Emilio Alessandrini nasce a Penne, in provincia di Pescara (uomo d’Abruzzo!) il 30 agosto 1942 da Berardo, avvocato, e da Armanda Moretti, sestogenito di sette figli. Alcuni anni dopo la famiglia si trasferisce a Pescara, dove Emilio compie gli studi, fino alla maturità classica conseguita nel luglio 1960. Iscrittosi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Napoli, vi consegue la laurea il 14 dicembre 1964 con il massimo dei voti e la lode, discutendo una tesi in procedura penale. Dal marzo 1966 al giugno 1967 presta servizio militare di leva, dapprima presso l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli e poi presso l’aeroporto di Bari Palese, in qualità di sottotenente di complemento.
Inizia la carriera in magistratura svolgendo le funzioni di uditore giudiziario presso il Tribunale di Bologna a partire dal novembre 1967.
Il 16 dicembre 1968 diviene sostituto Procuratore della Repubblica a Milano.
Nel 1969 sposa a Pescara Paola Cecilia; il 25 dicembre 1970, sempre a Pescara, nasce il figlio Marco. Nell’attività giudiziaria si distingue in primo luogo nelle indagini sul terrorismo nero, ricevendo attestati e riconoscimenti. Nello stesso anno, insieme all’altro Pubblico Ministero, Luigi Fiasconaro, e al Giudice istruttore Gerardo D’Ambrosio, Alessandrini inizia le indagini sulla strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, indagini che erano state aperte presso la Procura di Treviso e poi trasferite a Milano per competenza territoriale; l’istruttoria si rivela fra le più difficili del dopoguerra, poiché coinvolge, oltre che ambienti dell’estrema destra, pure uomini legati ai servizi segreti. Il 6 febbraio 1974 deposita una corposa requisitoria, successivamente pubblicata, dopo aver superato difficoltà ed ostacoli di varia natura. Mentre è in pieno svolgimento l’indagine su Piazza Fontana, si occupa della nascente sezione “reati finanziari”, comprendente, da un lato, quelli più strettamente economici e, dall’altro, il contrabbando e il traffico di droga.
Terminata detta istruttoria, continua ad interessarsi di eversione, che in quel periodo era rappresentata soprattutto dal terrorismo rosso; è uno dei primi magistrati a studiare le radici e le motivazioni di tale fenomeno, non solo dal punto di vista giudiziario ma anche, e soprattutto, da quello sociale. In questa prospettiva partecipa a convegni incentrati, tra l’altro, sulle conseguenze che la criminalità politica avrebbe comportato in ordine alla riforma dei codici, in preparazione da molti anni.
E’ anche chiamato a far parte di una delle commissioni consultive istituite dal Ministero di Grazia e Giustizia per la riforma dei codici; gruppo diretto da Adolfo Beria d’Argentine.
Egli era inoltre segretario regionale per la Lombardia dell’Associazione Nazionale Magistrati. Personaggio impegnato su più fronti, Emilio, che si distingue per lo scrupolo professionale e la competenza: ciò lo mette nel mirino dei gruppi terroristici di sinistra, perché ritenuto in grado di comprendere e combattere le loro azioni.
Inoltre aveva cominciato un’indagine su Autonomia operaia, indagine che trasmette a Padova, dove il collega Pietro Calogero si sta già occupando del fenomeno conducendo l’inchiesta che avrebbe avuto una prima importante svolta con gli arresti del 7 aprile 1979 (celebre è rimasta la frase di Calogero ”Visto che non si riesce a prendere il pesce, occorre prosciugare il mare”).
Lunedì 29 gennaio 1979, di primo mattino, un commando di cinque persone (due delle quali armate di pistola), aderenti al gruppo terroristico di Prima linea, in una sorta di concorrenza assassina con le più celebri Brigate Rosse, lo attende all’incrocio tra viale Umbria e via L. Muratori, a Milano, dove egli è solito transitare in automobile diretto al lavoro, dopo aver accompagnato a scuola il figlio Marco di otto anni. Emilio è raggiunto da otto colpi di pistola e muore all’istante.
