempio; o le scene in cui il gruppo di improbabili soldati -per lo più non giovanissimi, né avvezzi ai campi di battaglia, con qualche chilo in più, i capelli grigi, fumatori…- si trova di fronte alla chiara diffidenza dei militari veri, appena sbarcati in Normandia, che non hanno tempo da perdere con quadri e sculture; e non amano “intralci” di vario tipo sulla loro strada.
Ma non manca il forte pathos. Una scena per tutte: l’incontro di Campbell e Savitz, in Germania, con un membro delle SS, fuggito da Parigi all’arrivo alleato, ora riciclatosi come pacifico agricoltore.
Ma nel salotto della sua modesta, pur linda, casa fanno bella mostra alle pareti capolavori di Impressionisti francesi, come il ritratto della piccola Irène Cahen d’Anvers, opera (1879/’80) di Pierre August Renoir [1]. Da dove vengono simili tesori, autentici senza dubbio, e non copie come si vorrebbe lì per lì far credere? I due americani rivolgono domande cortesi nella forma, ma dirette e senza giri di parole. Imbarazzo dell’uomo e della moglie, sorrisetti, sguardi che si volgono altrove, tentativi di improbabili spiegazioni, silenzio. E l’inevitabile conseguenza.
Una prima “resa dei conti”.
e il sito web, per individuare i diversi luoghi: http://www.monumentsmenmovie.com/site/