Il gruppo di fuoco era composto da nomi divenuti trucemente famosi: Sergio Segio, Marco Donat Cattin (figlio di illustre esponente democristiano), primi responsabili; Michele Viscardi e Umberto Mazzola sono di copertura, mentre Bruno Russo Palombi li attende nella vettura con la quale fuggono in un baleno, dopo aver lanciato dei fumogeni.
L’azione viene subito rivendicata con un volantino recapitato ai quotidiani, il cui contenuto, fa rabbrividire qualunque retta coscienza:
“Oggi, 29 gennaio 1979 alle ore 8,30, il gruppo di fuoco Romano Tognini ‘Valerio’ dell’organizzazione comunista Prima Linea ha giustiziato il sostituto procuratore della repubblica Emilio Alessandrini. Era una delle figure centrali che il comando capitalistico usa per rifondarsi come macchina militare o giudiziaria efficiente e come controllore dei comportamenti sociali e proletari sui quali intervenire quando la lotta operaia e proletaria si determina come antagonista ed eversiva”.
Nel maggio dell’anno successivo, l’arresto e il conseguente pentimento del terrorista Roberto Sandalo porta le forze dell’ordine ad una serie di arresti all’interno delle fila di Prima Linea.
Nel 1983 a Torino comincia il processo, che si conclude a dicembre con la condanna dei responsabili dell’omicidio. Per Sergio Segio, il terrorista ritenuto esecutore materiale dell’omicidio, la condanna è l’ergastolo. A Bruno Rossi Palombi, l’autista, vengono irrogati 24 anni e sei mesi.
Marco Donat Cattin, il secondo membro del gruppo di fuoco, riceve una condanna a otto anni ed in seguito gli è riconosciuta la libertà provvisoria. Vengono assegnate altre pene minori a personaggi legati all’organizzazione, che come Donat Cattin si erano in seguito distaccati dalla lotta armata, pur senza pentirsi.
Queste condanne rappresentano la fine della struttura militare di Prima Linea.
Numerosi lapidi ricordano il giudice assassinato: sono intitolate ad Alessandrini le piazze ove hanno sede i palazzi di Giustizia a Milano e Pescara, una strada a Modena, un parco a Milano con monumento, aule consiliari, scuole, impianti sportivi in varie città d’Italia.
In questi anni è sorta l’Associazione “Emilio Alessandrini- Uomo d’Abruzzo-Magistrato d’Italia” ONLUS”, con sede in Pescara presso lo studio dell’Avv. Marco Alessandrini (figlio di Emilio). Essa, tra l’altro, “intende perpetuare la memoria e gli insegnamenti tramandati da Emilio Alessandrini e da tutti coloro, magistrati, tutori dell’ordine e cittadini che hanno dato la propria vita in difesa della legalità e della giustizia. L’Associazione si prefigge di svolgere attività culturali e di formazione e memoria sui temi della legalità e della giustizia e di tutela dei diritti civili e quanto a ciò connesso”.
Vi è pure un sito web: www.emilioalessandrini.org
FINE DELLA PARTE UFFICIALE
GLI AMICI DI BOLOGNA
La celebrazione, il 9 maggio scorso, della Giornata Ufficiale della Memoria per le vittime del terrorismo e per le loro famiglie, le nobili parole del Presidente Giorgio Napolitano, pronunciate nella circostanza, hanno incoraggiato il gruppo di coloro che avevano conosciuto Emilio, giovane uditore giudiziario presso il Tribunale bolognese, nel 1967/’68, e gli erano divenuti amici, a onorarlo con un progetto concreto e denso di significato.
Mario, Vito, Rita, Carla, Laura, Beatrice…..e diversi altri, con il sostegno del Rotary Club, hanno trovato in Carlo Castelli, Sindaco di Budrio (BO), una persona di alto sentire umano ed istituzionale che si è impegnato, con la Giunta e il Consiglio Comunale, nell’iniziativa di intitolare al magistrato ucciso un parco pubblico nella cittadina, così da rendere partecipe la popolazione dei valori di impegno democratico ai quali Emilio ha dedicato la sua esistenza fino all’estremo sacrificio.
La mattina di sabato 31 maggio 2008 ci siamo ritrovati tutti nel Teatro consorziale di Budrio per la seduta del Consiglio Comunale straordinario; eravamo circa una sessantina, con le autorità civili e militari, compreso un illustre Magistrato a riposo che aveva fatto, per così dire, da tutor (anche se l’espressione non gli piace) a Emilio quando questi era giunto a Bologna, aiutandolo a familiarizzare col foro cittadino. Non mancavano i Presidenti delle Associazioni familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980 e di coloro che hanno subito il fuoco della cosiddetta banda della Uno Bianca; confusa tra il pubblico Marina Orlandi, la vedova di Marco Biagi, anch’egli ricordato in modo breve, ma incisivo.
Era presente anche Marco Alessandrini, che oggi ha trentotto anni, ed è avvocato a Pescara.
Il Sindaco, nell’intervento iniziale con cui ha sintetizzato sia la stagione del terrorismo nel nostro Paese, sia le tappe del percorso professionale ed umano del giudice ucciso, ha posto in luce lo stretto rapporto tra l’omaggio alla sua figura e le prossime celebrazioni per la Festa del 2 giugno. Noi oggi, ha ribadito con forza, saremmo certo meno liberi, se non ci fossero stati uomini come Emilio Alessandrini, autentiche barriere democratiche contro gruppi e uomini che ponevano a fondamento della loro ragion d’essere una sorta di “destabilizzazione stabilizzante”, volta ad opporsi a qualunque tentativo di riforma e di modernizzazione del Paese. Gruppi e uomini, mi permetto di aggiungere, che non meritano affatto il diploma di “coraggiosi combattenti” che per troppo tempo -perfino dopo la loro (quasi) totale sconfitta- alcuni settori politici e pseudo culturali, per fortuna minoritari nel nostro Paese (ma non per questo immuni da veleno), hanno tentato di attribuire loro, in un clima da saldi per chiusura, o fine che dir si voglia, di stagione.
Poi gli amici…..
Vito gli era stato compagno di scuola, anzi di banco, fin dal ginnasio; non si sono mai perduti di vista; avevano scelto entrambi la strada della magistratura; certo assai prestigiosa, ma difficile. Molto pericolosa, poi, sarebbe divenuta, specie di lì a poco.
Nel covo del brigatista Corrado Alunni era stato rinvenuto (autunno 1978) una sorta di “medaglione” del giudice Alessandrini, con tanto di mappe dei luoghi frequentati abitualmente dallo stesso: insomma, tutta la documentazione per preparare con meticolosità un attentato. Emilio lo sapeva bene e anche Vito ne era a conoscenza; si parlarono per l’ultima volta sabato 27 gennaio. Alla domanda del secondo se fosse preoccupato per simili “reperti”, il primo cercò di tranquillizzarlo.
Ma quali reali pensieri gli avranno attraversato l’animo?
La sua figura morale, eliminata quella fisica, è risultata ingigantita: è stato “come se tanti, a cominciare da me, avessero preso il suo posto, raccogliendone l’esempio e cercando di identificarci in lui”.
Una cifra esistenziale di rigore e serenità la sua, riflette l’amico, data dal coraggio con cui si affronta il destino: come nell’Iliade, dove il vero eroe non è Achille, ma Ettore.
La testimonianza di Mario ci dona invece un Emilio più intimo, privato. Forse Mario ha scelto un taglio, per così dire, “sportivo” per il suo intervento perché ha capito di essere profondamente emozionato stamani, contrariamente al solito; lui sempre così razionale e controllato. Ma oggi è una giornata diversa dalle altre. Tutti noi ci sentiamo diversi.
Fine anni ’60, periodo di attese, speranze, dopo il duro periodo della ricostruzione e gli anni ’50 in bianco e nero. Emilio gli fu presentato da un amico. Mario, instancabile organizzatore, subito lo cooptò in un gruppo di giovani, laureati/e non, nel quale, in casa dell’uno o dell’altro (di qui il termine “Domus” dato a tali iniziative), si discutevano problemi politici e culturali all’ordine del giorno.
Emilio era ricercato per l’equilibrio e l’entusiasmo che lo contraddistinguevano; era capace di trascinare gli amici all’Istituto di Medicina legale per esaminare un caso particolarmente rilevante e poi magari, alla sera, organizzare qualcosa con una certa orchestrina fatta da gente in gamba……
Ricorda la gioia quando fu chiamato a Milano. “…Là l’ho incontrato più volte” prosegue Mario “era evidente quale impegno profondesse anche ad esaminare i volantini diffusi dalle varie organizzazioni terroristiche”. E conclude: “Sempre ho davanti agli occhi il sorriso straripante di Emilio….”
Marco è un bell’uomo alto, che ricorda il padre più nei gesti che nei lineamenti del viso; così mi rivela Carla; perché io non l’ho mai incontrato di persona, ma ero a conoscenza del suo “passaggio” nella nostra città ed avevo seguito le sue indagini, in quegli anni lontani/vicini.
Egli paragona il periodo bolognese di Emilio ad un seme gettato che ha portato un importante frutto: la giornata di oggi. Insolita, per il suo carattere familiare, dalle altre cui di solito partecipa per onorare il genitore. Rileva come, per tanto tempo, i c.d anni di piombo fossero una sorta di tabù nella pubblica opinione, del terrorismo si parlasse ben poco; o meglio, l’attenzione era riservata non alle vittime, bensì ai carnefici, ansiosi di voltar pagina e far dimenticare le loro abominevoli gesta, ricorrendo troppo spesso ad un robusto presenzialismo mediatico.
Per troppo tempo, e non posso che concordare e constatarlo a mia volta, mentre i familiari delle vittime (come scrive Mario Calabresi nel suo importantissimo libro/testimonianza Spingendo la notte più in là) hanno affrontato “la prova più alta….[quella] di far crescere i figli liberi dal rancore e dall’odio, di "scommettere tutto sull’amore per la vita", di guardare avanti "nel rispetto della memoria", questo rispetto è spesso mancato, da parte dei responsabili delle azioni terroristiche.
Da qualche tempo, tuttavia, il comune sentire è cambiato, afferma Marco; tanto da indurre il Presidente Napolitano ad istituire la Giornata del 9 maggio per “rendere omaggio a quanti si sono battuti con tenacia fino a cogliere successi decisivi: a quanti vi hanno contribuito nel campo delle forze politiche – in seno al governo e in Parlamento – nel mondo sociale e culturale, e con coraggio, in prima linea, anche a rischio della vita, nella magistratura e nelle forze dell’ordine.”
Marco insiste sull’importanza della Memoria, su questo “valore fondante della nostra società….per il quale sono stati versati litri di sangue…”.
“La Memoria” vorrei riportare qui le significative parole di Pia Jarach “è faticosa, la Memoria richiede pazienza, la Memoria richiede passione, ma senza di lei non potremmo fare nessun passo avanti. Se riusciremo ad essere sempre più spinti verso un concetto di bene comune e non di puro interesse personale, allora potremo veramente sperare di costruire un mondo diverso e migliore in maniera permanente”.
Ed è in questo spirito, in perfetta sintonia con la tradizione, che mi è tanto cara, ebraica di origine sì, ma divenuta patrimonio comune, che, poco dopo, alla presenza di numerosi cittadini, è stato intitolato un bel parco cittadino, appena fuori le mura, a “Emilio Alessandrini 1942-1979 Giovane magistrato ucciso dal terrorismo”.
“RICORDA NON DIMENTICARE ZAKHOR LO TISHKACH”